Introduzione
<<Queste finzioni giuridiche possono da principio suscitare perplessità nello studente di diritto, ma costui, a una seconda riflessione, le troverà altamente benefiche ed utili: specialmente qualora risulti invariabilmente osservata la massima, che nessuna finzione sia estesa a produrre nocumento; poiché il loro utilizzo appropriato consiste nell’impedire un danno, o rimediare a un inconveniente, che potrebbe risultare dalla regola di diritto generale. Ed è dunque vero, che in fictione semper subsistit aequitas>>1.
Finzione giuridica e simili
Diritto e realtà
La storia giuridica ha riflettuto a lungo – e discute ancora – su che cosa sia il diritto.
Nel corso dei secoli il termine è stato oggetto di molte definizioni, anche assai diverse tra di loro; cercandone i tratti comuni, si giunge alla conclusione che il diritto è il complesso di norme giuridiche, che ordinano la vita di una collettività in un determinato momento storico.
Tale definizione fa emergere la stretta correlazione tra diritto e realtà, legati da un rapporto con valenza servile. Il diritto è al servizio della realtà: sia dal punto di vista fisiologico, in quanto – il potere legislativo – regola la condotta degli individui inseriti nel tessuto sociale; sia in chiave patologica, dal momento che – il potere giudiziario -, per risolvere le controversie sorte tra i soggetti giuridici, mira all’accertamento della realtà storica.
In certi casi, però, il diritto spezza il vincolo che lo lega alla realtà, per tutelare interessi diversi ritenuti prevalenti. Tale ribellione può manifestarsi sotto diverse forme: alcune volte, comporta una rinuncia all’accertamento dei fatti storici; mentre, altre volte, crea una vera e propria modificazione sostanziale della realtà storica.
Nelle prime ipotesi rientrano, ad esempio, le norme di cui all’art.200 c.p.p., relative al segreto professionale: in questo caso l’ordinamento giuridico concede a tutta una serie di soggetti la facoltà di astenersi dal deporre su quanto hanno conosciuto in ragione del loro ministero, ufficio o professionale, rinunciando all’accertamento di una porzione del reale – quella e solo quella di loro consocenza –, nel nome della tutela della personalità.
Del secondo ordine di casi – e ciò rileva ai fini di quest’analisi –, fa parte il mondo della finzione giuridica, che comporta <<un processo di equiparazione giuridica tra verità reale e verità legale>>2.
La finzione giuridica
La finzione giuridica – si è visto – è un espediente escogitato in vista di un fine pratico, che porta ad un’ipotesi di difformità tra la realtà giuridica e la realtà storica; è un’assunzione coscientemente falsa, ma accettata per qualche fine pratico3. Il diritto – nella figura del legislatore o del giudice – finge che un determinato fatto sia vero o avvenuto: nonostante non vi siano prove certe e inconfutabili circa la sua effettiva verificazione o, addirittura, sebbene sussistano elementi chiari e inequivocabili che quel fatto non si è verificato (o è avvenuto diversamente). La realtà concreta è modificata e corretta, in quanto si finge che, al posto del fatto realmente accaduto, se ne sia verificato un altro, che possa essere ricondotto ad una determinata fattispecie, sotto la quale il fatto reale non poteva essere sussunto.
Il diritto – sempre inteso nella duplice accezione di organo legislativo e organo giudiziario – predispone finzioni giuridiche in situazioni eterogenee. Alcune volte, la legge considera vero un fatto nell’impossibilità di accertare se il fatto sia realmente accaduto: si pensi al caso della commorienza di cui all’art.4 c.c.. Altre volte, l’ordinamento considera avvenuto un fatto, nonostante sia accertata una realtà contraria: si pensi, ad esempio, all’avveramento della condizione di cui all’art.1359 c.c.; in questo è palese la prevalenza della finzione sulla realtà, ben espressa dal brocardo latino “fictio iuris idem operatur, quod veritas”. In ogni caso si tratta di <<cosciente deformazione di una realtà concreta cui si riconnette una conseguenza giuridica propria di una differente fattispecie>>4.
Finzione e presunzione
ll ricorso a una norma fittizia serve – lo si è visto – a creare una nuova realtà giuridica, nella quale si realizza ciò che, alla luce della realtà naturale, sarebbe impossibile: dicesi fictio “in re certa, contra veritatem, sine intentione celandi adversionem veritati, exclusa probatione contrarii, assumptio”5. La presunzione, invece, è la conseguenza che la legge o il giudice trae da un fatto noto, per risalire a un fatto ignoto: dicesi praesumptio “in re non certa, sine intentione, si casus ferat, celandi adversionem veritati, exclusa probatione contrarii, assumptio”6.
L’una si differenzia dall’altra per diversi motivi.
Per il fondamento: infatti, la finzione non trova riscontro nella realtà, mentre la presunzione parte dal reale, anche se deformato.
Per il grado di deformazione dellla realtà: infatti, la finzione considera vero ciò che certamente è inesatto, mentre la presunzione considera vero ciò che in realtà è solo probabile, ma non del tutto escludibile.
Per il procedimento logico: infatti, la finzione introduce un falso, che va a prendere il posto della realtà, mentre la presunzione è una deduzione logica che, partendo da un fatto provato o notorio – e quindi da un fatto vero e reale -, permette di provare un fatto ignoto.
Per il regime probatorio: infatti, la finzione non ammette prova contraria, giacchè il fatto finto è assunto come vero, mentre la presunzione – quantomeno quella iuris tantum – può essere superata dalla prova di un fatto contrario a quello presunto.
Il tema probatorio permette di avanzare una considerazione ulteriore. È vero che la finzione è diversa dalla presunzione, ma le differenze si attenuano notevolmente se il confronto avviene tra la fictio e la praesumptio iuris et de iure; infatti, entrambe possiedono due caratteristiche: è noto che il fatto assunto come vero non è vero e, in ogni caso, non è ammessa prova contraria.
Finzione e analogia
L’analogia è quel procedimento logico con cui si cerca di estendere l’applicabilità di talune regole giuridiche da un caso noto e definito ad altri casi che presentno aspetti di ragionevole somiglianza.
Ciò che separa finzione e analogia sono la natura e, per certi versi, le finalità7.
In primo luogo l’analogia è priva di qualsivoglia aspetto di finzione. Inoltre, la fictio elude la necessità di individuare la ratio della norma da estendere analogicamente, poiché implica il riconoscimento della mancanza di una eadem ratio a cui estendere una eadem dispositio. Nell’analogia è indispensabile la ricerca di un’altra norma con cui è risolto legislativamente un problema analogo.
Quindi, la finzione non postula la similitudine delle situazioni, ma l’irrealtà del fatto dato come ammesso; mentre, il presupposto dell’analogia, intesa come estensione di una disciplina giuridica prevista per un caso ad un caso simile, è la quasi identità della fattispecie8.
Ciononostante, alcuni configurano le finzioni giudiziali come procedimenti analogici9. In questo caso, però, è necessario distinguere tra un’analogia ordinaria ed un’analogia fittizia: quella ordinaria permette agli interpreti di scoprire agevolmente la somiglianza tra due fattispecie – da prendere in considerazione per l’estensione analogica dell’una all’altra -, alla luce dei materiali giuridici e delle loro rationes, che fanno già parte del giuridico esistente; l’analogia fittizia, invece, viene non già scoperta, quanto istituita dagli interpreti, dato che non è immediatamente percepibile e rintracciabile in ciò che essi hanno a disposizione.
Finzione e interpretazione estensiva
Dal confronto tra finzione e interpretazione estentiva emerge che i presupposti e gli effetti sul reale sono le principali discriminanti tra i due fenomeni.
Se la finzione parte volontariamente da un dato falso, l’interpretazione estensiva inzia l’iter logico da un fatto reale ed allarga la portata dell’enunciato normativo a causa dell’identità della ratio delle due situazioni a confronto, dalla quale emerge l’imperfezione della previsione legislativa per la sua incapacità formale di corrispondere all’intera latitudine della situazione sostanziale. In pratica, l’interpretazione estensiva resta nell’ambito della sola norma di riferimento e ne adegua il contenuto formale all’effettiva portata della situazione sostanziale, poiché la diversità tra le due situazioni a confronto è tale da non poter essere superata con la norma a disposizione.
Nella realtà, quindi, la fictio soccorre come remedium ultimum laddove la fattispecie è tale da non consentire l’applicazione di alcuna norma vigente; si ricorre, dunque, alla finzione quando, nemmeno in via di interpretazione estensiva e analogica, una norma può arrivare ad essere applicabile ad una data situazione di fatto.
1 BLACKSTONE, Commentaries on the Laws of England, 1758-1763, vol. III, 1983, 43.
3 G.TUZET, Finzioni giuridiche e letterarie: è possibile una teoria unificata?, in Dossier diritto e letteratura. Prospettive di ricerca, Atti del Primo Convegno Nazionale, Bologna, 27-28 maggio 2009, 51.
4 E.BIANCHI, Fictio iuris. Ricerca sulla finzione in diritto romano dal pensiero arcaico all’epoca augustea, Padova, 1997, 12.
CASTRO, Sulla “fictio iuris”, in Labeo, 1999, 486-491.
5 E.DIENI, Finzioni canoniche: dinamiche del “come se” tra diritto sacro e diritto profano, 2004, 146.
6 E.DIENI, Finzioni canoniche: dinamiche del “come se” tra diritto sacro e diritto profano, 2004, 146.
7 A.GAMBARO, Finzione giuridica nel diritto positivo, in Digesto, IV Edizione, vol. VIII Civile, 1992, 344-345.
8 F.M.SILLA, La cognitio sulle libertates fideicommissae, Cedam, 2008, 138.
9 H.KELSEN, Zur Theorie der juristischen Fiktionen. Mit besonderer Berücksichtigung von Vaihingers Philosophie des Als-Ob, 1919, tr. it. Sulla teoria delle finzioni giuridiche, in Id., Dio e stato. La giurisprudenza come scienza dello spirito, a cura di A.Carrino, Napoli, ESI, 1988, 235-265.
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