Le finzioni giuridiche nel diritto romano

Origini

La storia delle finzioni giuridiche trova origine agli albori dell’umanità; infatti, già negli ordinamenti giuridici dei popoli più antichi, nell’area mesopotamica, nel mondo greco, in quello babilonese, in Egitto, in India e nel primo diritto romano, si eseguivano sacrifici animali, fingendo che fossero umani, o si offrivano oggetti simbolici di scarso valore, facendo finta si trattasse di cose preziose1.

Se è vero che tracce embrionali di finzioni giuridiche sono rintracciabili in questi periodi storici, è altrettanto innegabile che è nel mondo romano che la finzione giuridica trova la sua culla.

Diritto romano

La storia della fictio iuris è fortemente debitrice del diritto romano: infatti, è proprio a questo che si deve attribuire la creazione cosciente e l’utilizzazione sistematica dello strumento in questione, nonché la raffinazione dei requisiti applicativi2: <<essi, avendo foggiato il nomen, hanno dimostrato in concreto la conoscenza del valore dello strumento, delle risorse che se ne potevano trarre, dei limiti e modi del suo impiego>>3.

Secondo alcuni autori l’ordianemento giuridico romano conosceva solo due tipi di fictiones: quelle legali e quelle pretorie, con esclusione delle finzioni giurisprudenziali; nell’opinione di questo filone di pensiero, la fictio è un procedimento alogico e autoritativo riconducibile solo all’attività del legislatore e del pretore, e non certamente all’opera del giudice, che utilizzava solo l’analogia e l’interpretazione estensiva4.

Secondo altri autori – e anche nell’opinione di chi scrive – il diritto romano annoverava tre tipi di finzioni giuridiche, cioè le finzioni legislative, pretorie e giurisprudenziali5.

Finzioni legislative

Le finzioni legislative erano contenute in veri e propri testi legislativi.

Fittizia – di nome e di fatto – era la fictio legis Corneliae. Il cives morto in prigionia nemica si doveva considerare deceduto fin dal momento della cattura: infatti, solo in tal modo, si conservava la validità del testamento, che, altrimenti, secondo la capitis deminutio maxima, sarebbe dovuto essere invalidato all’atto stesso della prigionia. In epoca successiva – forse –, tale fictio venne estesa dalla successione testamentaria a quella ab intestato6.

Nella rassegna romana delle finzioni giuridiche legislative bisogna annoverare anche il postliminium. Nella sua versione laica, l’istituto fingeva che i cittadini romani, caduti in mano del nemico, ma tornati in civitatem, non fossero mai stati in prigionia servi hostium, non avessero mai perso il loro status giuridico e, quindi, rientrassero in patria nel pieno dei loro diritti7. Nella versione religiosa – descritta da Tertulliano –, il postliminium prevedeva che il fedele peccatore potesse essere riaccolto nella Chiesa come se non avesse mai peccato.

Già in voga a quel tempo – ma ancora attuale e se ne parlerà nei prosieguo – era la finzione legata al concepito. Dal momento che allora – come ora – la capacità giuridica si acquistava con la nascita, per evitare che il conceptus fosse considerato come un qualcosa di indefinito non in rerum natura, sotto la spinta della Chiesa – fortemente avversata da quella corrente di pensiero, anche piuttosto condivisa, che restava ferma nell’idea che il nascituro fosse non in rebus humanis -, si cominciò a fingere che il concepito fosse un soggetto giuridico, sebbene in realtà soggetto non fosse o non lo fosse ancora8.

Situazione analoga si verificava per l’hereditas iacens, cioè l’eredità nel periodo compreso tra la morte del de cuius e l’aditio da parte degli heredi. Esclusa la possibilità di considerare i beni dell’asse ereditario come res nullius, per il rischio che fossero oggetto di occupazione, si decise di fingere – nell’accezione primordiale del termine, ovvero plasmare una realtà nuova – una retroattività: infatti, la presa di possesso dei beni da parte degli eredi veniva ricondotta al momento della morte del defunto, e il tutto era legittimato, prima, dall’identificazione tra eredità e erede, poi, dalla sovrapposizione tra eredità e defunto e ,infine, dalla considerazione dell’eredità come persona giuridica.

Nell’ottica di fictio iuris di rango legislativo si collocava anche l’isituto dell’adrogatio. Così era denominato l’atto con cui il paterfamilias assumeva sotto la propria potestas una persona sui iuris, che assumeva lo status di filiusfamilias, e tutti gli altri membri della sua familia, che subivano la capitis deminutio minima ed erano trascinati in potestate dell’adrogante; la finzione consisteva nel considerare parte della famiglia soggetti in realtà ad essa estranei e non sottoposti alla potestà di alcuno, al fine di evitare l’estinzione della famiglia e garantirne la prosecuzione, oltrechè, talvolta, per accrescere il prestigio ed aumentare il reddito familiare9.

Finzioni pretorie

Le finzioni pretorie – le c.d. actiones ficticiae – derivavano dall’attività giusdicente del praetor, organo ibrido tra il legislativo e il giudiziario, che utilizzava le fictiones iuris essenzialmente come uno strumento a tutela dell’aequitas: infatti, al tempo, data la rigidità dello ius civile, il diritto pretorio tentava di addolcire tale asprezza con l’uso delle finzioni giuridiche, che, lungi dal permettersi di modificare formalmente il diritto civile, in realtà raggiungeva proprio questo scopo, fingendo che si fossero realizzati i presupposti da esso richiesti, per dare tutela a esigenze e rapporti nuovi.

Alcune azioni particolarmente ricorrenti, come l’actio furti e l’actio legis aquiliae, erano riservate ai cives romani e sottratte ai peregrini. Perciò, se uno straniero era coinvolto in un furto o in un danno come vittima o autore e la controparte era un cittadino romano, il peregrinus non poteva né agire né essere convenuto in giudizio, con evidenti effetti paralizzanti del sistema. Per ovviare a ciò, i pretori ricorsero allo strumento della fictio iuris: infatti, ai fini dell’esperibilità di quelle azioni, imposero che i peregrini dovessero essere considerati uti cives10.

Altra actio ficticia era rappresentata dall’actio Rutiliana, con cui il bonorum emptor – colui che acquistava l’intero complesso di beni di un debitore irrimediabilmente insolvente – poteva ottenere il pagamento dei crediti vantati dal fallito, ancora vivente, nei confronti dei propri debitori: la fictio consisteva nel fatto che nell’intentio figurava il nome del fallito, mentre la condemnatio faceva riferimento al bonorum emptor, il quale – condemnatio convertitur – si avvantaggiava in concreto del provvedimento11.

Anche la cugina minore dell’actio Rutiliana, l’actio Serviana, era un actio ficticia: infatti, in questo caso, si fingeva che il bonorum emptor fosse erede del fallito defunto (actor ficto se herede)12.

Tra le finzioni giuridiche pretorie va ricordata l’actio Publiciana, ovvero l’azione con cui il soggetto che, avendo acquistato una res mancipi a seguito di mera traditio – senza conseguire il dominium ex iure Quiritium –, ma essendo spossessato prima di averla usucapita, poteva chiedere la restituzione della res erga omnes nei confronti di chiunque gliela avesse sottratta: in questo caso la fictio era rappresentata dal fatto che il praetor fingeva che a favore dell’acquirente spoliatus, possessore di buona fede, fosse trascorso il periodo di tempo necessario ad usucapire la res (2 anni per le res immobiles e 1 anno per le ceterae res), per far ottenere un risultato altrimenti difficilmente raggiungibile con la stessa fruttuosità e celerità13.

Finzioni giurisprudenziali

Le finzioni giurisprudenziali erano elaborate dai giureconsulti <<che nella loro variegata attività di produzione di consilia, tesa alla ricerca di soluzioni sempre maggiormente raffinate e adatte alla multiformità dei casi concreti, erano fondamentali coadiutori del legislatore e del pretore nel suggerire l’introduzione o l’applicazione di determinate finzioni>>14.

Se è chiaro che il diritto romano ha fatto largo uso della finzione giuridica, non altrettanto chiaro è per quale motivo la scienza giuridica di Roma non abbia provveduto ad una teorizzazione organica del fenomeno: <<i giuristi romani non si preoccupano di discutere intorno alla natura della finzione…nemmeno cercano di formulare un’impostazione filosofico-giuridica del problema della finzione>>15.

1 ROBBE, La fictio iuris e la finzione di adempimento della condizione nel diritto romano, in Scritti in onore di S. Pugliatti, vol. IV, Milano, 1978, 631-632.

2 S.PUGLIATTI, Finzione, in Enciclopedia del diritto, Milano, Giuffrè, vol. XVII, 1968, 663-664.

P.BIRKS, Fictions Ancient and Modern, in MacCormick, Neil, Birks, Peter (eds.), The Legal Mind. Essays for Tony Honoré, Oxford, Clarendon Press, 1986, 83-101.

I.R.KERR, Fictions and Deemings, in The Philosophy of Law. An Encyclopedia, New York-London, Garland, vol. II, 1999, 300-303.

M.BRETONE, Finzioni e formule nel diritto romano, in “Materiali per una storia della cultura giuridica”, 2, 2011, 11-12.

3 D.BERARDI, L’avveramento fittizio della condizione, Scuola di dottorato di ricerca in giurisprudenza, Dipartimento di storia e filosofia del diritto e diritto canonico, Università degli studi di Padova, 2000, 13.

4 M.G.GARRIDO, Sorbe los verdaderos limites de la ficciòn en derecho romano, in AHDE, 1957-1958, 310.

5 E.BIANCHI, Fictio iuris. Ricerca sulla finzione in diritto romano dal pensiero arcaico all’epoca augustea, Padova, 1997, 147 ss.

6 Bechmann, Das Ius postliminii und die lex Cornelia, Erlangen, 1872, 84.

7 CICERONE, Topica ad Trebatium 37.

8 GAI 1, 147: <<cum tamen in compluribus aliis causis postumi pro iam natiis habeantur>>.

9  GAI 1, 98-107: <<Autem duobus modis fit, aut populi auctoritate, aut imperio magistratus, veluti praetoris. Populi auctoritate adoptamus eos qui sui iuris sunt; quae species adoptionis dicitur adrogatio, quia et is qui adoptat rogatur, id est interrogatur, an velit eum quem adoptaturus sit iustum sibi filium esse; et is qui adoptatur rogatur, an id fieri patiatur; et populus rogatur, an id fieri iubeat. Imperio magistratus adoptamus eos qui in protestate parentum sunt, sive primum gradum liberorum optineat, qualis est filius et filia, sive inferiorem, qualis est nepos neptis pronepos proneptis>>.

10 GAI 4, 37: <<Velut si furti agat peregrinus aut cum eo agatur, formula ita concipitur: Iudex esto. Si paret Lucio Titio a Dione Hermei (…) furtum factum esse paterae aurae, quam ob rem eum, si civis romanus esset, pro fure damnum decidere oporteret et reliqua; item si peregrinus furti agat, civitas ei Romana fingitur. Similiter si ex lege Aquilia peregrinus damni iniuriae agat aut cum eo agatur, ficta civitate Romana iudicium datur>>.

11 GAI 4,35: <<Similiter et bonorum emptor ficto se herede agit; sed interdum et alio modo agere solet. Nam ex persona eius cuius bona emerit sumpta intentione convertit condemnationem in suam personam, id est ut, quod illius esset vel illi dari oporteret, eo nomine adversarius huic condemnetur; quae species actionis appellatur Rutiliana, quia a praetore P. Rutilio, qui et bonorum venditionem introduxisse dicitur, conparata est>>.

12 GAI 4,34: <<Habemus adhuc alterius generis fictiones <i>n quibusdam formulis, uelut cum is, qui ex edicto bono-rum possessionem petiit, ficto se herede agit. cumenim praetorio iure is, non legitimo, succedat inlocum defuncti, non habet directas actiones et nequeid, quod defuncti fuit, potest intendere suum <esseneque id, quod e>i debebatur, potest intendere <dari>sibi oportere; itaque ficto se herede intendit, uelut hocmodo: ivdex esto. si avlvs agerivs, id es<t> si ipseactor, <lvcio titio> heres <esset, tvm si> fvnd<vm>, deqvo agitvr, ex ivre qviritivm <eivs e>sse <oportere>t;et si * * * praeposita simili <f>ic<t>ion<e> heredis ita sub-icitur: tvm si nvmerivm negidivm avlo <agerio>sestertivm x milia dare oporteret>>.

13 GAI 4,36: <<Item usucapio fingitur in ea actione, quae Publiciana uoca-tur. datur autem haec actio ei, qui ex iusta causatraditam sibi rem nondum usu cepit eamque amissapossessione petit; nam quia non potest eam ex iure Quiritium suam esse intendere, fingitur rem usu cepisse,et ita, quas<i> ex iure Quiritium dominus factus esset,intendit <uel>ut hoc modo: ivdex esto. si qvem ho-minem avlvs agerivs emit <et> is ei traditvs est,anno possedisset, tvm si evm hominem, de qvoagitvr, eivs ex ivre qviritivm esse oporteretet reliqua>>.

Crf. anche E.BIANCHI, Fictio iuris. Ricerca sulla finzione in diritto romano dal periodo arcaico all’epoca augustea, 1997, 294-304.

14 D.BERARDI, L’avveramento fittizio della condizione, Scuola di dottorato di ricerca in giurisprudenza, Dipartimento di storia e filosofia del diritto e diritto canonico, Università degli studi di Padova, 2000, 14.

15 F.TODESCAN, Diritto e realtà. Storia e teoria della fictio iuris, Padova, 1979, 22.

Avv. Bardelle Federico

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