di Ermelinda Hepaj
Sommario
1. Premesse
2. La tutela cautelare nell’ordinamento italiano
3. Il sistema cautelare inglese
4. Considerazioni conclusive
1. Premesse
«L’efficienza e la funzionalità di un sistema di giustizia civile non dipendono necessariamente dalla qualità delle norme che ne disciplinano il funzionamento. Non esiste, in effetti, un modello processuale “perfetto”, soprattutto non esiste un modello processuale che, per quanto ben congegnato, possa operare, con gli stessi risultati, da un ordinamento all’altro o da un’epoca all’altra»[1].
Le regole processuali, infatti, non sono altro che il frutto delle tradizioni, della storia e della cultura di una data società. Da questo punto di vista, un’analisi anche esteriore della situazione in due dei principali ordinamenti processuali “occidentali” – il nostro e quello inglese, sistema di common law per eccellenza – denota l’esistenza di un comune denominatore: amministrare la macchina giustizia in modo rapido, efficiente ed efficace.
In particolare, è interessante verificare in queste pagine come le più recenti riforme processuali italiane si collochino, sul piano della tutela sommaria cautelare, rispetto alle tendenze evolutive, e non, dell’ordinamento d’oltremanica, per muovere da tale raffronto stimoli e spunti di riflessione.
[1] M. A. Lupoi, Tra flessibilità e semplificazione, un embrione di case management all’italiana?, Bologna, 2018, pag. 5.
2. La tutela cautelare nell’ordinamento italiano
Piero Calamandrei nel suo celeberrimo studio sistematico dei provvedimenti cautelari osservava che: «in un ordinamento processuale puramente ideale, in cui il provvedimento definitivo potesse essere istantaneo, in modo che, nello stesso momento in cui l’avente diritto presentasse la domanda, subito potesse essergli resa giustizia in modo pieno e adeguato al caso, non vi sarebbe più stato posto per i provvedimenti cautelari»[2].
Tale statuizione è particolarmente efficace, da un lato, perché definisce la funzione dei provvedimenti cautelari; dall’altro, perché chiarisce che non esiste nella realtà un ordinamento giudiziale che possa fare a meno di quei provvedimenti, per il semplice motivo che non sarebbe possibile fornire una giustizia immediata alla parte che la invoca. Ciò testimonia la stretta correlazione tra i provvedimenti cautelari e il principio costituzionale di effettività della tutela, il quale può dirsi ormai un dato acquisito nel nostro ordinamento. La tutela cautelare, infatti, trova il proprio avallo anche nella sentenza della Corte Costituzionale n. 190 del 1985[3], che i provvedimenti cautelari sono corollario necessario del principio di effettività come sancito dagli artt. 24 e 113 della Costituzione, nonché dal principio del giusto processo di cui all’art. 111. Si tratta di un orientamento, oggi, sostenuto anche a livello comunitario[4]. In merito, la Corte di Giustizia ha asserito che il giudice nazionale deve disapplicare la norma interna qualora quest’ultima impedisca di pronunciare provvedimenti cautelari[5]. Invero, la disciplina processuale deve garantire che il titolare del diritto soggettivo violato non subisca ulteriori pregiudizi nel tempo necessario ad ottenere la tutela piena. Da ciò si ricava l’obbligo in capo al legislatore di fornire strumenti cautelari volti a preservare ogni diritto soggettivo.
Nel suo scritto, Calamandrei individuava la strumentalità e la provvisorietà quali caratteristiche distintive della tutela cautelare rispetto agli altri tipi di tutela apprestati dall’ordinamento[6]. È chiaro, infatti, come la funzionalità del procedimento ordinario incida su quello cautelare: quanto più rapido ed efficiente è il processo ordinario, tanto meno bisogno vi sarà della tutela cautelare, nonché, quanto più lento ed inefficiente è il processo ordinario, tanto più è necessario che almeno il procedimento cautelare funzioni bene[7]. Ciò chiarisce il motivo per cui, già a partire dall’entrata in vigore del codice del ’40, l’attenzione del legislatore verso i provvedimenti cautelari sia andata via via crescendo nel corso degli anni e si sia tradotta, nel 1990 prima e negli anni 2003- 2006 poi, in interventi volti al perfezionamento della disciplina[8].
Va detto, in effetti, che la sommarietà di tale forma di tutela va intesa quale sommarietà di cognizione, cioè dell’attività logico – giuridica che il giudice è chiamato a percorrere ai fini della pronuncia del provvedimento, ma che, comunque, deve spingersi non solo a valutare il minimo di attendibilità delle censure mosse, ma, anche, ad analizzare e manifestare nella motivazione i profili che, ad un sommario esame, inducono ad una ragionevole previsione sull’esito della domanda.
Risulta chiaro, pertanto, che, in quanto adottati in seguito a cognizione sommaria del fatto, come tale suscettibile di variazioni alla luce dei nuovi elementi che potrebbero emergere nel corso del giudizio, i provvedimenti cautelari non abbiano il carattere di stabilità, bensì, all’opposto, essendo emanati rebus sic stantibus, presentino il connotato della provvisorietà rispetto alla decisione di merito, giacché, quest’ultima, tiene luogo della precedente ordinanza, che perde ogni effetto.
La tutela cautelare è, inoltre, allo stesso tempo, autonoma.
L’autonomia va intesa in senso sia funzionale che strutturale. In primo luogo, essa concerne la funzione, che non è quella di accertamento, né di anticipazione satisfattiva della pretesa a favore di una delle parti del giudizio, ma di garanzia di effettività della tutela giurisdizionale: posto che i rimedi cautelari assolvono la funzione di evitare che, nelle more del giudizio, si verifichi un pregiudizio irreversibile al bene della vita oggetto della domanda.
In secondo luogo, l’autonomia è strutturale, in quanto il processo cautelare, ancorché accessorio a quello principale presenta autonome caratteristiche che lo differenziano da questo: il giudizio ordinario, infatti, si risolve in una decisone che incide sull’intera domanda; quello cautelare, invece, è volto a conservare inalterato lo status quo ante e si conclude, in caso di accoglimento, con una pronuncia che opera non sul diritto soggettivo in sé, ma sui suoi effetti, ponendoli temporaneamente in uno stato di quiescenza.
Fu il legislatore del ’40 a prevedere una misura cautelare originale, ovvero quella regolata oggi dall’art. 700 c.p.c., relativa ai provvedimenti d’urgenza. Questa disposizione rappresentava, e rappresenta, senz’altro la novità più rilevante del nostro panorama processuale, atteso che, non avendo un contenuto predeterminato dalla legge, attribuisce al giudice un ampio potere di predisporre la misura più opportuna e adatta per soddisfare le esigenze cautelari del singolo caso concreto. Il provvedimento d’urgenza, regolato dagli art. 700 e ss. c.p.c., presenta un carattere residuale, di chiusura del sistema cautelare che trova applicazione al di fuori dei casi regolati dal sequestro giudiziario, dal sequestro conservativo, dalla denuncia di nuova opera e di danno temuto e dai provvedimenti di istruzione preventiva[9].
La natura sussidiaria del provvedimento exart. 700 c.p.c., si riflette poi sulle condizioni di ammissibilità del ricorso, il quale, a differenza degli altri provvedimenti cautelari, è ammissibile solo qualora siano presenti due presupposti: il periculum in mora, ossia il rischio che, nelle more del giudizio, dall’esecuzione dell’atto impugnato derivino danni gravi ed irreparabili per il ricorrente ed il fumus boni juris, e cioè un giudizio positivo, di carattere sommario, in merito alla fondatezza del ricorso stesso. Tali caratteristiche si presentano come particolarmente qualificate, poiché il pregiudizio che si paventa nelle more del giudizio di merito deve essere oltre che “imminente” anche e, soprattutto, “irreparabile”.
Mentre il profilo dell’imminenza attiene alla prossimità del pericolo, quello dell’irreparabilità va valutato dal giudice di volta in volta in considerazione della specifica situazione sostanziale minacciata – anche in via riflessa – dal pregiudizio[10].
Venendo ora alla disciplina procedimentale, si ricordi che le fasi di autorizzazione, di revoca, di attuazione anche del provvedimento in questione sono disciplinate dagli artt. da 669 bis a 669 quaterdecies, nella sezione intitolata “Dei procedimenti cautelari in generale”, come introdotta dalla l. 353/1990. Si tratta di una disciplina unitaria che si articola in tre fasi: la fase di autorizzazione del provvedimento cautelare, la fase della sua attuazione o esecuzione e, infine, la fase di impugnazione con reclamo.
La fase di autorizzazione ha caratteristiche strutturali simili a quelle dell’attività di cognizione e si svolge, su domanda dell’interessato, in funzione della pronuncia di un provvedimento. Tale provvedimento, che assume talvolta la forma del decreto e talora quella dell’ordinanza, ha il contenuto di una pronuncia di autorizzazione della misura cautelare. Più precisamente, con tale rimedio, il giudice, previo riscontro dell’esistenza e dei presupposti e delle condizioni di fondatezza dell’azione cautelare, autorizza la misura, oppure nega tale autorizzazione[11]. Il provvedimento autorizzativo apre l’adito immediatamente alla seconda fase: la fase di attuazione della misura cautelare. Quest’ultima possiede caratteri strutturali assimilabili a quelli dell’esecuzione forzata, consistendo il provvedimento autorizzativo in una sorta di titolo esecutivo a cui seguiranno gli effetti di prevenzione propri della misura cautelare. La fase di impugnazione con reclamo, invece, consente un controllo ad opera di un giudice diverso sul provvedimento autorizzativo, la cui attuazione può incidere stabilmente e talora irrimediabilmente, sulla situazione tra le parti.
Ma veniamo ora all’attività procedimentale vera e propria.
Il codice non precisa le modalità con le quali avviene l’instaurazione del contraddittorio, litandosi alle implicazioni contenute dell’art. 669 sexies, il quale prevede che il giudice, sentite le parti, omette ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto e, infine, provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto della domanda. In tal senso va anche detto che la sommarietà della cognizione si concretizza nel fatto che il codice consente, in taluni casi, di provvedere inaudita altera parte, allorquando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento.
Ecco che, infine, assume rilievo la fase di impugnazione, che costituisce uno degli aspetti più rilevanti. A rigor di principio, la natura non decisoria e provvisoria dei provvedimenti investiti dalla disciplina generale, dovrebbe escluderne l’impugnabilità, poiché si tratta di provvedimenti destinati ad essere superati ed assorbiti dalla pronuncia sul merito. Ma, poiché i tempi lunghi del giudizio sul merito protraggono in maniera anomala l’efficacia di provvedimenti spesso pronunciati in un affrettato clima di tensione, il rigore dei principi deve cedere alla più urgente esigenza di consentire un più ponderato riesame di questi provvedimenti. In ragione di ciò, il legislatore del 1990 ha introdotto l’istituto del reclamo contro i provvedimenti cautelari, configurandolo come un’impugnazione in senso ampio, ma con caratteristiche proprie: esso segue sulla falsariga dei procedimenti in camera di consiglio. Così, l’art. 669 sexies, co. 2, prevede quali provvedimenti impugnabili col reclamo, tutte le ordinanze con le quali sia stato concesso ovvero negato il provvedimento cautelare. Esso va proposto con ricorso nel termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o notificazione se anteriore. Competente per il reclamo è lo stesso tribunale del singolo giudice in composizione collegiale, del quale non potrà far parte il giudice che ha emanato il provvedimento exart. 669 terdecies, co.1, c.p.c.[12].
Non va sottaciuto il fatto che, come si evince dal dettato normativo di cui sopra, siamo di fronte a svariati riti e modelli di tutela, alle volte incardinati in eccessivo formalismo – sequestro conservativo, sequestro giudiziario, provvedimenti possessori, misure cautelari a strumentalità attenuta, e così via -, i quali sarebbe opportuno traessero alcuni spunti di riflessione dal sistema procedimentale inglese, nel quale, come si dirà nel prosieguo, l’indagine a livello comparato mostra come sia il bilanciamento degli interessi delle parti ad assurgere a parametro di primaria importanza nella valutazione compiuta dal giudice per la concessione o il diniego del provvedimento cautelare, ed in special modo in sede di tutela cautelare, la quale spesso è destinata a tradursi in “res giudicata” assumendo il connotato della stabilità sostanziale.
Ecco che, quindi, occorre volgere lo sguardo all’ordinamento inglese al fine di cogliere le peculiarità ed i caratteri che ne contraddistinguono la struttura del procedimento cautelare.
[2] Così P. Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, pag. 20; l’autore viene richiamato anche da F. S. Damiani, La tutela cautelare anticipatoria, Napoli, 2018.
[3] La questione afferente la materia cautelare nel processo amministrativo risulta qui connotata di particolare interesse scientifico. Invero, in detta occasione, la Corte Costituzionale ebbe modo di statuire quanto segue: “i due incidenti del Pretore del lavoro di Genova e i due incidenti del Pretore del lavoro di S. Pietro Vernotico hanno per oggetto la stessa questione d’incostituzionalità nella quale viene coinvolto l’art. 700 c.p.c. nella parte in cui non consente al giudice ordinario di tutelare in via d’urgenza diritti soggettivi derivanti da comportamenti omissivi della Pubblica Amministrazione e devoluti in via di merito alla giurisdizone esclusiva del Giudice amministrativo per contrasto con gli artt. 24 comma primo e 3 comma primo Cost., pertanto, la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 21 u.c. della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei T.A.R. nella parte in cui, limitando l’intervento d’urgenza del giudice amministrativo alla sospensione dell’esecutività dell’atto impugnato, non consente al giudice stesso di adottare nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego, sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva, i provvedimenti d’urgenza che appaiono secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito, le quante volte il ricorrente abbia fondato motivo di temere che durante il tempo necessario alla prolazione della pronuncia di merito il suo diritto sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile (o missis)”.
[4] La Corte di Giustizia ha affermato chiaramente che la tutela cautelare è una componente essenziale nella effettività della tutela giurisdizionale ed ha elaborato una nozione tendenzialmente unitaria di misura cautelare ai sensi dell’art. 24, convenzione di Bruxelles, oggi art. 31 reg. CE n. 44/2001.
[5] Si veda a tal proposito la pronuncia della Corte di Giustizia, House of Lords c. Factortame ltd, CE 19 giugno 1990, n. C-213/1989, in Giur. it., 1991, I, 1, pag. 11123, con nota di C. Consolo, Fondamento «comunitario» della giurisdizione cautelare.
[6] La tutela cautelare è solita definirsi sommaria, poiché, a differenza della tutela ordinaria, essa – sia quando è invocabile ante causam, sia quando sia invoca nel corso del processo già pendente – seguita per le vie più brevi, senza mai dare luogo a sentenze che producono l’accertamento del giudicato ai sensi dell’art. 2909 c.c..
[7] Si veda a tal proposito F. Cipriani , in Il processo cautelare tra efficienza e garanzie, Giust. proc. civ., 2006, pag. 9.
[8] In merito, il codice del 1865 non conteneva una disciplina unitaria dei provvedimenti cautelari e dunque non offriva appigli di natura sistematica che consentissero di individuare una categoria autonoma riconducibile alla tutela cautelare complessivamente intesa. A tal proposito si veda meglio P. Calamandrei, op. cit., pag. 3 e ss..
[9] Si veda in questo senso G. Tarzia e A. Saletti, Il processo di cognizione, Vicenza, 2015, pag. 247 e ss.
[10] C. Mandrioli e A. Carratta, Corso di diritto processuale civile, Torino 2018, pag. 239.
[11] Nel primo caso, il provvedimento non assume alcuna incontrovertibilità e può essere revocato o dichiarato inefficace; mentre nel secondo caso, la riproposizione dell’istanza scontra i limiti di cui all’art. 669 septies, co. 1.
[12] Il provvedimento sul reclamo, sebbene non più impugnabile, neppure ex art. 111 Cost., può essere anch’esso revocato ai termini dell’art. 669 decies. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento, tuttavia, il presidente del tribunale o della corte, in sede di appello, quando per motivi sopravvenuti il provvedimento arrechi grave danno, può disporre, con ordinanza non impugnabile, la sospensione dell’esecuzione o subordinarla alla prestazione di congrua cauzione.
3. Il sistema cautelare inglese
L’ordinamento d’oltremanica, di cui le corti inglesi costituiscono la voce, è il modello processuale di common law per eccellenza.
Per affrontare il tema delle misure provvisorie – con attitudine a diventare definitive – nel processo civile inglese, è opportuno prendere le mosse dalla struttura delle regole processuali che regolano l’iter procedimentale in generale. Il processo civile inglese, infatti, prevede diversi passaggi, i quali si possono ricondurre a tre fasi sostanziali: il pre- trial, il trial e il post trial [13]. Di queste, quella oggetto di analisi in queste pagine sarà la c.d. fase del pre- trial: in essa, infatti, si ha il deposito e lo scambio degli atti introduttivi, la disclosure – relativa alle prove documentali -, la presentazione delle eventuali istanze per gli interlocutory remedies, fino a giungere al setting down, con cui l’attore potrà chiedere che si proceda alla fase del trial. In buona sostanza, le interlocutory applications o interlocutory remedies costituiscono il terzo possibile passaggio della fase del pre- trial, tuttavia non si tratta di uno schema vincolante: infatti, esse possono essere oltre che richieste anche ottenute in un momento anteriore. Va detto che, in effetti, nelle ipotesi di non particolare urgenza, l’istanza può essere presentata dopo la disclosure, allorquando “the evidence is known and the case is taking its final shape”[14].
Alla fase delle interlocutory applications appartengono i c.d. interim remedies, espressione la quale potrebbe essere idonea a ricomprendere le misure cautelari, ma che ha in realtà un significato più ampio, perché capace di contenere una vasta cerchia di provvedimenti nei quali rientra l’injuction: sia nella forma cautelare che in quella non cautelare. Sebbene non esista nei diversi ordinamenti il corrispondente ontologico dell’injuction, in alcune ipotesi, esso assume una certa somiglianza con la misura cautelare in senso stretto. In merito, ha natura cautelare l’interlocutory injunction, misura provvisoria concessa nella fase inziale del processo e la cui efficacia è in linea di principio destinata a protrarsi sino alla pronuncia finale del giudice; non ha invece natura cautelare la final injunction, che è una vera e propria condanna nel merito con efficacia preventiva o inibitoria, concessa di norma dopo il trial, quindi dopo il pieno accertamento del merito, e che diviene parte integrante della sentenza definitoria del giudizio[15].
Quanto alle condizioni per la concessione della misura, occorre dire che, nonostante la discrezionalità del giudice circa la decisone sul provvedimento sia alquanto ampia, i presupposti in base ai quali l’injunction cautelare può essere accordata sono stati chiaramente definiti dalla prassi giurisprudenziale delle corti: per lungo tempo la sentenza di riferimento sul tema è stata senza dubbio costituita dalla decisione resa dal giudice Alderson nel caso Att. – Gen. v Hallet [16]. Nel caso di specie, i giudici ebbero modo di individuare nel prima facie case l’harm of irreparable injury e la balance of convenience, quali requisiti di cui la corte deve accertare l’esistenza per concedere il provvedimento richiesto[17]. Quanto al primo, bisogna precisare che, mentre inizialmente si chiedeva all’istante di dimostrare al giudice di avere un good arguable case on the merit [18], cioè consistenti probabilità di uscire vittorioso dal trial se a questo si fosse arrivati, successivamente l’accertamento di questo requisito è andato sfumandosi, per prendere i toni più agevoli della serious question to be tried [19]: l’istante, in altre parole, deve convincere il giudice “that the claim is not frivolous or vexatious; in other words, that there is a serious question to be tried”. L’harm of irreparable injury, invece, consiste nell’allegazione da parte dell’istante del pericolo del verificarsi di un danno che, in assenza della misura richiesta, non potrebbe essere riparato al termine del trial, né in forma specifica né attraverso un adeguato equivalente monetario[20]. Ultimo e più importante requisito da valutarsi da parte del giudice per concedere o negare la misura, è la c.d. balance of convenience ovvero la balance of justice, che consiste nel valutare la posizione dell’attore e quella del convenuto, tenendo conto dei rispettivi advantages and disadvantages; spetta al giudice soppesare one need against the other and determine where the balance of convenience lies [21]: la dottrina individua quest’ultimo criterio come quello in base al quale si decide circa la maggior parte delle injunctions.
Com’è noto, il metodo anglosassone procede per sviluppi compiuti su casi concreti, il che ha dato luogo all’espressione case law; così è avvenuto anche per l’elaborazione in tema di interim remedies, tanto che prima dell’intervento delle Civil procedure rules, i provvedimenti prendevano nome dalla pronuncia che l’aveva introdotti nell’ordinamento[22]. Venendo alle condizioni per la concessione dell’injunction, da un punto di vista generale, è stato notato che l’entrata in vigore delle Civil procedure rules non è rimasta senza conseguenze.
In merito, la rule 25. 1 delle Civil procedure rules elenca ben quattordici tipi di interim remedies che potrebbero essere oggetto di richiesta al giudice. La mera elencazione sarebbe certamente infruttuosa, basti qui notare che la norma, nel prosieguo, chiarisce che non si tratta di una elencazione tassativa, poiché il fatto che una misura non sia ricompresa in quel novero does not affect the power that the court may have to grant that remedy. Ciò sembra possa leggersi come il riconoscimento alla possibilità che il giudice possa trovarsi nella necessità di risolvere il caso concreto anche mediante il ricorso a nuovo rimedio, da egli stesso disposto, più efficace di quelli esistenti per il caso di specie.
Sebbene l’attributo interlocutory faccia pensare all’injunction come ad un provvedimento per sua natura provvisorio, ciò non corrisponde alla realtà di fatto perseguita dallo strumento. La stessa giurisprudenza ammette tale assunto, riconoscendo che, quando viene concessa una interlocutory injunction, nearly always these case does not go to trial [23]. In merito, la logica perseguita dalla civil procedure rules è proprio questa, incoraggiare le parti a porre fine alla controversia evitando di arrivare fino al trial vero e proprio[24].
Quanto al momento in cui potrà essere presentata l’istanza per un interim remedy, la rule 25.2 dispone che ciò sia possibile at any time, including (a) before proceedings are started and (b) after judgment hasbeen given; quindi, sia ante causam che lite pendente. Sebbene, va detto che l’istanza ante causam può essere presentata solo quando the matter is urgent or it is otherwise desirable to do so in the interest of justice. Nulla dispongono le norme in merito all’individuazione del giudice competente né in ordine alla fase istruttoria, raggiungendo così nel complesso una estrema flexibility, per richiamare la House of Lords.
Flessibilità ed elasticità che, nel rispetto delle garanzie fondamentali della difesa, sono armi molto potenti per il processo in generale e per le misure provvisorie in particolare e che, fin dalle origini dell’istituto, hanno determinato il successo su ogni altro tipo di misura dell’injunction, facendone uno strumento dalle potenzialità applicative praticamente illimitate.
[13] L. Querzola, La tutela anticipatoria fra procedimento cautelare e giudizio di merito, Bologna, 2006, pagg. 70 -71.
[14] A. Zuckerman, Civil justice in crisis. Comparative perspectives of civil procedure, Oxford, 1999, pag. 117 e ss. In merito si veda anche P. Biavati, in Europa e processo civile, Torino, 2004, pag. 51. L’autore compie una valutazione positiva dell’approccio culturale britannico, da sempre improntato all’esigenza di non dettare norme legislative generali, ma di governale al meglio l’iter procedimentale di ogni singolo processo.
[15] Taruffo, Diritto processuale civile nei paesi anglosassoni, in Dig. it., disc. priv., Torino, 1990, pag. 393.
[16] Si veda A. Frignani, L’injunction nella common law, Milano, 1974, pag. 168, il quale riporta le parole del giudice Alderson, per cui danno irreparabile è quel danno “which, if not prevented by injunction, cannot be afterwards compensated by any decree which the court can pronunce in the result of the cause”. Si veda anche, a tal proposito, House of Lords, 5 febbario 1975, American Cynamid v. Ethicon Ltd, in All Engl. rep., 1975, pag. 504 e ss. Su quest’ultima statuizione si veda anche Zuckerman, Civil procedure, Londra, 2003, pag. 272 e ss.
[17] Invero, secondo quanto riportato da A. Frignani, L’injunction nella common law (supra, nota 14), pag. 167, “it is enough if he [l’attore] can show that he has a fair question to raise as to the existence oh the right which he alleges, and can satisfy the Court that the property should be preserved in its actual condition, until such question can be disposed of.”
[18] Affinché un soggetto potesse ottenere l’injunction, in passato, era richiesto all’ottore di dimostrate, oltre la sussitenza di una situazione di diritto lesa, anche l’inadeguatezza dei damages. Questo perché, come riportato da B. Capponi, in L’esecuzione processuale indiretta, Milano, 2011, pag. 54 e ss., per poter ottenere una injunction era necessario che il rimedio risarcitorio risultasse inadeguato rispetto alla concreta fattispecie. Si veda anche l’analisi dettagliata dell’injunction quale equitable remedy condotta da A. Frignani, L’injunction nella common law (supra, nota 14), pag. 21 e ss..
[19] In questo senso la House of Lords nel caso American Cynamid vs. Ethicon Ltd., op. cit., pag. 510.
[20] Si parla in questi casi di interim payment, assimilabile ad un provvedimento anticipatorio e tendenzialmente definitivo avente contenuto di condanna al pagamento di una somma di denaro che però non prevede l’urgenza tra i. requisiti per la concessione. Esclude la natura cautelare della predetta misura anche Cavallini, pag. 449.
[21] Varano, Tendenze evolutive in materia di tutela possessoria nell’ordinamento inglese, pag. 45 e ss.
[22] I casi senza dubbio più noti sono quello della Mareva Compagnia Naviera v. International Bulkcarries, in All Engl. rep., 1975, pag. 213 e ss.; e Court of Appel, 8 dicembre 1975, Anton Piller v. Manufactoring Process ltd., in All Engl. rep., 1976, pag. 779 e ss.. Il primo è un provvedimento in larga parte assimilabile al sequestro conservativo di beni di diritto interno; il secondo, una sorta di sequestro a fine probatorio. Entrambi presentano un alto tasso di strumentalità e finalizzazione dell’oggetto del successivo giudizio principale ed hanno quindi scarse possibilità di essere configurati con una qualche utilità indipendentemente dall’esito finale del giudizio.
[23] In questo senso si esprimeva Lord Denning nel proprio speech presso la Court of appeal, caso Fellowers v Fisher, in All Engl. rep., 1975, pag. 829 e ss.
[24] La dottrina inglese non si è interrogata particolarmente sul regime di stabilità, o non stabilità, che possa riguardare questo provvedimento, il quale concepito in via di principio come provvisorio, è tuttavia suscettibile, nella quasi totalità dei casi, di essere il solo ed unico provvedimento che viene pronunciato fra le parti sulla controversia che le vede coinvolte. In questo senso, si veda la giurisprudenza citata da N. Andrews, English civil procedure, pag. 944, spec. nota 19. Invero, a differenza di quanto accade nel nostro ordinamento, in cui la cosa giudicata è istituto centrale dello studio del processo, nell’ordinamento inglese la cosa giudicata è piuttosto fragile: essa è riconosciuta al provvedimento del giudice non appena questo viene emesso, senza ricollegarlo a mezzo di impugnazione. La scarsa importanza riconnessa dai sistemi di common law al giudicato è infine probabilmente testimoniata anche dal fatto che le Civil procedure rules la ignorano totalmente, non facendone neppure menzione.
4. Considerazioni conclusive
Nelle pagine che precedono, è stata condotta un’analisi sul piano funzionale del procedimento, analizzando per sommi capi la struttura della tutela sommaria in due diversi ordinamenti, quello domestico da un lato e, dall’altro lato, quello d’oltremanica.
Come universalmente noto, i procedimenti cautelari sono funzionali all’attuazione del principio costituzionale di effettività del processo, ovvero della tutela dei diritti soggettivi. Essi, in particolare, mirano a raggiungere un risultato utile per la parte istante evitando il verificarsi di danni irreparabili nelle more del processo. A differenza di quanto avviene, non di rado, nel sistema inglese, la cognizione cautelare nell’ordinamento italiano non conduce ad un accoglimento anticipato totale o parziale della domanda, ma solo alla emanazione di misure atte a prevenire il pericolo che i tempi ordinari del processo, cognitivo o esecutivo, rendano vano un successivo provvedimento giudiziario.
Rispetto a quanto precede, la cognizione compiuta dal giudice inglese in sede di tutela cautelare è un’analisi che non riguarda l’apparente probabilità che il diritto esista ma ha riguardo l’esistenza del diritto in quanto tale, seppur con una certa rapidità, più o meno accurata, dei fatti in causa.
La logica conseguenza di quanto sopra è che, per come riformate ad oggi, le caratteristiche dell’istruttoria cautelare, dal punto di vista sistematico, portano ad un risultato di qualità ontologicamente inferiori rispetto a quello ordinario, almeno per quanto riguarda il nostro ordinamento. È pacifico, infatti, che i risultati raggiunti in tale sede non siano destinati al passaggio in giudicato né possano mai essere considerati nel successivo giudizio di merito decisivi per il convincimento in fatto del giudice. Dall’altra parte il modello di cognizione cautelare inglese prevede un impulso del giudice particolarmente incisivo, non solo nei casi in cui la misura chiesta avvenga, come nel nostro ordinamento inaudita altera parte exart. 669 sexies, co. 2, c.p.c. -, ma anche rispetto agli elementi da individuare ai fini della decisione nel merito, di cui spesso e volentieri l’accoglimento dell’injunction, nella sua forma definitoria, rappresenta l’epilogo.
A conclusione della rapida disamina di cui sopra, si può ribadire che, mentre nel contesto della tutela cautelare italiana, la struttura sommaria dell’istruzione e gli effetti provvisori del provvedimento siano due facce della stessa medaglia, non è cosi nel sistema inglese. In quest’ultimo sistema, alla tutela cautelare non è accordato solo un ruolo strumentale ma anche autonomo e di cognizione definitoria, a cui non sempre fa seguito un accertamento di merito sull’esistenza del diritto oggetto di cautela, in quanto la domanda viene assorbita dall’istruzione sommaria dei fatti in causa condotta dal giudice, artefice delle redini del processo di common law.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento