Risale a circa un secolo fa il primo caso giudiziario risolto proprio grazie alle impronte digitali lasciate dal colpevole.
Polpastrelli e palmi delle nostre mani (e anche dei piedi) sono cosparsi di minuscole papille di forma conica che si susseguono l’una dietro l’altra formando sottili creste separate da piccoli solchi.
Le creste descrivono disegni caratteristici, assolutamente individuali (anse, archi, vortici), che due gemelli monovulari hanno sì lo stesso Dna, ma impronte digitali diverse.
Le creste papillari si formano nel corso della dodicesima settimana e si completano dopo il sesto mese di vita intrauterina si conservano anche nei cadaveri sino alla sussistenza del supporto epidermico.
Queste, cioè, non subiscono trasformazioni nell’arco della vita di un individuo (tranne in casi particolari, in cui costituiscono, esse stesse contrassegni salienti per l’identificazione di una persona); sulla variabilità delle impronte, perché sono diverse da individuo ad individuo (in un medesimo individuo, inoltre, le impronte lasciate dalle dieci dita, sono tutte diverse fra loro); sulla classificabilità delle impronte digitali, che sono riconducibili ai quattro tipi fondamentali di figura, cioè adelta, monodelta, bidelta e composta.
I disegni papillari, infatti, non alterano la propria morfologia nel corso della vita dell’individuo, cioè rimangono immutati dal momento della loro formazione, intorno al terzo mese di vita intrauterina, sino al subentrare dei fenomeni putrefattivi successivi alla morte, tranne in caso di effetti traumatici (ad esempio, l’asportazione in profondità del derma), oppure a seguito di particolari malattie infettive della pelle.
L’epidermide si stratifica sui dermatoglifi contenuti sugli strati inferiori del derma e quindi le impronte si ricostruiscono anche in caso di lesioni sulla cute.
LA STORIA DELLE IMPRONTE
Bertillon (XVIII secolo) ritenne che il sistema coercitivo di marchiare a fuoco i detenuti fosse inutilmente crudele, per questa ragione cominciò a sviluppare un sistema di rilevamento antropometrico.
William Herschel fu, probabilmente, il primo vero ricercatore che ritenne di utilizzare le impronte delle palme delle mani e dei polpastrelli nel segnalamento personale.
Tuttavia, chi per primo intuì che era vantaggioso ricorrere alle impronte digitali per identificare l’autore di un reato fu Henry Faulds poiché, come egli stesso scrisse alla rivista inglese Nature, se sul luogo del delitto si trovano impronte digitali, questo può portare alla scoperta del colpevole.
Le impronte erano utilizzate anche dai romani, pare che San Paolo firmasse le sue lettere con l’impronta digitale, in Cina e, in tempi più recenti, in India dagli inglesi.
Francis Galton e Edward Henry alla fine del 1800 ebbero una trovata geniale per utilizzare le impronte, inventando un sistema di classificazione relativamente semplice, suddividendo i disegni delle creste e dei solchi in tipi e sottotipi generali. Nasceva così la dattiloscopia.
Giovanni Gasti nel 1905 perfezionò ulteriormente il sistema di classificazione delle impronte digitali di Galto ed Henry.
STRUTTURA DELLE IMPRONTE
La pelle che ricopre tutto il corpo umano quindi l’epidermide è formata da quattro strati dall’interno all’esterno del corpo, caratterizzati da uno stato di cheratinizzazione maggiore:
– basale o germinativo, composto di cellule piccole e molto addensate, disposte a palizzata sulla membrana a contatto con il derma. Le cellule di questo strato si riproducono e sono spinte verso la superficie a formare lo strato successivo;
– spinoso o del Malpighi, formato da cellule di forma grossolanamente poliedrica, più appiattite rispetto a quelle dello strato basale e separate tra loro da sostanza intercellulare;
– strato granuloso, transizione tra gli strati spinoso e corneo, spesso da 1 a 4 file di cellule e più abbondante in sede palmo-plantare;
– strato corneo, direttamente a contatto con l’esterno, di spessore variabile secondo la sede. Le cellule di questo strato, ricche di cheratina, non contengono più i nuclei, e vengono eliminate come lamelle cornee dalla superficie epidermica.
Le superfici delle palme delle mani, delle piante dei piedi ed interne delle falangi, sono caratterizzate da una struttura particolare quali sono le papille dermiche, che determinano la formazione delle creste cutanee, che sono piccoli rilievi carnosi che contengono i corpuscoli tattili del Messner.
Le papille arrivano sino alla superficie più esterna presentano minuscoli pori sudoripari che secernono una sostanza trasparente composta da acqua, cloruro di sodio, carbonato di potassio, acidi grassi volatili, solfati, ecc., sicché, se le creste cutanee vengono a contatto con una superficie pi o meno liscia, depositano sulla stessa la sostanza da esse secreta, determinando la formazione di una impronta, riproducente specularmente il loro disegno.
COMPARAZIONE DELLE IMPRONTE
La dattiloscopia è il ramo della criminalistica che studia le creste cutanee papillari, principalmente dei polpastrelli delle dita, al fine di identificare l’autore di un reato, basandosi sulle impronte da questi lasciate nel luogo del delitto o sul corpo del reato.
E’ opportuno precisare innanzitutto che l’applicazione della dattiloscopia per l’identificazione dell’autore di un reato, consente una ricerca in forma indiretta dell’identità, che è ovviamente relativa e non assoluta.
Il matematico Balthazard, stabilì un sistema di riconoscimento e comparazione delle impronte che si basava su una formula empirica di tipo esponenziale, ipotizzò che fra due impronte si sarebbero potuti riscontrare appena diciassette punti di corrispondenza, su una serie di diciassette miliardi centosettantanovemilioni 869.184 esemplari).
In pratica, una possibilità su decine di miliardi che un frammento d’impronta, contenente 17 contrassegni caratteristici, possa esser stato depositato da una persona diversa da quella cui è attribuito: se si considera che la popolazione mondiale è soltanto di qualche miliardo d’individui, peraltro distribuiti su tutta la superficie del globo, si può ragionevolmente ritenere quest’evenienza almeno improbabile.
Un evento statisticamente improbabile non necessariamente deve ritenersi impossibile con assoluta certezza. Tuttavia, nel caso delle impronte gli elementi di differenziazione sono tali e tanti, che un evento improbabile può praticamente considerarsi impossibile.
Due impronte lasciate da un medesimo individuo non saranno mai perfettamente sovrapponibili, infatti, l’identità fra due impronte si determina non per la perfetta sovrapponibilità, ma per la coincidenza della forma dei fasci papillari e per un alto numero di punti di dettaglio.
I frammenti di impronte, anche molto piccoli, fornirebbero numerosi elementi di riscontro se si ricorresse alla poroscopia, suggerita da Edmondo Locard, che si basa sull’esame dei pori delle creste dei polpastrelli.
La poroscopia è l’ultima frontiera dell’indagine papillare e consente di identificare univocamente una traccia dalla morfologia del poro sull’epidermide.
E’ evidente, infatti, che, in un’impronta, la quantità di punti identificativi accertabili è proporzionale alla superficie esaminabile dell’impronta: tanto più questa è piccola, tanto minore è la probabilità di accertare sulla stessa un numero sufficiente di particolarità tali da determinare l’identificazione della persona a cui appartiene.
L’applicazione della poroscopia, ossia dello studio della posizione dei pori sudoripari, porterebbe ad una notevole riduzione della zona minima necessaria per gli esami identificativi.
di Massimiliano MANCINI (Comandante Dirigente del Corpo di Polizia Locale di Frosinone, Docente e Consulente in materie Giuridiche e nel campo della Sicurezza)
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