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Introduzione
Dopo l’emanazione del D.L. 32/2019 (c.d. “Sblocca cantieri”) è più che mai fervido il dibattito sul ruolo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (per brevità, da ora in poi: “ANAC”) e sulla natura, la struttura e la funzione degli atti da essa prodotti, con particolare riferimento alle Linee Guida: in virtù dell’aggiunta del comma 27-octies all’articolo 216 D.lgs. 50/2016, con l’entrata in vigore del “regolamento unico recante disposizioni di esecuzione, attuazione e integrazione” cesserà l’efficacia delle Linee Guida ANAC adottate in attuazione di disposizioni codicistiche che vi demandavano la definizione delle discipline di dettaglio.
Sul piano prettamente giuridico, la disposizione fa sorgere almeno due ordini di questioni, perché va chiarito:
- quale sia il rapporto tra le Linee Guida interessate dal comma 27-octies e le Linee Guida c.d. “vincolanti”;
- se nel periodo transitorio continui a permanere il potere regolatorio di modifica e rettifica delle Linee Guida interessate dal comma 27-octies.
Sul piano mediatico, la disposizione è stata accolta come il segno del crepuscolo del soft law nel settore dei contratti pubblici, o comunque di un complessivo ridimensionamento del ruolo dell’ANAC. Il clamore è però obiettivamente sproporzionato perché, a ben vedere, il comma 27-octies riguarda le sole Linee Guida ANAC nn. 3 e 4, fondate rispettivamente sull’art. 31 c. 5 D.lgs. 50/2016 e sull’art. 36 c. 7 D. lgs. 50/2016[1], ovvero una piccola porzione della vastissima attività svolta dall’ANAC (basti pensare non solo alle altre 12 Linee Guida finora adottate, ma anche ai comunicati, ai pareri di precontenzioso, ecc.).
Non è questa la sede per analizzare approfonditamente sul piano sociologico, politico e comunicativo le ragioni di una tale discrasia tra realtà e percezione.
Mi limito però ad osservare che, probabilmente, uno dei principali fattori concausali sta nella diffusa mancata chiarezza sul ruolo che l’ANAC svolge in un contesto ordinamentale complesso (quale quello dei contratti pubblici) sia come fonte culturalmente autorevole, sia come istituzione giuridicamente autoritativa.
Le questioni giuridiche verranno allora affrontate (§ 4) come punto di emersione di considerazioni di carattere generale, che qui di seguito si anticipano e che segnano, approssimativamente, il corso della trattazione svolta nel presente articolo:
- la flessibilizzazione del diritto è un dato endemico degli ordinamenti giuridici contemporanei che investe anche il settore dei contratti pubblici e, in un tale scenario, l’ANAC va intesa innanzitutto come fonte autorevole di ausilio alla conoscenza giuridica (§ 1);
- l’individuazione dei caratteri autoritativi delle Linee Guida ANAC passa necessariamente da un corretto inquadramento delle stesse tra i fenomeni normativi di soft law, che va effettuato percorrendo dimensioni della giuridicità ulteriori rispetto a quella dell’appartenenza al sistema formale delle fonti del diritto (§ 2);
- l’adozione di una tale diversa prospettiva può condurre a sfumare la distinzione tra Linee Guida vincolanti e non vincolanti (§ 3).
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La flessibilizzazione del diritto (con specifico riferimento al settore dei contratti pubblici) e il ruolo dell’ANAC come fonte culturalmente autorevole
Stabile, certo, inequivoco, preciso, applicabile correttamente, coerentemente e speditamente dalle Stazioni appaltanti. Così è il diritto dei contratti pubblici nella prospettiva ideale degli operatori di mercato, delle stesse Stazioni appaltanti e di tutti gli stakeholders: è generalizzato l’auspicio di uniformità e standardizzazione delle procedure e delle modalità applicative degli istituti, ed è generalizzato, altresì, un forte bisogno di hard (and good) law.
È un ideale che però appartiene ad una visione naïve sia del mondo giuridico contemporaneo, sia della scienza giuridica e della teoria del diritto, in quanto presuppone almeno che:
- il potere normativo appartenga ad una sola autorità;
- sia sempre agevole individuare le norme applicabili al caso concreto;
- non vi siano antinomie o lacune normative;
- dal dettato normativo sia possibile derivare inequivocabilmente una sola interpretazione.
In un siffatto scenario, il passaggio dall’atto normativo al provvedimento applicativo non sconterebbe alcuna apprezzabile mediazione intellettiva: la giurisprudenza, infatti, non aggiungerebbe altro ad un ordinamento giuridico già compiuto e, parimenti, non sarebbero necessari ulteriori atti amministrativi generali e/o di indirizzo che indichino o manifestino una precisa direzione da imprimere ad uno o più istituti giuridici.
Questo scenario, tuttavia, è lontano dalla realtà.
L’attività del legislatore contemporaneo (sia primario, sia subprimario) va innanzitutto calata in un ordito di principi costituzionali (di matrice nazionale e sovranazionale) in grado di attenuarne, di modularne, se non addirittura di stravolgerne il contenuto precettivo. Né, a ben vedere ed alla prova dei fatti, le Stazioni appaltanti accoglierebbero di buon grado discipline così stringenti da toglier loro qualunque spazio discrezionale di manovra: spesso, infatti, il legislatore avveduto preferisce fornire strumenti facoltativi e delineare perimetri di azione, anzichè definire discipline puntuali e univoche. Non va sottaciuto, del resto, che una eccessiva sterilizzazione in sede normativa dell’azione amministrativa snaturerebbe la natura di potere che la stessa Costituzione ascrive alla Pubblica Amministrazione nel suo complesso.
E dunque, tralasciando la non sempre impeccabile qualità del linguaggio del legislatore (che spesso è frettoloso, impreciso, incapace di vedere le connessioni sistematiche), lo scostamento della realtà rispetto all’ideale prefigurato è fisiologico.
In un framework ordinamentale multilivello né il giudice, né il titolare del potere amministrativo fungono e possono ragionevolmente fungere da semplici bouches de la loi: essi invece integrano, smussano, completano, correggono, uniformano, adattano, adeguano, vivificano il dettato normativo. L’applicazione del diritto non è da intendersi con la logica top down dell’imposizione di un prodotto normativo ben confezionato e pronto per l’utilizzo: essa invece va colta come un processo volto costantemente al miglioramento e all’affinamento (talvolta non lineare e perfino contingentemente regressivo), che richiede la compartecipazione di tutti gli attori, istituzionali e non, che operano nella porzione di realtà oggetto di normazione.
L’hard law, quindi, è tutt’altro che hard, almeno se con “hard law” intendiamo un diritto autoritativo monistico (di stampo veterogiuspositivistico) che esclusivamente impone e dettaglia obblighi e procedure. Il diritto autoritativo contemporaneo è pluralistico nelle fonti, progettuale, proteiforme, presenta maglie larghe e strumenti facoltativi, attribuisce poteri di implementazione e si implementa osmoticamente e naturalmente attraverso i formanti che agiscono sull’esperienza giuridica. È quindi portatore di un coefficiente di flessibilità talmente elevato che l’accostamento dell’espressione “diritto flessibile” all’espressione “soft law” risulta fuorviante per eccesso, nella misura in cui lo stesso hard law (inteso quale diritto autoritativo, quale diritto proveniente da un’autorità con poteri normativi) è pervaso dalla flessibilità[2].
Queste considerazioni di ordine generale valgono di certo anche per la quotidiana esperienza interpretativa ed applicativa del diritto dei contratti pubblici.
Le Stazioni Appaltanti non sempre assumono decisioni ponendo come unico paradigma il dato normativo (di hard law) nella sua nuda testualità, perché:
- per un verso, tentano di esaltare gli spazi normativi interstiziali e/o le aree di elasticità semantica dei termini normativi, al fine di poter validamente fondare la compatibilità con l’ordinamento giuridico di una più o meno precisa visione del modo di intendere le procedure di gestione e affidamento dei contratti pubblici e/o delle peculiarità della loro costellazione organizzativa;
- per altro verso, cercano di essere rassicurate da fonti giurisprudenziali, dal confronto con altre Stazioni Appaltanti, dalla consultazione della dottrina e, non da ultimo, da quanto espresso dall’ANAC in pareri di precontenzioso, in comunicati, in bandi-tipo e proprio nelle stesse Linee Guida, siano esse vincolanti o non vincolanti.
In questa ricerca spesso affannosa, connotata da una certa abbondanza di materiale disponibile, è naturale attendersi che non sempre vi sia piena uniformità e convergenza di risultati. Talora si rilevano contraddizioni stridenti, ma molto più spesso nelle pieghe dell’inespresso si annidano incompatibilità velate, o al contrario spunti argomentativi potenzialmente decisivi ai fini della soluzione della questione da cui origina la ricerca.
L’organizzazione di questo materiale non è semplice e richiede quindi una (tutt’altro che superficiale) cultura dell’interpretazione da parte dell’operatore pratico del diritto: per fare qualche ulteriore esempio, dovrà comprendere che magari decisioni contrapposte sono figlie di uno stesso principio di diritto applicato a due fattispecie che differiscono per un elemento dirimente[3], o ancora dovrà essere in grado di comprendere che un principio di diritto si sia formato in presenza di norme non più vigenti e decisive per la formazione del principio stesso.
È quindi spesso estremamente utile l’attività dell’ANAC la quale, con atti connotati da una certa discorsività come le Linee Guida (ma anche attraverso i comunicati e le enunciazioni di principio contenute nei pareri di precontenzioso, seppur in linea di massima siano limitati rispettivamente dalla funzione interpretativa e dal thema decindum), sistematizza il molto spesso disordinato ed affastellato materiale normativo, giurisprudenziale e amministrativo e si manifesta, quindi, innanzitutto come fonte autorevole di ausilio alla conoscenza giuridica.
A prescindere dalla misura in cui possano essere ritenuti dotati di efficacia giuridica cogente, le Linee Guida infatti reagiscono positivamente sul diritto positivo perché, nel preparare la successiva attività specificativa, lo presuppongono e lo interpretano riducendone la complessità semantica, contestualizzandolo su più livelli sistematici e talora depurandolo dei tratti che meno si prestano ad essere armonizzati con il resto dell’ordinamento.
Mi spingerei perfino ad affermare che le Linee Guida sono dotate di una efficacia esplicativa (e quasi divulgativa) ben superiore agli stessi atti normativi di interpretazione autentica, per almeno le due seguenti ragioni: in primo luogo, questi ultimi presentano comunque la stessa ristretta e compassata struttura sintattica del linguaggio normativo; in secondo luogo, le Linee Guida, individuando varie direttrici di sviluppo del dettato normativo primario, lo arricchiscono e lo implementano semanticamente, favorendone quindi un’interpretazione più corposa e solida.
Non nego, tuttavia, che in alcuni casi (si pensi alle vicende interpretative dell’art. 97 c. 2 lett. “b” D.lgs. 50/2016) l’attività dell’ANAC abbia invece contribuito ad aumentare le incertezze applicative. Si tratta però di casi numericamente striminziti, la cui presenza non è in grado di offuscare un quadro comunicativo generale sicuramente positivo e, soprattutto, di giustificare giudizi superficiali per cui invece le Linee Guida ANAC avrebbero generato una notevole entropizzazione del diritto dei contratti pubblici, per il solo fatto di costituire documenti in più di cui tenere conto.
In un contesto complesso (quale quello delineato nel presente paragrafo), l’interpretazione e l’applicazione non possono che fondarsi su un assetto categoriale complesso e su una pluralità di paradigmi normativi e paranormativi. L’operatore pratico deve quindi essere in grado di comprendere che tale pluralità è fisiologica e non diventa patologica al solo aumentare degli elementi che la compongono: piuttosto, tali componenti ulteriori possono anzi svolgere una funzione estremamente positiva nel senso dell’armonizzazione e della fluidificazione del sistema normativo.
Chiarito quindi il ruolo che l’ANAC (in particolare attraverso le Linee Guida) svolge quale fonte culturalmente autorevole di ausilio alla conoscenza giuridica, è ora il momento di affrontare in che senso e in che misura essa le Linee Guida possono essere considerate quali atti giuridicamente autoritativi.
Come si accennava nell’introduzione, tale questione passa necessariamente attraverso un corretto inquadramento delle stesse nell’ambito dei fenomeni di soft law. Di ciò ci si occuperà nel paragrafo successivo, in cui dapprima si delineerà brevemente cosa si intende per soft law e si evidenzierà che tale nozione andrebbe arricchita e, successivamente, si valuterà come le Linee Guida vanno valutate in base alla diversa nozione di soft law qui adottata.
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Le Linee Guida ANAC come tipologia di soft law
Secondo la definizione più accreditata, il soft law è un insieme di regole di condotta che non hanno forza giuridica vincolante, ma nonostante ciò sono suscettibili di produrre effetti pratici[4].
Questa definizione valorizza il criterio dell’appartenenza di una norma al sistema formale delle fonti[5], che però non risulta decisivo, per almeno due ordini di ragioni.
In primo luogo, nell’esperienza giuridica contemporanea si assiste ad una generale liquefazione dei limiti ordinamentali al punto che molti ritengono che il paradigma “chiuso-piramidale” delle fonti abbia ceduto il passo ad un diverso e più articolato “paradigma aperto-reticolare”[6]: non essendo dunque chiara la struttura del parametro, risulta conseguentemente poco chiaro stabilire se un fenomeno normativo sia da considerarsi soft law o hard law sulla base del solo criterio dell’appartenenza al sistema delle fonti.
In secondo luogo, il soft law non abbraccia semplicisticamente tutti i fenomeni normativi estranei alle fonti di produzione del diritto, bensì indica un’area grigia di giuridicità, che si colloca tra gli estremi dei fenomeni normativi pienamente giuridici (c.d. “hard law”) ed i fenomeni normativi che non presentano alcuno dei caratteri tipici della giuridicità[7].
L’individuazione di quest’area grigia, quindi, richiede che la valutazione di un fenomeno come appartenente al bacino del soft law debba essere effettuata sia percorrendo dimensioni del giuridico diverse e complementari a quella, sopra detta, dell’appartenenza al sistema formale delle fonti, sia abbandonando una logica bivalente e manichea per accoglierne una polivalente e graduale.
Si possono ad esempio prendere in considerazione i caratteri tipicamente giuridici della tassatività, della sanzionabilità, dell’effettività, dell’unilateralità, della positività, assumendo rispettivamente che il fenomeno normativo analizzato sia tanto più hard:
- quanto più sia alto il coefficiente di tassatività della sua formulazione linguistica;
- quanto più preveda sanzioni in caso di violazione delle situazioni giuridiche soggettive ivi previste;
- quanto più sia seguito spontaneamente dalla collettività di riferimento;
- quanto più il relativo processo di formazione sia verticale (e chiuso alle dinamiche orizzontali di compartecipazione di una o più categorie di stakeholders);
- quanto più sia riconducibile specificamente ad atti positivi riconoscibili come tali[8].
Riguardo il carattere della tassatività, le Linee Guida ANAC sono talora caratterizzate da un livello di precisione superiore rispetto alle norme codicistiche: quelle vincolanti contengono strutturalmente discipline di dettaglio (in virtù di quanto statuito expressis verbis dallo stesso legislatore[9]), e comunque non si notano particolari divergenze rispetto ad altri atti non vincolanti, caratterizzati sempre da un analogo livello di discesa nelle fattispecie concrete.
Inoltre, nemmeno accogliendo un’accezione restrittiva di “tassatività” che valorizzasse la qualificazione deontica[10] dei comportamenti disciplinati (per cui, quindi, sarebbe tassativa la previsione normativa che imponesse obblighi con una formulazione linguistica tendenzialmente chiara ed inequivoca), non si rinvengono notevoli differenze rispetto all’hard law codicistico, essendo anche quest’ultimo caratterizzato dalla presenza di norme ampie che conferiscono strumenti facoltativi di azione alle Stazioni appaltanti o, viceversa, dall’assenza di prescrizioni sulle modalità specifiche di attuazione[11]: si riscontra tuttavia la presenza di espressioni di tipo programmatico, ottativo, esortativo, latamente progettuale, che generalmente sono molto poco frequenti nel linguaggio normativo ordinario.
Per completezza, va rilevato che è non è molto influente ai fini della valutazione del carattere tassativo o meno di un documento normativo la circostanza che quest’ultimo sia espresso attraverso un linguaggio prosastico, diverso da quello tipico del linguaggio normativo e simile a quello di atti tipici di soft law (circolari, raccomandazioni, atti di indirizzo, ecc.), perché questa diversa forma è anodina rispetto alle strutture sintattiche dei termini normativi usati e delle rispettive qualificazioni deontiche. Anzi, questa diversa tecnica redazionale è molto più efficace sul piano dell’efficacia comunicativa del precetto ivi contenuto: sono infatti poco frequenti i casi in cui le Linee Guida ANAC abbiano ingenerato problemi di interpretazione riguardo singoli lemmi e sintagmi, o difficoltà di raccordo intrasistematico.
Quanto al profilo della sanzionabilità, le Linee Guida ANAC non prevedono sanzioni autonome in caso di violazione di obblighi da essa individuati e specificati, ma ciò non è da interpretarsi sic et simpliciter come un segnale di eccessiva lontananza rispetto all’hard law: piuttosto l’ANAC, anche quando individua e specifica set di obblighi e procedure diversi da quelli previsti normativamente, si muove comunque all’interno del perimetro assiologico delineato dal legislatore e, pertanto, vi riconnette implicitamente tutto il panorama effettuale previsto dall’ordinamento giuridico.
Passando, poi, alla dimensione dell’effettività, le Linee Guida ANAC sono molto seguite dalle Stazioni Appaltanti, sia (come in precedenza rilevato) per l’autorevolezza dell’istituzione che le ha prodotte, sia per la loro fattura tecnica, sia perché sono state a lungo percepite (soprattutto nel primo periodo) come norme cogenti in tutto e per tutto. È stato però generalmente acritico l’atteggiamento con cui le Stazioni Appaltanti le hanno recepite: per certi versi, ciò è contrario allo spirito che pervade le Linee Guida, le quali invece sembrano richiedere al destinatario una compartecipazione attiva, dinamica, dialettica, propulsiva, intellettualmente onesta (e quindi perfino eventualmente critico-oppositiva), nell’ottica di un complessivo miglioramento del settore dei contratti pubblici.
Continuando nell’analisi delle varie dimensioni della giuridicità e passando quindi ad esaminare il carattere dell’unilateralità, va notato che le Linee Guida ANAC sono il frutto di un processo di formazione complesso, che presenta larghi tratti di orizzontalità (si pensi alle consultazioni degli stakeholders). Ciò le allontana dall’hard law (v. comunque la nota 13), ma al contempo non può sottacersi che la tendenza alla procedimentalizzazione riguardi sempre più lo stesso hard law: basti pensare alla rilevanza istituzionale della partecipazione delle lobbies in ambito comunitario o al sempre maggior successo (in una prospettiva di diritto comparato) di istituti analoghi al débat public.
L’orizzontalità delle Linee Guida è poi tra l’altro mitigata dal fatto che esse sono positive nel senso più classico del termine: sono cioè poste con atti ufficiali, formali, pienamente riconoscibili come tali che, tra l’altro, non sono raccogliticci delle considerazioni emerse in sede di consultazione, bensì esprimono un punto di vista istituzionale totalmente autonomo e sono, pertanto, sociologicamente molto simili agli atti autoritativi con cui i decision takers and/or makers definiscono situazioni e problematiche in sede generale/astratta o particolare/concreta.
Va poi svolto un ultimo, potenzialmente tranchant, ordine di considerazioni.
Si è detto finora che i fenomeni di soft law sono innanzitutto dei fenomeni normativi: le Linee Guida ANAC sono considerate non norme bensì atti generali di regolazione di un’Autorità amministrativa indipendente, in virtù di quanto ritenuto dal Consiglio di Stato nell’Adunanza della Commissione Speciale del 6 luglio 2016. L’assenza del carattere della normatività, quindi, eliminerebbe in radice la questione dell’inquadramento delle Linee Guida ANAC come fenomeni di soft law.
In realtà, a ben vedere, le Linee Guida ANAC sono pienamente normative, perché fanno riferimento a fattispecie non solo generali, ma anche astratte e ripetibili nel tempo (ovvero i tre caratteri della normatività in genere, comuni quindi anche ai fenomeni normativi non giuridici).
La diversa qualificazione di cui sopra è nata, tuttavia, dalla problematica attinente il deficit di democraticità delle Linee Guida ANAC, in quanto prodotti da una istituzione indipendente da quelle che direttamente o indirettamente esprimono la volontà popolare.
Si è cioè ripetuto, riguardo la qualificazione degli atti dell’ANAC, quanto avvenuto in precedenza riguardo la qualificazione dell’attività di altre autorità indipendenti, ascritta alla categoria della regolazione[12] e non a quella della normazione.
La regolazione, poiché caratterizzata da un tasso elevatissimo di tecnicismo, è stata distinta dall’attività normativa vera e propria in ragione della natura della discrezionalità che la sottende: solo tecnica e dunque politicamente neutra nel caso della regolazione; anche tecnica, ma soprattutto pura e dunque politicamente orientata, nel caso dell’attività normativa tradizionalmente intesa. Con questo artificio teorico si è dunque superato il deficit di democraticità[13], sul presupposto che la democraticità è indispensabile solo in relazione agli atti espressione di discrezionalità politica.
Quanto sopra detto, tuttavia, se è utile a sciogliere il nodo della democraticità e dunque ad escludere gli atti dell’ANAC dal novero delle fonti stricto sensu intese[14], porta con sé la negazione del carattere normativo degli atti di regolazione.
È bene però precisare e ribadire che l’attività regolatoria non è altro dall’attività normativa: ne è, invece, una particolare tipologia, ne costituisce un sottoinsieme, ovvero il sottoinsieme delle attività normative politicamente neutre.
In conclusione di questo paragrafo, gli atti regolatori dell’ANAC appartengono al soft law non perché non siano in sé atti normativi, ma perché:
- sono espressione di una discrezionalità politicamente non orientata;
- adottando la metodologia pluriparametrica di cui sopra, è emerso che nel complesso non presentano quei caratteri di piena giuridicità tipici dell’hard law.
Va però sottolineato che, nello spettro dei fenomeni normativi i cui estremi sono rappresentati dall’hard law e dal no law, gli atti regolatori dell’ANAC sono in misura apprezzabile più vicini all’hard law che al no law.
Come si vedrà nel prossimo paragrafo, questa collocazione intervallare sarà molto importante per verificare, in armonia con la definizione di soft law (insieme di fenomeni normativi non vincolanti in grado però di produrre effetti pratici), in che senso il soft law prodotto dall’ANAC sia in grado di produrre effetti giuridici concreti.
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I profili autoritativi delle Linee Guida ANAC in una prospettiva alternativa più aderente alla loro natura soft
Il punto di partenza imprescindibile dell’analisi è il già citato parere dell’Adunanza della Commissione Speciale reso il 6 luglio 2016, dove, nell’ambito di una trattazione organica riguardante anche la natura dei decreti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti adottati e (allora) adottandi su proposta dell’ANAC, il Consiglio di Stato ha distinto tra Linee Guida vincolanti e non vincolanti, chiarendo in estrema sintesi che:
- le Linee Guida vincolanti hanno natura di atti amministrativi generali delle autorità di regolazione e gli atti compiuti in violazione delle stesse sono illegittimi; le Stazioni Appaltanti hanno comunque un residuo potere discrezionale nell’eseguire le Linee Guida, qualora queste siano compatibili con un ulteriore sviluppo specificativo delle stesse;
- le Linee Guida non vincolanti hanno anch’esse natura di atti amministrativi generali delle autorità di regolazione, ma la loro violazione comporta illegittimità per eccesso di potere, a meno che le Stazioni Appaltanti non se ne discostino attraverso una adeguata motivazione; le Stazioni Appaltanti hanno a fortiori un potere discrezionale nell’eseguirle.
Il criterio adottato dal Consiglio di Stato per distinguere tra Linee Guida vincolanti e non vincolanti è quello formale, secondo cui:
i) le Linee Guida vincolanti sono quelle cui fa espressamente rinvio il Codice dei Contratti per la definizione degli aspetti di dettaglio;
ii) le Linee Guida non vincolanti trovano invece fondamento normativo nel generico art. 213 c. 2 D.lgs. 50/2016.
Tale criterio, tuttavia, è inteso dal Consiglio di Stato nel senso che la natura vincolante o meno non va predicata delle Linee Guida nella loro unitarietà provvedimentale: all’interno dello stesso provvedimento, infatti, vanno distinte le parti autenticamente precettive-specificative della normativa codicistica (vincolanti) da quelle invece meramente esegetiche-interpretative (non vincolanti) o, comunque, riferite ad aspetti diversi da quelli per i quali il Codice aveva rinviato espressamente all’ANAC (non vincolanti).
Da un punto di vista teorico-generale, i criteri adottati dal Consiglio di Stato sono metodologicamente ineccepibili e vanno condivisi pienamente, nonostante non sia sempre agevole distinguere tra le parti vincolanti e non vincolanti[15].
Il loro regime è apparentemente molto diverso, in quanto:
- la violazione delle Linee Guida vincolanti comporta l’illegittimità dei relativi atti;
- le Linee Guida non vincolanti possono essere disattese ma solo dietro esplicita motivazione, a pena di illegittimità dei relativi atti per eccesso di potere.
Tale configurazione, invero, suscita almeno due ordini di perplessità[16].
In primo luogo, da un punto di vista prettamente teorico, tale regime è troppo netto per poter essere di soft law.
Quoad effectum, le Linee Guida vincolanti si comporterebbero come norme inderogabili di rango secondario e le Linee Guida non vincolanti come norme derogabili (dietro esplicita motivazione) di rango subprimario (e quindi anche terziario, perché ad esempio oggetto di specificazione potrebbe essere un atto regolamentare).
Si tratta di una predeterminazione effettuale, che è rigida in entrambi i casi. È più visibile nelle Linee Guida vincolanti, la cui violazione comporta de plano l’illegittimità dell’atto con cui tale violazione è perpetrata, ma è presente anche riguardo a quelle non vincolanti, in quanto la facoltà di deroga va esercitata nelle forme della motivazione espressa del provvedimento amministrativo.
Tale rigidità è propria dell’hard law, non del soft law, né può venire in rilievo il riferimento al regime degli atti amministrativi generali (la cui configurabilità sul piano strutturale è stata esclusa nel precedente paragrafo) o la considerazione, riferita alle Linee Guida vincolanti, per cui sarebbero suscettibili di essere ulteriormente sviluppate in concreto (qualunque norma regolamentare di dettaglio, infatti, si presta ad essere ulteriormente specificata dall’Amministrazione destinataria).
Il soft law, se di soft law si tratta, non può essere ad un tempo sfumato nella struttura e rigido negli effetti, ma deve essere sfumato tanto nella struttura quanto negli effetti o, detto diversamente, la dimensione effettuale non può essere configurata rigidamente.
In secondo luogo, sul piano interpretativo-applicativo, nel parere non si chiarisce se le Linee Guida possano rilevare quale paradigma normativo ai sensi dell’art. 323 c.p.[17].
Se si interpreta letteralmente tale disposizione, dal parere dovrebbe discendere una risposta negativa anche per le Linee Guida vincolanti, in quanto se ne esclude la natura regolamentare.
Lo stesso parere, tuttavia, contiene in nuce anche la risposta positiva, almeno per le Linee Guida vincolanti: la perentorietà della sanzione dell’illegittimità è logicamente compatibile con il principio di tassatività del diritto penale, a fortiori riguardo le ondate giurisprudenziali che espandono il novero dei paradigmi normativi rilevanti ex art. 323 c.p.. Tale perentorietà si riscontra anche per le Linee Guida non vincolanti, la cui violazione comporta l’illegittimità dei relativi atti salvo l’esercizio formale del potere di discostarsene. Se, poi, si conviene con quella giurisprudenza che dà specifica rilevanza allo stesso vizio di eccesso di potere, ecco che il ribaltamento di prospettiva può dirsi concluso.
Qui di seguito si avanza invece una prospettiva alternativa, che a mio avviso è più rispettosa della natura di soft law delle Linee Guida Anac.
Poco sopra si era affermato che il soft law deve essere sfumato tanto negli effetti quanto nella struttura. Ora si aggiunge che il soft law deve essere tanto sfumato negli effetti quanto lo è nella struttura, nel senso che tanto più strutturalmente un fenomeno di soft law si avvicina all’hard law, quanto più la rigidità della dimensione effettuale deve avvicinarsi a quella tipica dei fenomeni di hard law.
Qui entra in gioco la collocazione intervallare del soft law delle Linee Guida ANAC, spostata più verso l’hard law che verso il no law (ovviamente, quelle vincolanti sono spostate verso l’hard law in misura maggiore rispetto a quelle non vincolanti).
Pertanto, va ricercata una dimensione effettuale che non sfoci nella perentorietà dell’illegittimità degli atti compiuti difformemente da quanto prescritto dalle Linee Guida Anac, ma al tempo stesso non le degradi a mero flatus vocis o, comunque, ad opinioni solo autorevoli ma prive di qualsivoglia valenza autoritativa.
Bisognerebbe allora partire proprio dall’idea per cui nel diritto contemporaneo il dettato normativo si implementa e si arricchisce in svariati modi: attraverso l’interpretazione offerta dal dictum giurisdizionale, mediante l’attività normativa specificativa svolta dalle fonti di produzione di livello gerarchicamente subordinato alle fonti oggetto di specificazione, in tutti i luoghi in cui il diritto è interpretato e applicato spontaneamente.
Se si aderisce a questa visione, allora la distinzione tra Linee Guida vincolanti e non vincolanti scende dal piano qualitativo per rimanere sul piano quantitativo, dove rileva solo il grado di affidabilità che l’ordinamento stesso attribuisce alla fonte di soft law: altissima e specifica nel caso delle Linee Guida vincolanti, comunque importante sebbene generica nel caso delle Linee Guida non vincolanti.
Parimenti, si appanna pure la distinzione tra Linee Guida interpretative e specificative, in ragione del fatto che le prime, a meno che non siano meramente ripetitive del dettato normativo, aggiungono sempre un quid normativo in più alla stretta testualità della disposizione interpretata.
In questa prospettiva, allora, le Linee Guida Anac, siano esse vincolanti o non vincolanti, interpretative o specificative, svolgono sempre e comunque una importante funzione autoritativa e ancillare del dettato normativo, nel senso che lo accompagnano nel processo di discesa dal piano generale e astratto a quello particolare e concreto, affievolendo, ammorbidendo e riducendo lo scarto ontologico tra i due piani.
Non ha, quindi, molto senso discutere in modo tetragono di violazione netta o di rispetto pieno delle prescrizioni contenute nelle Linee Guida le quali, a contatto con la realtà delle fattispecie concrete, possono (ad un estremo) esaltare in modo formidabile la ratio sottesa al dettato normativo cui si riferiscono e il complesso dei principi che presiedono al diritto dei contratti pubblici, o (all’altro estremo) possono invece apparire sfocate, inadatte ad un determinato contesto organizzativo, imprecise e addirittura fuorvianti.
Nel primo caso estremo, il non seguire le Linee Guida sarebbe un comportamento di una certa gravità, anche se le stesse avessero natura non vincolante e interpretativa: qui, infatti, sembra essere violata la disposizione di hard law cui le Linee Guida si riconnettono e, pertanto, se sussistono gli altri elementi di cui all’articolo 323 c.p., non può affatto escludersi la configurazione del reato di abuso d’ufficio.
Nel secondo caso estremo, invece, l’attitudine controeffettuale delle Linee Guida Anac riguardo alla disposizione di hard law potrebbe ben giustificare un mancato rispetto non esplicitato e non motivato delle stesse, perfino qualora queste avessero natura vincolante e specificativa. In una tale ipotesi va esclusa non solo la configurabilità del reato di abuso d’ufficio, ma anche la stessa illegittimità del provvedimento amministrativo.
Tracciato quindi quanto avverrebbe presso i due poli, l’individuazione di ciò che avverrebbe nelle ipotesi intermedie è dunque una questione di grado, per la quale occorre, tuttavia, una profonda sensibilità.
La prospettiva alternativa qui proposta ha forse il pregio di cogliere l’autentica dimensione di soft law delle Linee Guida Anac, ma incontra un principale ostacolo di natura culturale.
Gli operatori pratici del diritto sono per lo più agganciati all’idea settaria per cui la certezza del diritto è ottenibile solo se il diritto positivo si presenta in modo netto.
Andrebbe invece compreso che la certezza del diritto si compie attraverso una standardizzazione di fatti, comportamenti, effetti giuridici individuati a seguito di un continuo processo interpretativo-applicativo che parte dalla disposizione di rango primario e giunge alla specifica dimensione organizzativa e provvedimentale, giovandosi del contributo autorevole e autoritativo di tutti i soggetti che, per l’appunto, partecipano all’implementazione dell’ordinamento giuridico.
Tali resistenze culturali, del resto, sono destinate a cadere, sia, in generale, perché (v. § 1) il processo di flessibilizzazione dell’hard law è inarrestabile ed è, probabilmente, lo specchio di una realtà istituzionale globalizzata ipercomplessa da valutare e maneggiare attraverso gli strumenti categoriali della complessità; sia, in particolare, perché probabilmente delle Linee Guida Anac non si potrà fare a meno, almeno perché rappresentano un momento importante in cui il legislatore individua forme istituzionali e autoritative di mediazione ad un tempo conoscitiva e normativa tra la stessa legislazione e la sua applicazione.
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Le questioni giuridiche sollevate dal comma 27-octies dell’art. 216 D.lgs. 50/2016
È ora giunto il momento di esaminare le questioni di carattere giuridico lasciate in sospeso nel paragrafo introduttivo.
Per quanto riguarda il rapporto tra le Linee Guida nn. 3 e 4 (investite dal comma 27-octies) e le Linee Guida vincolanti, va premesso innanzitutto che:
- a) non tutto il contenuto delle Linee Guida nn. 3 e 4 è vincolante;
- b) vi sono contenuti vincolanti in altre Linee Guida (si pensi ad es. alle Linee Guida nn. 9 e 11).
Questa mancata coincidenza tra le Linee Guida investite dal comma 27-bis e Linee Guida vincolanti rende un po’ meno nitido il percorso di semplificazione annunciato dal D.L. “Sblocca cantieri” che, coerentemente a quanto annunciato, avrebbe dovuto lasciare intatte le sole Linee Guida non vincolanti ed eliminato il potere di emanarne nuove vincolanti, trasfondendo il contenuto delle Linee Guida vincolanti già emanate (con il necessario adeguamento in termini di forme espressive) nell’emanando regolamento.
Il comma 27-bis regala invece uno scenario ancora più complesso rispetto all’attuale perché, accanto alle Linee Guida non vincolanti ed a quelle vincolanti diverse dalle nn. 3 e 4, si avrebbe inoltre il regolamento unico di attuazione.
Si tratta di un’imprecisione del legislatore, oppure la sua intenzione era proprio diversa?
Allo stato, una lettura iconoclastica del D.L. 32/2019 è infondata, perchè non solo non avrebbe affatto eliminato in sé il potere di regolazione vincolante dell’ANAC, ma avrebbe al contrario preparato l’elevazione delle Linee Guida nn. 3 e 4 al rango di hard law, superando sia l’ossimoro del soft law vincolante, sia le problematiche connesse all’impossibilità di annoverare l’ANAC tra le fonti soggettive di produzione del diritto.
Questa apparente e limitata perdita del potere regolatorio dell’ANAC può dunque essere letta al contrario come il contraltare necessario del rafforzamento dell’efficacia di quanto da essa prodotto in precedenza, e quindi il comma 27-octies dell’art. 216 costituirebbe una sorta di “sacrificio tecnico”.
Ci si può inoltre chiedere quale sia la sorte delle parti non vincolanti delle Linee Guida nn. 3 e 4.
Poiché il regolamento di attuazione non potrebbe spingersi oltre il perimetro normativo delle disposizioni specifiche che lo abilitano, tali parti non potrebbero essere trasfuse nello stesso e quindi, nel momento della cessazione dell’efficacia, se ne perderebbe la dimensione autoritativa.
Nulla però vieta all’operatore pratico del diritto di continuare a considerarle nella loro dimensione autorevole.
Come chiarito nel precedente paragrafo, le Linee Guida ANAC, vincolanti o meno, si riconnettono comunque alla legge, di cui esprime sentieri interpretativi e applicativi: il tenerne conto è una forma di ricchezza per l’operatore pratico del diritto, il quale potrebbe, a mio avviso, validamente e cum grano salis fondare una motivazione sui contenuti non vincolanti delle Linee Guida nn. 3 e 4 perfino dopo la cessazione della loro efficacia formale.
Per quanto riguarda la questione “se nel periodo transitorio continui a permanere il potere regolatorio di modifica e rettifica delle Linee Guida interessate dal comma 27-octies (e, per esteso, di tutti gli altri decreti investiti dalla stessa disposizione)”, va rilevato quanto segue.
In primo luogo, finché non sarà cessata l’efficacia delle Linee Guida nn. 3 e 4, sicuramente l’ANAC potrà apportarvi tutte le modifiche e tutti gli aggiustamenti a margine imposti necessariamente dallo ius superveniens: ragionando diversamente, si avrebbe l’effetto paradossale della permanenza in vita di Linee Guida (sebbene parzialmente) illegittime e dell’impossibilità di rimuovere normativamente detta illegittimità.
In secondo luogo, l’ANAC potrebbe comunque modificarle anche per semplici ragioni di opportunità, sia in quanto parteciperebbe al prefigurato processo di trasfusione delle Linee Guida nel regolamento unico, sia in applicazione dei principi che governano l’autotutela amministrativa: il potere giuridico regolatorio già esercitato può dirsi consunto solo nel momento in cui si sarà verificato il fatto estintivo dell’efficacia perché, altrimenti, ci si troverebbe di fronte ad una disciplina transitoria efficace ma inemendabile nel perdurare della transitorietà.
Vale poi anche qui quanto detto a proposito della questione precedentemente affrontata, seppur in termini parzialmente diversi. La natura soft delle Linee Guida ANAC in quanto prodotte da un’istituzione altamente autorevole le dota di uno statuto protettivo peculiare: non se ne può, infatti, negarne il pensiero, così come non può negarsi che il pensiero dell’operatore pratico possa fondarsi legittimamente su di esse. Prendendo a prestito il linguaggio matematico, mentre l’hard law conduce un’esistenza discreta, segnata dai momenti formali dall’inizio e dalla fine del suo vigore, il soft law conduce un’esistenza continua, che solitamente inizia prima dell’atto in cui è formalizzato, ma non finisce necessariamente con la caducazione dell’atto stesso: ciò vale anche per le Linee Guida ANAC, che nascono non più tardi del momento in cui iniziano le consultazioni e muoiono solo nel momento in cui perdono la propria intrinseca carica conoscitiva.
Pertanto, sarebbe probabilmente innaturale (perché non valorizzerebbe la natura di soft law) negare il potere modificativo delle Linee Guida nn. 3 e 4, a prescindere se sia dovuto per motivi di opportunità o adeguamento allo ius superveniens, se investa le parti vincolanti o non vincolanti.
Conclusioni
Much ado about (almost) nothing, parafrasando Shakespeare.
L’art. 27-octies non ha quella portata deflagrante che molti ritengono abbia: la sua introduzione invece costituisce l’occasione per una riflessione generale sulle Linee Guida ANAC, viste alla luce del contesto ordinamentale in cui si inscrivono e nella loro dimensione ad un tempo autorevole e autoritativa.
Dall’analisi è emerso che non si è ancora compiuto il processo di maturazione della cultura interpretativa ed applicativa del diritto dei contratti pubblici, coessenzialmente pervaso da elementi di flessibilità, ma da molti vagheggiato come impositivo, veteroautoritativo, inflessibile.
Occorre invece una sforzo continuo ed un concorso generalizzato di sensibilità, tale da intendere in modo calibrato ed equilibrato, al cospetto delle varie contingenze storiche, la vivificante dialettica tra il bisogno elementare, frenetico, evenemenziale, comunque pienamente comprensibile di hard law e le esigenze prospettiche, ampie, ecumeniche, comunque irrinunciabili che caratterizzano il soft law.
Note
[1] Le altre disposizioni richiamate dal comma 27-octies riguardano decreti ministeriali di vario genere: si pensi ad es. al decreto del Ministro dei beni delle attività culturali e del turismo di cui all’art. 146 c. 4 D.lgs. 50/2016 o al decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di cui all’art. 89 c. 11 D.lgs. 50/2016.
[2] Seppur adottando una definizione parzialmente differente di “flessibilità” nel diritto da quella implicitamente presupposta negli studi sul soft law e adottando un punto di vista sociologico-giuridico, è estremamente interessante quanto sostenuto da J. Carbonnier (“Flessibile diritto”, Giuffrè, Milano, 1997, pp. 21-23), a proposito della “maggiore estensione del diritto rispetto alle fonti formali del diritto stesso”.
[3] Si pensi ad es. alla giurisprudenza riguardo l’omessa indicazione nell’offerta economica dei costi della manodopera e/o degli oneri aziendali di sicurezza. Per un certo periodo (segnatamente nel 2018) nella giurisprudenza del Consiglio di Stato si sono avvicendate pronunce di segno diverso sulla legittimità del provvedimento di esclusione. In realtà, a ben vedere, il percorso è stato (pur qualche nuance di significati) coerente, in quanto ha assunto portata dirimente l’elemento concreto della previsione, nella lex specialis, dell’obbligo di indicazione e della relativa sanzione espulsiva (v. ad es. Cons. Stato 2554/2018 e 5513/2018).
[4] V. F. Snyder, Soft Law and International Practice in the European Community, in S. Martin (a cura di), The construction of Europe: essays in honour of Emile Noël, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 1994, pp. 197-198.
[5] V. sul punto l’interessante approfondimento svolto da N. Mari, Linee Guida ANAC: la soft law e la gerarchia delle fonti, pubblicato su ItaliAppalti in data 4 aprile 2017, che evidenzia l’estrema complessità della questione attinente l’appartenenza al sistema delle fonti delle Linee Guida ANAC.
[6] L’opposizione tra “paradigma chuso-piramidale” e “paradigma aperto-reticolare” delle fonti, proposta da F. Ost – M. de Kerchove, De la pyramide au réseau: vers un nouveau mode de production du droit?, in Revue interdisciplinaire d’études juridiques, 44, 2000, pp. 1-92, continua ancora ad orientare il dibattito sul tema generale della liquefazione degli ordinamenti giuridici.
[7] V. R. Bin, Soft law no law, in A. Somma (a cura di), Soft law e hard law nelle società postmoderne, cit., pp. 31-39. In un significativo passaggio, l’A. afferma recisamente che «deviare dalle forme tipiche della produzione di norme generali significa smarrire uno dei capisaldi dello Stato di diritto, la netta separazione dei documenti che sono abilitati (e legittimati) a produrre regole obbligatorie per la generalità dei consociati e i documenti che sono privi di tale obbligatorietà». E poco dopo continua dicendo che «il soft law, per definizione, non c’entra con le “fonti del diritto”, ovvero con l’hard law».
[8] La proposta di classificare i fenomeni di soft law attraverso un framework che tenga conto di varie dimensioni della giuridicità è stata avanzata dallo scrivente in D.Puliatti, Diritto liminare e ragionamento giudiziale, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, n. 3/2016.
[9] Si pensi ad es. all’incipit dell’art. 31 c. 5 nella formulazione antecedente al D.L. 32/2019: “L’ANAC con proprie Linee Guida, da adottare entro novanta giorni dall’entrata in vigore del presente codice definisce una disciplina di maggiore dettaglio sui compiti specifici del RUP […]” (il grassetto è dello scrivente).
[10] Per qualificazione “deontica” intendo la qualificazione in termini di obbligatorietà, non obbligatorietà, facoltatività, ecc. di un comportamento.
[11] Invero, nell’Adunanza della Commissione Speciale del 6 luglio 2016, il Consiglio di Stato ha infatti auspicato che anche le Linee Guida non vincolanti, pur non abbandonando uno stile espositivo “discorsivo”, dettassero indicazioni chiare ed univoche.
[12] Sul tema della regolazione e della natura degli atti delle autorità amministrative indipendenti si è formata una vastissima dottrina: particolarmente ricco di analisi, spunti di riflessione, riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, è il lavoro di R. Titomanlio, Riflessioni sul potere normativo delle autorità amministrative indipendenti fra legalità “sostanziale”, legalità “procedurale” e funzione di regolazione, pubblicato su Nomos, 1/2017.
[13] Nell’Adunanza della Commissione Speciale del 6 luglio 2016 si è comunque evidenziato che la regolazione dell’ANAC presenta tratti peculiari, ma in ogni caso si è insistito sulle forme di “compensazione” del gap di democraticità, tra cui vi è proprio il carattere orizzontale del procedimento di formazione, che qui invece rileva come modalità di recupero di una giuridicità e di una legittimità costituzionale poste in discussione.
[14] Nel parere citato si precisa, infatti, che l’esclusione della natura regolamentare delle Linee Guida ANAC comporta la non applicabilità dell’art. 117 c. 6 Cost., che conferisce esclusivamente allo Stato e alle Regioni il potere regolamentare.
[15] Si può ovviare ad esempio ricorrendo alla consultazione dei pareri resi dal Consiglio di Stato sulle Linee Guida, sempre molto puntuali nell’individuare le parti vincolanti e quelle non vincolanti, o comunque alla stessa autoqualificazione offerta dall’ANAC. Va però rilevato che gli stessi pareri a loro volta non hanno, riguardo tale definizione, efficacia vincolante, e che comunque le fattispecie concrete possono avere un tale tasso di complessità che i profili interessati da parti vincolanti e non vincolanti siano inestricabilmente commisti.
[16] Sul piano analitico, si potrebbe individuare un tertium genus di Linee Guida, ovvero quello delle Linee Guida facoltative, ma tipizzate, in ciò differenziandosi dalle Linee Guida atipiche di cui all’art. 213 c. 2. Esse non avrebbero natura vincolante, ma avrebbero un’efficacia argomentativa superiore a quelle stricto sensu non vincolanti: si tratterebbe, cioè, di prescrizioni superabili solo attraverso una motivazione un po’ più stringente rispetto a quelle non vincolanti, sindacabile attraverso un controllo di legittimità pur sempre estrinseco, ma estremamente pervasivo. Un esempio è dato proprio dalle Linee Guida n. 6, di cui si è discusso (sia consentito il riferimento) in D.Puliatti, La prova della colpevolezza dell’illecito penale quale tipologia di illecito professionale ex art. 80 c. 5 lett. c) D.lgs. 50/2016, in Diritto & Diritti, pubblicato telematicamente su www.diritto.it, aprile 2019.
[17] Molto interessante è lo studio condotto da V. Neri, Disapplicazione Linee Guida ANAC davanti al giudice amministrativo e rilevanza penale della loro violazione, su Urbanistica e Appalti, 2018, fasc. 2, p. 145 e ss., disponibile online anche sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa e su www.altalex.com.
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