Il termine generale di minoranza etnica comprende molto più di quanto non si sia soliti considerare. Di questa infatti i rom o gypsi o zingari costituiscono storicamente una parte e precisamente quei gruppi di origine indoeuropea, spesso itineranti e pertanto definiti anche ‘nomadi’, presenti nell’Europa dell’Est, in Spagna e nel Sud America (Brasile e Argentina in particolare) e a loro volta suddivisi in ulteriori gruppi. In Italia sembra che siano quantificati circa 160.000, tra rom,
sinti,
camminanti e rom romeni suddivisi in:
o Zingari italiani (con cittadinanza): circa 90.000, di cui:
30.000 residenti nel
Sud Italia, distinguibili in:
o Sinti: circa 30.000, residenti principalmente in Nord e Centro Italia e occupati principalmente fino ad alcuni anni fa’ come
giostrai, ed ora costretti a reinventarsi in nuovi mestieri, da rottamatori a venditori di bonsai.
o Rom
romeni: sono il gruppo in maggior crescita; hanno comunità a
Milano,
Roma,
Napoli,
Bologna,
Bari,
Genova, ma si stanno espandendo anche nel resto d’Italia. A seguito dell’ingresso della
Romania nell’
Unione Europea dal
2007, in qualità di cittadini europei, ci si aspetta l’afflusso di un consistente numero di rom romeni in Italia e negli altri paesi dell’
Europa Occidentale. Solo il 10% dei rom romeni vive in strutture pubbliche. Tra i minori rom romeni attualmente in Italia, solo il 3% frequenta regolarmente le scuole.
A questi si aggiungono i rom
clandestini, il cui numero non è stabilito ufficialmente.
In effetti quando ci riferiamo a ‘minoranze etniche’ intendiamo tutti coloro che fanno parte di minoranze nazionali la cui tutela viene garantita dalla Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e relativi Protocolli, dalle convenzioni e dichiarazioni delle Nazioni Unite, dalla Conferenza sulla sicurezza la cooperazione in Europa e dalla Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, approvata a Strasburgo il 1º febbraio 1995 e ratificata dall’Italia con legge 28 agosto 1997, n. 302, nel cui preambolo si legge che “una società che si vuole pluralista e genuinamente democratica deve non solo rispettare l’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa di ogni persona appartenente ad una minoranza nazionale ma anche creare condizioni appropriate che le consentano di esprimere, di preservare e di sviluppare questa identità”.
La stessa Convenzione –quadro introduce tuttavia un principio che è quello che qui ci interessa: “Nell’esercizio dei diritti e delle libertà che scaturiscono dai princìpi enunciati nella presente Convenzione quadro, le persone appartenenti ad una minoranza nazionale rispettano la legislazione nazionale ed i diritti altrui, in particolare quelli delle persone appartenenti alla maggioranza o ad altre minorità nazionali (Art. 20)”. Il nodo problematico da superare specie fino agli anni ’90 del XX secolo era costituito dalla necessità di riconoscere la condizione di iteranti di queste minoranze, spesso in movimento e dunque in certo modo in una condizione di transfrontalieri in un momento nel quale la stanzialità e soprattutto l’inviolabilità dei confini si identificava con forza con il concetto di Stato nazionale. In tal senso si comprende allora lo spirito dell’art. 18, comma 2 della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, che riconosce nella promozione della cooperazione transfrontaliera e interregionale e nella stipulazione di intese con Stati esteri lo spirito fondamentale per la tutela di queste minoranze.
A queste si affiancano la direttiva sull’uguaglianza razziale (2000/43/CE), che vieta, nella vita di tutti i giorni, la discriminazione fondata sulla razza o sull’origine etnica, e la direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione (2000/78/CE), che vieta la discriminazione, in materia di occupazione e formazione, fondata sulla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale.
È altresì vero che la condizione dei rom costituisce forse il nodo più cruciale sul quale la stessa Unione europea si è spesso interrogata ed ha stilato rapporti illustrando la condizione di queste minoranze.
Dopo l’entrata in vigore della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, il problema della protezione delle minoranze è divenuto l’oggetto della Risoluzione n. 136 del 29 ottobre 1957, tesa a ribadire l’esigenza di concedere alle minoranze " … il soddisfacimento dei loro interessi collettivi nella misura compatibile con la salvaguardia degli interessi essenziali dello Stato al quale esse appartengono". Si è tuttavia trattato, all’inizio, di mere formulazioni di diritto inattuale in concreto come si deduce dal rapporto sulle minoranze nazionali in Europa del 1959 (doc. n. 1002 del 30 febbraio 1959), cui seguì la Raccomandazione n. 213 del 17 settembre 1959, il Rapporto Lannung (doc. n. 1299 del 26 aprile 1961) e la Risoluzione del Comitato dei ministri n. 15 del 25 maggio 1961.
Nell’Atto finale di Helsinky del 1975 veniva riconosciuta, sia pure nella logica dell’inviolabilità delle frontiere e dell’integrità territoriale degli Stati, una tutela alle persone appartenenti alle minoranze nazionali. Il VII principio del Decalogo dichiarava: "Gli Stati partecipanti nel cui territorio esistono minoranze nazionali rispettano il diritto delle persone appartenenti a tali minoranze all’uguaglianza di fronte alla legge, offrono loro la piena possibilità di godere effettivamente dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e, in tal modo, proteggono i loro legittimi interessi in questo campo".
Nella Carta di Parigi approvata dalla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE) il 21 novembre 1990, viene ripresa la formula con la quale si contemplava la protezione nei confronti delle minoranze in applicazione dell’art. 27 del Patto internazionale sui Diritti civili e politici e si affermava che l’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa delle minoranze nazionali deve essere protetta
Nella riunione di Copenhagen del 1990 sulla Dimensione umana, gli Stati membri della Conferenza stessa si sono impegnati a migliorare la situazione delle minoranze, riconoscendone il contributo prezioso per la vita delle loro società.
Occorre tuttavia arrivare al 1992 e al documento conclusivo della riunione di Helsinky per vedere l’istituzione di un Alto Commissario per le minoranze nazionali, con il compito di individuare le aree di crisi che coinvolgono minoranze etniche, attraverso consultazioni politiche al fine di prevenire conflitti suscettibili di pregiudicare la pace e la sicurezza internazionale e indicare le più opportune soluzioni.
Su iniziativa del Consiglio d’Europa, il Consiglio dei ministri nel luglio 1992 a Strasburgo approvava, nella forma di una convenzione, la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, che attribuisce alle minoranze il diritto all’utilizzazione della propria lingua nei settori della giustizia, dell’amministrazione, dei servizi pubblici, dei media, delle attività culturali, della vita economica e sociale e degli scambi transfrontalieri. Trattandosi di una Convenzione, occorreva ed occorre naturalmente che i Paesi membri del Consiglio d’Europa la approvino e la ratifichino: finora la convenzione non è stata approvata e ratificata da molti paesi, come, ad esempio, l’Italia e la Francia.
Si arriva alla legge 15 dicembre 1999, n. 482 per vedere in Italia approvata una legge a favore delle minoranze linguistiche che ivi vengono espressamente enumerate e per le quali è prevista la predisposizione di uno statuto giuridico modulabile a cura dei poteri locali. L’art. 2 della legge impegna la Repubblica a tutelare la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene, croate e delle popolazioni che parlano il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. Non compaiono le popolazioni zingare dal novero delle comunità minoritarie meritevoli di protezione.
Proprio il rapporto tra le disposizioni comunitarie in materia di tutela e protezione delle minoranze
[1], di etnia rom in particolare, le disposizioni nazionali in tema di immigrazione e asilo e le consuetudini nomadi di questi gruppi costituisce forse l’aspetto meno sottolineato nelle interpretazioni delle normative vigenti.
Se è vero che la Direttiva 2000/43/EC (la "Race Directive") ha come finalità di implementare il principio della parità di trattamento tra le persone senza distinzione di razza od origine etnica, è vero altresì che essa si sofferma sulla richiesta di rimedi legali per le vittime della discriminazione razziale attraverso procedure giudiziali e/o amministrative. Al tempo stesso prevede che per il rafforzamento degli obblighi antidiscriminatori sia a carico del convenuto l’onere della prova della non violazione del principio del pari trattamento davanti al tribunale o alla competente autorità.
La Race Directive richiede poi che nelle normative nazionali siano previste sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive in caso di violazioni delle norme non discriminatorie compreso il pagamento di una compensazione alla vittima.
In realtà, a questo punto, si tratta di considerare non tanto l’attuazione delle direttive e raccomandazioni relative all’integrazione dei gruppi di etnia rom, agli interventi in campo economico, culturale, educativo, sanitario, quanto la questione della applicazione anche a queste minoranze delle leggi in materia di immigrazione da un lato e di asilo dall’altro, oltre ai risvolti penali.
È un dato di fatto che esiste una doppia condizione attiva e passiva penale che ha visto e vede, a causa della povertà di buona parte di queste etnie rom, il loro essere vittime dell’usura con l’applicazione di interessi che spesso superano il 100% e la violenza o la minaccia di violenza nel contesto dei debiti contratti. A prescindere dalla forma di giustizia orale tipica di queste minoranze che per altro si scontra con l’applicazione della giustizia statale, la mancanza di documenti personali, inclusi sebbene non limitati solo a questi i certificati di nascita, documenti di identità, permessi di residenza, documenti per l’assistenza sanitaria e passaporti costituisce indubbiamente l’ostacolo maggiore sia in termini di tutela a favore dei soggetti vittime di reati che attiva al fine di perseguire e punire condotte e/o reati penalmente rilevanti. Rappresenta un dato ulteriore di difficoltà direttamente connesso alla salvaguardia dei diritti fondamentali il fatto che parecchi Stati non assicurino la cittadinanza a questa etnia e perfino arrivino ad attivare permessi di soggiorno tali da perpetuare anziché contrastare l’esclusione sociale ponendoli nella categoria degli apolidi.
Si tratta di un fenomeno che non è tipico solo dell’epoca recente, sebbene trovi le forme più accentuate proprio in Stati membri di recente annessione quali Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, ma ha un precedente importante risalente alla Seconda Guerra Mondiale e alla Germania nella quale anche i Rom residenti di lungo periodo si vedevano riconosciuto uno status temporaneo detto ‘tollerato’ (‘tolerated’ o ‘duldung’), una sorta di sospensione dell’espulsione rinnovabile.
Sotto il profilo attivo, cioè delle tipologie di condotte e/o reati, commessi da soggetti di etnia Rom l’assenza di documenti, la condizione di illegalità, la violenza sulle donne, lo sfruttamento di minori (ad esempio nell’accattonaggio) e i reati contro il patrimonio costituiscono forse quelli più rilevanti. Non è questa la sede né vuole esserci l’intento di individuare tutte le tipologie di reati ascrivibili, tanto più che parte di essi non sono una peculiarità solo di soggetti facenti parte di una minoranza etnica. La violenza sulle donne, tuttavia, e lo sfruttamento dei minori rappresentano due casi segnalati dalla stessa Commissione europea nelle sue relazioni
[2].
A parte si colloca invece la relazione tra le disposizioni in materia di migranti e rifugiati con la condizione dei Rom. È stato infatti rilevato nello studio del 2004 che sulle comunità Rom hanno avuto un particolare impatto
[3]:
Pratiche e disposizioni riguardanti l’accoglienza ai confini etnicamente discriminatorie;
Espulsioni collettive da parte di numerosi governi tra i quali esemplificativi, secondo la Commissione europea sono Belgio e Italia, in aperta violazione della legge europea sui diritti umani come confermato in decisioni della Corte europea dei Diritti Umani (CEDU),
Erosione delle forme di protezione dei rifugiati.
Certamente, si diceva e si legge per altro nei rapporti diffusi dalla Commissione europea, la non cittadinanza di queste minoranze favorisce forme di discriminazione, le stesse che la direttiva 2000/43/EC ha cercato di contrastare sottolineando che la lotta contro la discriminazione diretta ed indiretta va rivolta a tutte le persone (art. 3(1)).
Ciò premesso non si può non riportare quanto formalizzato dal Ministero dell’interno sulla sua mancanza di competenza in ordine alla tutela giuridica delle popolazioni “sprovviste di territorio”, in quanto le stesse non sono state riconosciute come minoranze etnicolinguistiche e, pertanto, non sono state incluse, come già ricordato, tra quelle tutelate dalla legge-quadro 15 dicembre 1999 n. 482, recante “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche” e ciò è tanto più scoraggiante se si considera che nel decreto legislativo n. 215 del 9 luglio 2003 attuativo della direttiva 2000/43/EC contro le discriminazioni etniche e razziali appaiono non soddisfacenti aspetti specifici della direttiva stessa, oggetto dei rilievi sollevati in sede Unione Europea che non riguardano la specifica questione dei Rom ma al tempo stesso non pongono rimedio alla lacuna del riconoscimento ad essi dei diritti come minoranze, diritti che la nostra legge conferisce appunto alle sole minoranze linguistico-territoriali
[4].
Ci si chiede quindi quali siano le soluzioni e come orientarsi. Sotto il profilo generale infatti le minoranze di origine rom devono attenersi alle disposizioni di carattere generale in materia di permessi di soggiorno. Il farne gruppi senza cittadinanza, apolidi ma non radicati in un territorio, ovvero beneficianti della protezione umanitaria ovvero del riconoscimento dello status di rifugiati in date circostanze, fanno sì che le disposizioni vigenti mal si adattino. Il problema di fondo è la difficoltà di riconoscere, oltre alle ragioni umanitarie, la possibilità di possibili persecuzioni nei paesi di provenienza. Se poi si fa richiamo al discorso criminale e si va a considerare l’applicazione delle norme in materia di reati cui si associa, trattandosi di cittadini non comunitari, la complicazione cresce dal momento che siamo di fronte a minoranze che, in base alle disposizioni comunitarie, dovrebbero avere un riconoscimento e vedere attuata a loro favore una politica di aiuti e inserimento nella comunità presso la quale vivono, ma il porli come ‘stateless’ rende difficile la soluzione dell’espulsione per altro dovuta a fronte di particolari condizioni o in conseguenza di particolari reati. Ci soccorrono allora alcuni riferimenti importanti.
In primo luogo la Raccomandazione 1557 del 2002 (The legal situation of Roma in Europe) che segue di dieci anni la n. 1203 del 1993 sulla protezione dei gitani o zingari. Al punto 9 della Raccomandazione 1557 si legge: «Roma, as full citizens of the country in which they reside, have the same rights and obligations as others. The right of Roma to move around must be recognised. The majority population and Roma share responsibility in society to an asymmetrical measure in the light of their capacities and their economic, political, cultural and social resources. The majority population must accept Roma into society without assimilating them, and support Roma as a disadvantaged social group. Roma have to accept the rules governing society as a whole, and they can be called upon to be more active in handling their own problems, but this must be associated with appropriate conditions, encouragement and incentives provided by the state». Nel dettagliare le azioni cui gli Stati sono chiamati a dare vita, troviamo al punto 15, lettera f), sotto lettere ix), x), xi) la sollecitazione a far sì che:
– i diritti individuati nella Convenzione europea sui diritti umani così come nella Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati e il relativo Protocollo del 1967 siano applicati ai Rom senza discriminazione;
– particolare attenzione sia posta ai problemi affrontati dai Rom nell’ambito della acquisizione o perdita della cittadinanza, delle decisioni e delle politiche sull’attraversamento dei confini;
– l’applicazione delle disposizioni sul controllo dell’immigrazione non abbia risvolti discriminatori nei confronti del Rom.
Completa il quadro il richiamo al punto 11, lettere xiii) e xiv) della Raccomandazione n. 1203 ove, in tema di parità di diritti, si ricorda che le disposizioni di qualsiasi protocollo addizionale o convenzione riferito a minoranze dovrebbe applicarsi anche a quelle non territoriali (xiii) e che gli Stati Membri sono chiamati a ratificare il 4° Protocollo alla Convenzione europea dei diritti umani che garantisce la libertà di movimento così essenziale per i nomadi.
Né possiamo, a conforto di quanto accennato sulla natura di apolidi di questi gruppi nomadi, non ricordare da ultimo la Raccomandazione n. 83 del Consiglio d’Europa del 1983 al cui punto 2 si afferma che entro i limiti della propria legislazione sull’ingresso e la permanenza sul territorio, ciascuno Stato dovrebbe adottare le misure necessarie per facilitare la creazione di un legame con uno Stato di riferimento dei nomadi senza cittadinanza o di nazionalità incerta prendendo in considerazione i criteri che lo stesso Consiglio d’Europa suggerisce e precisamente:
– lo stato di riferimento inteso come quello di nascita od origine del nomade o lo stato di origine della sua famiglia prossima,
– la residenza abituale o i periodi frequenti di residenza del nomade nello stato di riferimento atteso che la residenza in questione non sia illegale,
–
la presenza nello stato di riferimento della famiglia prossima del nomade legalmente residentevi o in possesso della cittadinanza
[5].
Ritroviamo dunque in queste raccomandazioni tutti gli elementi utili ai fini della corretta regolamentazione delle relazioni con la minoranza rom, quanto meno sotto il profilo legale e formale.
Rispetto a ciò non rimane che sintetizzare quanto ha negli anni prodotto la giurisprudenza italiana sulla scorta della legislazione nazionale vigente.
Nulla pare si dica circa il collegamento ad uno stato di cittadini nomadi. La distinzione ad oggi è, come per tutti coloro che non abbiano la cittadinanza italiana, tra regolarmente e irregolarmente soggiornanti. Vale per tutte una decisione del Consiglio di Stato del 2007
[6] sul ricorso in appello avverso la sentenza del Tar Veneto di rigetto dell’istanza di regolarizzazione del rapporto di lavoro presentata da cittadina macedone di nazionalità Rom. Nella motivazione di reiezione il Consiglio di Stato aggancia alla legge 6 marzo 1998, n. 40 il principio del bilanciamento dei valori in gioco sancito dalla Corte costituzionale con la sentenza 21 novembre 1997 n. 353 affermando il giudice amministrativo che i valori in gioco sarebbero “la difesa dei diritti umani, la tutela dei perseguitati ed il diritto di asilo, ma altresì, di non minore rilevanza, il presidio delle frontiere (nazionali e comunitarie), al tutela della sicurezza interna del Paese, la lotta alla criminalità, lo stesso principio di legalità”. L’aspetto qui interessante deriva dal fatto che valutate tutte le altre condizioni decisiva è la risultanza circa l’istanza di ricongiungimento familiare rispetto alla quale “la ricorrente non dimostra di essere in rapporto di parentela o coniugio con uno straniero od un cittadino comunitario regolarmente soggiornante in Italia e l’appartenenza all’etnia Rom non muta affatto tale elemento”. Sulla stessa materia del riconoscimento dello status personale e dei legami familiari si colloca in tutta la sua difficoltà per la differenza sociale che ne è all’origine la sentenza della Suprema Corte che ha cassato con rinvio una decisione di espulsione di straniero sposato con rito rom in quanto quest’ultimo rappresenta un vincolo giuridico non riconosciuto dallo Stato italiano
[7]. La Corte si è trovata nella necessità di sollecitare una nuova indagine dal momento che se di prassi la giurisprudenza in materia di immigrazione nella quale veniva in rilievo lo stato coniugale dell’extracomunitario, “ha sempre escluso che potesse darsi efficacia alle unioni non celebrate come matrimonio negli ordinamenti di appartenenza”, nella specifica questione è da ritenersi necessario che il divieto di espulsione di cui all’art. 19, comma 2 lett. D del D.lgs. 286/98 (novellato da Corte Cost. 376/00) vada applicato al rapporto che di fatto e di diritto possa qualificarsi come coniugio.
Generale è il divieto di espulsioni collettive, nel caso di etnie rom la questione trova una sua collocazione ben precisa ed una interpretazione che non può non essere riportata operata dalla Corte di Cassazione
[8] secondo la quale «l’indirizzo della Corte europea in merito alla latitudine del divieto di espulsione collettiva di cui all’art. 4 del IV protocollo addizionale alla CEDU è quello di ricomprendere in esso quelle espulsioni adottate nei riguardi di un gruppo di stranieri senza che per ciascuno di essi venga svolto esame ragionevole ed obiettivo delle ragioni e delle difese di ciascuno innanzi all’Autorità competente.(…) Se un ordinamento prescrive che lo straniero debba munirsi di titolo di soggiorno per permanere nello Stato, prevedendo che, in difetto, si può dar corso alla misura espulsiva e che il medesimo straniero, pur privo di tal titolo, non possa essere espulso quando ostino ragioni di protezione, umanitarie o di coesione familiare, è attorno alla sussistenza di tali condizioni abilitanti od ostative che si deve incentrare la verifica dell’Autorità munita del potere espulsivo, ed il controllo necessario del Giudice. E se dalla verifica amministrativa e dal susseguente controllo giurisdizionale emerga che quelle condizioni abilitanti alla espulsione sussistevano e che difettavano le ragioni ostative, il fatto che siano stati emessi plurimi contestuali provvedimenti a carico di soggetti colti in situazione irregolare da un controllo di polizia appare del tutto irrilevante ai fini di ritenere avverata la previsione dell’art. 4 IV Prot. Add. CEDU». Secondo la Suprema Corte infatti occorrerebbe distinguere tra espulsioni plurime, dimostrabili sulla base della casualità che si tratti di un gruppo di soggetti di identica etnia e nazionalità, della avvenuta impugnazione delle espulsioni con un ricorso collettivo ed in un processo assistito da ogni garanzia di difesa, ed espulsioni collettive caratterizzate, oltre al divieto espresso di legge, per deduzione dall’assenza delle caratteristiche qui elencate. La condizione di irregolarità dei soggetti espulsi costituisce da ultimo l’elemento imprescindibile giustificante il decreto. Va tuttavia da sé che, come le stesse disposizioni europee confermano, il mancato rispetto della norma che richiede una presenza regolare sul territorio dello Stato giustifica l’adozione di un provvedimento di espulsione pur in caso di appartenenza ad una minoranza nazionale di etnia rom. Verrebbe tuttavia da chiedersi se e di quale nazionalità di parli, se sia stata applicata la disposizione circa la necessità di creare un collegamento tra un appartenente ad una minoranza etnica non territoriale e lo stato nel quale si trovi e come, se questo criterio viene applicato da alcuni Stati Membri, ovvero come sia applicabile l’espulsione qualora venga di fatto individuata l’appartenenza di un gruppo ad una particolare nazionalità (ad esempio ceca, piuttosto che slovena o rumena o bulgara) rientrante nell’area dell’Unione europea. Questo ci richiama ad una decisione della Suprema Corte del 2002 che in certo modo chiude il cerchio di questa analisi
[9]. Se trova piena rispondenza la precisazione secondo la quale l’appartenenza alla minoranza nazionale dei nomadi di etnia Rom non costituisce eccezione alla regola generale dettata dal D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 per la quale nessun soggetto extracomunitario può entrare nello Stato e soggiornarvi stabilmente se non sia munita di visto di ingresso e di permesso di soggiorno, maggiori riserve genera e certamente, alla luce di una rilettura delle normative vigenti, ulteriore esame impone quantomeno da parte del legislatore la motivazione che ha comportato il rigetto del ricorso avverso il decreto di espulsione: «Allo stato attuale della legislazione nazionale – in difetto di alcuna normativa comunitaria che specificamente regoli lo status dei nomadi – deve escludersi che esista uno statuto dei nomadi di etnia Rom nell’ambito dei Paesi aderenti all’Unione, dovendosi invece rilevare che sussistono norme nazionali (oltre a raccomandazioni comunitarie) dirette ad assicurare tutela delle condizioni di vita di quei componenti extracomunitari della predetta popolazione che abbiano comunque un titolo per la permanenza e il soggiorno nello Stato. Ne consegue, pertanto, che l’appartenenza del soggetto extracomunitario all’etnia nomade dei Rom non costituisce di per sé eccezione alla regola generale della necessità del titolo di soggiorno, dovendo di contro farsi carico alle comunità interessate alla legittima permanenza sul territorio dell’Unione di chiedere,e ottenere, dall’amministrazione di uno degli Stati il rilascio del titolo stesso per i propri componenti».
BIBLIOGRAFIA
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L. PIASERE(a cura di), Italia Romanì, vol.I – – CISU – Roma 1996
L. PIASERE(a cura di), Italia Romanì, vol.II – – CISU – Roma 1999
S. PONTRANDOLFO e L. PIASERE(a cura di), Italia Romanì, vol.III, I rom di antico insediamento dell’Italia centro-meridionale – CISU – Roma 2002
C. SALETTI SALZA e L. PIASERE(a cura di), Italia Romanì,vol.IV, La diaspora rom della ex Iugoslavia – CISU – Roma 2004
L. PIASERE, Popoli delle discariche : saggi di antropologia zingara – CISU – Roma 2005
Z. LAPOV, Vacaré romané? Diversità a confronto: percorsi delle identità Rom – FrancoAngeli Ed. – Milano 2004
[1] Council of Europe Committee of Ministers
Recommendation (2006)10 of the Committee of Ministers to member states on better access to health care for Roma and Travellers in Europe
Recommendation (2005)4 of the Committee of Ministers to member states on improving the housing conditions of Roma and Travellers in Europe
Recommendation (2004)14 of the Committee of Ministers to member states on the movement and encampment of Travellers in Europe
Recommendation (2001)17 on improving the economic and employment situation of Roma/Gypsies and Travellers in Europe
Recommendation (2000) 4 of the Committee of Ministers to member states on the education of Roma/Gypsy children in Europe
Recommendation (1983) 1, on Stateless Nomads and Nomads of Undetermined Nationality
Resolution (1975) 13 on the Social Situation of Nomads in Europe
Council of Europe Parliamentary Assembly
Recommendation 1633 (2003) Forced returns of Roma from the former Federal Republic of Yugoslavia, including Kosovo, to Serbia and Montenegro from Council of Europe member states
Recommendation 1557 (2002) on the legal situation of Roma in Europe
Recommendation 1203 (1993) on Gypsies in Europe
Recommendation 563 (1969) on the situation of Gypsies and other Travellers in Europe
ECRI (European Commission Against Racism and Intolerance, Council of Europe)
Fight against racism and intolerance towards Roma, ECRI (98) 29
Congress of Local and Regional Authorities (Council of Europe)
Resolution 44 (1997) on "Towards a tolerant Europe: the contribution of Roma"
Recommendation 11 (1995) on "Towards a tolerant Europe: the contribution of Roma"
European Union
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Raccomandazioni di Lund sull’effettiva Partecipazione delle Minoranze Nazionali alla Vita Pubblica, 1999
Raccomandazioni dell’Aia sui diritti all’istruzione delle minoranze nazionali, 1996
Raccomandazioni di Oslo sui diritti linguistici delle minoranze linguistiche, 1998
Criteri politici di Copenhagen, 1993
Raccomandazione 11 del 1995 del Congresso delle Autorità Locali e Regionali d’Europa
Raccomandazione 16 del 1995
[2] European Monitoring Centre on Racism and Xenophobia, "Breaking the Barriers – Romani Women and Access to Public Health Care", Vienna, 2003, pp. 63-64
[3] European Commission – Directorate General for Employment and Social Affairs Unit D3, The situation of Roma in an enlarged European Union, (Manuscript completed in 2004). http://www.europa.eu.int/comm/employment_social/fundamental_rights/pdf/pubst/roma04_en.pdf
[5] Council Of Europe. Committee of Ministers,
Recommendation No. R (83) 1 Of The Committee Of Ministers To Member States On Stateless Nomads And Nomads Of Undetermined Nationality, adopted by the Committee of Ministers on 22 February 1983 at the 356th meeting of The Ministers’ Deputies.
[6] C.d.S., Sez, 6, sentenza 24 gennaio 2007, n. 244
[7] Cass., Sez. I civ., sent. 10 marzo 2006, n. 5220
[8] Cass., Sez. I civ., sent. 5 agosto 2005, n. 16571
Anche: Ricorso avverso decreto di espulsione, ai sensi dell’art. 13, comma 8, del D.Lgs. 286/98, su www.straneiriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2004/ottobre
[9] Cass., Sez. I civ., sentenza 13 dicembre 2002, n. 17857
In tema di minoranze e tutela dei diritti:
C. cost., sentt. 11 dicembre 1989 n. 536, 24 febbraio 1992 n. 62, 16 dicembre 1993 n. 438, 271 del 1994, 14 giugno 1995 n. 261, 14 ottobre 1998 n. 356, 29 ottobre 1999 n. 406; ordinanze 9 novembre 2000 n. 485, 31 luglio 2002 n. 415, 26 novembre 2002 n. 479, 23 maggio 2005 n. 206.
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