Premessa
Scopo del presente scritto è quello di compiere una breve disamina delle misure di prevenzione personali, così come previste nel codice antimafia (d.lgs. n. 159/2011), dall’art. 1 all’art. 15.
Giova osservare sin d’ora che tali misure di prevenzione, secondo quanto previsto rispettivamente nel capo I e nel capo II del libro I, titolo I, codice antimafia, possono essere applicate dal questore (art. 1 e ss.) o dall’autorità giudiziaria (art. 4 e ss.).
Non resta dunque che esaminare tali misure analizzando siffatti articoli uno per uno.
1.1. Le misure di prevenzione personali applicate dal questore
I soggetti destinatari delle misure di prevenzione personali applicate dal questore
L’art. 1 del codice antimafia dispone che i provvedimenti, adottati per quanto concerne le misure di prevenzione personali posti in essere dal questore, “si applicano a: a) coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; b) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; c) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all’articolo 2, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica”.
Tal che ne consegue che i destinatari di tali misure preventive possono essere: 1) quelli che debbano considerarsi, sulla scorta di elementi fattuali “della cui rilevanza e capacità dimostrativa il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione”[1], “abitualmente” dediti a traffici delittuosi fermo restando che “la nozione di “traffici delittuosi”, di cui all’art. 1 lett. a), d.lgs. 06 settembre 2011, n. 159, ricomprende non solo attività delittuose riferite alle ipotesi di commercio illecito di determinati beni materiali (ad esempio armi, stupefacenti, banconote contraffatte ecc.), ma anche condotte “latu sensu” negoziali dalle quali sia derivato un provento illecito, o ancora condotte che non sono delittuose in relazione all’oggetto della negoziazione ma lo diventano per l’intrinseca illiceità della causa negoziale che ha determinato la condotta stessa”[2] così come rilevano quelle condotte “connotate dalla finalità patrimoniale o di profitto che si caratterizzano per la spoliazione, l’approfittamento o l’alterazione di un meccanismo negoziale o dei rapporti economici, sociali o civili”[3]; 2) quei soggetti che, per la condotta ed il tenore di vita, debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose tenuto conto che: I) “le “categorie di delitto” legittimanti l’applicazione di una misura fondata sul giudizio di cd. “pericolosità generica” ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 1, lett. b), devono presentare il triplice requisito – da ancorare a precisi elementi di fatto, dei quali il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione – per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo”[4] e ciò sulla scorta di quanto postulato dalla Corte costituzionale nella sentenza, 27/02/2019, n. 24[5], in cui è stato parimenti postulato che le “”categorie di delitto” che possono essere assunte a presupposto della misura sono in effetti suscettibili di trovare concretizzazione nel caso di specie esaminato dal giudice in virtù del triplice requisito – da provarsi sulla base di precisi «elementi di fatto», di cui il tribunale dovrà dare conto puntualmente nella motivazione (art. 13, secondo comma, Cost.) – per cui deve trattarsi di a) delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto, b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui, c) i quali a loro volta costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito”; II) ai “fini del giudizio sull’attualità della pericolosità sociale, è necessario accertare se al soggetto sottoposto siano attribuibili fatti, di qualunque tipo, sintomatici della persistenza di tale pericolosità, rilevando, in tal senso, anche quelli non costituenti reato, come possono essere le frequentazioni con soggetti pregiudicati e che, da parte del giudice della prevenzione”[6]; III) “la figura di pericolosità generica [art. 1, lett. b) d.lg. n. 159 del 2011] (…) deve essere apprezzata nel suo prevedibile significato e non in relazione ad un’indecifrabile connotazione soggettiva, giacché alla base della verifica deve pur sempre esserci il riscontro di condotte sussumibili in fattispecie corrispondenti a delitti e l’ulteriore riscontro del carattere non episodico di tali condotte, in modo che il profilo sintomatico da esse desumibile possa essere con nitidezza correlato alla configurazione di traffici delittuosi i cui proventi siano destinati, almeno in parte, alla diretta fruizione da parte del soggetto per le sue esigenze di vita”[7]; 3) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all’articolo 2 del codice antimafia (che esamineremo da qui a breve) nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica fermo restando che può “dirsi socialmente pericoloso ai sensi del d.lg. n. 159 del 2011, art. 1, comma 1, lett. c), il soggetto nei cui confronti il giudizio di prevenzione sia giunto ad accertare la realizzazione di fatti criminosi lesivi o, comunque, pericolosi per la sicurezza e la tranquillità pubblica commessi in un significativo intervallo temporale della vita del proposto e con carattere non occasionale o sporadico”[8] così come può ritenersi tale “il soggetto che risulti dedito in maniera non occasionale alla commissione di fatti criminosi lesivi o, comunque, pericolosi per la sicurezza e la tranquillità pubblica e non di beni giuridici meramente individuali”[9].
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Foglio di via obbligatorio
Individuati i soggetti che possono essere sottoposti a tali misure preventive, la prima misura di prevenzione da prendere in considerazione è il foglio di via obbligatorio.
L’art. 2 del codice antimafia, difatti, prevede che, qualora “le persone indicate nell’articolo 1 siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il questore può rimandarvele con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel comune dal quale sono allontanate”.
Tale disposizione legislativa, quindi, così formulata, consente al questore di disporre il rientro dei soggetti indicati nel precedente paragrafo ove: a) siano pericolose per la sicurezza pubblica; b) costoro non si trovino nei luoghi ove risiedono.
Tale “rientro”, come appena visto, viene disposto con provvedimento che deve essere motivato dovendo provvedimento essere fondato “necessariamente su circostanze concrete che, oltre ad essere provate, devono anche essere ritenute significative e concludenti, ai fini del giudizio di pericolosità sociale del destinatario del provvedimento”[10] atteso che, “pur non occorrendo la prova di una avvenuta commissione di reati, occorre una motivata indicazione dei comportamenti e degli episodi, desunti dalla vita e dal contesto socio ambientale dell’interessato, da cui oggettivamente emerga una apprezzabile probabilità di condotte penalmente rilevanti e socialmente pericolose”[11], e con questo foglio di via obbligatorio, il cui contenuto prescrittivo consiste nell’inibire a tali individui di ritornare, dal Comune dove sono stati allontanati, senza che si renda necessaria una preventiva autorizzazione, per un periodo che non può essere superiore a tre anni fermo restando che, caratterizzandosi “l’ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio si caratterizza per la duplice intimazione di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel Comune oggetto dell’ordine di allontanamento”[12], ne consegue che “la mancanza di una delle due prescrizioni determina l’illegittimità del provvedimento”[13] e quindi va da sé che “tale provvedimento non può essere applicato nei confronti di un soggetto che non abbia la residenza nel territorio dello Stato né una fissa dimora”[14].
Oltre a ciò, va infine rilevato che il “contravventore alle disposizioni di cui all’articolo 2, e’ punito con l’arresto da uno a sei mesi” (art. 76, c. 3, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e nella “sentenza di condanna viene disposto che, scontata la pena, il contravventore sia tradotto al luogo del rimpatrio” (art. 76, c. 3, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).
Avviso orale
Altre misura di prevenzione personale è l’avviso orale.
L’art. 3 del codice antimafia, infatti, dispone che il questore nella cui provincia la persona dimora, da un lato, “può avvisare oralmente i soggetti di cui all’articolo 1 che esistono indizi a loro carico, indicando i motivi che li giustificano” (comma primo), dall’altro, “invita la persona a tenere una condotta conforme alla legge e redige il processo verbale dell’avviso al solo fine di dare allo stesso data certa” (comma secondo).
Orbene, fermo restando che l’“avviso orale ex art. 3, d.lg. 159/2011 costituisce un atto avente natura ed efficacia monitoria e non richiede la previa comunicazione ex art. 7, l. 7 agosto 1990 n. 241[15], poiché il presupposto giuridico dell’avviso orale è costituito da una condotta del destinatario del provvedimento tale da far ritenere che lo stesso, ove non modifichi il proprio comportamento, possa evidenziare ulteriori e più gravi condotte pericolose, ovvero commettere reati”[16] e quindi “l’intervento dell’autorità di Pubblica Sicurezza, consistente nell’invito a cambiare condotta, deve essere considerato urgente e tale quindi da giustificare ex se l’omissione contestata”[17], tale avviso “rientra nell’ambito di una valutazione discrezionale di competenza dell’Autorità di polizia, sindacabile soltanto sotto il profilo della sussistenza dei presupposti, nonché della sufficienza, logicità e congruità della motivazione”[18] ed è “legittimo procedere all’avviso orale anche in assenza di contestazioni sottoposte all’esame della autorità giudiziaria”[19] così come è parimenti legittimo “procedere all’avviso orale anche in assenza di addebiti specifici, purché emerga una situazione nel suo complesso rivelatrice di personalità incline a comportamenti antisociali che ne fanno ragionevolmente ascrivere l’appartenenza ad una delle categorie di cui all’art. 1 del cit. d.lg. n. 159 del 2011”[20] “e ciò anche qualora non sia possibile documentare che l’interessato vive dei proventi di attività delittuosa o è dedito a traffici illeciti o si associa con pregiudicati, qualora il modello comportamentale complessivo del soggetto presenti caratteristiche atte a fare non illogicamente presumere l’esistenza di una pericolosità sociale”[21].
Ciò posto, a sua volta la “persona alla quale è stato fatto l’avviso può in qualsiasi momento chiederne la revoca al questore che provvede nei sessanta giorni successivi” (art. 3, c. 3, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e decorso “detto termine senza che il questore abbia provveduto, la richiesta si intende accettata” (art. 3, c. 3, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) fermo restando che entro “sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di rigetto è ammesso ricorso gerarchico al prefetto” (art. 3, c. 3, terzo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).
Inoltre, con “l’avviso orale il questore, quando ricorrono le condizioni di cui al comma 3, può imporre alle persone che risultino definitivamente condannate per delitti non colposi il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, armi a modesta capacità offensiva, riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi, altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone, prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, nonché sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare lo sprigionarsi delle fiamme, nonché programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi” (art. 3, c. 4, d.lgs. n. 159/2011) ma, qualora “l’avviso orale non sia accompagnato dagli eventuali precetti che possono esservi ricompresi, ex art. 3 comma 4, d.lgs. n. 159/2011, esso semplicemente prescrive al destinatario l’obbligo di osservare un comportamento conforme alla legge, ovvero quello richiesto alla generalità dei cittadini, poiché, a differenza delle misure di prevenzione che eventualmente ne seguiranno, non impone al destinatario vincoli di fare e di non fare che ne circoscrivano in qualche modo la libertà personale e in particolare che lo privino della facoltà di tenere comportamenti altrimenti leciti”[22].
Oltre a ciò, è sancito che il “questore può, altresì, imporre il divieto di cui al comma 4 ai soggetti sottoposti alla misura della sorveglianza speciale, quando la persona risulti definitivamente condannata per delitto non colposo” (art. 3, c. 5, d.lgs. n. 159/2011).
Da ciò deriva che il divieto contemplato al comma quarto dell’art. 3 del codice antimafia può essere imposto anche ai soggetti sottoposti alla misura della sorveglianza speciale (che esamineremo da qui a poco) allorchè la persona sottoposta a questa misura sia definitivamente condanna, e pertanto con sentenza passata in giudicata, ad un delitto non colposo.
Di conseguenza, non rileva nel caso di specie, una condanna definitiva, nè per un delitto colposo, né per una contravvenzione.
Detto questo, va da ultimo fatto presente che il “divieto di cui ai commi 4 e 5 è opponibile davanti al tribunale in composizione monocratica” (art. 3, c. 6, d.lgs. n. 159/2011) fermo restando che chiunque “violi il divieto di cui all’articolo 3, commi 4 e 5, e’ punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164” (art. 76, c. 3, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e gli “strumenti, gli apparati, i mezzi e i programmi posseduti o utilizzati sono confiscati ed assegnati alle Forze di polizia, se ne fanno richiesta, per essere impiegati nei compiti di istituto” (art. 76, c. 3, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).
Le misure di prevenzione personali applicate dall’autorità giudiziaria
Il procedimento applicativo
Per quanto concerne le misure di prevenzione personali applicate dall’autorità giudiziaria, il procedimento applicativo, e dunque il modo attraverso il quale tali misure sono disposte in sede giudiziaria, è regolato dall’art. 4 e seguenti del codice antimafia.
In particolare, l’art. 4 individua anzitutto chi sono i soggetti destinatari di tali misure essendo ivi stabilito che i “provvedimenti previsti dal presente capo (e dunque quelli inerenti tali misure preventive ndr.) si applicano: a) agli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’articolo 416-bis c.p.[23]; b) ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ovvero del delitto di cui all’articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, o del delitto di cui all’articolo 418 del codice penale; c) ai soggetti di cui all’articolo 1[24]; d) agli indiziati di uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-quater, del codice di procedura penale e a coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I del titolo VI del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice, nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale ovvero a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all’articolo 270-sexies del codice penale; e) a coloro che abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge 20 giugno 1952, n. 645, e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una attività analoga a quella precedente; f) a coloro che compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti alla ricostituzione del partito fascista ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 645 del 1952, in particolare con l’esaltazione o la pratica della violenza; g) fuori dei casi indicati nelle lettere d), e) ed f), siano stati condannati per uno dei delitti previsti nella legge 2 ottobre 1967, n. 895, e negli articoli 8 e seguenti della legge 14 ottobre 1974, n. 497, e successive modificazioni, quando debba ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a commettere un reato della stessa specie col fine indicato alla lettera d); h) agli istigatori, ai mandanti e ai finanziatori dei reati indicati nelle lettere precedenti. È finanziatore colui il quale fornisce somme di denaro o altri beni, conoscendo lo scopo cui sono destinati; i) alle persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza di cui all’articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, nonché alle persone che, per il loro comportamento, debba ritenersi, anche sulla base della partecipazione in più occasioni alle medesime manifestazioni, ovvero della reiterata applicazione nei loro confronti del divieto previsto dallo stesso articolo, che sono dediti alla commissione di reati che mettono in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica, ovvero l’incolumità delle persone in occasione o a causa dello svolgimento di manifestazioni sportive; i-bis) ai soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 640-bis o del delitto di cui all’articolo 416 del codice penale, finalizzato alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis del medesimo codice; i-ter) ai soggetti indiziati dei delitti di cui agli articoli 572 e 612-bis del codice penale[25]”.
Pertanto, tali misure possono essere disposte nei confronti di tali soggetti fermo restando che “la valutazione del requisito di attualità della pericolosità sociale deve essere effettuata per tutte le categorie dei soggetti indicati nell’art. 4 d.lg. n. 159 del 2011 che possono essere assoggettati a misure di prevenzione personali”[26].
Ciò posto, sotto il profilo procedurale, va inoltre rilevato che, nei “confronti dei soggetti di cui all’articolo 4 e di coloro che risultino gravemente indiziati di un delitto commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive il fermo di indiziato di delitto e’ consentito anche al di fuori dei limiti di cui all’articolo 384 del codice di procedura penale, purche’ si tratti di reato per il quale e’ consentito l’arresto facoltativo in flagranza ai sensi dell’articolo 381 del medesimo codice” (art. 77 del codice antimafia) fermo restando che, per un verso, per “eseguire il fermo di indiziato di delitto ex art. 77 d.lg. 6 settembre 2011 n. 159 devono ricorrere entrambi i presupposti del fermo ordinario previsto dall’art. 384 c.p.p.: i gravi indizi di reato e il pericolo di fuga”[27], per altro verso, la “possibilità, prevista dall’art. 77 d.lg. n. 159 del 2011, di procedere al fermo degli indiziati di taluno dei delitti indicati nell’art. 4 del medesimo d.lg. anche al di fuori dei limiti di cui all’art. 384 c.p.p., purchè si tratti di delitto per il quale è consentito l’arresto facoltativo in flagranza, non comporta anche la possibilità di applicazione, nei confronti del fermato, di una misura cautelare coercitiva prescindendo dai limiti di pena di cui agli art. 274, comma 1, lett. c), e 280, c.p.p., come previsto dall’art. 391, comma 5, c.p.p., dal momento che tale ultima disposizione indica come presupposto della sua operatività soltanto l’arresto e non il fermo dell’indiziato ed è da escludere che essa sia suscettibile di interpretazione estensiva “in malam partem””[28].
Titolarita’ della proposta. Competenza
Per quanto concerne chi sono i soggetti legittimati a chiedere all’autorità giudiziaria che venga applicata una misura di prevenzione personale, l’art. 5 d.lgs. n. 159/2011 statuisce che nei “confronti delle persone indicate all’articolo 4 possono essere proposte dal questore, dal procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona e dal direttore della Direzione investigativa antimafia le misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale” (comma primo) fermo restando, da un lato, che, nei “casi previsti dall’articolo 4, comma 1, lettere c), i), i-bis) e i-ter), le funzioni e le competenze spettanti al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto sono attribuite anche al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona previo coordinamento con il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto; nei medesimi casi, nelle udienze relative ai procedimenti per l’applicazione delle misure di prevenzione le funzioni di pubblico ministero possono essere esercitate anche dal procuratore della Repubblica presso il tribunale competente” (comma secondo), dall’altro, salvo “quanto previsto al comma 2, nelle udienze relative ai procedimenti per l’applicazione delle misure di prevenzione richieste ai sensi del presente decreto, le funzioni di pubblico ministero sono esercitate dal procuratore della Repubblica di cui al comma 1” (comma terzo).
Chiarito quali soggetti possono chiedere l’applicazione di tali misure, al comma quarto è altresì chiarito dove deve essere depositata tale richiesta essendo ivi sancito che la “proposta di cui al comma 1 deve essere depositata presso la cancelleria delle sezioni o dei collegi del tribunale del capoluogo del distretto, nel territorio del quale la persona dimora, previsti dal comma 2-sexies dell’articolo 7-bis dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12” (primo capoverso) ma, limitatamente “ai tribunali di Trapani e Santa Maria Capua Vetere, la proposta di cui al comma 1 è depositata presso la cancelleria delle sezioni o dei collegi specializzati in materia di misure di prevenzione ivi istituiti ai sensi del citato comma 2-sexies, ove la persona dimori nel territorio, rispettivamente, delle province di Trapani e di Caserta”.
Ciò posto, per quanto attiene la competenza, giova infine osservare come in sede di legittimità ordinaria sia stato osservato quanto segue: 1) nel “procedimento di prevenzione la competenza territoriale si radica nel luogo in cui, al momento della decisione, la pericolosità si manifesta e, nel caso in cui tali manifestazioni siano plurime e si realizzino in luoghi diversi, nel luogo in cui le condotte di tipo qualificato appaiano di maggiore spessore e rilevanza, secondo un accertamento da effettuarsi non sulla base di una verifica statica ma, piuttosto, in una prospettiva dinamica caratterizzata dal fondamentale criterio dell’attualità della pericolosità”[29]; 2) nel “procedimento di applicazione di misure di prevenzione personali, la competenza territoriale, per decidere sulla richiesta presentata nei confronti di un soggetto la cui pericolosità non sia riferibile ad un contesto associativo criminale, si determina avendo riguardo al luogo nel quale, sulla base degli elementi di fatto prospettati dall’autorità proponente, la pericolosità sociale attuale si manifesti con carattere di continuità in rapporto con l’ambiente locale, non assumendo rilievo decisivo a tal fine la collocazione spaziale della condotta di maggiore gravità”[30]; 3) “la competenza per territorio nei procedimenti relativi a soggetti la cui pericolosità si fonda su indizi di appartenenza ad un sodalizio criminale prescinde dalle risultanze anagrafiche del soggetto e va individuata nel luogo ove si trova il centro organizzativo e decisionale del sodalizio medesimo, indipendentemente dalla esistenza di ramificazioni o derivazioni localizzate in altri territori”[31].
Tipologia delle misure e loro presupposti
Per quel che riguarda la tipologia delle misure di prevenzione personali applicabili dalle autorità giudiziarie e i loro presupposti, è sancito che alle “persone indicate nell’articolo 4, quando siano pericolose per la sicurezza pubblica, può essere applicata, nei modi stabiliti negli articoli seguenti, la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza” (art. 6, c. 1, d.lgs. n. 159/2011) e, salvi “i casi di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), alla sorveglianza speciale può essere aggiunto, ove le circostanze del caso lo richiedano, il divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale, o in una o più regioni” (art. 6, c. 2, d.lgs. n. 159/2011).
E’ quindi previsto che, per le persone già esaminate nel paragrafo 1.2.1., sempreché esse siano rappresentino un pericolo per la sicurezza pubblicata, anche se detenute “in espiazione dell’ergastolo”[32], può essere applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e, eccezion fatta per i casi di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), d.lgs. n. 159/2011, ossia, come già visto in precedenza, qualora si tratti di indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’articolo 416-bis c.p. o di uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ovvero del delitto di cui all’articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, o del delitto di cui all’articolo 418 del codice penale, alla sorveglianza speciale può essere aggiunto, ove le circostanze del caso lo richiedano, il divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale, o in una o più regioni fermo restando che è “legittima l’applicazione dell’obbligo di soggiorno, unitamente alla sorveglianza speciale di P.S., anche nell’ipotesi in cui la proposta abbia avuto ad oggetto solo quest’ultima misura”[33] così come la “misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con l’obbligo di soggiorno può concorrere con il divieto, disposto dal questore, ai sensi dell’art. 6, comma 5, l. 13 dicembre 1989, n. 401[34], di accedere a manifestazioni sportive, con relativo obbligo di presentazione personale all’autorità di polizia in occasione degli incontri di calcio (DASPO), in quanto si tratta di misure differenti che non si sovrappongono”[35].
Oltre a ciò, è altresì disposto che, nei “casi in cui le altre misure di prevenzione non sono ritenute idonee alla tutela della sicurezza pubblica può essere imposto l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale” ” (art. 6, c. 3, d.lgs. n. 159/2011) e a tal proposito va osservato che, ai “fini della individuazione del luogo di esecuzione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, la legge, nell’indicare la residenza o la dimora abituale, non intende riferirsi alla residenza anagrafica – la quale costituisce soltanto un indizio della residenza effettiva (art. 43 cod. civ.) – bensì al luogo in cui si trovano le consuetudini di vita e le normali relazioni sociali della persona”[36] fermo restando che siffatta misura è applicabile “anche a soggetto residente all’estero, fermo restando che l’applicabilità concreta della misura è subordinata alla presenza del proposto in territori soggetti alla sovranità dello Stato”[37].
Detto questo, è infine stabilito che, ai “fini della tutela della sicurezza pubblica, gli obblighi e le prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale possono essere disposti, con il consenso dell’interessato ed accertata la disponibilità dei relativi dispositivi, anche con le modalità di controllo previste all’articolo 275-bis del codice di procedura penale” e dunque può rilevare nel caso di specie questa norma procedurale che così dispone: “1. Nel disporre la misura degli arresti domiciliari anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere, il giudice, salvo che le ritenga non necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria. Con lo stesso provvedimento il giudice prevede l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere qualora l’imputato neghi il consenso all’adozione dei mezzi e strumenti anzidetti. 2. L’imputato accetta i mezzi e gli strumenti di controllo di cui al comma 1 ovvero nega il consenso all’applicazione di essi, con dichiarazione espressa resa all’ufficiale o all’agente incaricato di eseguire l’ordinanza che ha disposto la misura. La dichiarazione è trasmessa al giudice che ha emesso l’ordinanza ed al pubblico ministero, insieme con il verbale previsto dall’articolo 293, comma 1. 3. L’imputato che ha accettato l’applicazione dei mezzi e strumenti di cui al comma 1 è tenuto ad agevolare le procedure di installazione e ad osservare le altre prescrizioni impostegli”.
Procedimento applicativo
Il procedimento attraverso il quale l’autorità giudiziaria decide se applicare o meno tali misure di prevenzione personali è regolato dall’art. 7 del codice antimafia.
In particolare, al primo comma di questo articolo è disposto che il “tribunale provvede, con decreto motivato, entro trenta giorni dal deposito della proposta” (primo capoverso) e l’“udienza si svolge senza la presenza del pubblico” (secondo capoverso) fermo restando che il “presidente dispone che il procedimento si svolga in pubblica udienza quando l’interessato ne faccia richiesta” (terzo capoverso).
E’ dunque previsto che la decisione debba avvenire entro 30 giorni da quello in cui la proposta è stata depositata attraverso l’adozione di un decreto che deve essere motivato fermo restando che tale termine è di natura ordinaria, e non perentoria non essendo prevista alcuna sanzione nel caso in cui non sia osservato questo lasso temporale[38].
Quanto al modo con cui questo procedimento deve essere celebrato, esso quindi non avviene in pubblica udienza salvo che l’interessato chiede che esso avvenga in questo modo “non essendo tuttavia necessario che di tale facoltà sia dato un previo avviso”[39].
Ciò posto, sempre il Presidente, inoltre, “fissa la data dell’udienza e ne fa dare avviso alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori” (art. 7, c. 2, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e l’“avviso è comunicato o notificato almeno dieci giorni prima della data predetta e contiene la concisa esposizione dei contenuti della proposta” (art. 7, c. 2, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) fermo restando che se “l’interessato è privo di difensore, l’avviso è dato a quello di ufficio” (art. 7, c. 2, terzo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).
Dunque, per quanto concerne la fase introduttiva, spetta al Presidente del Tribunale fissare la data dell’udienza dando al contempo avviso di ciò alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori[40] non potendo costui “dichiarare “de plano” l’inammissibilità della proposta per manifesta infondatezza, non risultando applicabile la previsione di cui all’art. 666, comma 2, c.p.p.[41]”[42].
Tale avviso, per giunta, deve essere comunicato o notificato almeno prima dieci giorni prima da quello in cui è stata fissata l’udienza e deve contenere la concisa esposizione dei contenuti della proposta ma “è da escludere che sia causa di nullità il fatto che detto avviso non sia corredato dall’indicazione del tipo di pericolosità e degli elementi fatto posti a fondamento della proposta”[43].
Oltre a ciò, è sancito che fino “a cinque giorni prima dell’udienza possono essere presentate memorie in cancelleria” (art. 7, c. 3, d.lgs. n. 159/2011) e a tal riguardo va fatto presente, da una parte, che, in “tema di procedimento di prevenzione, la produzione di documenti, se effettuata nel rispetto del contraddittorio, non incontra il limite temporale dei cinque giorni antecedenti all’udienza, previsto dall’art. 666, comma 3, c.p.p.[44] per il solo deposito di memorie”[45], dall’altra, che “il termine di cui agli artt.127 comma 2 c.p.p. e 7 comma 3 d.lg. n. 159 del 2011 relativo al deposito di atti deve ritenersi ordinatorio, non risultando, quindi, precluso alle parti procedere, oltre tale scadenza, al deposito di atti integrativi, memorie o documenti, sempre che venga rispettato il diritto della parte contro-interessata al contraddittorio”[46].
Ciò posto, a sua volta l’art. 7, c. 4, d.lgs. n. 159/2011 statuisce che l’“udienza si svolge con la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero” (primo capoverso, primo periodo) e gli “altri destinatari dell’avviso sono sentiti se compaiono” (primo capoverso, secondo periodo) e “l’interessato è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice e ne fa tempestiva richiesta, la partecipazione all’udienza è assicurata a distanza mediante collegamento audiovisivo ai sensi dell’articolo 146-bis, commi 3[47], 4[48], 5[49], 6[50] e 7[51], delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, salvo che il collegio ritenga necessaria la presenza della parte. Il presidente dispone altresì la traduzione dell’interessato detenuto o internato in caso di indisponibilità di mezzi tecnici idonei” (secondo capoverso).
Detto questo, il comma quarto-bis dell’art. 7, in modo non dissimile da quanto rispettivamente previsto dall’art. 468, c. 1, primo capoverso, c.p.p. e dall’art. 495, c. 4, secondo capoverso, c.p.p., stabilisce che il “tribunale, dopo l’accertamento della regolare costituzione delle parti, ammette le prove rilevanti, escludendo quelle vietate dalla legge o superflue” e dunque non possono essere prese in considerazioni le prove vietate dalle legge o quelle superflue rilevando esclusivamente le prove rilevanti[52] le quali possono essere acquisite anche d’“ufficio”[53].
Dal canto suo il comma quinto dispone che l’“udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’interessato che ha chiesto di essere sentito personalmente e che non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice” (primo capoverso) e l’“udienza è rinviata anche se sussiste un legittimo impedimento del difensore” (secondo capoverso) fermo restando che “il legittimo impedimento a comparire all’udienza può rilevare solo ove il soggetto proposto abbia formulato richiesta di essere sentito personalmente, che non può ritenersi implicita nell’istanza di rinvio del difensore, trattandosi di atto formale che deve provenire dall’interessato e che si pone come estrinsecazione di un diritto non estensibile al difensore”[54].
Inoltre, ove “l’interessato non intervenga e occorra la sua presenza per essere sentito, il presidente lo invita a comparire, avvisandolo che avrà la facoltà di non rispondere” (art. 7, c. 6, d.lgs. n. 159/2011) e tale invito a comparire “deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione non solo della misura di cui si chiede l’applicazione, ma anche della forma di pericolosità contestata”[55].
Precisato ciò e rilevato che le “disposizioni dei commi 2, 4, primo, secondo e terzo periodo, e 5, sono previste a pena di nullità” (art. 7, c. 7, d.lgs. n. 159/2011), il comma ottavo di questa disposizione legislativa prevede che, qualora “il tribunale debba sentire soggetti informati su fatti rilevanti per il procedimento, il presidente del collegio può disporre l’esame a distanza nei casi e nei modi indicati all’articolo 147-bis, comma 2, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271” e dunque rileva questo comma di tale norma attuativa che dispone quanto segue: “Ove siano disponibili strumenti tecnici idonei, il giudice o il presidente, sentite le parti, può disporre, anche d’ufficio, che l’esame si svolga a distanza, mediante collegamento audiovisivo che assicuri la contestuale visibilità delle persone presenti nel luogo dove la persona sottoposta ad esame si trova. In tal caso, un ausiliario abilitato ad assistere il giudice in udienza, designato dal giudice o, in caso di urgenza, dal presidente, è presente nel luogo ove si trova la persona sottoposta ad esame e ne attesta le generalità, dando atto della osservanza delle disposizioni contenute nel presente comma nonché delle cautele adottate per assicurare le regolarità dell’esame con riferimento al luogo ove egli si trova. Delle operazioni svolte l’ausiliario redige verbale a norma dell’articolo 136 del codice[56]”.
Inoltre, per “quanto non espressamente previsto dal presente decreto, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni contenute nell’articolo 666 del codice di procedura penale[57]” (art. 7, c. 9, dl.gs. n. 159/2011) e dunque rilevano anche queste disposizioni[58] fermo restando che “il rinvio contenuto all’art. 7, comma 9, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, alle previsioni dell’art. 666 cod. proc. pen. riguarda solo la fase della cognizione e non quella esecutiva”[59].
Ciò posto, rilevato che le “comunicazioni di cui al presente titolo possono essere effettuate con le modalità previste dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82” (art. 7, c. 10, d.lgs. n. 159/2011) ossia il codice dell’amministrazione digitale (a cui si rinvia), le “questioni concernenti la competenza per territorio devono essere rilevate o eccepite, a pena di decadenza, alla prima udienza e comunque subito dopo l’accertamento della regolare costituzione delle parti e il tribunale le decide immediatamente” (art. 7, c. 10-bis, d.lgs. n. 159/2011[60]) e tale comma si applica “anche qualora la proposta sia stata avanzata da soggetti non legittimati ai sensi dell’articolo 5” del codice antimafia (art. 7, c. 10-ter, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).
A sua volta il “tribunale, se ritiene la propria incompetenza, la dichiara con decreto e ordina la trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente; la declaratoria di incompetenza non produce l’inefficacia degli elementi già acquisiti” (art. 7, c. 10-ter, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e, quando si dispone in tale senso, “il sequestro perde efficacia se, entro venti giorni dal deposito del provvedimento che pronuncia l’incompetenza, il tribunale competente non provvede ai sensi dell’articolo 20” codice antimafia[61] (art. 7, c. 10-quater, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e il “termine previsto dall’articolo 24, comma 2[62], decorre nuovamente dalla data del decreto di sequestro emesso dal tribunale competente” (art. 7, c. 10-quater, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).
Detto questo, fermo restando che “l’autorità giudiziaria può operare una diversa qualificazione giuridica della pericolosità del proposto, trattandosi di un potere generale che spetta ad ogni giudice procedente che, se esercitato previa interlocuzione delle parti sulle questioni dedotte o deducibili collegate alla proposta, non comporta alcuna violazione del contraddittorio”[63], il “decreto di accoglimento, anche parziale, della proposta pone a carico del proposto il pagamento delle spese processuali” (art. 7, c. 10-quinquies, d.lgs. n. 159/2011) ed “è depositato in cancelleria entro quindici giorni dalla conclusione dell’udienza” (art. 7, c. 10-sexies, d.lgs. n. 159/2011).
A tale decreto, inoltre, “si applicano le disposizioni di cui all’articolo 154 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271[64]” (art. 7, c. 10-octies, d.lgs. n. 159/2011) e, quando “la stesura della motivazione è particolarmente complessa, il tribunale, se ritiene di non poter depositare il decreto nel termine previsto dal comma 10-sexies, dopo le conclusioni delle parti, può indicare un termine più lungo, comunque non superiore a novanta giorni” (art. 7, c. 10-septies, d.lgs. n. 159/2011).
Ciò posto, sempre per quanto attiene il procedimento di prevenzione, va infine osservato, per un verso, che la “disciplina delle cause di incompatibilità del giudice contenuta nel codice di procedura penale è applicabile anche al procedimento di prevenzione, attesa la natura giurisdizionale dello stesso e l’incidenza su diritti di rilievo costituzionale che impone l’osservanza delle garanzie del giusto processo, tra le quali rilievo primario va riconosciuto all’imparzialità del giudice”[65], per altro verso, che il “principio di immutabilità del giudice, espressamente previsto dall’art. 525, comma 2, c.p.p. per il giudizio dibattimentale, ha una più limitata portata applicativa nel procedimento camerale di prevenzione, in quanto caratterizzato da procedure semplificate, ivi richiedendosi la necessaria corrispondenza soggettiva tra il collegio decidente e quello che ha ricevuto le conclusioni delle parti, essendo, invece, irrilevante che gli atti istruttori siano stati assunti in precedenza da un giudice diversamente composto”[66].
Decisione
Per quanto concerne la decisione, è prima di tutto disposto che il “provvedimento del tribunale stabilisce la durata della misura di prevenzione che non può essere inferiore ad un anno né superiore a cinque” (art. 8, c. 1, d.lgs. n. 159/2011).
Da ciò deriva che la misura della prevenzione applicata dall’autorità giudiziaria non può durare meno di un anno e non più di anni cinque.
Precisato ciò, a sua volta il comma secondo dell’art. 8 dispone che, qualora “il tribunale disponga l’applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all’articolo 6, nel provvedimento sono determinate le prescrizioni che la persona sottoposta a tale misura deve osservare”.
Tal che ne consegue che, ove debba essere applicata una delle misure di prevenzione prevedute dall’art. 6 del codice antimafia (cfr. supra par. 1.2.3.), devono essere specificate quali prescrizioni devono essere osservate da parte di colui che è sottoposto a tali misure.
In particolare è stabilito che a “tale scopo, qualora la misura applicata sia quella della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e si tratti di persona indiziata di vivere con il provento di reati, il tribunale prescrive di darsi, entro un congruo termine, alla ricerca di un lavoro, di fissare la propria dimora, di farla conoscere nel termine stesso all’autorità di pubblica sicurezza e di non allontanarsene senza preventivo avviso all’autorità medesima” (art. 8, c. 3, d.lgs. n.159/2011) fermo restando che l’autorità giudiziaria, in “ogni caso, prescrive di vivere onestamente, di rispettare le leggi, e di non allontanarsi dalla dimora senza preventivo avviso all’autorità locale di pubblica sicurezza; prescrive, altresì, di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza, di non accedere agli esercizi pubblici e ai locali di pubblico trattenimento, anche in determinate fasce orarie, di non rincasare la sera più tardi e di non uscire la mattina più presto di una data ora e senza comprovata necessità e, comunque, senza averne data tempestiva notizia all’autorità locale di pubblica sicurezza, di non detenere e non portare armi, di non partecipare a pubbliche riunioni[67]” (art. 8, c. 4, d.lgs. n.159/2011) così come possono essere imposte “tutte le prescrizioni che ravvisi necessarie, avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale, e, in particolare, il divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più regioni, ovvero, con riferimento ai soggetti di cui agli articoli 1, comma 1, lettera c), e 4, comma 1, lettera i-ter), il divieto di avvicinarsi a determinati luoghi, frequentati abitualmente dalle persone cui occorre prestare protezione o da minori” (art. 8, c. 5, d.lgs. n.159/2011).
Inoltre, qualora “sia applicata la misura dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale o del divieto di soggiorno, può essere inoltre prescritto: 1) di non andare lontano dall’abitazione scelta senza preventivo avviso all’autorità preposta alla sorveglianza; 2) di presentarsi all’autorità di pubblica sicurezza preposta alla sorveglianza nei giorni indicati ed a ogni chiamata di essa. 7. Alle persone di cui al comma 6 è consegnata una carta di permanenza da portare con sé e da esibire ad ogni richiesta degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza” (art. 8, c. 6, d.lgs. n.159/2011).
Ciò posto, va infine rilevato che il “provvedimento è comunicato al procuratore della Repubblica, al procuratore generale presso la Corte di appello ed all’interessato e al suo difensore” (art. 8, c. 6, d.lgs. n.159/2011).
Nel caso di inosservanza di tale norma giuridica, inoltre, rileva l’art. 75 del codice antimafia essendo ivi disposto, da un lato, che il “contravventore agli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale e’ punito con l’arresto da tre mesi ad un anno” (primo comma)[68], dall’altro, che, se “l’inosservanza riguarda gli obblighi e le prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno, si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni ed e’ consentito l’arresto anche fuori dei casi di flagranza” (comma secondo) e, in questa seconda ipotesi, “gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria possono procedere all’arresto anche fuori dei casi di flagranza” (comma terzo).
Precisato ciò, sotto il versante ermeneutico, giova osservare come la Cassazione abbia avuto modo di postulare quanto segue: a) il “reato di cui all’art. 75 d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, che punisce la violazione della prescrizione che impone alla persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale “di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza”, prevista dall’art. 8, comma 4, del medesimo d.lgs., implica un’abitualità o serialità di comportamenti, essendo, conseguentemente, configurabile soltanto nel caso di plurimi e stabili contatti e frequentazioni con pregiudicati”[69]; b) in “tema di sorveglianza speciale, le cd. prescrizioni accessorie di cui all’art. 8 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 – che consentono di adattare le esigenze di difesa sociale proprie della misura di prevenzione al caso concreto – hanno efficacia integrativa del precetto relativo ai reati di cui all’art. 75, commi 1 e 2, del medesimo decreto, con la conseguenza che anche la loro violazione integra detti reati”[70].
Ad ogni modo, salvo “quanto e’ prescritto da altre disposizioni di legge, il sorvegliato speciale che, per un reato commesso dopo il decreto di sorveglianza speciale, abbia riportato condanna a pena detentiva non inferiore a sei mesi, puo’ essere sottoposto a liberta’ vigilata per un tempo non inferiore a due anni” (art. 75, c. 4, d.lgs. n. 159/2011).
Provvedimenti d’urgenza
L’art. 9 del codice antimafia regola i provvedimenti di urgenza.
Difatti, è ivi previsto che, se “la proposta riguarda la misura della sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno, il presidente del tribunale, con decreto, nella pendenza del procedimento di cui all’articolo 7, può disporre il temporaneo ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento equipollente” (comma primo) e nel “caso in cui sussistano motivi di particolare gravità, può altresì disporre che alla persona denunciata sia imposto, in via provvisoria, l’obbligo o il divieto di soggiorno fino a quando non sia divenuta esecutiva la misura di prevenzione” (comma secondo) fermo restando che, nei “casi di necessità e urgenza, il Questore, all’atto della presentazione della proposta di applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale e dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale nei confronti delle persone di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d), può disporre il temporaneo ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento equipollente” (comma secondo-bis, primo capoverso) e il “temporaneo ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento equipollente sono comunicati immediatamente al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove dimora la persona, il quale, se non ritiene di disporne la cessazione, ne richiede la convalida, entro quarantotto ore, al presidente del tribunale del capoluogo della provincia in cui la persona dimora che provvede nelle successive quarantotto ore con le modalità di cui al comma 1” (comma secondo-bis, secondo capoverso) ma il “ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento equipollente cessano di avere effetto se la convalida non interviene nelle novantasei ore successive alla loro adozione” (comma secondo-bis, terzo capoverso).
Le impugnazioni
“Il procuratore della Repubblica, il procuratore generale presso la corte di appello e l’interessato e il suo difensore hanno facoltà di proporre ricorso alla corte d’appello, anche per il merito” (art. 10, c. 1, d.lgs. n. 159/2011) mentre “è inammissibile il ricorso “per saltum” in cassazione contro le decisioni del tribunale, in quanto, in base al combinato disposto degli artt. 10 e 27 d.lg. 6 settembre 2011, n.159, è esperibile il solo ricorso dinanzi alla corte d’appello”[71] così come “è inammissibile per difetto di specificità dei motivi l’atto di appello del pubblico ministero avverso il decreto di rigetto della proposta che, in violazione di quanto prescritto dall’art. 581 cod. proc. pen., non contenga l’enunciazione specifica sia del capo oggetto di impugnazione che dei motivi e delle ragioni a sostegno della richiesta di revisione del giudizio di primo grado”[72].
Detto questo, a sua volta il comma 1-bis dell’art. 10 dispone che il “procuratore della Repubblica, senza ritardo, trasmette il proprio fascicolo al procuratore generale presso la corte di appello competente per il giudizio di secondo grado” (primo capoverso) e al “termine del procedimento di primo grado, il procuratore della Repubblica forma un fascicolo nel quale vengono raccolti tutti gli elementi investigativi e probatori eventualmente sopravvenuti dopo la decisione del tribunale” (secondo capoverso) fermo restando che gli “atti inseriti nel predetto fascicolo sono portati immediatamente a conoscenza delle parti, mediante deposito nella segreteria del procuratore generale” (terzo capoverso).
Dal canto suo il “ricorso non ha effetto sospensivo e deve essere proposto entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento”[73] (art. 10, c. 2, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) tanto è vero che la “Corte di appello, investita dell’impugnazione avverso il decreto applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. non ha il potere di disporre la sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato”[74].
A sua volta la Corte di Appello “provvede, con decreto motivato, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso” (art. 10, c. 2, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) (anche in questo caso si tratta di un termine ordinatorio, e non perentorio[75]) e, come per il giudizio di primo grado (e valgono quindi le considerazioni già fatte in precedenza), l’“udienza si svolge senza la presenza del pubblico” (art. 10, c. 2, terzo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) ma il “presidente dispone che il procedimento si svolga in pubblica udienza quando l’interessato ne faccia richiesta” (art. 10, c. 2, quarto capoverso, d.lgs. n. 159/2011).
Sempre la Corte di Appello, inoltre, “annulla il decreto di primo grado qualora riconosca che il tribunale era incompetente territorialmente e l’incompetenza sia stata riproposta nei motivi di impugnazione e ordina la trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica competente; la declaratoria di incompetenza non produce l’inefficacia degli elementi già acquisiti” (art. 10, c. 2-bis, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e si “applica l’articolo 7, comma 10-quater, primo periodo” (art. 10, c. 2-bis, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) (già esaminato in precedenza) fermo restando che tali disposizioni “si applicano anche qualora la proposta sia stata avanzata da soggetti non legittimati ai sensi dell’articolo 5 e l’eccezione sia stata riproposta nei motivi di impugnazione” (art. 10, c. 2-ter, d.lgs. n. 159/2011).
Sempre per quanto attiene il secondo grado di giudizio, oltre ad essere disposto che, in “caso di conferma del decreto impugnato, la corte di appello pone a carico della parte privata che ha proposto l’impugnazione il pagamento delle spese processuali” (art. 10, c. 2-quater, d.lgs. n. 159/2011), è stato rilevato, in sede nomofilattica, che: I) nel “procedimento di prevenzione, il giudice d’appello che intenda riformare “in peius” la decisione di rigetto della proposta adottata in primo grado non è tenuto a procedere alla rinnovazione dell’istruttoria, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., né ad una motivazione rafforzata del decreto di appello”[76]; II) nel “procedimento di prevenzione, in virtù dell’effetto limitatamente devolutivo del gravame, non è precluso al giudice di appello l’esame d’ufficio di elementi, sopravvenuti alla decisione di primo grado, che inducano a ritenere l’attenuazione della pericolosità del proposto ovvero un suo aggravamento”[77].
Ciò posto, a sua volta l’art. 10, c. 3, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011 stabilisce che avverso “il decreto della corte d’appello, è ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge, da parte del pubblico ministero e dell’interessato e del suo difensore, entro dieci giorni” e dunque è possibile ricorrere per Cassazione solo per questa violazione “sicchè il vizio di travisamento della prova per omissione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. è estraneo al procedimento di legittimità, a meno che il travisamento non abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibile alla violazione di legge”[78] fermo restando che nella nozione di “violazione di legge” “va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio”[79] sempreché però con il ricorso per cassazione si stata dedotta una censura relativa ad un punto della decisione (nella specie l’attualità della pericolosità del proposto) che ha formato oggetto dei motivi di gravame[80].
Chiarito ciò, dal canto suo la “Corte di cassazione provvede, in camera di consiglio, entro trenta giorni dal ricorso” (art. 10, c. 3, secondo capoverso, primo periodo, d.lgs. n. 159/2011) e il “ricorso non ha effetto sospensivo” (art. 10, c. 3, secondo capoverso, secondo periodo, d.lgs. n. 159/2011) e dunque il “procedimento per la trattazione in sede di legittimità dei ricorsi in materia di misure di prevenzione deve svolgersi nella forma ordinaria dell’udienza camerale non partecipata, prevista dall’art. 611 cod. proc. pen.[81]”[82] il che rileva “anche in caso di istanza di procedere nelle forme dell’udienza pubblica o del rito camerale partecipato”[83].
Ad ogni modo, la “competenza a decidere sulla richiesta di revoca o di modificazione delle prescrizioni inerenti a una misura di prevenzione spetta, nel caso di giudizio pendente dinanzi alla Corte di cassazione, al giudice che ha emesso il decreto impositivo della misura, in quanto in detta fase il giudice di appello non è più investito di alcuna valutazione in ordine al riesame della pericolosità del proposto, che, pertanto, non può essere privato di un grado di giudizio sull’istanza medesima”[84].
Detto questo, va infine osservato, da un lato, che in “caso di ricorso per cassazione si applicano le disposizioni dei commi 2-bis e 2-ter, ove ricorrano le ipotesi ivi previste” (art. 10, c. 3-bis, d.lgs. n. 159/2011), dall’altro, che, salvo “quando è stabilito nel presente decreto, per la proposizione e la decisione dei ricorsi, si osservano in quanto applicabili, le norme del codice di procedura penale riguardanti la proposizione e la decisione dei ricorsi relativi all’applicazione delle misure di sicurezza” (art. 10, c. 4, d.lgs. n. 159/2011) e dunque rilevano nel caso di specie tali disposizioni legislative.
1.2.8. L’esecuzione
Il provvedimento di applicazione delle misure di prevenzione, da una parte, “è comunicato al questore per l’esecuzione” (art. 11, c. 1, d.lgs. n. 159/2011), dall’altra, “su istanza dell’interessato e sentita l’autorità di pubblica sicurezza che lo propose, può essere revocato o modificato dall’organo dal quale fu emanato, quando sia cessata o mutata la causa che lo ha determinato” (art. 11, c. 2, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) così come “può essere altresì modificato, anche per l’applicazione del divieto o dell’obbligo di soggiorno, su richiesta dell’autorità proponente, quando ricorrono gravi esigenze di ordine e sicurezza pubblica o quando la persona sottoposta alla sorveglianza speciale abbia ripetutamente violato gli obblighi inerenti alla misura” (art. 11, c. 2, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) fermo restando che, nel “caso di modificazione del provvedimento o di taluna delle prescrizioni per gravi esigenze di ordine e sicurezza pubblica, ovvero per violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, il presidente del tribunale può, nella pendenza del procedimento, disporre con decreto l’applicazione provvisoria della misura, delle prescrizioni o degli obblighi richiesti con la proposta” (art. 11, c. 4, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).
Ad ogni modo, il “ricorso contro il provvedimento di revoca o di modifica non ha effetto sospensivo” (art. 11, c. 3, d.lgs. n. 159/2011) e dunque, come visto in precedenza per il giudice di cognizione, anche quello di esecuzione non può sospendere il provvedimento di revoca o di modifica della misura di prevenzione nel caso in cui sia proposto tale ricorso.
Terminato di esaminare cosa prevede l’art. 11 del codice antimafia, sotto il profilo interpretativo, giova osservare come la Cassazione abbia avuto modo di osservare quanto sussegue: 1) in “tema di misure di prevenzione, l’intervenuta assoluzione da un reato non comporta l’automatica revoca del provvedimento della sorveglianza speciale ai sensi dell’art. 11 d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, a condizione che la verifica della persistenza della originaria pericolosità sociale venga eseguita in relazione alla specifica categoria di pericolosità soggettiva, tipizzata dalla legge, che era stata contestata al proposto e nel cui ambito lo stesso era stato inquadrato nel provvedimento genetico”[85]; 2) “la competenza funzionale a provvedere sulla richiesta di revoca o modifica delle prescrizioni inerenti a una misura di prevenzione spetta all’organo giurisdizionale che ha emesso il relativo provvedimento, pur se diverso dal tribunale distrettuale, a nulla rilevando che la richiesta sia successiva all’entrata in vigore della novella, atteso che la stessa non dà luogo a un nuovo procedimento da attribuirsi alla cognizione del predetto tribunale, ma attiene alla fase cli esecuzione di un provvedimento già adottato, che resta disciplinata dall’articolo 11, comma 2, del decreto legislativo n. 159 del 2011”[86]; 3) in “tema di misure volte a prevenire la violenza negli stadi, la revoca o modifica del provvedimento del questore impositivo dell’obbligo di presentarsi ad un ufficio o comando di polizia in concomitanza di manifestazioni sportive, per la sua sostanziale annoverabilità fra le misure di prevenzione, trova regolamentazione, oltre che nell’art. 6, comma 5, l. 13 dicembre 1989, n. 401, anche nell’art. 11, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159 e, pertanto, presuppone la sussistenza di elementi sopravvenuti, o non precedentemente esaminati, idonei ad incrinare in maniera decisiva il corredo fattuale posto a fondamento della convalida del decreto, consentendo la rivalutazione delle esigenze di pericolosità”[87]; 4) ai “fini della revoca della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, ai sensi dell’art. 11, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il giudice della prevenzione è tenuto a compiere una complessiva valutazione della persistente condizione di pericolosità sociale del sottoposto, che, senza alcun automatismo valutativo e decisorio, tenga conto degli elementi originariamente acquisiti, correlandoli a quelli relativi all’evoluzione della personalità in relazione all’eventuale periodo di detenzione patito, ed alle ulteriori emergenze processuali”[88]; 5) non “è revocabile la misura di prevenzione applicata con provvedimento definitivo a soggetto collaboratore di giustizia per il solo fatto dell’intervenuta collaborazione con l’Autorità Giudiziaria, poichè, essendosi il giudizio di pericolosità cristallizzato nel giudicato, è onere del proposto allegare elementi specifici che consentano al giudice di valutare se la collaborazione possa essere ritenuta indice di interruzione dei rapporti con l’ambiente criminale e se sia, pertanto, idonea a far ritenere cessata la pericolosità”[89].
Autorizzazione ad allontanarsi dal comune di residenza o dimora abituale
L’art. 12 del codice antimafia disciplina il modo con cui si può ottenere l’autorizzazione ad allontanarsi dal comune di residenza o dimora abituale.
Difatti, in questa disposizione legislativa, è stabilito che, quando “ricorrono gravi e comprovati motivi di salute, le persone sottoposte all’obbligo di soggiorno possono essere autorizzate a recarsi in un luogo determinato fuori del comune di residenza o di dimora abituale, ai fini degli accertamenti sanitari e delle cure indispensabili, allontanandosi per un periodo non superiore ai dieci giorni, oltre al tempo necessario per il viaggio” (primo comma) così come l’autorizzazione “può essere concessa, nel medesimo limite temporale, anche quando ricorrono gravi e comprovati motivi di famiglia che rendano assolutamente necessario ed urgente l’allontanamento dal luogo di soggiorno coatto” (secondo comma).
Quindi, in “tema di misure di prevenzione, alla persona sottoposta alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno in un determinato comune può essere concessa l’autorizzazione ad allontanarsene anche per esigenze di lavoro, ai sensi dell’art. 12 d.lg. 6 settembre 2011 n. 159, sempre che sussistano gravi e comprovati motivi che rendano assolutamente necessario detto allontanamento”[90] ossia quando “ricorrono gravi e comprovati motivi di salute o di famiglia”[91] a nulla invece rilevando il “fine di soddisfare esigenze correlate all’esercizio del diritto di difesa e suscettibili di essere tutelate in forme alternative compatibili con i limiti imposti dal provvedimento in corso di esecuzione”[92].
Dal canto suo la “domanda dell’interessato deve essere proposta al presidente del tribunale competente ai sensi dell’articolo 5” del codice antimafia (art. 12, c. 2, d.lgs. n. 159/2011) mentre il Tribunale, a sua volta, “dopo aver accertato la veridicità delle circostanze allegate dall’interessato, provvede in camera di consiglio con decreto motivato” (art. 12, c. 3, d.lgs. n. 159/2011) fermo restando che nei “casi di assoluta urgenza la richiesta può essere presentata al presidente del tribunale competente ai sensi dell’articolo 5, il quale può autorizzare il richiedente ad allontanarsi per un periodo non superiore a tre giorni, oltre al tempo necessario per il viaggio” (art. 12, c. 4, d.lgs. n. 159/2011).
Ciò posto, va da ultimo osservato che il decreto appena menzionato, ossia quello previsto dai commi 3 e 4 di questo articolo, “è comunicato al procuratore della Repubblica ed all’interessato che possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge” (art. 12, c. 5, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) ma il “ricorso non ha effetto sospensivo” (art. 12, c. 5, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e di tale decreto “è altresì data notizia all’autorità di pubblica sicurezza che esercita la vigilanza sul soggiornante obbligato, la quale provvede ad informare quella del luogo dove l’interessato deve recarsi e a disporre le modalità e l’itinerario del viaggio” (art. 12, c. 6, d.lgs. n. 159/2011).
1.2.10. Rapporti della sorveglianza speciale con le misure di sicurezza e la libertà vigilata
L’art. 13, nel regolare i rapporti della sorveglianza speciale con le misure di sicurezza e la libertà vigilata, stabilisce che, quando “sia stata applicata una misura di sicurezza detentiva o la libertà vigilata, durante la loro esecuzione non si può far luogo alla sorveglianza speciale; se questa sia stata pronunciata, ne cessano gli effetti”.
Non può quindi andare in esecuzione la sorveglianza speciale allorchè sia stata applicata una misura di sicurezza detentiva o la libertà vigilata e una di queste sia in corso di esecuzione fermo restando che, ove invece tale misura di prevenzione venga comunque pronunciata, ne cessano gli effetti.
Pertanto, ai “sensi dell’art. 13 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non è applicabile la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel caso in cui sia già in atto una misura di sicurezza, essendo limitata la loro compatibilità applicativa all’ipotesi in cui la seconda sia eseguita successivamente alla prima”[93].
E infatti, “la sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno e la misura di sicurezza della libertà vigilata sono compatibili sul piano applicativo, sia pure in successione, nel senso che la prima prevale sulla seconda, la quale è eseguibile successivamente”[94].
1.2.11. Decorrenza e cessazione della sorveglianza speciale
L’art. 14 del codice antimafia, intitolato “Decorrenza e cessazione della sorveglianza speciale”, dispone che la “sorveglianza speciale comincia a decorrere dal giorno in cui il decreto è comunicato all’interessato e cessa di diritto allo scadere del termine nel decreto stesso stabilito, se il sorvegliato speciale non abbia, nel frattempo, commesso un reato” (comma primo) fermo restando che, se “nel corso del termine stabilito il sorvegliato commette un reato per il quale riporti successivamente condanna e la sorveglianza speciale non debba cessare, il tribunale verifica d’ufficio se la commissione di tale reato possa costituire indice della persistente pericolosità dell’agente; in tale caso il termine ricomincia a decorrere dal giorno nel quale è scontata la pena” (comma secondo).
Ad ogni modo, l’“esecuzione della sorveglianza speciale resta sospesa durante il tempo in cui l’interessato è sottoposto alla misura della custodia cautelare” (art. 14, c. 2-bis, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e in “tal caso, salvo quanto stabilito dal comma 2, il termine di durata della misura di prevenzione continua a decorrere dal giorno nel quale è cessata la misura cautelare, con redazione di verbale di sottoposizione agli obblighi” (art. 14, c. 2-bis, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) così come l’“esecuzione della sorveglianza speciale resta sospesa durante il tempo in cui l’interessato è sottoposto a detenzione per espiazione di pena” (art. 14, c. 2-ter, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e dopo “la cessazione dello stato di detenzione, se esso si è protratto per almeno due anni, il tribunale verifica, anche d’ufficio, sentito il pubblico ministero che ha esercitato le relative funzioni nel corso della trattazione camerale, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato, assumendo le necessarie informazioni presso l’amministrazione penitenziaria e l’autorità di pubblica sicurezza, nonché presso gli organi di polizia giudiziaria” (art. 14, c. 2-ter, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011)[95] fermo restando che al “relativo procedimento si applica, in quanto compatibile, il disposto dell’articolo 7” del codice antimafia (art. 14, c. 2-ter, terzo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e se “persiste la pericolosità sociale, il tribunale emette decreto con cui ordina l’esecuzione della misura di prevenzione, il cui termine di durata continua a decorrere dal giorno in cui il decreto stesso è comunicato all’interessato, salvo quanto stabilito dal comma 2 del presente articolo” (art. 14, c. 2-ter, quarto capoverso, d.lgs. n. 159/2011) mentre se “invece la pericolosità sociale è cessata, il tribunale emette decreto con cui revoca il provvedimento di applicazione della misura di prevenzione”(art. 14, c. 2-ter, quinto capoverso, d.lgs. n. 159/2011).
1.2.12. Rapporti dell’obbligo di soggiorno con la detenzione, le misure di sicurezza e la libertà vigilata
L’art. 15 del codice antimafia regola i rapporti dell’obbligo di soggiorno con la detenzione, le misure di sicurezza e la libertà vigilata[96].
In particolare, al comma primo è disposto che il “tempo trascorso in custodia cautelare seguita da condanna o in espiazione di pena detentiva, anche se per effetto di conversione di pena pecuniaria, non è computato nella durata dell’obbligo del soggiorno” mentre al secondo comma è sancito che l’“obbligo del soggiorno cessa di diritto se la persona obbligata è sottoposta a misura di sicurezza detentiva” (primo capoverso) e se “alla persona obbligata a soggiornare è applicata la libertà vigilata, la persona stessa vi è sottoposta dopo la cessazione dell’obbligo del soggiorno” (secondo capoverso).
Da ciò deriva, da un lato, che, in “tema di misure di prevenzione, la regola della fungibilità del periodo di custodia cautelare indebitamente sofferto con quello relativo alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno – desumibile dall’art. 15 d.lg. n. 159 del 2011 – non opera se la misura cautelare sia di tipo non custodiale o sia stata applicata prima dell’insorgenza della condizione di pericolosità sociale posta a fondamento della misura di prevenzione”[97], dall’altro, che l’obbligo di soggiorno cessa ope legis se la persona obbligata è sottoposta a misura di sicurezza detentiva mentre, se alla persona obbligata a soggiornare è applicata la libertà vigilata, costui è sottoposto a tale misura di sicurezza una volta che sia cessato l’obbligo di soggiorno.
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Note
[1]Cass. pen., sez. VI, 27/05/2020, n. 25597.
[2]Cass. pen., sez. V, 23/10/2018, n. 57125.
[3]Cass. pen., sez. II, 19/01/2018, n. 11846.
[4]Cass. pen., sez. VI, 15/04/2020, n. 13177. In senso analogo, Cass. pen., sez. VI, 8/04/2020, n. 21045 (“Le “categorie di delitto” che possono essere assunte a presupposto della misura di prevenzione fondata sul giudizio di pericolosità generica ex art. 1, comma 1, lett. b) del cd. Codice Antimafia sono suscettibili di trovare concretizzazione, in ottica “tassativizzante”, in virtù dei seguenti requisiti – da ancorare a precisi “elementi di fatto”, di cui il giudice di merito dovrà dare conto puntualmente nella motivazione -, per cui deve trattarsi: a) di delitti commessi “abitualmente”, e dunque in un significativo arco temporale, dal proposto; b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui; c) che costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unica, o quanto meno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo”).
[5]Il richiamo a tale pronuncia, difatti, in relazione a tale approdo ermeneutico, è confermato anche da quella sentenza con cui la Cassazione ha per l’appunto affermato che, in “tema di misure di prevenzione, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, le “categorie di delitto” legittimanti l’applicazione di una misura fondata sul giudizio di cd. pericolosità generica, ai sensi dell’art. 1, lett. b), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, devono presentare il triplice requisito – da ancorare a precisi elementi di fatto, di cui il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione – per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo” (Cass. pen., sez. II, 16/04/2019, n. 27263).
[6]Cass. pen., sez. VI, 3/03/2020, n. 13716.
[7]Cass. pen., sez. II, 22/03/2019, n. 27854.
[8]Cass. pen., sez. II, 15/07/2020, n. 23929.
[9]Cass. pen., sez. V, 19/01/2018, n. 15492.
[10]Consiglio di Stato, sez. III, 20/06/2018, n. 3781.
[11]Consiglio di Stato, sez. III, 14/02/2017, n. 662.
[12]Cass. pen., sez. I, 5/03/2020, n. 13975. In senso analogo, Cass. pen., sez. I, 10/01/2020, n. 11645 (“In tema di misure di prevenzione, le prescrizioni di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel Comune oggetto dell’ordine di allontanamento costituiscono condizioni imprescindibili e inscindibili per la legittima emissione del foglio di via obbligatorio; ne consegue che la mancanza di una delle due prescrizioni (nella specie, quella relativa all’ordine di rientro) determina l’illegittimità del suddetto provvedimento”); Cass. pen., sez. I, 20/12/2019, n. 4374 (“In tema di misure di prevenzione, le prescrizioni di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel Comune oggetto dell’ordine di allontanamento costituiscono condizioni imprescindibili e inscindibili per la legittima emissione del foglio di via obbligatorio; ne consegue che, la mancanza di una delle due prescrizioni (nella specie, quella relativa all’ordine di rientro), determina l’illegittimità del suddetto provvedimento”); Cass. pen., sez. I, 21/11/2019, n. 7894 (“In tema di misure di prevenzione, le prescrizioni di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel Comune oggetto dell’ordine di allontanamento costituiscono condizioni necessarie ed inscindibili per la legittima emissione del foglio di via obbligatorio; ne consegue che la mancanza di una delle due imposizioni, determinando l’illegittimità dell’atto amministrativo”); Cass. pen., sez. I, 3/06/2019, n. 36653 (“In tema di misure di prevenzione, le prescrizioni di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel Comune oggetto dell’ordine di allontanamento costituiscono condizioni imprescindibili e inscindibili per la legittima emissione del foglio di via obbligatorio; ne consegue che, la mancanza di una delle due prescrizioni (nella specie, quella relativa all’ordine di rientro), determina l’illegittimità del suddetto provvedimento”); Cass. pen., sez. I, 15/05/2019, n. 47636 (“In tema di misure di prevenzione, le prescrizioni di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel Comune oggetto dell’ordine di allontanamento costituiscono condizioni imprescindibili e inscindibili per la legittima emissione del foglio di via obbligatorio; ne consegue che, la mancanza di una delle due prescrizioni (nella specie, quella relativa all’ordine di rientro), determina l’illegittimità del suddetto provvedimento”); Cass. pen., sez. I, 16/04/2019, n. 30950 (“In tema di misure di prevenzione, le prescrizioni di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel Comune oggetto dell’ordine di allontanamento costituiscono condizioni imprescindibili e inscindibili per la legittima emissione del foglio di via obbligatorio; ne consegue che, la mancanza di una delle due prescrizioni (nella specie, quella relativa all’ordine di rientro), determina l’illegittimità del suddetto provvedimento”); Cass. pen., sez. I, 19/03/2019, n. 33108 (“In tema di misure di prevenzione, le prescrizioni di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel comune oggetto dell’ordine di allontanamento costituiscono condizioni imprescindibili e inscindibili per la legittima emissione del foglio di via obbligatorio; ne consegue che, la mancanza di una delle due prescrizioni determina l’illegittimità del suddetto provvedimento”).
[13]Ibidem.
[14]Cass. pen., sez. I, 25/06/2019, n. 40832.
[15]Ai sensi del quale: “1. Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall’articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell’inizio del procedimento.2. Nelle ipotesi di cui al comma 1 resta salva la facoltà dell’amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari”.
[16]T.A.R. Firenze (Toscana), sez. II, 7/05/2018, n. 614. In senso analogo, T.A.R. Torino (Piemonte), sez. I, 15/05/2015, n. 796 (“Per la comunicazione, ex artt. 1 lett. c) e 3, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, di avviso orale a tenere, per l’avvenire, una condotta conforme a legge e, quindi, di un atto avente natura ed efficacia monitoria, non è necessaria la comunicazione ex art. 7, l. 7 agosto 1990 n. 241, atteso che il presupposto giuridico dell’avviso orale è costituito da una condotta del destinatario del provvedimento tale da far ritenere che lo stesso, ove non modifichi il proprio comportamento, possa evidenziare ulteriori e più gravi condotte pericolose, ovvero commettere reati; ne consegue che l’intervento dell’autorità di Pubblica Sicurezza, consistente nell’invito a cambiare condotta, deve essere considerato urgente nell’accezione di cui al cit. art. 7”).
[17]Ibidem.
[18]T.A.R. Perugia (Umbria), sez. I, 22/02/2017, n. 158.
[19]Consiglio di Stato, sez. III, 9/05/2016, n. 1859.
[20]T.A.R. Torino (Piemonte), sez. I, 15/05/2015, n. 796.
[21]T.A.R. Lecce (Puglia), sez. I, 11/12/2013, n. 2414.
[22]T.A.R. Catanzaro (Calabria), sez. I, 24/01/2015, n. 168.
[23]A tal proposito è stato postulato in sede nomofilattica quanto segue: ai “fini dell’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso è necessario accertare il requisito della “attualità” della pericolosità del proposto, sicché, a fronte di elementi positivi denotanti l’abbandono di logiche criminali di appartenenza all’associazione, l’applicazione della misura nei confronti di soggetti già detenuti per lunghi periodi temporali non può essere fondata sulla presunzione di permanenza desunta dalla condotta precedente alla pronuncia di condanna emessa nel separato giudizio penale” (Cass. pen., sez. II, 14/01/2020, n. 8541); “il concetto di “appartenenza” a una associazione mafiosa, rilevante quale condizione di applicabilità della misura, comprende anche condotte non connotate da un vincolo stabile, che si sostanzino in azioni funzionali a circoscritte esigenze associative, con esclusione delle sole situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale” (Cass. pen., sez. VI, 4/07/2019, n. 49750); “l’appartenenza ad una associazione mafiosa integra un’ipotesi di pericolosità sociale qualificata anche quando la condotta del proposto, pur non riconducibile ad una vera e propria partecipazione al gruppo criminale, sia apprezzabile in termini di vicinanza all’associazione tale da risultare, attraverso un contributo fattivo alle attività ed allo sviluppo del sodalizio, funzionale agli interessi della stessa” (Cass. pen., sez. II, 22/03/2019, n. 27855); ai “fini del giudizio di pericolosità del proposto quale indiziato di appartenenza ad un’associazione mafiosa, il giudice della prevenzione non può utilizzare, ove non sopraggiungano ulteriori incrementi cognitivi, i medesimi elementi indizianti che, in sede cautelare penale, sono stati ritenuti inidonei a configurare un quadro gravemente indiziario ai fini della qualificazione della medesima condotta come concorso esterno in associazione mafiosa” (Cass. pen., sez. I, 20/02/2019, n. 21735); “il giudizio sull’attualità della pericolosità sociale dell’indiziato di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso può essere fondato su elementi di fatto valorizzati in altri provvedimenti giudiziari, a condizione che ne sia effettuata un’autonoma valutazione, senza possibilità di recepire acriticamente il giudizio prognostico sulla pericolosità sociale contenuto in detti provvedimenti, anche se relativi a misure di sicurezza o a misure cautelari” (Cass. pen., sez. I, 5/02/2019, n. 10034); ai “fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di appartenenti ad associazione di tipo mafioso, non è necessaria alcuna particolare motivazione in ordine all’attualità della pericolosità, una volta che l’appartenenza risulti adeguatamente dimostrata e non sussistano elementi dai quali desumere che essa sia venuta meno per effetto del recesso personale ovvero della disintegrazione del sodalizio stesso, tuttavia, la presunzione della pericolosità non è assoluta ed è destinata ad attenuarsi, facendo risorgere la necessità di una specifica motivazione, quando più gli elementi rilevatori dell’inserimento nel sodalizio siano lontani nel tempo rispetto al momento del giudizio” (Cass. pen., sez. VI, 15/06/2017, n. 33923). Per il concorso esterno in associazione di tipo mafioso, vedasi: Cass. pen., sez. VI, 6/12/2016, n. 4926 (“Le misure di prevenzione patrimoniale possono essere disposte anche nei confronti dell’indiziato di concorso esterno in associazione mafiosa in quanto anche esso rientra tra gli appartenenti alle associazioni indicate dell’art. 1 l. 31 maggio 1965, n. 575 e ora nell’art. 4, comma 1, lett. a), d.lg. 6 settembre 2011, n. 159”).
[24]La Corte costituzionale, con sentenza 24 gennaio-27 febbraio 2019, n. 24 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della presente lettera, nella parte in cui stabilisce che i provvedimenti previsti dal capo II si applichino anche ai soggetti indicati nell’art. 1, lettera a).
[25]A tal riguardo è stato asserito che uno “stalker va collocato nella categoria dei soggetti contemplati dall’art. 4, comma 1, lettera i) ter del d.lgs. 159/2011 come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera d) della l. 161/2017 in relazione alla presenza di una pericolosità sociale intensa ed attuale che mette in pericolo, a causa della manifestazioni di violenza, la sicurezza pubblica e primariamente quella della sua ex compagna (nella specie parte offesa del procedimento di atti persecutori), ne consegue che allo stesso va applicata la misura di sorveglianza speciale per pericolosità sociale di cui all’art. 6 d.lgs. 159/2011 anche in assenza di condanna in primo grado, posto che in diverse occasioni ha mostrato un’indole violenta e prevaricatrice nei confronti dell’ex compagna (sia durante la convivenza che dopo la rottura della stessa) caratterizzata da un crescendo di brutalità partendo dalle percosse fino ad arrivare alla minaccia di morte con un coltello, nonché aggressioni sessuali” (Trib. Milano, 9/10/2018, in Redazione Giuffrè, 2018).
[26]Cass. pen., sez. VI, 11/11/2016, n. 50128.
[27]Cass. pen., sez. IV, 17/07/2012, n. 29911.
[28]Cass. pen., sez. II, 7/12/2016, n. 2487.
[29]Cass. pen., sez. II, 24/04/2019, n. 22512.
[30]Cass. pen., sez. I, 7/07/2015, n. 45380.
[31]Cass. pen., sez. I, 24/03/2015, n. 23407.
[32]Cass. pen., sez. VI, 27/06/2018, n. 40270.
[33]Cass. pen., sez. I, 14/10/2015, n. 45417.
[34]Ai sensi del quale: “Il divieto di cui al comma 1 e l’ulteriore prescrizione di cui al comma 2 non possono avere durata inferiore a un anno e superiore a cinque anni e sono revocati o modificati qualora, anche per effetto di provvedimenti dell’autorità giudiziaria, siano venute meno o siano mutate le condizioni che ne hanno giustificato l’emissione. In caso di condotta di gruppo di cui al comma 1, la durata non puo’ essere inferiore a tre anni nei confronti di coloro che ne assumono la direzione. Nei confronti della persona gia’ destinataria del divieto di cui al primo periodo e’ sempre disposta la prescrizione di cui al comma 2 e la durata del nuovo divieto e della prescrizione non puo’ essere inferiore a cinque anni e superiore a dieci anni. La prescrizione di cui al comma 2 è comunque applicata quando risulta, anche sulla base di documentazione videofotografica o di altri elementi oggettivi, che l’interessato ha violato il divieto di cui al comma 1. Nel caso di violazione del divieto di cui al periodo precedente, la durata dello stesso puo’ essere aumentata fino a otto anni”.
[35]Cass. pen., sez. V, 23/11/2018, n. 1308. In senso analogo, Cass. pen., sez. I, 23/03/2017, n. 23346 (“E legittima l’adozione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con l’obbligo di soggiorno nei confronti di persona già sottoposta al divieto, disposto dal questore, ai sensi dell’art. 6, comma quinto, della legge 13 dicembre 1989, n. 401, di accedere a manifestazioni sportive, con relativo obbligo di presentazione personale all’autorità di polizia in occasione degli incontri di calcio (DASPO), in quanto si tratta di misure differenti che non si sovrappongono”).
[36]Cass. pen., sez. V, 19/02/2018, n. 23627.
[37]Cass. pen., sez. V, 6/10/2016, n. 50847.
[38]In tal senso, vedasi: Cass. pen., sez. VI, 5/06/2019, n. 27724 (“I termini entro i quali, ai sensi del d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, art. 7, comma 1 e 10, comma 2, il tribunale e la corte di appello devono provvedere, rispettivamente, sulla proposta di applicazione della misura di prevenzione personale e sul ricorso in appello avverso il decreto di primo grado, sono di natura ordinatoria, in mancanza della previsione di qualsiasi sanzione per il mancato rispetto degli stessi”); Cass. pen., sez. I, 24/03/2015, n. 23407 (“In tema di procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione, i termini entro i quali, ai sensi dell’art. 7, comma primo e 10 comma secondo del D.Lgs. 6 settembre 2011 n.159, il Tribunale e la Corte di appello devono provvedere, rispettivamente, sulla proposta di applicazione della misura di prevenzione personale e sul ricorso in appello avverso il decreto di primo grado, sono di natura ordinatoria, in mancanza della previsione di qualsiasi sanzione per il mancato rispetto degli stessi”).
[39]Cass. pen., sez. V, 15/11/2018, n. 57151.
[40]A tal riguardo è stato asserito che, in “tema di procedimento di prevenzione, non è consentito l’utilizzo della “PEC” per la comunicazione di atti e di provvedimenti del giudice al pubblico ministero” (Cass. pen., sez. V, 14/11/2018, n. 3181).
[41]Per cui: “Se la richiesta appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, il giudice o il presidente del collegio, sentito il pubblico ministero, la dichiara inammissibile con decreto motivato, che è notificato entro cinque giorni all’interessato. Contro il decreto può essere proposto ricorso per cassazione”.
[42]Cass. pen., sez. I, 19/12/2018, n. 2154.
[43]Cass. pen., sez. V, 13/01/2017, n. 21831.
[44]Alla stregua del quale: “Salvo quanto previsto dal comma 2, il giudice o il presidente del collegio, designato il difensore di ufficio all’interessato che ne sia privo, fissa la data dell’udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso alle parti e ai difensori. L’avviso è comunicato o notificato almeno dieci giorni prima della data predetta. Fino a cinque giorni prima dell’udienza possono essere depositate memorie in cancelleria”.
[45]Cass. pen., sez. V, 19/09/2013, n. 43382.
[46]Cass. pen., sez. VI, 10/07/2013, n. 44408.
[47]Secondo cui: “Quando è disposta la partecipazione a distanza, è attivato un collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza e il luogo della custodia, con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto. Se il provvedimento è adottato nei confronti di più imputati che si trovano, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in luoghi diversi, ciascuno è posto altresì in grado, con il medesimo mezzo, di vedere ed udire gli altri”.
[48]Alla stregua del quale: “E’ sempre consentito al difensore o a un suo sostituto di essere presente nel luogo dove si trova l’imputato. Il difensore o il suo sostituto presenti nell’aula di udienza e l’imputato possono consultarsi riservatamente, per mezzo di strumenti tecnici idonei”.
[49]Per cui: “Il luogo dove l’imputato si collega in audiovisione è equiparato all’aula di udienza”.
[50]Secondo il quale: “Un ausiliario abilitato ad assistere il giudice in udienza designato dal giudice o, in caso di urgenza, dal presidente è presente nel luogo ove si trova l’imputato e ne attesta l’identità dando atto che non sono posti impedimenti o limitazioni all’esercizio dei diritti e delle facoltà a lui spettanti. Egli dà atto altresì della osservanza delle disposizioni di cui al comma 3 ed al secondo periodo del comma 4 nonché, se ha luogo l’esame, delle cautele adottate per assicurarne la regolarità con riferimento al luogo ove si trova. A tal fine interpella, ove occorra, l’imputato ed il suo difensore. Durante il tempo del dibattimento in cui non si procede ad esame dell’imputato il giudice o, in caso di urgenza, il presidente, può designare ad essere presente nel luogo ove si trova l’imputato, in vece dell’ausiliario, un ufficiale di polizia giudiziaria scelto tra coloro che non svolgono, né hanno svolto, attività di investigazione o di protezione con riferimento all’imputato o ai fatti a lui riferiti. Delle operazioni svolte l’ausiliario o l’ufficiale di polizia giudiziaria redigono verbale a norma dell’articolo 136 del codice”.
[51]Per cui: “Se nel dibattimento occorre procedere a confronto o ricognizione dell’imputato o ad altro atto che implica l’osservazione della sua persona, il giudice, ove lo ritenga indispensabile, sentite le parti, dispone la presenza dell’imputato nell’aula di udienza per il tempo necessario al compimento dell’atto”.
[52]A tal riguardo è stato asserito che, in “tema di procedimento di prevenzione, non è necessaria l’assunzione delle prove dichiarative in contraddittorio tra le parti, essendo sufficiente che al proposto sia consentito, mediante l’esame degli atti, la possibilità di piena conoscenza del loro contenuto ed il diritto di controdedurre” (Cass. pen., sez. VI, 19/07/2017, n. 40552).
[53]Cass. pen., sez. II, 18/01/2017, n. 3954.
[54]Cass. pen., sez. I, 6/11/2012, n. 46808.
[55]Cass. pen., sez. I, 14/11/2014, n. 51843. In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 5/07/2013, n. 35767 (“In tema di misure di prevenzione, la disciplina del procedimento applicativo dettata dall’art. 7 d.lg. 6 settembre 2011 n. 159 si pone in linea di continuità con quella dettata dall’abrogato art. 4 l. n. 1423 del 1956, per cui rimane valido il principio, già più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento a detta ultima disposizione normativa, secondo cui l’invito a comparire indirizzato al soggetto nei cui confronti è stata chiesta l’applicazione di una misura di prevenzione dev’essere assimilato al decreto di citazione a giudizio e deve quindi contenere, a pena di nullità, l’indicazione non solo della misura proposta, ma anche del tipo di pericolosità posta a fondamento della richiesta”).
[56]Per cui: “1. Il verbale contiene la menzione del luogo, dell’anno, del mese, del giorno e, quando occorre, dell’ora in cui è cominciato e chiuso, le generalità delle persone intervenute, l’indicazione delle cause, se conosciute, della mancata presenza di coloro che sarebbero dovuti intervenire, la descrizione di quanto l’ausiliario ha fatto o ha constatato o di quanto è avvenuto in sua presenza nonché le dichiarazioni ricevute da lui da altro pubblico ufficiale che egli assiste. 2. Per ogni dichiarazione è indicato se è stata resa spontaneamente o previa domanda e, in tal caso, è riprodotta anche la domanda; se la dichiarazione è stata dettata dal dichiarante, o se questi si è avvalso dell’autorizzazione a consultare note scritte, ne è fatta menzione”.
[57]Secondo il quale: “1. Il giudice dell’esecuzione procede a richiesta del pubblico ministero, dell’interessato o del difensore. 2. Se la richiesta appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, il giudice o il presidente del collegio, sentito il pubblico ministero, la dichiara inammissibile con decreto motivato, che è notificato entro cinque giorni all’interessato. Contro il decreto può essere proposto ricorso per cassazione. 3. Salvo quanto previsto dal comma 2, il giudice o il presidente del collegio, designato il difensore di ufficio all’interessato che ne sia privo, fissa la data dell’udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso alle parti e ai difensori. L’avviso è comunicato o notificato almeno dieci giorni prima della data predetta. Fino a cinque giorni prima dell’udienza possono essere depositate memorie in cancelleria. 4. L’udienza si svolge con la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero. L’interessato che ne fa richiesta è sentito personalmente; tuttavia, se è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice, è sentito prima del giorno dell’udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo, salvo che il giudice ritenga di disporre la traduzione. 5. Il giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno; se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del contraddittorio. 6. Il giudice decide con ordinanza. Questa è comunicata o notificata senza ritardo alle parti e ai difensori, che possono proporre ricorso per cassazione. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni sulle impugnazioni e quelle sul procedimento in camera di consiglio davanti alla corte di cassazione. 7. Il ricorso non sospende l’esecuzione dell’ordinanza, a meno che il giudice che l’ha emessa disponga diversamente. 8. Se l’interessato è infermo di mente, l’avviso previsto dal comma 3 è notificato anche al tutore o al curatore; se l’interessato ne è privo, il giudice o il presidente del collegio nomina un curatore provvisorio. Al tutore e al curatore competono gli stessi diritti dell’interessato. 9. Il verbale di udienza è redatto soltanto in forma riassuntiva a norma dell’articolo 140 comma 2” c.p.p..
[58]A tal proposito corre l’obbligo di fare presente che “è legittimo lo svolgimento di accertamenti preordinati alla verifica delle condizioni per l’applicazione delle misure di prevenzione personali o patrimoniali, rientrando dette verifiche negli ampi poteri istruttori assegnati al giudice dall’art. 666, comma 5, c.p.p.” (Cass. pen., sez. V, 14/11/2018, n. 3181).
[59]Cass. pen., sez. I, 13/06/2018, n. 40765.
[60]A tal riguardo è stato affermato che, nel “procedimento di prevenzione, la previsione di cui all’art. 7, comma 10-bis, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, come modificato dalla l. 17 ottobre 2017, n. 161, secondo cui “le questioni concernenti la competenza per territorio devono essere rilevate o eccepite, a pena di decadenza, alla prima udienza e comunque subito dopo l’accertamento della regolare costituzione delle parti e il tribunale le decide immediatamente”, costituisce una disposizione innovativa e non una norma di interpretazione autentica della previgente disciplina” (Cass. pen., sez. V, 18/01/2019, n. 7236).
[61]Per cui: “1. Il tribunale, anche d’ufficio, con decreto motivato, ordina il sequestro dei beni dei quali la persona nei cui confronti è stata presentata la proposta risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, ovvero dispone le misure di cui agli articoli 34 e 34-bis ove ricorrano i presupposti ivi previsti. Il tribunale, quando dispone il sequestro di partecipazioni sociali totalitarie, ordina il sequestro dei relativi beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile, anche al fine di consentire gli adempimenti previsti dall’articolo 104 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. In ogni caso il sequestro avente ad oggetto partecipazioni sociali totalitarie si estende di diritto a tutti i beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile. Nel decreto di sequestro avente ad oggetto partecipazioni sociali il tribunale indica in modo specifico i conti correnti e i beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile ai quali si estende il sequestro. 2. Prima di ordinare il sequestro o disporre le misure di cui agli articoli 34 e 34-bis e di fissare l’udienza, il tribunale restituisce gli atti all’organo proponente quando ritiene che le indagini non siano complete e indica gli ulteriori accertamenti patrimoniali indispensabili per valutare la sussistenza dei presupposti di cui al comma 1 per l’applicazione del sequestro o delle misure di cui agli articoli 34 e 34-bis. 3. Il sequestro è revocato dal tribunale quando risulta che esso ha per oggetto beni di legittima provenienza o dei quali l’indiziato non poteva disporre direttamente o indirettamente o in ogni altro caso in cui è respinta la proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale. Il tribunale ordina le trascrizioni e le annotazioni consequenziali nei pubblici registri, nei libri sociali e nel registro delle imprese. 4. L’eventuale revoca del provvedimento non preclude l’utilizzazione ai fini fiscali degli elementi acquisiti nel corso degli accertamenti svolti ai sensi dell’articolo 19. 5. Il decreto di sequestro e il provvedimento di revoca, anche parziale, del sequestro sono comunicati, anche in via telematica, all’Agenzia di cui all’articolo 110 subito dopo la loro esecuzione”.
[62]Alla stregua del quale: “Il provvedimento di sequestro perde efficacia se il tribunale non deposita il decreto che pronuncia la confisca entro un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore giudiziario. Nel caso di indagini complesse o compendi patrimoniali rilevanti, il termine di cui al primo periodo può essere prorogato con decreto motivato del tribunale per sei mesi. Ai fini del computo dei termini suddetti, si tiene conto delle cause di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, previste dal codice di procedura penale, in quanto compatibili; il termine resta sospeso per un tempo non superiore a novanta giorni ove sia necessario procedere all’espletamento di accertamenti peritali sui beni dei quali la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente. Il termine resta altresì sospeso per il tempo necessario per la decisione definitiva sull’istanza di ricusazione presentata dal difensore e per il tempo decorrente dalla morte del proposto, intervenuta durante il procedimento, fino all’identificazione e alla citazione dei soggetti previsti dall’articolo 18, comma 2, nonché durante la pendenza dei termini previsti dai commi 10-sexies, 10-septies e 10-octies dell’articolo 7” del codice antimafia.
[63]Cass. pen., sez. VI, 15/06/2017, n. 43446.
[64]Per cui: “1. Nei casi previsti dall’articolo 544 commi 2 e 3 del codice, il presidente provvede personalmente alla redazione della motivazione o designa un estensore tra i componenti del collegio. 2. L’estensore consegna la minuta della sentenza al presidente il quale, se sorgono questioni sulla motivazione, ne dà lettura al collegio, che può designare un altro estensore. 3. La minuta, sottoscritta dall’estensore e dal presidente, è consegnata alla cancelleria per la formazione dell’originale. 4. Il presidente e l’estensore, verificata la corrispondenza dell’originale alla minuta, sottoscrivono la sentenza. 4-bis. Il Presidente della Corte d’appello può prorogare, su richiesta motivata del giudice che deve procedere alla redazione della motivazione, i termini previsti dall’articolo 544, comma 3, del codice, per una sola volta e per un periodo massimo di novanta giorni, esonerando, se necessario, il giudice estensore da altri incarichi. Per i giudizi di primo grado provvede il presidente del tribunale. In ogni caso del provvedimento è data comunicazione al Consiglio superiore della magistratura”.
[65]Cass. pen., sez. VI, 2/04/2019, n. 41975.
[66]Cass. pen., sez. V, 26/10/2018, n. 11242.
[67]A tal riguardo è stato postulato in sede nomofilattica che in “caso di applicazione della misura di prevenzione personale, ferma la necessaria verifica circa l’attuale pericolosità sociale del proposto, il giudice possa disporre il divieto di partecipare a pubbliche riunioni a condizione: a) che giustifichi la prescrizione in ragione della specifica (ed attuale) pericolosità sociale del destinatario in considerazione di ben evidenziate esigenze di tutela sociale e di sorveglianza del proposto; b) che definisca esattamente i contenuti della restrizione, precisando a quali “pubbliche riunioni” essa trovi applicazione, in connessione con le rappresentate esigenze di difesa sociale ed in ragione di esse” (Cass. pen., sez. VI, 29/05/2019, n. 25771). Sempre per quanto attiene le pubbliche riunioni, vedasi anche: Cass. pen., Sez. Un., 28/03/2019, n. 46595 (“In tema di misure di prevenzione, la portata applicativa del divieto di partecipare a pubbliche riunioni, quale prescrizione accessoria alla misura della sorveglianza speciale, deve essere limitata, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata, alle sole riunioni non occasionali di più persone in luogo pubblico”).
[68]La Corte costituzionale, con sentenza 27 febbraio 2019, n. 25, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui prevede come reato contravvenzionale la violazione degli obblighi inerenti la misura della sorveglianza speciale senza obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”. Anche prima le Sezioni Unite avevano però postulato che l’“inosservanza delle prescrizioni generiche di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”, da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non configura il reato previsto dall’art. 75, comma 2, d.lg. n. 159 del 2011, il cui contenuto precettivo è integrato esclusivamente dalle prescrizioni c.d. specifiche” (Cass. pen., Sez. Un., 27/04/2017, n. 40076). In senso conforme, Cass. pen., sez. fer., 22/08/2017, n. 39247 (“La norma incriminatrice di cui all’art. 75 d.lg. n. 159 del 2011, là dove punisce la condotta di chi violi gli obblighi e le prescrizioni imposti con la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, ai sensi dell’art. 8 del d.lg. citato, non ha ad oggetto anche la violazione delle prescrizioni di ‘vivere onestamente’ e di ‘rispettare le leggi’, stante al loro indeterminatezza”).
[69]Cass. pen., sez. I, 20/02/2020, n. 14149.
[70]Cass. pen., sez. I, 26/02/2018, n. 12889. In senso parzialmente difforme, vedasi però: Cass. pen., sez. I, 9/04/2018, n. 31322 (“L’inosservanza del divieto di partecipare a pubbliche riunioni da parte del soggetto sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno non integra il reato previsto dall’articolo 75, comma 2, del decreto legislativo 159 del 2011”); Cass. pen., sez. I, 29/09/2015, n. 48686 (“In tema di violazione del divieto, imposto al sorvegliato speciale, di associarsi abitualmente con persone che abbiano riportato condanne e siano sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza – di cui all’art. 8, comma quarto, D.Lgs. n. 159 del 2011 – la frequentazione di persone gravate esclusivamente da procedimenti penali pendenti non è idonea a configurare il reato; nel caso, invece, in cui il soggetto frequentato abbia riportato una condanna, non risultante nel certificato penale spedito a richiesta di privati, è necessario accertare in concreto la conoscenza dei pregiudizi penali della persona frequentata da parte del soggetto sottoposto alla misura di sorveglianza, desumibile da elementi fattuali attinenti al contesto socio-ambientale in cui i rapporti tra il prevenuto e la persona pregiudicata si collocano o da altri fattori sintomatici”).
[71]Cass. pen., sez. VI, 11/04/2019, n. 21181.
[72]Cass. pen., sez. VI, 21/09/2017, n. 28825.
[73]A tal riguardo è stato affermato che il “termine di dieci giorni per l’impugnazione da parte del pubblico ministero del decreto che rigetta la richiesta di applicazione della misura di prevenzione personale, decorre dalla conoscenza legale del provvedimento impugnabile e del suo contenuto – conseguente alla sua comunicazione effettuata dalla cancelleria nella forma dell’avviso di deposito, ai sensi dell’art. 128 cod. proc. pen., o integralmente ai sensi dell’art. 153 cod. proc. pen. – ovvero dalla effettiva conoscenza del provvedimento e del suo contenuto risultante dalla relativa attestazione apposta sull’atto, sottoscritta dal rappresentante dell’accusa” (Cass. pen., sez. VI, 19/07/2017, n. 45111).
[74]Cass. pen., sez. I, 11/07/2019, n. 49675. In senso analogo, Cass. pen., sez. V, 14/02/2018, n. 10520 (“Nel procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione personali, il giudice di appello, dinanzi al quale sia stato impugnato il decreto applicativo della misura di prevenzione delle sorveglianza speciale, non ha il potere di disporre la sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato”).
[75]Vedasi in tal senso: Cass. pen., sez. VI, 5/06/2019, n. 27724 (“I termini entro i quali, ai sensi del d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, art. 7, comma 1 e 10, comma 2, il tribunale e la corte di appello devono provvedere, rispettivamente, sulla proposta di applicazione della misura di prevenzione personale e sul ricorso in appello avverso il decreto di primo grado, sono di natura ordinatoria, in mancanza della previsione di qualsiasi sanzione per il mancato rispetto degli stessi”); Cass. pen., sez. I, 24/03/2015, n. 23407 (“In tema di procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione, i termini entro i quali, ai sensi dell’art. 7, comma primo e 10 comma secondo del D.Lgs. 6 settembre 2011 n.159, il Tribunale e la Corte di appello devono provvedere, rispettivamente, sulla proposta di applicazione della misura di prevenzione personale e sul ricorso in appello avverso il decreto di primo grado, sono di natura ordinatoria, in mancanza della previsione di qualsiasi sanzione per il mancato rispetto degli stessi”).
[76]Cass. pen., sez. VI, 19/07/2017, n. 45111.
[77]Cass. pen., sez. V, 18/10/2019, n. 48095.
[78]Cass. pen., sez. II, 6/07/2020, n. 20968.
[79]Cass. pen., sez. VI, 18/06/2020, n. 21525.
[80]Difatti, è “inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduce una censura relativa ad un punto della decisione (nella specie l’attualità della pericolosità del proposto) che non ha formato oggetto dei motivi di gravame” (Cass. pen., sez. V, 17/11/2017, n. 8763).
[81]Ai sensi del quale: “Oltre che nei casi particolarmente previsti dalla legge, la corte procede in camera di consiglio quando deve decidere su ogni ricorso contro provvedimenti non emessi nel dibattimento, fatta eccezione delle sentenze pronunciate a norma dell’articolo 442. Se non è diversamente stabilito e in deroga a quanto previsto dall’articolo 127, la corte giudica sui motivi, sulle richieste del procuratore generale e sulle memorie delle altre parti senza intervento dei difensori. Fino a quindici giorni prima dell’udienza, tutte le parti possono presentare motivi nuovi e memorie e, fino a cinque giorni prima, possono presentare memorie di replica”.
[82]Cass. pen., sez. VI, 28/09/2017, n. 50437.
[83]Ibidem.
[84]Cass. pen., sez. I, 16/05/2017, n. 39247.
[85]Cass. pen., sez. VI, 7/07/2020, n. 20576.
[86]Cass. pen., sez. I, 17/07/2018, n. 39905. In senso analogo, Cass. pen., sez. I, 9/01/2015, n. 18224 (“La competenza a provvedere sulle proposte di aggravamento di misure di prevenzione personali, così come su ogni istanza di revoca o modifica delle stesse, anche a seguito della nuova previsione di cui all’art. 11, comma secondo, D.Lgs. n. 159 del 2011, spetta in via funzionale all’organo giurisdizionale che ha emesso il provvedimento di cui si chiede la modifica”).
[87]Cass. pen., sez. III, 30/01/2018, n. 41073.
[88]Cass. pen., sez. I, 24/01/2017, n. 19657.
[89]Cass. pen., sez. I, 23/04/2015, n. 34485.
[90]Cass. pen., sez. I, 24/06/2020, n. 23392.
[91]Cass. pen., sez. II, 28/04/2017, n. 38825.
[92]Cass. pen., sez. VI, 4/11/2014, n .47588. In senso conforme, Cass. pen., sez. VI, 20/03/2014, n. 15163 (“In tema di misure di prevenzione, alla persona sottoposta alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno in un determinato comune può essere concessa l’autorizzazione ad allontanarsene quando ricorrono gravi e comprovati motivi di salute o di famiglia, ma non anche al fine di soddisfare esigenze correlate all’esercizio del diritto di difesa e suscettibili di essere tutelate in forme alternative compatibili con i limiti imposti dal provvedimento in corso di esecuzione”).
[93]Cass. pen., sez. V, 3/02/2017, n. 39534.
[94]Cass. pen., sez. I, 26/01/2016, n. 49581.
[95]A tal proposito è stato osservato in sede nomofilattica che “il procedimento ex art. 14, comma 2-ter, d.lgs. n. 159 del 2011 attribuisce al tribunale il potere di dare esecuzione alla misura ovvero di revocarla, a seconda dell’esito dell’accertamento circa la persistenza della pericolosità sociale compiuto dopo un periodo di detenzione di almeno due anni, ma non consente di modificare parzialmente la misura, anche in relazione al termine di durata, potendo tale modifica essere adottata solo con il procedimento di cui all’art. 11, comma 2, dello stesso decreto durante l’esecuzione della misura e, dunque, anche eventualmente dopo che il procedimento ex art. 14 cit. si sia concluso con un provvedimento che a tale esecuzione abbia dato luogo” (Cass. pen., sez. II, 28/02/2020, n. 20954).
[96]La Corte costituzionale, con sentenza 2-6 dicembre 2013, n. 291, ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione per espiazione di pena della persona ad essa sottoposta, l’organo che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosita’ sociale dell’interessato nel momento dell’esecuzione della misura.
[97]Cass. pen., sez. I, 16/05/2014, n. 24969.
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