L’istituto dell’arresto (come quello del fermo) trova fondamento nell’articolo 13 della Costituzione che, dopo avere sancito al comma 1 la natura inviolabile della libertà personale e, al successivo cpv., l’inammissibilità di ogni forma di restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge, stabilisce che “In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto”.
L’arresto in flagranza (da tenere distinto qui dall’arresto inteso quale pena principale applicabile alle contravvenzioni) si concretizza in una privazione provvisoria di libertà (temporanea e precautelare) di competenza esclusiva della polizia giudiziaria – salvo quanto previsto dall’art. 383 c.p.p. – e si distingue in arresto obbligatorio in flagranza e arresto facoltativo in flagranza.
Seppur con diverse differenziazioni, entrambi i tipi di arresto appena detti e previsti dal Legislatore agli artt. 380 e 381 c.p.p. hanno un presupposto comune sul quale, a parere di chi scrive, anche per i rilievi pratici, occorre soffermarsi: gli Ufficiali e gli Agenti di polizia giudiziaria devono, ovvero possono, agire in caso di flagranza di reato (in particolare – ad esclusione degli altri casi espressamente elencati ed in quello in cui sia prevista la perseguibilità a querela – di delitto non colposo, dunque doloso, consumato o tentato per il quale la legge stabilisca la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiori e nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni nel caso di obbligatorietà dell’arresto; mentre quando sia prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni ovvero ove si tratti di delitto colposo punito con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e sempre che la misura sia giustificata dalla gravità del fatto oppure dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto, nel caso di arresto facoltativo). Ebbene, di questo minimo comune denominatore è data una nozione dalla stessa legge, nel successivo art. 382 c.p.p., secondo cui “è in stato di flagranza chi viene colto nell’atto di commettere il reato – c.d. flagranza propria – ovvero chi – nel qual caso si parla di flagranza impropria –, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima”. È opportuno precisare poi che è previsto un’eccezionale estensione dello stato di flagranza fino a 48 ore dalla commissione del fatto contestato (c.d. flagranza differita) secondo l’art. 8 (rubricato «Effetti dell’arresto in flagranza durante o in occasione di manifestazioni sportive») della Legge del 13 Dicembre 1989, n. 401, a mente del quale comma 1 ter – dopo le modifiche apportate dal D.L. del 8 Febbraio 2007 convertito nella Legge del 4 Aprile 2007 n. 41 – “Nei casi di cui al comma 1-bis, quando non è possibile procedere immediatamente all’arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell’articolo 382 del codice di procedura penale colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerge con evidenza il fatto, ne risulta autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto”. La Suprema Corte di cassazione a Sezioni Unite si è poi recentemente soffermata, risolvendo un contrasto sorto in seno alle Sezioni Semplici, sulla figura della quasi flagranza stabilendo il principio di diritto in base al quale “Non può procedersi all’arresto in flagranza sulla base di informazioni della vittima o di terzi fornite nella immediatezza del fatto” poiché, in tale ipotesi, non sussiste la condizione di “quasi flagranza”, la quale presuppone la immediata ed autonoma percezioni, da parte di chi proceda all’arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato: nella fattispecie l’arresto era stato eseguito sulla base delle sole indicazioni della persona offesa, riguardanti le generalità dell’aggressore[1].
Sono poi previsti – si precisa qui – dei casi eccezionali in cui è possibile procedere all’arresto fuori da casi di flagranza[2].
Come si accennava, la polizia giudiziaria non è l’unica competente ad operare l’arresto, ma anche i privati hanno riconosciuto un potere (non un obbligo) in tal senso: l’art. 383 c.p.p. infatti prevede che, nei soli casi in cui sia consentito e previsto l’arresto obbligatorio in flagranza e quando si tratti di delitti perseguibili d’ufficio (certo non potendo la persona offesa sporgere querela anche orale al privato e tanto meno potersi prevedere un limite per la polizia giudiziaria e non per i privati ex art. 380, comma 3, c.p.p.), ognuno è autorizzato a procedervi. La stessa disposizione del Codice di rito disciplina anche le modalità in cui il non appartenente alla polizia giudiziaria dovrà procedere tenuto conto che “la persona che ha eseguito l’arresto deve senza ritardo consegnare l’arresto e le cose costituenti il corpo del reato alla polizia giudiziaria la quale redige il verbale della consegna e ne rilascia copia”. La ratio del secondo comma appena riportato è da ricavarsi appunto nel fatto che il privato consegni l’arrestato nel più breve tempo possibile, in modo da evitare che una misura eccezionale si trasformi in un sequestro di persona. Determinante, ai fini della legittimità dell’arresto è la circostanza che la persona arrestata non sia trattenuta dai privati, intervenuti nell’operazione, oltre il tempo strettamente necessario per l’esecuzione della consegna agli organi di polizia.
Oltre ai requisiti e presupposti positivi detti fino ad ora, ne sono previsti altri negativi. Si tratta del divieto di arresto (come di fermo) in determinate circostanze: l’art. 385 c.p.p. statuisce infatti che le misure precautelari non sono consentite quando, tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che quest’ultimo è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità. Il Giudice della convalida dell’arresto in flagranza – si ricorda fin da ora – deve operare con giudizio ex ante, avendo riguardo alla situazione in cui la polizia giudiziaria ha provveduto, desumibile dal verbale di arresto, senza tener conto degli elementi non conosciuti o non conoscibili della stessa, che siano successivamente emersi (v. Cass. Pen., Sez. III, Sentenza del 7 Luglio 2010, n. 35962, quando il massimo Consesso di Via Cavour annullava con rinvio l’Ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sezione distaccata di Aversa, del 4 Giugno 2009 nella quale la mancata convalida dell’arresto era fondata sull’utilizzo di documentazione medica prodotta all’udienza da cui risultava un grave deficit intellettivo dell’incolpato che escludeva la cosciente consumazione del reato; in motivazione la Corte ha precisato che, in questo caso, è consentito al Giudice accertare se sia o meno evidente la causa di non punibilità di cui all’art. 385 c.p.p. onde valutare come illegittimo l’arresto).
Misure precautelari: arresto in flagranza e fermo
Le due misure precautelari dell’arresto in flagranza e del fermo condividono anche la previsione dell’art. 386 che disciplina i doveri, in questa fase, della polizia giudiziaria una volta eseguito l’arresto (o il fermo) ovvero preso in consegna l’arrestato. Ebbene, gli Agenti o gli Ufficiali, una volta data immediata notizia della misura al Pubblico Ministero del luogo ove l’arresto o il fermo è stato eseguito, consegnano all’arrestato (o al fermato) una comunicazione scritta – ovvero comunicano oralmente laddove non fosse prontamente disponibile un avviso scritto in una lingua comprensibile all’arrestato o al fermato – redatta in forma chiara e precisa e, se questi non conosce la lingua italiana, tradotta in una lingua a lui comprensibile, con cui lo informano: della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge; del diritto di ottenere informazioni in merito all’accusa; del diritto all’interprete ed alla traduzione di atti fondamentali; del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere; del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda l’arresto o il fermo; del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari; del diritto di accedere all’assistenza medica di urgenza; del diritto di essere condotto davanti all’autorità giudiziaria per la convalida entro novantasei ore dall’avvenuto arresto o fermo; del diritto di comparire dinanzi al giudice per rendere l’interrogatorio e di proporre ricorso per cassazione contro l’ordinanza che decide sulla convalida dell’arresto o del fermo.
Sempre in ottica difensiva, dell’avvenuto arresto (o fermo) gli Ufficiali e gli Agenti di polizia giudiziaria informano immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato ovvero quello di ufficio designato dal Pubblico Ministero a norma dell’art. 97 c.p.p. In relazione a quest’ultima ed importantissima previsione di cui al comma 2, si segnala qui l’indirizzo non condiviso dallo scrivente Autore, però consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’inosservanza da parte della polizia giudiziaria dell’obbligo di avviso immediato al difensore di fiducia dell’avvenuto arresto non determina alcuna forma di invalidità o di inefficacia dell’atto, non essendo sanzionata sul piano processuale tale mancanza[3]. A sostegno di quanto invece sostenuto è opportuno segnalare l’Ordinanza del 2 Gennaio 2012 del G.I.P. presso il Tribunale di Avezzano che ha dichiarato la nullità dell’arresto sottoposto alla sua attenzione “non convalidando lo stesso per violazione da parte della Polizia Giudiziaria di norme sulla assistenza e rappresentanza della persona sottoposta alle indagini arrestata, previste a pena di nullità”. Dal verbale di arresto si deduceva che la P.G. operante non aveva provveduto a richiedere alla Procura la nomina di un difensore di ufficio all’arrestato che non aveva nominato un difensore di fiducia. Conseguentemente, l’arresto non era stato comunicato ad alcun difensore e l’arrestato era rimasto privo dell’assistenza difensiva prevista dall’art. 386, comma 2, c.p.p. Per il G.I.P – si legge dal provvedimento – “ritenuto che la violazione dei doveri di cui all’art. 386, comma 2, c.p.p. da parte della P.G. costituisce violazione di una norma inerente l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato, norma estensibile ex art. 61 c.p.p. anche alla persona sottoposta alle indagini in quanto relativa alla tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantito, […], tale violazione concretizza una nullità di ordine generale dell’arresto eseguito dalla Polizia Giudiziaria, ai sensi dell’art. 178 lett. c) c.p.p.”. Per mero spirito di completezza, oltre che per anticipare quanto si dirà dopo, il Giudicante, in ordine alla richiesta di misura cautelare formulata dal P.M., applicava misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e disponeva l’immediata scarcerazione dell’indagato, se non detenuto per altro. La concreta importanza dell’avviso tempestivo al difensore è di facile comprensione: il difensore, infatti, se immediatamente informato, potrà da subito conferire con la persona arrestata (o fermata), salve le eccezionali dilazioni di cui all’art. 104 c.p.p., oltre che porre in essere, con maggiore efficacia, altra attività difensiva quale, ad esempio, prospettare l’opportunità di un’immediata liberazione dell’arrestato (o del fermato), ex artt. 389 c.p.p. e 121 disp. att. c.p.p. Insomma, solo assicurando la puntuale nomina di un avvocato di fiducia o d’ufficio ex art. 97 c.p.p. e fornendo a questo un’immediata informativa, il diritto di difesa – inviolabile in ogni stato e grado del procedimento secondo l’art. 24 Cost. – che l’art. 386, comma 2, c.p.p. intende garantire alla persona privata della libertà personale, avrà modo di compiersi realmente ed in modo efficace. Se non fosse così importante la tempestività dell’avviso al difensore, non si spiegherebbe inoltre altrimenti perché il verbale di arresto da trasmettere al P.M. debba poi contenere, tra l’altro, l’eventuale nomina del difensore di fiducia nonché l’obbligo di avviso, da parte della polizia col consenso dell’arrestato, dell’avvenuto arresto ai familiari del sottoposto alla misura precautelare, potendo anche questi, in forza della previsione di cui all’art. 96, comma 3, c.p.p. nominare un difensore per l’incolpato.
Tornando all’art. 386 c.p.p., ancora, il comma 3 prevede poi che, qualora la liberazione non sia disposta dalla stessa polizia giudiziaria prima dell’intervento del P.M., gli Ufficiali o gli Agenti pongono l’arrestato a disposizione del magistrato inquirente al più presto e comunque non oltre ventiquattro ore dall’arresto trasmettendo, entro lo stesso termine (salvo che il P.M. non ne autorizzi la dilazione), il verbale. Tali termini sono comunque previsti a pena di inefficacia dell’arresto.
Procedendo con la disamina di quanto previsto dal Codice di procedura penale, a questo punto, secondo l’art. 388, il P.M. procede all’interrogatorio dell’arrestato (o del fermato), secondo le forme previste dall’art. 64 c.p.p., dandone tempestivo avviso al difensore di fiducia ovvero d’ufficio, ed informandolo del fatto per cui si procede oltre che delle ragioni che hanno determinato l’applicazione della misura, degli elementi a suo carico e, qualora non possa derivarne nocumento alle indagini, le fonti. La mancata o intempestiva notifica al difensore di fiducia determina, si noti, una nullità a regime intermedio ex art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., sanabile dall’indagato in vinculis qualora lo stesso rinunci al difensore cui non è stato notificato l’avviso e opti per la nomina di un difensore d’ufficio[4]. L’interrogatorio da parte del Pubblico Ministero rappresenta tuttavia, come appare chiaro già dalla lettera della disposizione, una mera facoltà, nonostante sia questi l’organo deputato a richiedere poi al G.I.P. la convalida dell’arresto, del fermo o della misura dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare di cui all’art. 384 bis c.p.p. introdotto dal D.L. del 14 Agosto 2013, n. 93, convertito in L. del 15 Ottobre 2013, n. 119.
Sempre nel rispetto di quanto previsto ed inizialmente detto dall’art. 13, comma 3, Cost. si pone la previsione ed i termini fissati dal Legislatore nell’art. 390 c.p.p. a mente del quale entro quarantotto ore dall’arresto (o dal fermo) – inteso come apprensione fisica dell’arrestato e non dal momento della redazione del verbale restando comunque escluso dal computo il tempo tecnico di accertamento della identità dell’interessato[5] (si pensi al caso in cui questo sia straniero) – il pubblico ministero, sempre nel caso in cui non debba ordinare la immediata liberazione dell’arrestato (o del fermato), richiede la convalida al G.I.P. competente in relazione al luogo dove l’arresto (o il fermo) è stato eseguito. Con la richiesta di convalida, secondo l’art. 122 disp. att. c.p.p., il Pubblico Ministero trasmette al Giudicante il verbale di arresto (o di fermo) e copia della documentazione attestante che l’arrestato o il fermato è stato tempestivamente condotto nel luogo di custodia. Stante la mancata previsione di alcuna forma particolare di invio, e tenuto conto della urgenza della trasmissione, deve ritenersi legittima la trasmissione di tutti gli atti a mezzo telefax[6].
Il Giudice, a questo punto, fissa l’udienza di convalida al più presto e comunque non oltre le successive quarantotto ore dandone tempestivo avviso al Pubblico Ministero ed al difensore. Anche in questo caso – probabilmente a meno ragione per logiche difensive – circa la modalità di avviso, considerata l’urgenza, è valida la comunicazione al difensore della data di udienza di convalida dell’arresto anche se effettuata tramite SMS sul cellulare[7]. Da segnalare è poi un intervento, più risalente ma maggiormente garantista, degli Ermellini a Sezioni Unite secondo cui, in tema di avvisi al difensore, nei casi in cui, ricorrendo una situazione di urgenza, la legge, in luogo di prevedere la “notifica” dell’avviso, si limiti a stabilire che lo stesso deve essere “dato” al difensore, deve ritenersi sufficiente procurare al destinatario dell’avviso l’effettiva conoscenza della notizia, anche se questa è comunicata con forme diverse da quelle prescritte per le notificazioni. Peraltro, quando non sia possibile procurare conoscenza “effettiva”, è solo la conoscenza “legale” che può far ritenere osservata la norma che prescrive l’avviso, sicché in tal caso occorre usare le forme stabilite per le notificazioni, che costituiscono il mezzo normalmente previsto dal Legislatore per portare a conoscenza delle persone atti del procedimento da compiere o compiuti[8].
L’udienza di convalida così fissata, secondo l’art. 391 c.p.p., si svolge in camera di consiglio (dunque nelle forme previste dall’art. 127 c.p.p. a cui si rinvia) ed è prevista la partecipazione necessaria del difensore dell’arrestato (o fermato) che comunque, laddove non fosse stato reperito o non compaia, è sostituito d’ufficio dal Giudice. Non è prevista, invece, la partecipazione necessaria del Pubblico Ministero. Quest’ultimo, se compare, indica i motivi dell’applicazione della misura precautelare ed illustra le richieste in ordine alla libertà personale potendo dunque avanzare richieste di applicazione di misure cautelari (come detto sopra, nel caso dell’Ordinanza del G.I.P. di Avezzano che non aveva convalidato arresto ma applicato misura cautelare); se ritiene di non comparire, invece, secondo l’art. 390, comma 3 bis, c.p.p. trasmette al Giudice le dette richieste sulla libertà personale dell’incolpato e gli elementi su cui si fondano.
L’interrogatorio dell’arrestato
È previsto che il Giudicante poi proceda all’interrogatorio dell’arrestato (o del fermato) – che per il P.M. era facoltativo – a meno che questi non abbia potuto o si sia rifiutato di comparire. In relazione a quest’ultimo punto deve necessariamente precisarsi, data la possibile duplice decisione che il Giudice dovrà prendere (in ordine alla convalida ed all’applicazione di misura cautelare) e l’autonomia dei procedimenti per come a breve si dirà, che, in caso di legittimo impedimento dell’arrestato a comparire, al Giudice non è vietato provvedere alla convalida essendo la possibile non comparizione dell’arrestato contemplata dal Codice di rito in termini di evenienza non preclusiva[9]; mentre l’indagato che non sia comparso, anche volontariamente, all’udienza di convalida, deve, nel caso di adozione nei suoi confronti della misura cautelare della custodia in carcere, essere interrogato o posto in condizione di esserlo dopo l’adozione di detta misura, verificandosi altrimenti la perdita di efficacia di essa a norma dell’art. 302 c.p.p.[10].
È chiaro comunque che il Giudice della convalida potrà applicare una misura cautelare coercitiva solo laddove ne sussistano i presupposti di cui agli artt. 273 ss. c.p.p. Solo nel caso in cui l’arresto fosse stato eseguito per uno dei delitti elencati dall’art. 381, comma 2, c.p.p. ovvero per uno dei delitti per i quali sia previsto l’arresto fuori dai casi di flagranza (si pensi all’evasione), è possibile per il Giudice applicare una misura senza il rispetto dei limiti di pena fissati dagli artt. 274, comma 1, lett. c), e 280 c.p.p.
Si badi che in questo caso, dunque, l’Ordinanza ex art. 291 c.p.p. non verrà emessa inaudita altera parte e si tenga sempre presente che l’Ordinanza di convalida della misura precautelare ha ad oggetto esclusivamente il controllo di legittimità dell’operato della polizia giudiziaria, ed essendo autonoma rispetto all’eventuale successivo titolo di detenzione – indispensabile perché permanga lo stato in vinculis –, non richiede, per la sua adozione, la sussistenza delle condizioni legittimanti la misura cautelare[11]. Tale autonomia ed indipendenza tra convalida dell’arresto (o fermo) e applicazione di misura cautelare si riflette anche in ordine alle impugnazioni degli stessi provvedimenti, considerato che le impugnazioni proposte avverso le Ordinanze che dispongono misure cautelari non possono estendersi ai provvedimenti di convalida e viceversa[12], nonché sulla nullità dei relativi provvedimenti, anche se inseriti nel corpo del medesimo documento[13].
Se non è disposta una misura coercitiva, l’arrestato è immediatamente liberato.
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Note
[1] Cass. Pen., SS.UU., Sentenza del 21.09.2016, n. 39131; conforme Cass. Pen., Sez. I, Sentenza del 16.10.2014, n. 43394; contra Cass. Pen., Sez. III, Sentenza del 27.05.2015, n. 22136.
[2] V. art. 3, D.L. n. 152/1991.
[3] Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza del 13.06.2014, n. 25235; Sez. VI, Sentenza del 06.08.2013, n. 34083; Sez. VI, Sentenza del 29.07.2009, n. 31281; Sez. IV, Sentenza del 08.10.2007, n. 36941; Sez. II, Sentenza del 11.11.2003, n. 43063.
[4] Cass. Pen., Sez. I, Sentenza del 6.11.1996, n. 5167.
[5] Cass. Pen., Sez. I, Sentenza del 18.06.2010, n. 23686.
[6] Cass. Pen., Sez. III, Sentenza del 20.11.2003, n. 44417.
[7] Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza del 30.07.2012, n. 30984, quando il difensore, deve sottolinearsi, comunque era già stato avvisato, tramite fax, dell’avvenuto arresto del proprio assistito.
[8] Cass. Pen., SS.UU., Sentenza del 11.01.1994, n. 23.
[9] Cass. Pen., Sez. V, Sentenza del 15.06.2009, n. 24612.
[10] Cass. Pen., Sez. VI, Sentenza del 28.02.1992, n. 146.
[11] Cass. Pen., Sez. VI, Sentenza del 22.03.2016, n. 12291.
[12] Cass. Pen., Sez. VI, Sentenza del 08.08.2003, n. 34031, laddove è precisato che il rimedio del ricorso per cassazione, esperibile contro il provvedimento del G.I.P. che nega la convalida dell’arresto, non è consentito avverso il diniego di applicazione della misura cautelare, che può essere invece impugnato dal P.M. con l’appello al tribunale, come previsto generalmente dall’art. 310, comma 1, c.p.p.
[13] Cass. Pen., SS.UU., Sentenza del 15.10.1999, n. 17.
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