Precedenti giurisprudenziali: cass., sez. 2, sentenza n. 12633 del 17/6/2016; cass., sez. 2, sentenza n. 1989 del 2/2/2016; cass., sez. 2, sentenza n. 12520 del 21/5/2010; cass., sez. 2, sentenza n. 13313 del 9/6/2009
La vicenda
La vicenda prendeva l’avvio quando i proprietari di un appartamento, facente parte di un condominio, citavano in giudizio gli altri condomini per far accertare il loro buon diritto a realizzare un nuovo bagno nella loro unità immobiliare (soprastante quella dei convenuti), collocando in corrispondenza del muro condominiale nuovi tubi di scarico necessari per realizzare l’opera.
Le modifiche erano necessarie perché il bagno esistente, accessibile solo dalla cucina ed avente estensione di 1 mq, era dotato di sola tazza wc.
Nel corso del giudizio gli attori erano stati autorizzati a collocare provvisoriamente sul muro comune del caseggiato l’immobile una condotta fognaria esterna.
Il tribunale non riteneva legittimo il nuovo bagno in quanto le tubazioni non rispettavano le distanze legali previste dall’art. 889 c.c., secondo comma, secondo cui per i tubi d’acqua pura o lurida, per quelli di gas e simili e loro diramazioni deve osservarsi la distanza di almeno un metro dal confine.
Anche secondo la corte d’appello il manufatto violava la distanza di un metro dal confine, anche in considerazione del fatto che gli attori non avevano dimostrato la necessità della scelta di realizzare il bagno sul muro opposto rispetto a quello in cui era in precedenza, previa collocazione di una nuova condotta fognante: in altre parole secondo i giudici di secondo grado la scelta di cambiare la posizione delle tubazioni era frutto di libera determinazione degli attori i quali ben avrebbero potuto continuare ad usare la condotta originaria.
Inevitabilmente la questione è stata sottoposta alla suprema corte.
La questione
L’art. 889 c.c., secondo comma, si applica anche quando il condomino vuole realizzare o ristrutturare un impianto da considerarsi indispensabile ai fini di una completa e reale utilizzazione dell’appartamento?
La soluzione
Secondo la cassazione, i giudici di secondo grado non hanno applicato correttamente i principi elaborati in materia dalla giurisprudenza.
In particolare si nota che è indispensabile il contemperamento degli interessi fra norme che regolano i rapporti di vicinato e diritti e facoltà dei condomini.
Sulla base di questo principio i giudici supremi ricordano che l’art. 889 c.c. Non opera nel caso di impianti da considerarsi indispensabili ai fini di una completa e reale utilizzazione dell’immobile, tale da essere adeguata all’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini nel campo abitativo e alle moderne concezioni in tema di igiene.
Di conseguenza si è affermato che la creazione o modifica di un secondo bagno nelle moderne abitazioni di taglio medio, in quanto esigenza tanto diffusa da rivestire il carattere dell’essenzialità, giustifica la mancata applicazione dell’art. 889 c.c. Negli edifici in condominio.
In ogni caso secondo la Cassazione, i giudici di secondo grado non hanno considerato che il nuovo bagno, a differenza del precedente, rispettava le norme di igiene dettate dal decreto del ministero della sanità del 5/7/1975 e dal regolamento edilizio comunale, secondo il quale deve essere provvisto di vaso, bidet, lavabo e vasca da bagno o doccia, con divieto di accesso dalla cucina anche se con interposto antibagno.
Ma soprattutto la corte non ha considerato che, secondo il ctu, l’unica possibile collocazione della condotta era “simile a quella attuale”.
Al contrario, la corte ha respinto la richiesta degli attori, senza alcun cenno alle suddette risultanze del ctu e senza verificare se lo spostamento della condotta fosse dipeso o meno da una scelta deliberata degli attori e non da esigenze inderogabili.
Le riflessioni conclusive
Nelle costruzioni in cui la proprietà è divisa per piani orizzontali è indubbio che il rispetto della normativa sulle distanze sia per lo più impossibile per effetto della stessa struttura dell’edificio.
A parte il fatto che bagni e cucine sono posti, normalmente in colonna, l’uno sopra all’altro, in corrispondenza delle condutture montanti e discendenti, talché sussistono tubazioni di interesse comune che non rispettano assolutamente le distanze, si può agevolmente notare come in ogni bagno o cucina vi siano tubazioni (di proprietà esclusiva di ogni singolo condomino) installate, nel pavimento, e quindi entro una soletta divisoria comune, a distanza non legale dal soffitto del condomino sottostante.
In altre parole si deve notare che le distanze previste dal legislatore nel rapporto tra fondi contigui, male si adattano al diverso scenario ed ai più ristretti spazi dell’ambito condominiale, il quale vede necessariamente disposte le varie unità immobiliari di proprietà esclusiva, sia in senso longitudinale sia in senso latitudinale.
Si comprende allora perché la giurisprudenza, applicando i principi sopra espressi, in diverse decisioni, ha sostenuto la derogabilità all’applicazione della disciplina contenuta nel secondo comma dell’art. 889 c.c. In ambito condominiale.
In altre parole la disciplina in discorso non opera nell’ipotesi dell’installazione di impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di una reale abitabilità dell’appartamento, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo l’apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unità immobiliari altrui.
Tale principio non muta in relazione alla struttura ed alla collocazione dell’appartamento nell’ambito dell’edificio condominiale: si tratti di mansarda (alloggio sottotetto) o di attico, di appartamento ampio o minuscolo, esso trova comunque applicazione ogni volta che, secondo l’apprezzamento del giudice del merito, ricorra la necessità di un impianto necessario.
In effetti non sembra censurabile il comportamento del condomino che, al fine di dotare il proprio appartamento di servizi igienico sanitari, di cui prima era praticamente sprovvisto, proceda all’installazione di tubi orizzontali nella struttura che divide i due appartamenti (il soffitto o piano di calpestio).
Alle stesse condizioni si deve arrivare nel caso di ristrutturazione del bagno o di realizzazione di un secondo bagno o di un impianto di riscaldamento.
Del resto, dai principi e criteri sovraesposti emerge la necessità non solo dell’indispensabilità dell’impianto (secondo l’incensurabile apprezzamento del giudice del merito), ma anche l’impossibilità o l’estrema difficoltà – anche sotto il profilo dell’eccessiva onerosità – di realizzarlo senza utilizzare una cosa o parte comune e/o senza violare le norme sulle distanze dettate dall’art. 889 c.c.
In altre parole la deroga al rispetto delle distanze presuppone l’impossibilità di posizionare altrimenti le tubazioni – attesa la (necessaria) contiguità delle unità immobiliari comprese nell’edificio condominiale.
Di conseguenza non si può derogare all’articolo 889 c.c. Se l’appartamento di elevata metratura è dotato di impianti pienamente funzionali e la necessità di collocare le tubazioni a distanza illegale nasce dall’esigenza del condomino di suddividere l’immobile in due distinte ed autonome unità immobiliari, munite di bagno e cucina, al fine di collocarlo positivamente sul mercato immobiliare (in tal senso, si veda: cass. Civ., sez. Ii, 17/06/2016, n. 12633).
Tuttavia, in un caso in cui la conduttura di scarico delle acque luride, provenienti dall’appartamento del primo piano, a seguito di una ristrutturazione dei servizi, era stata collocata – in sostituzione di quella preesistente situata all’interno dei muri portanti – sulla parete perimetrale esterna dell’edificio ed a distanza di circa 20 cm dallo stipite della finestra dell’appartamento al piano terra, i giudici supremi hanno affermato la necessità di una nuova accurata indagine del giudice di merito.
In particolare la Cassazione ha sottolineato come fosse necessaria la verifica della compatibilità della norma in discorso con il regime condominiale (valutando la struttura dell’edificio e lo stato dei luoghi) o, in caso negativo, se non dovessero essere preferite soluzioni o adottati accorgimenti idonei ad evitare o, comunque, a ridurre il danno derivante al proprietario del piano terra dalla collocazione della conduttura sulla porzione del muro comune corrispondente alla sua abitazione ed a così breve distanza da una finestra della medesima, quali, in via esemplificativa, la riattivazione della condotta di scarico già utilizzata anteriormente alla ristrutturazione dei servizi o l’incassamento della tubazione nello spessore del muro perimetrale (cass. Civ., sez. Ii, 05/12/1990, n. 11695).
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