Le norme penali “in bianco” e il principio di offensivita’

Redazione 29/10/03
di Dr. Enrico bruno

(Fonti : Art. 25/2 Cost.; Artt. 1 – 2 – 329 – 348 – 509 – 650 – 653 – 659 – 663 – 678 – 686 – 697 – 698 – 699 – 703 – 705 c.p.; Art. 125 c.p.m.p.; Artt. 91 – 93 – 100 – 101 – 198 – 221 c.p.m.g.).

La tematica delle norme penali in bianco si inserisce in quella più ampia che riguarda i rapporti tra legge e regolamento ovvero tra le fonti c.d. primarie e le fonti secondarie nell’ambito penale. Il codice penale, com’è noto, stabilisce sotto il titolo I (“della legge penale”) all’Art. 1 c.p., che “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto dalla legge”. Il riferimento alla legge, e non ad altre fonti, è contenuto anche nell’Art. 2 c.p. e in molte altre norme. Il principio contenuto nell’Art. 1 è il principio di legalità che costituisce uno delle “colonne portanti” del nostro sistema, contenuto anche nell’Art. 25, 2° comma, della Costituzione, che si può sintetizzare nella massima latina che testualmente dice “nullum crimen, nulla poena sine lege”. Da questo derivano altri importanti “corollari” come il principio di tassatività ed irretroattività espressamente previsti nel codice (Artt. 1 e 2 c.p.). Nonostante quindi l’indiscusso primato della legge, e delle altre fonti di rango primario, tale da costituire una riserva di legge in ambito penale, esistono situazioni nelle quali le fonti secondarie sussidiariamente regolano, o possono in parte regolare, determinate situazioni tipicamente destinate ad essere disciplinate da fonti primarie, ed infatti, da alcuni, le fonti secondarie, come i regolamenti, le ordinanze, gli ordini ecc, sono considerati fonti indirette di diritto penale. Alcune di queste situazioni, dopo l’entrata in vigore della costituzione repubblicana, sono apparse decisamente anticostituzionali, altre sono risultate di dubbia costituzionalità, altre ancora conformi alla costituzione. Bisogna precisare che il principio di legalità è oggi inscindibilmente connesso con valori costituzionali diritti e relativa tutela, poichè solo la legge, che è il vero “strumento del popolo”, la cui fonte è (meglio, dovrebbe essere)l’assemblea popolare, può stabilire o modificare, direttamente od indirettamente, i diritti fondamentali dei cittadini.
Ciò premesso bisogna esaminare come la fonte secondaria si può trovare rispetto a quella primaria nelle varie situazioni possibili.
Ammissibile è il caso in cui la legge determini sufficientemente sia il precetto sia la sanzione e la fonte secondaria integri gli aspetti del precetto di carattere “tecnico” come, ad es, le tabelle che stabiliscono le nocività di determinate sostanze alle quali la norma penale si riferisce (ad es, stupefacenti o sostanze chimiche nocive all’ambiente). In tali casi la fonte regolamentare non “tocca” in alcun modo la volontà del legislatore e quindi il precetto non interferisce con questa. In tali ipotesi anche la riserva di legge “assoluta”, che cioè affida solo alla legge e non ad altre fonti, la disciplina della materia è fatta salva. Inoltre può essere modificata o sostituita, all’occorrenza, in tempi più brevi, rispetto a quelli tipici delle leggi, dall’autorità che lo ha emanato. In tal modo la legge, indirettamente, può subire un celere aggiornamento se pur di carattere tecnico.
Il caso nel quale la legge si limiti a stabilire il precetto e la fonte secondaria la sanzione, invece, cozza decisamente contro il principio di legalità poichè ciò è contrario alla riserva di legge, oltre ad essere espressamente vietato dall’Art. 1 c.p. (nulla poena, sine lege).
Altrettanto incostituzionale risulterebbe il caso inverso, in cui la fonte primaria regolamenti la sanzione e quella secondaria totalmente il precetto. Anche in tale ipotesi, come in quella precedente, sarebbero decisamente violati non solo i principi di riserva di legge, legalità e di tassatività, costituzionalmente stabiliti, ma verrebbero anche a mancare i requisiti della personalità e proporzionalità della pena (Art. 27 COST.).
Diversa situazione, da questa appena descritta, è quella, tipica delle norme penali in bianco, in cui la fonte primaria regola la sanzione e, sufficientemente, il precetto e questo è ulteriormente integrato da una fonte di rango secondario. Tali fattispecie creerebbero un “vulnus” non tanto al principio della riserva di legge “relativa”, che consentirebbe, alla stessa, di affidare il completamento della materia ad una autorità inferiore, quanto quello della riserva di legge assoluta, che è oggi considerato prevalente, rispetto al primo, perchè più garantista. Il codice penale, ma anche altre leggi penali, generali e speciali, come i codici penali militari, contengono norme classificabili in tal senso sulla cui costituzionalità si è molto discusso.
Per alcuni tali norme sono anticostituzionali, altri affermano che, pur non essendo tali norme, in astratto, contrarie alla costituzione, sarebbe oppurtuno fare in concreto un controllo di costituzionalità, una volta cioè integrate dal “precetto secondario”, ed auspicano una sostituzione della sanzione penale con una, non meno efficace sanzione amministrativa.
I sostenitori della concezione c.d. “sanzionatoria” che affermano la incostituzionalità delle norme penali in bianco ritengono che queste siano norme “senza precetto” in astratto. Tali norme sarebbero, in sostanza, un utile “strumento” che fornirebbe all’autorità demandata ad emanare il precetto secondario una precostituita sanzione penale per questo. Effettivamente, nel codice penale, esistono norme che prevedono la punibilità, per gli agenti, per il sol fatto di non aver osservato una richiesta o un provvedimento di una Autorità pubblica. Così, ad es, per il “militare o agente della forza pubblica che (se) rifiuta o ritarda indebitamente di eseguire una richiesta dell’Autorità competente, nelle forme stabilite dalla legge, è punito con la reclusione fino a due anni” (Art. 329 c.p.), o per “chiunque (che) non osserva un provvedimento legalmente dato per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igene, è punito, (…), con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a lire quattrocentomila” (Art. 650 c.p.).
Non c’è dubbio che il precetto derivante da fonte secondaria vada ad integrare quello primario della norma penale, ed infatti l’errore su norma extrapenale, richiamata dalla norma penale in bianco, non costituisce errore sul fatto che costituisce reato, in base al 3° comma dell’Art. 47 c.p., ma errore sul precetto, in base all’Art. 5 c.p., sempre che, beninteso, si tratti di errore scusabile dovuto ad ignoranza inevitabile, dopo la sentenza del 1988, della Corte Cost.
Per altra dottrina le norme penali in bianco, per essere conformi alla costituzione, devono contenere un precetto (primario) sufficientemente determinato tale da essere conforme al principio di tassatività, che, come si è già detto, è l’importante corollario del principio di legalità. L’insufficiente determinatezza del precetto delle norme penali in bianco è, infatti, come si è già osservato, il “punctum dolens” di tali fattispecie.
Nonostante la tecnica di tipizzazione, tipica delle norme penali in bianco, sia criticata in generale dalla dottrina, nell’intento di giustificare l’esistente bisogna anzitutto considerare che molte di queste norme esistevano già prima dell’avvento della costituzione repubblicana del ’48. Durante il regime esistente prima di tale data, il principio di legalità, anche se era già parte integrante nel nostro sistema sin dal codice penale del 1889, non aveva il significato e la portata che ha avuto con la Costituzione : la legge veniva considerata il principale strumento col quale il regime totalitario dell’epoca poteva imporre ai sudditi la propria volontà e non come strumento di garanzia dei cittadini, tipico di uno “stato di diritto”. Conseguentemente il principio di tassatività, visto anch’esso non in funzione garantista, non aveva l’importanza che ha oggi, riletto alla luce della Costituzione, anche perchè il legislatore poteva attribuire ad altre autorità amministrative il potere di emanare norme penali. Dominava decisamente il principio della riserva relativa di legge che consentiva ampie deroghe, oggi non più ammissibili.
Le norme penali in bianco si possono, oggi, considerare conformi al principio della riserva assoluta di legge se il precetto primario, integrato da quello secondario, sia sufficientemente determinato anche se si auspica, come già accennato, che il legislatore, per il futuro, adotti tecniche di tipizzazione diverse da quelle adottate per le norme in questione.
E’ stato affermato, da parte di coloro che ne sostengono l’incostituzionalità, che le norme penali in bianco, sarebbero norme di “mera” disubbidienza, che si porrebbero in contrasto col principio costituzionale di offensività. Tali norme non sanzionerebbero, in effetti, un comportamento poichè lede o mette in pericolo un bene-interesse particolare, ma sanzionerebbero quel comportamento o quei comportamenti che l’ordinamento, per ragioni di opportunità, non vuole che i consociati pongano in essere. Bisogna, quindi distinguere lo scopo della norma, la c.d. “ratio”, dal bene o interesse protetto da questa perchè suscettivo di essere leso o messo in pericolo.
Tutte le norme hanno uno scopo ma non tutte necessariamente proteggono un bene.
Le norme incriminatrici di (mera) disubbidienza, oltre ad essere norme “di scopo”, avrebbero la particolarità di avere un precetto contenente un comando, che impone la destinatario di attivarsi, a differenza delle altre che, contenendo un divieto, impongono solo un’astensione dal compiere un determinato comportamento. Tipiche norme di disubbidienza sono quei reati omissivi che non tutelano alcun bene giuridico, e che furono creati dal legislatore non in virtù del principio solidaristico, cioè per sanzionare comportamenti ritenuti necessari per la società per la salvaguardia di beni- interessi meritevoli di tutela (un esempio per tutti : l’omissione di soccorso), ma che si limitano a sanzionare la disubbidienza ad un ordine direttamente o indirettamente dato da un’autorità statuale. Tali fattispecie, rimaste oggi pochissime se non, addirittura, abrogate o depenalizzate, presentano alcuni elementi di affinità con le norme penali in bianco, infatti anche queste ultime contengono un comando che è fornito dal precetto secondario, mentre nei primi è contenuto nello stesso precetto per il fatto di essere stato creato in forma omissiva.
E’ stato giustamente detto che le norme di mera disubbidienza, in generale, e quelle penali in bianco, in particolare, avrebbero come specifico compito quello della “tutela di una funzione pubblica”, che rifletterebbe, peraltro, alcuni interessi tipici dei regimi totalitari. Non è casuale che molte di tali figure, create in forma di delitti, siano state poi depenalizzate (ad es, l’Art. 509 c.p.) poichè la tutela di tali pubbliche funzioni può avvenire efficacemente anche mediante sanzioni amministrative.
Una ulteriore considerazione, al di là del fatto che tali norme si situano al di fuori del principio di offensività, è quella per cui in concreto è difficile, se non impossibile, stabilire la proporzionatezza, in base all’Art. 27 COST, della sanzione, non potendo valutare adeguatamente la gravità del precetto non potendo esserci una relazione diretta tra la prima ed il secondo. Molto spesso le fattispecie in questione puniscono comportamenti, consistenti in attività, mestieri ecc. (ad es, l’Art. 659/2 c.p.) per il sol fatto che questi sono posti in essere “senza la disposizioni della legge o contro le disposizioni dell’Autorità”. Ciò che viene in evidenza è sempre quel comportamento tenuto senza “il giusto controllo dell’Autorità statuale” che giustificherebbe la sanzione (si vedano, ad es, gli Artt. 703 e 705 c.p.).
Qualche considerazione differente rispetto a quelle fatte fino ad ora forse si può fare, o meglio, si poteva fare, per quanto riguarda le norme penali in bianco contenute nei codici (speciali) militari, di pace e di guerra. Per le vecchie concezioni non faceva differenza che i militari, già sottoposti alla disciplina e, quindi, già tenuti all’obbedienza dovessero obbedire a comandi dell’autorità amministrativamente o penalmente sanzionati. Oggi ritenendosi che anche il diritto penale militare vada necessariamente riletto alla luce dei principi della Costituzione, la problematica ha assunto maggior importanza. Anche nel diritto penale militare la norma “di scopo” (ad es, l’Art. 125 c.p.m.p.), benchè possa considerarsi “propedeutica” alla disciplina ed allo svolgimento delle attività militari deve considerarsi un’eccezione rispetto alla regola, che è quella per cui in tale ambito le norme sottostiano al principio di offensività, di personalità e di proporzionalità della pena.
Un discorso diverso, forse, potrebbe farsi rispetto al codice penale di guerra e le altre leggi di guerra poichè in tali situazioni si “attenuerebbero” alcuni aspetti garantistici costituzionali a vantaggio di altri, come l’efficienza generale delle forze armate per far fronte al pericolo o ai pericoli esterni od interni, o di ordine pubblico. In tali circostanze i poteri concessi alle pubbliche Autorità potrebbero aumentare considerevolmente, rispetto al tempo di pace (cfr. Artt. 93, 100, 101, 198, 221 c.p.m.g.). Anche per quanto riguarda le leggi di guerra, poco applicate, dopo l’avvento della Costituzione, ed in attesa di una radicale riforma, si ritiene che anche in tali situazioni eccezionali debbano essere rispettati i principi costituzionali, e, in ogni caso, le eventuali deroghe dovranno essere stabilite dalla legge, sulla base di quelle già previste dalla Costituzione.
In conclusione possiamo affermare che le norme penali in bianco si possono considerare non anticostituzionali per carenza di tassatività, ammessso che contengano almeno un precetto (primario) sufficientemente determinato. Non contengono nella stragrande maggioranza dei casi un vero e proprio “bene giuridico” oggetto di aggressione, facendo parte della categoria delle c.d. norme “di scopo”, ma piuttosto assecondano una “pubblica funzione” per la cui tutela si ritiene possa essere sufficiente dotarle, mediante la depenalizzazione della materia da esse regolata, di una sanzione amministrativa.
Dr. Enrico bruno

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