Il legislatore interviene in tema di responsabilità amministrativa
Il D.L. Semplificazioni, convertito in legge L.120/2020 introduce una modifica definitiva, nel senso che non attiene al regime transitorio fino al 31 dicembre 2021 dovuto all’emergenza ma apporta una modifica volta ad essere definitiva, riguardo all’elemento soggettivo nel caso di responsabilità amministrativa.
In particolare, il D.L. semplificazione disciplina che la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà di cagionare l’evento dannoso, pertanto, per accertare la responsabilità delll’amministazione occorre la dimostrazione che il soggetto che compie l’azione voleva non solo quella specifica azione ma anche cagionare il danno dell’amministrazione.
A ben vedere ci si avvicina notevolmente al dolo penale, dove il dolo è costituito dai due elementi della volontà e rappresentazione.
Tale modifica si è resa, in verità, necessaria per superare quell’orientamento della giurisprudenza della Corte dei conti che aveva accolto una concezione di dolo molto ampia dove era riconducibile a tale fattispecie il solo inadempimento voluto senza la volontà di cagionare l’evento dannoso.
Il D.L. Semplificazioni, convertito in legge L.120/2020, introduce, inoltre, una modifica transitoria e cioè in vigore e destinata ad operare solo fino al 31 dicembre 2021.
La modifica, di rilevante impatto e portata, prevede che, limitatamente ai fatti commessi in seguito all’entrata in vigore del decreto, la responsabilità della Pubblica Amministrazione è integrata solo nel caso di dolo.
Tale modifica e limitazione, tuttavia, riguarda solo la condotta attiva, non invece quella omissiva, coerentemente all’impianto dell’intervento del legislatore che si pone l’obiettivo di semplificare ed accelerare le procedure per incentivare gli investimenti.
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Il legislatore interviene in tema di responsabilità del responsabile unico del procedimento (RUP)
Il D.L. Semplificazioni, convertito in legge L.120/2020 introduce sanzioni nel caso di ritardo nella conclusione delle procedure.
In particolare, si prevedono dei tempi per le procedure di gara: gli affidamenti diretti devo concludersi entro 2 mesi; le procedura negoziata devono concludersi entro 4 mesi dalla determina a contrarre e le procedura aperta devono concludersi entro 6 mesi.
All’articolo 1 comma 1 e 2 comma 1, inoltre si prevedono conseguenze nel caso in cui il ritardo sia cagionato dall’operatore economico. La mancata tempestiva aggiudicazione e stipulazione del contratto nei termini di legge e il tardivo avvio dell’esecuzione dello stesso qualora imputabili all’operatore economico costituiscono causa di esclusione dalla procedura o di risoluzione del contratto per inadempimento. Tale esclusione viene dichiarata dalla stazione appaltante.
Il tempo dell’azione amministrativa
Per quanto attiene al tempo dell’azione amministrativa, l’articolo 2 della L.241 del 1990 prevede l’obbligo di conclusione del procedimento mediante provvedimento espresso e disciplina i termini di conclusione del procedimento.
L’articolo 2 bis della L. 241 del 1990 disciplina, invece, le conseguenze del ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento.
Il rapporto tra esercizio di potere amministrativo ed i termini del procedimento è stato nel corso degli anni al centro dell’interesse di dottrina e giurisprudenza.
Nei casi in cui il silenzio dell’Amministrazione non trovi disciplina in una norma che ne rimuova gli effetti negativi, si ha l’istituto del silenzio inadempimento.
Il codice del processo amministrativo, riguardo al procedimento di formazione del silenzio-inadempimento, prevede che decorsi i termini di cui ai commi 2 o 3, il ricorso avverso il silenzio può essere proposto anche senza necessità di diffida all’amministrazione inadempiente fin tanto che perdura l’inadempimento e entro un anno dalla scadenza dei termini.
Nel giudizio il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori ulteriori che debbano essere compiuti dall’Amministrazione.
L’articolo 2 bis prevede in capo alla pubblica amministrazione ed ai soggetti di cui all’articolo 1 comma 1-ter, l’obbligo del risarcimento per il danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
La norma riconosce il tempo come bene della vita e garantisce tutela risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione.
La sentenza delle S.U. n. 500 del 1999 ha riconosciuto la risarcibilità dell’interesse legittimo, aderendo ad una concezione sostanzialistica di tale posizione giuridica di vantaggio. Secondo la Corte danno ingiusto è qualsiasi conseguenza pregiudizievole che incida negativamente sulla sfera giuridica del soggetto danneggiato e che trovi causa nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento giuridico.
La risarcibilità dell’interesse legittimo ha trovato conferma nell’art 7 della L. 205 del 2000 che nel riscrivere l’art.7 della L. 1034 del 1971 ha attribuito al T.A.R. la cognizione delle questioni relative all’eventuale risarcimento del danno ed agli altri diritti patrimoniali consequenziali.
Regola della tempestività dell’azione amministrativa ha nel nostro ordinamento un rilievo specifico poiché: è espressione di inefficienza della PA produttrice di danno erariale; è indicatore del raggiungimento valutabile; comporta responsabilità civile, responsabilità amministrativa e di risultato.
La natura del danno da ritardo imputabile alla Pubblica Amministrazione
L’articolo 30 c.p.a., ha conferito esplicita tutela risarcitoria al danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria.
La disciplina posta dall’art. 30 c.p.a. conferisce alla responsabilità risarcitoria natura aquiliana. Tale assunto si può desumere dal richiamo alla clausola aquiliana del danno ingiusto e dal richiamo all’art. 2058 c.c. La natura aquiliana della responsabilità non è messa in discussione, peraltro, dalla previsione del termine decadenziale di centoventi giorni per l’esperimento della domanda.
Il danno da ritardo può concretizzarsi in due diverse ipotesi, a seconda che il pregiudizio derivi dal ritardo con cui la pubblica amministrazione ha emanato il provvedimento favorevole richiesto o dal fatto che l’amministrazione non emani alcun provvedimento ovvero emani in ritardo un provvedimento negativo, pur se legittimo.
Nel primo caso il pregiudizio deriva dall’adozione tardiva del provvedimento richiesto; nella seconda ipotesi il danno promana dalla mera inerzia della p.a. o dalla tardiva adozione di un provvedimento che nega definitivamente il bene della vita richiesto dal privato.
Nella prima ipotesi non sorgono problemi di ammissibilità della tutela risarcitoria, poichè l’illegittimità si ravvisa nel conseguimento tardivo del bene della vita da parte del privato a seguito dell’esercizio non tempestivo della funzione amministrativa.
La natura del danno da mero ritardo
Questioni più delicate si pongono per il danno da mero ritardo, da identificarsi come il danno derivante al privato dalla lesione dell’interesse procedimentale alla tempestiva definizione del procedimento nel termine previsto ai sensi dell’art. 2 della L. 241/1990, indipendentemente dalla lesione del bene finale della vita al cui conseguimento era rivolta l’istanza non tempestivamente riscontrata.
Sul punto si sono registrati due orientamenti.
L’orientamento prevalente afferma che “il risarcimento del danno da ritardo non può essere avulso da una valutazione concernente l’effettiva spettanza del bene della vita anelato dal privato, con la conseguenza che il presupposto dell’ingiustizia del danno, richiesto ai fini del risarcimento, si ritiene integrato soltanto ove risulti soddisfatto l’interesse pretensivo fatto valere dal privato (v. Cons. Stato, Sez. IV, 12 luglio 2018, n. 4260; Cons. Stato, Sez. IV, 8 febbraio 2018, n. 825; Cons. Stato, Sez. IV, 17 gennaio 2018, n. 240; Cons. Stato, Sez. IV, 23 giugno 2017, n. 3068; oltre a Cons. Stato, Ad. Plen., 15 settembre 2005, n. 7)”.
Secondo altro orientamento talune disposizioni inducono a ritenere che il tempo assurga a bene della vita autonomo, la cui lesione è ex se rilevante ai fini risarcitori. Si pensi all’art. 2 bis della l. 241/1990 il quale avrebbe riguardo anche alla tutela del bene della vita costituito dal tempo dell’azione amministrativa, avente natura sostanziale, autonoma e distinta dalla correlata situazione di interesse legittimo (Cons. Stato, Sez. V, 21 giugno 2013, n. 3407; Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271; Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, 4 novembre 2010, n. 1368), con conseguente risarcibilità del danno da mero ritardo.
Il danno da mero ritardo spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria
Una pronuncia che rappresenta una vera e propria novità sul tema è rappresentata dalle Sezioni Unite del 28 aprile 2020, n. 8236. Il Collegio ritiene di dover valorizzare l’orientamento che connota la responsabilità da lesione dell’affidamento del privato entrato in relazione con la Pubblica Amministrazione come responsabilità da contatto sociale qualificato. Pertanto, il danno da mero ritardo viene ricondotto alla responsabilità precontrattuale.
La pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite del 28 aprile 2020, n. 8236 afferma che “spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione) inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da contatto sociale qualificato, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione”.
Nel caso di specie l’amministrazione sosteneva che la controversia rientrasse nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto mancando un provvedimento positivo dell’amministrazione comunale, dunque un legittimo affidamento, la doglianza sarebbe riconducibile alla mera violazione dei termini procedimentali.
Affermava, dunque, l’Amministrazione resistente che vi fosse giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133 c.p.a. per due motivi, in primo luogo per l’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento e, in secondo luogo, rientrando la controversia nella materia urbanistica o edilizia.
La Cassazione nella pronuncia citata esamina le tre ordinanze 6594, 6595 e 6596 a Sezioni Unite del 2011, le quali hanno affermato che spettano al giudice ordinario rispettivamente: le controversie avente ad oggetto il risarcimento dei danni per lesione dell’affidamento ingenerato da provvedimento favorevole poi legittimamente annullato (pur vertendo la controversia di materia edilizia); le controversie aventi ad oggetto il risarcimento dei danni per lesione dell’affidamento riposto nell’attendibilità delle attestazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione sull’edificabilità di un’area e nella legittimità della seguente concessione edilizia poi annullata; le controversie aventi ad oggetto la domanda autonoma di risarcimento dei danni proposta da chi avendo ottenuto aggiudicazione in una gara per l’appalto di un pubblico servizio, in seguito annullata dal giudice amministrativo, abbia fatto affidamento su tale aggiudicazione.
In tutti questi casi non viene messa in discussione la legittimità/l’illegittimità del provvedimento ma la lesione dell’affidamento riposto dal privato, confidando sulla regolarità dell’azione amministrativa.
In seguito, ci sono state molte pronunce conformi ma non sono mancate pronunce che hanno affermato che nelle materie di giurisdizione amministrativa esclusiva l’azione risarcitoria per lesione dell’affidamento riposto nella legittimità dell’atto amministrativo poi annullato rientra nella cognizione del giudice amministrativo. Secondo tali pronunce quello di cui si discute è l’agire pubblico nel suo complesso, pertanto la giurisdizione esclusiva si giustifica in ragione del contesto di stampo pubblicistico nel quale ci si colloca.
Le 3 ordinanze del 2011 hanno affermato che la giurisdizione amministrativa presuppone l’esistenza di una controversia sul legittimo esercizio di un potere autoritativo ed è ordinato a dare tutela contro l’agire pubblico; il potere del giudice amministrativo di condannare la pubblica amministrazione al risarcimento del danno è uno strumento ulteriore e complementare rispetto alla classica tutela demolitoria.
La causa petendi in tali casi consiste nella lesione dell’affidamento dell’attore nella legittimità del provvedimento e deriva dalla fattispecie complessa costituita dall’emanazione dell’atto favorevole illegittimo, dall’incolpevole affidamento e dal successivo annullamento.
Nel caso sottoposto alle Sezioni Unite manca un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato.
Si legge nella sentenza che nell’ordinamento nazionale il principio della tutela dell’affidamento nei confronti della Pubblica Amministrazione risulta disciplinato dalle regole civilistiche generali e da numerose disposizioni che disciplinano l’attività amministrativa. In particolare, dalle disposizioni della legge n.241/1990 sull’esercizio del potere amministrativo.
Al modello di Pubblica amministrazione così delineato non possono non applicarsi i doveri generali di correttezza e buona fede civilistici, la cui violazione fonda una responsabilità da lesione dell’affidamento del privato che prescinde dalla valutazione di legittimità/illegittimità di un atto di esercizio del potere amministrativo.
Inoltre, ritengono le Sezioni Unite che tale responsabilità si riconduca al paradigma della responsabilità da contatto sociale qualificato.
Il dovere di correttezza e buona fede rappresenta una manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale, il quale trova fondamento nell’articolo 2 della Costituzione, grava su tutti i membri della collettività e si intensifica, trasformandosi in dovere di correttezza e protezione, nel caso in cui si instaurano momenti relazionali giuridicamente qualificati, in particolare rispetto a chi esercita un’attività professionale protetta o da chi esercita una funzione amministrativa.
Pertanto, le Sezioni Unite ritengono di dover valorizzare l’orientamento che connota la responsabilità da lesione dell’affidamento del privato entrato in relazione con la Pubblica Amministrazione come responsabilità da contatto sociale qualificato. Il contatto tra privato e Pubblica Amministrazione deve essere inteso come il fatto idoneo a produrre obbligazioni “in conformità dell’ordinamento giuridico (art.1173 c.c.) dal quale derivano reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione (art. 1175 c.c., art.1176 c.c. e art 1337 c.c.).
Le Sezioni Unite affermano che i principi enunciati dalle ordinanze nn.6594,6595,6596 del 2011 valgono non solo nel caso di domande di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento derivante dall’emanazione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo, ma anche nel caso un cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione.
In tal caso, pertanto, il rapporto tra Amministrazione e privato si gioca interamente sul piano del comportamento, nemmeno esistendo un provvedimento a cui astrattamente imputare la lesione di un interesse legittimo.
In definitiva manca nel caso di specie il collegamento, anche solo mediato, con l’esercizio del potere amministrativo, pertanto la sentenza conclude per la giurisdizione del giudice ordinario.
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