Il diritto di famiglia è stato oggetto di una lunga evoluzione giurisprudenziale e normativa, culminata con la tanto attesa legge 20 maggio 2016 n. 76 di regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso e di disciplina delle convivenze, integrata da ultimo con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016 n. 144, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 28 luglio 2016 ed avente ad oggetto il regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell’archivio dello stato civile ex art. 1 co. 34 della predetta legge.
Originariamente, come noto, il legislatore conferiva tutela esclusivamente a quei rapporti personali che fossero fondati su di un vincolo istituzionale, segnatamente sul matrimonio e sulla famiglia costituita su di esso, in base a quanto previsto nell’art. 29 Cost. ed alle regole sancite dal libro I del codice civile.
Numerosi sono stati i tentativi e gli interventi diffusamente posti in essere, anche per merito e sotto la vigorosa spinta dei dicta della giurisprudenza maggioritaria, frutto di una marcata evoluzione socioculturale e giuridica, finalizzati ad ampliare l’ambito di tutela ai sempre più frequenti rapporti derivanti dalla cd. convivenza more uxorio e sussumibili in quelle formazioni sociali delineate dall’art. 2 Cost.: si fa riferimento, ad esempio, alla riforma dell’art. 199 c.p.p. con cui si è estesa la facoltà di astensione dalla testimonianza al convivente; alle modifiche introdotte dalla L. 219/12 sulla parificazione tra figli legittimi e figli naturali; alla possibilità, per il convivente, di essere designato dal giudice come amministratore di sostegno ex art. 408 c.c.
Diversamente il fidanzamento, inteso comunemente come rapporto affettivo tra due persone privo di un vincolo giuridico – salvo quanto previsto con riferimento alla promessa di matrimonio dagli artt. 79, 80 e 81 c.c.- ed i rapporti obbligatori che da esso conseguissero restavano privi di una disciplina ad hoc.
È opportuno in tal senso non equiparare tout court i rapporti di convivenza more uxorio a quelli di mero fidanzamento, che possono anche non sfociare in rapporti di convivenza. La disciplina che ne derivava era articolata: fermo restando l’applicazione delle regole generali stabilite dalla normativa di riferimento in presenza di contratti onerosi; più controversa era la qualificazione in caso di contratti gratuiti, rispetto ai quali la giurisprudenza applicava la disciplina delle donazioni o, più frequentemente, quella delle obbligazioni naturali.
Tale particolare forma di obbligazione investe, ai sensi dell’art. 2034 c.c., quanto venga prestato in esecuzione dei doveri morali e sociali non giuridicamente vincolanti. L’effetto tipico che si ricollega a tale tipologia di obbligazione è l’irripetibilità di quanto sia stato prestato in adempimento a tale dovere, la c.d soluti retentio. In particolare, la doverosità morale o sociale di un atto sussisterebbe, ad onta della giurisprudenza maggioritaria, quando per la coscienza sociale la sua inosservanza comporti un giudizio di riprovazione o di disistima. È evidente che tale forma di obbligazione assolva all’onere di riconoscere rilevanza a determinati comportamenti che, sebbene non siano rilevanti per l’ordinamento giuridico, lo sono per la comunità sociale in quanto portatori di un pregnante valore etico. Quanto alla natura giuridica delle obbligazioni naturali si possono ricordare due principali orientamenti: obbligazione giuridica caratterizzata dalla incoercibilità oppure obbligazione priva di carattere giuridico ma conseguenza di un obbligo morale e sociale. È quest’ultima tesi quella attualmente più suffragata. Ciò che, a prescindere dalla sua qualificazione giuridica, è opportuno precisare, è che l’obbligazione naturale deve necessariamente rispettare i requisiti di proporzionalità ed adeguatezza richiesti dall’ordinamento e comporta, in ogni caso, l’irripetibilità di quanto sia stato prestato spontaneamente in esecuzione dei doveri morali e sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace.
Se questa era la disciplina invocabile tradizionalmente, a seguito dell’introduzione della legge n. 76 del 20 maggio 2016 si assiste, oggi, ad una regolamentazione giuridica proteiforme del diritto di famiglia, in cui è rimessa alle parti la facoltà di decidere come e se regolamentare la propria unione.
Al matrimonio, quale negozio familiare per eccellenza, previsto e garantito dall’art. 29 Cost. continua ad applicarsi tutta la disciplina del codice civile e delle leggi speciali di riferimento.
Ciò che muta radicalmente è, invece, il riconoscimento giuridico con tanto di annessa disciplina, prevista per le unioni civili tra persone dello stesso sesso e per i rapporti di convivenza tra persone di sesso diverso.
Nello specifico, è consentito a due persone dello stesso sesso di costituire un’unione civile mediante una dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile alla presenza di due testimoni, a seguito della quale le parti acquistano gli stessi diritti ed assumono tra loro gli stessi doveri. È previsto che dall’unione civile derivi l’obbligo reciproco di assistenza morale e materiale, nonché della coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze ed alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo a contribuire ai bisogni comuni.
È, in sintesi, prevista una disciplina organica e puntuale che consente di superare le varie censure mosse dagli organi di giustizia sovranazionale volte a sanzionare l’ordinamento interno privo, inizialmente, di alcuna tutela.
Con riguardo ai rapporti di convivenza tra persone di sesso diverso, invece, si prevede che due persone maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, possano regolamentare giuridicamente il proprio rapporto di convivenza attraverso il cd. contratto di convivenza, da redigere in forma scritta e a pena di nullità con atto pubblico o scrittura privata e sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato, che ne attestino la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.
Il contratto di convivenza, quindi, consente ai paciscenti-conviventi di disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune, connotando di giuridicità tali pattuizioni e superando, quindi, la vecchia teoria delle obbligazioni naturali, per il vero già resa residuale dalla giurisprudenza degli ultimi anni attraverso il riconoscimento di negozi patrimoniali atipici.
Le obbligazioni naturali, pertanto, sembrerebbero ad oggi trovare un residuale campo di applicazione nelle sole ipotesi sprovviste di una regolamentazione giuridica, per le quali si ritiene possano applicarsi le considerazioni svolte in precedenza.
L’entrata in vigore della legge Cirinnà ha senz’altro aggiunto un tassello fondamentale, resosi improcrastinabile, nel panorama del diritto interno.
Tuttavia molteplici sono le ambiguità esegetiche che permangono dalla lettura della norma, rispetto alle quali si renderà necessaria un’incisiva opera di supporto della giurisprudenza, inaugurata del resto dalla recentissima pronuncia n. 12962 del 22 giugno 2016, resa dalla prima sezione della Corte di Cassazione sulla stepchild adoption (in precedenza stralciata dal disegno di legge) e destinata ad arricchirsi giorno per giorno in virtù di quella tendenza al cd. diritto vivente, di cui sempre più spesso la giurisprudenza nazionale si fa promotrice, integrando e colmando le plurime lacune normative disseminate nell’ordinamento.
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