Detta esigenza si è sublimata nella tutela della genitorialità di fatto e di quella intenzionale, le quali, attesa la mancanza di riferimenti normativi specifici, hanno dato luogo ad accesi dibattiti giurisprudenziali e dottrinali.
Indice
- La genitorialità di fatto: tra riconoscimento e (in)effettività della tutela pretoria
- La genitorialità intenzionale: i limiti all’ammissibilità della procreazione medicalmente assistita
- La questione del riconoscimento dello status filiationis in favore del bambino nato all’estero tramite le tecniche di procreazione medicalmente assistita vietate in Italia 3.1. La riconoscibilità della genitorialità intenzionale nel caso in cui il figlio sia nato all’estero da una coppia omoaffettiva di sesso femminile 3.2. L’asserita non riconoscibilità della genitorialità intenzionale nel caso in cui il figlio sia nato all’estero da una coppia omosessuale di sesso maschile: il divieto di maternità surrogata
- Le criticità della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e l’intervento della Grande Chambre della Corte EDU
- L’intervento della Corte Costituzionale: l’inadeguatezza del rimedio dell’adozione in casi particolari ex art. 44, co. 1, lett. d), L. n. 184/83
- L’inerzia del Legislatore e la nuova ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
- Le più recenti tendenze dottrinali, nell’attesa della pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
1. La genitorialità di fatto: tra riconoscimento e (in)effettività della tutela pretoria
La genitorialità di fatto è quella concernente i rapporti intercorrenti tra il minore ed un soggetto che, pur essendo privo di un formale legame biologico con quest’ultimo e, dunque, non essendo un genitore de iure, può essere considerato un genitore de facto.
Ciò in quanto costui ha instaurato un legame affettivo consolidato con il minore, assumendo volontariamente la responsabilità di un progetto genitoriale, ai fini della sua crescita ed educazione.
Allo scopo di accertare l’effettività del rapporto instauratosi, indefettibile per l’attivazione della corrispondente tutela, si tiene conto di una serie di elementi sintomatici, quali: la convivenza con il minore, la diuturnitas delle frequentazioni, il sostegno morale e materiale, l’assunzione di oneri e di responsabilità.
Il caso più ricorrente è rappresentato dalla relazione intercorrente tra un minore ed il coniuge, il convivente more uxorio o il soggetto civilmente unito con il genitore biologico del medesimo.
La principale problematica che si pone in materia concerne la protezione del suddetto legame nell’ipotesi in cui il genitore biologico, in conseguenza della disgregazione dei propri rapporti con il genitore di fatto, ostacoli la frequentazione tra quest’ultimo e il minore.
Sul punto, la Corte Costituzionale[1] ha sostenuto che la suddetta relazione potrebbe ricevere un’adeguata protezione per il tramite dell’art. 333 c.c.
Tale norma, nel dettaglio, prevede che il giudice – a fronte della condotta di un genitore che si riveli pregiudizievole per il figlio – possa adottare i provvedimenti che risultino essere convenienti alla cessazione della medesima.
Nondimeno, la questione resta aperta, in ragione del fatto che la protezione fornita dalla normativa in esame non è tanto effettiva quanto lo è il legame esistente tra il minore e il genitore di fatto.
Ed infatti, analizzando tale strumento di tutela nel più ampio contesto normativo in cui si pone, si evince che l’adozione dei sopra citati “provvedimenti convenienti” presupponga, a monte, la proposizione di un’istanza del Pubblico Ministero ex art. 336 c.c., anche eventualmente sollecitata dall’adulto coinvolto nel rapporto, svilendo il ruolo del genitore di fatto e ponendolo, nonostante il frequente più forte rapporto affettivo, in una posizione subalterna rispetto a quella di altri parenti che, invece, in tali circostanze, godono di una legittimazione diretta ex art. 337-ter c.c.
A fronte di tale situazione, anche in considerazione della concezione sempre più marcatamente sostanziale della famiglia, una soluzione costituzionalmente orientata potrebbe essere rappresentata dall’applicazione, nel caso di specie, dell’art. 337-ter c.c. – e della corrispondente tutela e legittimazione diretta – in favore del genitore di fatto, ricomprendendosi quest’ultimo tra i genitori, ascendenti o parenti di ciascun ramo genitoriale con cui il minore ha diritto di conservare dei rapporti significativi.
2. La genitorialità intenzionale: i limiti all’ammissibilità della procreazione medicalmente assistita
La genitorialità intenzionale, invece, è quella che viene in rilievo all’esito del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita (c.d. P.M.A.), di cui alla Legge 19 febbraio 2004, n. 40.
Più precisamente, le maggiori problematiche sono state sollevate dalla fecondazione assistita eterologa, la quale viene effettuata servendosi di gameti – ossia seme e/o ovociti – di soggetti terzi.
Sul punto, la Corte Costituzionale[2] ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il divieto di ricorso alla fecondazione eterologa per le coppie infertili o portatrici di gravi malattie genetiche.
Nondimeno, sono rimasti fermi i divieti di cui all’art. 12, co. 2 e co. 6, L. n. 40/04 rispettivamente riferiti alle coppie omosessuali di sesso femminile e di sesso maschile, seppur con delle preclusioni che, come vedremo, assumono una consistenza assai differente.
3. La questione del riconoscimento dello status filiationis in favore del bambino nato all’estero tramite le tecniche di procreazione medicalmente assistita vietate in Italia.
Alla luce delle suddette residuali proibizioni, si è posto il problema della possibilità di riconoscere, all’interno del nostro ordinamento giuridico, il rapporto di genitorialità intenzionale conseguente al ricorso, da parte di coppie omoaffettive, a delle tecniche di procreazione medicalmente assistita eseguite all’estero, in conformità alla normativa straniera, ma vietate in Italia.
La predetta tutela postulerebbe la trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero nei registri dello stato civile italiano o la delibazione della sentenza straniera che riconosce lo status di figlio, i quali incontrano il limite dell’ordine pubblico internazionale, ossia del rispetto dell’insieme dei valori indefettibili condivisi dalla comunità internazionale, dalla Costituzione e dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione.
La giurisprudenza di legittimità, nella sua composizione più autorevole[3], ha operato una dicotomia tra il figlio nato all’estero da una coppia omosessuale di sesso femminile e quello nato all’estero da una coppia omosessuale di sesso maschile.
3.1. La riconoscibilità della genitorialità intenzionale nel caso in cui il figlio sia nato all’estero da una coppia omoaffettiva di sesso femminile
Come anticipato, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2019 hanno affermato che se il figlio è nato all’estero all’esito del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita eterologa da parte di due donne avvinte da un legame omoaffettivo non v’è alcun contrasto con l’ordine pubblico internazionale.
Pertanto, non vi sono ostacoli al riconoscimento dello status filiationis per il tramite della trascrizione dell’atto di nascita in Italia nei rispettivi registri di stato civile o della delibazione della sentenza straniera che riconosce lo stato di figlio.
A fondamento dell’assunto si evidenzia che sia nell’ipotesi in cui il figlio abbia un legame biologico con entrambe le donne – una delle quali fornisce l’ovocita fecondato con il seme di un terzo (c.d. madre biologica) e l’altra che porta avanti la gravidanza (c.d. madre gestazionale) – sia che il legame biologico sussista solamente con una di esse, che è al contempo madre biologica e gestazionale, la gravidanza è sempre portata avanti dalla madre gestazionale nell’interesse esclusivo proprio e della propria partner, senza che siano coinvolti interessi di terzi.
Non a caso, l’art. 12, co. 2, L. n. 40/04 contempla, nel caso di specie, un mero illecito amministrativo, a riprova del fatto che il divieto è frutto di una scelta discrezionale del legislatore, e non è posto a presidio di interessi che assurgono al rango di valori fondamentali.
3.2. L’asserita non riconoscibilità della genitorialità intenzionale nel caso in cui il figlio sia nato all’estero da una coppia omosessuale di sesso maschile: il divieto di maternità surrogata
La Suprema Corte ha affermato che, invece, nella speculare ipotesi in cui il figlio sia nato all’estero in conseguenza dell’impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita eterologa da parte di due uomini, il relativo atto di nascita formato all’estero non è trascrivibile nei registri interni di stato civile e la sentenza straniera di riconoscimento dello stato di figlio non è delibabile.
Nel dettaglio, si osserva che il contrasto con l’ordine pubblico risiede non già nella omosessualità della coppia che fa ricorso alla procreazione medicalmente assistita – tant’è che, come visto, il riconoscimento dello stato di figlio è stato ammesso nel caso in cui a fare ricorso alla P.M.A. eterologa sia una coppia omoaffettiva di sesso femminile – bensì nella circostanza che la coppia omosessuale di sesso maschile debba necessariamente fare ricorso alla maternità surrogata, la quale è penalmente sanzionata ex art. 12, co. 6, L. n. 40/04.
Ciò in quanto uno dei due partner, ossia il c.d. padre biologico, fornisce il seme, con cui viene fecondato l’ovocita di una donna, necessariamente terza alla vicenda, che porta avanti la gravidanza per conto dei due padri – biologico e intenzionale –, spesso dietro un corrispettivo economico.
In siffatte ipotesi la donna, che partorisce nell’interesse dei terzi, commercializza il proprio corpo, dando vita al fenomeno dell’affitto d’utero, ritenuto altamente lesivo della sua dignità personale.
Andando oltre, vi sono dei casi, seppur più rari, in cui la legge straniera riconosce lo status di figlio anche nell’ipotesi in cui entrambi i genitori siano intenzionali, non avendo nessuno dei due dei rapporti biologici con il nato.
Tutto ciò rischia di mercificare la nascita dei bambini, per un verso, avallando una forma di sfruttamento delle donne economicamente svantaggiate (che notoriamente sono quelle che vengono utilizzate per questo tipo di operazioni) e, per un altro verso, favorendo la diffusione del fenomeno definito di “turismo procreativo”, volto alla ricerca del Paese con i prezzi più convenienti, in aperto contrasto con l’ordine pubblico internazionale.
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4. Le criticità della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e l’intervento della Grande Chambre della Corte EDU[4]
La negazione dal sapore tranchant del riconoscimento del rapporto di filiazione tra il figlio e il padre intenzionale in tutte le ipotesi di ricorso alle tecniche di fecondazione assistita eterologa, all’estero, da parte di coppie omosessuali di sesso maschile ha destato non poche perplessità.
Ciò in quanto, sebbene il minore sia nato in conseguenza di comportamenti illeciti dei genitori, porre rimedio ai medesimi tramite il radicale disconoscimento del rapporto di filiazione significa contemplare un automatismo, che finisce per fare ricadere sul figlio le conseguenze di condotte a lui non imputabili.
In siffatte ipotesi non è in discussione un preteso diritto alla genitorialità da parte del genitore che ha commesso l’illecito penale e ha violato l’ordine pubblico internazionale.
La questione, invero, deve essere esaminata sotto un’angolazione prospettica del tutto differente, dovendosi tutelare il c.d. “best interest of the child”, che, nella specie, è rappresentato dall’identità familiare del figlio in tutti casi in cui, sul piano fattuale e sostanziale, si sia instaurato, per un periodo apprezzabile, un rapporto corrispondente alla genitorialità.
Queste sono le ragioni che hanno indotto la Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo, con il parere consultivo del 10 aprile 2019, ad affermare che in presenza di tali circostanze occorre contemperare l’esigenza, senz’altro rilevante, di sanzionare le pratiche di maternità surrogata e di affitto d’utero, lesive della dignità della donna, con l’interesse, altrettanto importante, di tutelare l’identità familiare del minore, quale declinazione della sua personalità ex art. 8 CEDU.
All’esito di tale bilanciamento, lo Stato italiano ben potrà non consentire la trascrizione dell’atto di nascita o la delibazione della sentenza, ma deve essere contemplare degli strumenti alternativi, effettivi e celeri, che consentano di conferire rilevanza giuridica al legame affettivo instauratosi tra il padre intenzionale e il minore, nell’esclusivo interesse di quest’ultimo.
5. L’intervento della Corte Costituzionale: l’inadeguatezza del rimedio dell’adozione in casi particolari ex 44, co. 1, lett. d), L. n. 184/83
La Corte Costituzionale[5] ha affermato che non può rappresentare un adeguato rimedio a tutela del minore l’istituto dell’adozione in casi particolari, che era stato individuato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Le ragioni si evincono dal fatto che l’art. 44, co. 1, lett. d), L. n. 184/83 anzitutto non costituisce un rimedio effettivo e celere e, peraltro, non postulando lo stato di abbandono, richiede il necessario consenso del genitore biologico, che ben potrebbe difettare nel caso di sopravvenuta crisi della coppia, così impedendo il riconoscimento del rapporto intercorrente tra il minore e il genitore intenzionale, che ha condiviso il progetto genitoriale e ha instaurato un legame affettivo corrispondente alla genitorialità.
Conseguentemente, stante l’inidoneità del sopra citato rimedio, la Consulta ha rivolto un monito al Legislatore, al fine di individuare uno strumento che, in ossequio al principio di proporzionalità, possa ben contemperare i due valori fondamentali della tutela della dignità della donna e del perseguimento del best interest del minore.
6. L’inerzia del Legislatore e la nuova ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
Nonostante il monito rivolto dalla Corte Costituzionale, il Legislatore è rimasto inerte, così mantenendo fermo un vuoto normativo che è inaccettabile in una materia così delicata.
Pertanto, dal momento che non è possibile concepire una categoria di diritti fondamentali e inviolabili sospensivamente condizionata sine die all’intervento del Legislatore, la I Sezione Civile della Corte di Cassazione[6] ha posto in essere un’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Ciò affinché nelle more dell’intervento del Legislatore – sempre se questo si verificherà – venga individuato uno strumento di tutela che consenta il riconoscimento, sollecito ed effettivo, del rapporto di filiazione tra il genitore intenzionale, che pure ha violato la legge, ed il minore che – nato, senza colpe, attraverso l’utilizzo di tecniche vietate – ha instaurato con il medesimo un legame di amore filiale del tutto riconducibile a quello della genitorialità.
Più nel dettaglio, ad avviso della Corte rimettente, il riconoscimento ex post del rapporto di filiazione tra il minore e il genitore intenzionale non produrrebbe l’effetto di legittimare nel nostro ordinamento, neanche indirettamente, la maternità surrogata o di tutelare i genitori che hanno commesso l’illecito, ma risponderebbe all’esigenza di dare continuità al rapporto di filiazione.
Ciò ad esclusiva tutela dell’identità familiare del minore, ed al fine di evitare i pregiudizi che conseguirebbero alla rimodulazione della medesima e all’eliminazione della relazione genitoriale acquisita nell’ordinamento straniero e consolidatasi successivamente.
La giurisprudenza di legittimità, andando oltre, ha individuato una serie di requisiti la cui presenza potrebbe giustificare, in modo accettabile, l’ormai accaduto e inevitabile sacrificio della dignità della donna, di cui i due padri si sono già avvalsi per la nascita del figlio, sull’altare dell’interesse del minore.
Nello specifico, tali condizioni sono state individuate: nella presenza di un consenso libero e consapevole della donna, scevro da condizionamenti economici; nella libera revocabilità di siffatto consenso fino al momento della nascita da parte della gestante; nella necessità della sussistenza di un rapporto biologico con almeno un componente della coppia.
7. Le più recenti tendenze dottrinali, nell’attesa della pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
Un autorevole orientamento dottrinale[7] ha evidenziato che essendo pacificamente l’oggetto della tutela non già l’interesse dei genitori che hanno commesso l’illecito, bensì il best interest del minore e la sua identità familiare, il rimedio dell’adozione, in qualsiasi sua declinazione, sia del tutto inadeguato.
Attesa la necessaria coerenza tra il bene protetto ed il rimedio, invero, non è possibile condizionare la protezione all’attivazione di un istituto da parte del genitore intenzionale.
La ragione si rinviene non solo nel fatto che costui ha commesso un illecito, ma anche, e soprattutto, nella considerazione che l’adozione è rimessa all’iniziativa dell’adottante non attribuendo alcuna pretesa all’adottato.
Conseguentemente, la giurisprudenza sembra trascurare che il genitore autore del reato anzitutto non è oggetto di protezione, ma, andando oltre, potrebbe anche decidere di non assumersi alcuna responsabilità e di disinteressarsi del minore, il quale, ove non adottato su iniziativa del genitore intenzionale, resterebbe privo di una qualsivoglia tutela.
Stante l’inidoneità dell’istituto dell’adozione, per tutte le ragioni sopra esposte, sarebbe opportuno, pertanto, individuare un rimedio che consenta al minore – unico soggetto tutelato – di ottenere, di propria iniziativa, il riconoscimento dello stato di figlio, a prescindere dalla volontà del genitore di intenzione.
In tal senso, uno strumento di tutela più coerente con le finalità e gli interessi perseguiti sembrerebbe essere l’azione di accertamento dello stato di figlio.
La medesima, infatti, viene esperita su iniziativa non già del genitore che ha commesso l’illecito, ledendo la dignità della donna, che potrebbe anche disinteressarsi del minore, bensì di un curatore speciale nominato dal Tribunale.
A ciò conseguirebbe, solo di riflesso, il riconoscimento della genitorialità, non come preteso diritto dei genitori autori del reato, ma quale dovere di costoro, a cui fa da speculare contralto un diritto del minore, privo di colpe e reale destinatario di un’indefettibile tutela.
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Note
[1] C. Cost. 18 maggio 2016, n. 134.
[2] C. Cost. 9 aprile 2014, n. 162 e 10 giugno 2015, n. 96.
[3] C. Cass., Sez. Un., 8 maggio 2019, n. 12193.
[4] Grande Chambre della Corte EDU, parere consultivo del 10 aprile 2019.
[5] C. Cost., 9 marzo 2021, n. 33.
[6] Cass,, I Sez. Civ,, ord. 22 gennaio 2022, n. 1842.
[7] E. Bilotti: Convivenze, unioni civili, genitorialità, adozioni, in Dir. fam. Pers., 2017/3, 873 ss.;
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