Le nuove responsabilità dei professionisti delle aziende sanitarie alla luce del dlgs.vo 27 Ottobre 2009 n. 150

Marra Felice 11/02/10

Le professioni sanitarie, professionali, tecniche e amministrative di una azienda sanitaria sono spesso coinvolte nella varie tipologie di responsabilità previste dal nostro ordinamento (penale, civile, amministrativa e disciplinare).

I professionisti sanitari hanno visto in questi ultimi tempi una espansione delle relative attività di natura tecnica, informativa, comunicativa, educativa e relazionale, con ciò ampliando le dimensioni nell’ambito delle responsabilità professionali, non solo in relazione all’approccio diretto con il paziente, ma anche e soprattutto nell’ambito gestionale dell’èquipe di riferimento.1

La questione è riferita anche alla dirigenza medica e sanitaria, in quanto la diversità delle funzioni, non più esclusivamente riferite alle prestazioni di cura, ma anche all’attività di gestione, organizzazione, sorveglianza del personale, non manca di riflettersi sul terreno delle responsabilità2.

A ciò va accompagnato un fenomeno costante nelle aziende sanitarie, e cioè che fa sempre notizia l’errore, la criticità intervenuta, e poco o mai notizia la valorizzazione del lavoro positivo che avviene ogni giorno. Spesso è carente o manca del tutto una azione capace di rendere visibile i risultati positivi dei professionisti sanitari, rendendo palese il fatto che ogni operatore viene richiamato duramente solo quando commette un errore3.

In tema di responsabilità precisiamo che essa consiste nelle conseguenze personali e/o patrimoniali a cui va incontro il soggetto che assume un comportamento attivo ( azione) o passivo (omissione) lesivo di un interesse tutelato dalla legge4.

La norma fondamentale di riferimento è menzionata nell’articolo 28 della Costituzione: “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità si estende allo stato e agli enti pubblici.

Riguardo i soggetti, quindi, la condizione necessaria alla sussistenza della responsabilità è l’esistenza di un rapporto di lavoro o un rapporto di servizio con l’Azienda Sanitaria. Ciò significa che ai fini della responsabilità assume rilievo non tanto la natura del rapporto, quanto l’effettiva azione svolta per conto dell’Azienda Sanitaria e le sue conseguenze dannose5.

Le ultime novità normative, apportate con il decreto legislativo 27 Ottobre 2009, n. 150, hanno riguardato l’avvio anche per i dirigenti di sanzioni a carattere conservativo sul versante disciplinare, novità assoluta per i dirigenti delle aziende sanitarie, nonché l’introduzione per tutti i dipendenti di sanzioni estreme di licenziamento disciplinare, e sanzioni di carattere penale e patrimoniale, per lo più incentrate sul rispetto della regolare presenza in servizio e lotta all’assenteismo.

 

1. Le novità in materia di responsabilità disciplinari, penali e patrimoniali.

Una colonna portante della recente evoluzione legislativa avviata con il piano industriale di modernizzazione della pubblica amministrazione, continuata con il decreto legge 25 Giugno 2008 n. 112 convertito in Legge 6 Agosto 2008 n. 133 e conclusa con il recente decreto legislativo n. 150/2009 citato, consiste nella forte valorizzazione del ruolo del datore di lavoro, inteso anche come funzione dirigenziale, nell’obiettivo di sprigionare le energie del merito, produttività, efficienza del lavoro pubblico in tutti i settori.

In tema di procedure disciplinari, per le infrazioni di minore gravità per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale e fino alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni, il dirigente può irrogare la sanzione direttamente, senza fare ricorso all’ufficio per i procedimenti disciplinari6.

Su tale aspetto è doveroso rimarcare, che il confronto e il contraddittorio avviene sul terreno “di casa” tra dirigente, lavoratore in servizio nella sua struttura, e il procuratore o dirigente sindacale a difesa del lavoratore. E’ ovvio l’attendersi di una forte responsabilizzazione della classe dirigente su questo versante, che all’inizio non produrrà sicuramente gli effetti dovuti in termini di irrogazione di sanzioni diciamo”pesanti”per effetto della pressione diretta, ma siamo fiduciosi, almeno nel consolidamento dell’aspetto di leva gestionale che potrà produrre nella relazione operatore-dirigente, di preciso riferimento per il lavoro di ogni giorno e futuro.

Continuando sul versante delle nuove responsabilità, per combattere il fenomeno delle false attestazioni in servizio, il legislatore ha scelto la sanzione disciplinare estrema del licenziamento, accompagnate anche da sanzioni di carattere penale e patrimoniale. Difatti sempre l’articolo 69 del decreto legislativo n. 150/2009 – introduce l’art. 55 quater – che dispone il licenziamento nei seguenti casi:

  1. Falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia.

Su questo aspetto, precisiamo, che la falsa attestazione della presenza in servizio, non si ha solamente per un comportamento doloso (faccio timbrare ad un altro o altre ipotesi) ma anche per colpa negligente di uscire dalla struttura anche per dieci minuti non provvedendo ad effettuare la timbratura in uscita. In tale occasione è importante assumere dei comportamenti e prassi positive tesi ad avere sempre un registro delle uscite, con riepilogo degli spostamenti e relativi orari.

Sulla questione delle false attestazioni dello stato di malattia, qui si apre un partita particolare, in relazione, alla prassi (non più accettabile e di cui si dovrebbe fare attenzione) di effettuare dei certificati di malattia da medici specialisti o medici dipendenti della struttura. Salvo i casi di ricovero, sosteniamo che la persona più abilitata a rilasciare i certificati di malattia è il medico di base, cui fa riferimento anche la specifica convenzione nazionale. Inoltre il medico di base conosce meglio di ogni altro la storia del paziente e quindi il solo in grado di effettuare un certificato medico corretto anche in termini di recupero del soggetto.

Su tale fattispecie, ricordiamoci che va collegato il successivo art. 55 quinquies- che prevede in caso di falsa attestazione della presenza in servizio, ovvero di giustificazione dell’assenza mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia, anche la sanzione penale della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 400 ed euro 1600. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto.

E’ da evidenziare, altresì, che la sentenza definitiva di condanna penale di cui sopra comporta per il medico, la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo ed altresì, se dipendente di una struttura sanitaria pubblica o se convenzionato con il servizio sanitario nazionale, il licenziamento per giusta causa o la decadenza dalla convenzione. Le medesime sanzioni disciplinari si applicano se il medico, in relazione all’assenza dal servizio, rilascia certificazioni che attestano dati clinici non direttamente constatati né oggettivamente documentati.

A conclusione, nell’intenzione fortemente repressiva della condotta, il legislatore aggiunge, per i casi suindicati, una ulteriore sanzione patrimoniale per il lavoratore con l’obbligo di risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all’immagine subiti dall’amministrazione.

Quindi tre sanzioni (disciplinare, penale e patrimoniale) sono gli strumenti scelti dal legislatore per eliminare e ridurre drasticamente le fattispecie di falsa attestazione in servizio e/o certificati medici falsi o che attestano falsamente uno stato di malattia. L’esplicarsi degli effetti se è agevole nel caso di falsa attestazione in servizio (il dipendente che è trovato fuori dal proprio posto di lavoro, in assenza di un permesso o giustificazione a seguito di una ispezione) non lo è altrettanto per l’attestazione di uno stato di falsa malattia ( chi decide in caso di certificati contrastanti? chi verifica i dati clinici non direttamente constatati?).

  1. Ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate esigenze di servizio.

Un’altra ipotesi in cui si incorre nel licenziamento. Se per la dirigenza tale questione appare sostanzialmente riferibile al concetto di incarico dirigenziale, sempre a tempo determinato, e soggetto a modifiche di sede o di diverso assetto funzionale. E’ consigliabile, a tale proposito inserire nel contratto integrativo individuale di lavoro correlato all’incarico dirigenziale, una specifica clausola che precisa che la sede di servizio originaria, potrà essere soggetta e modifiche per effetto delle necessità funzionali e in relazione a tale evento il contratto si intende automaticamente modificato con la comunicazione all’interessato. Per il personale del comparto invece la norma si collega all’art. 3 del recente CCNL siglato il 31.07.2009 il quale valorizza il concetto di flessibilità funzionale prevedendo che “l’Azienda nell’esercizio del proprio potere organizzatorio, nel rispetto dell’art. 2103 c.c., dispone l’impiego del personale nell’ambito delle strutture situate nel raggio di venticinque chilometri dalla località di assegnazione, previa informazione ai soggetti sindacali. Non si configura in ogni caso quale mobilità lo spostamento del dipendente all’interno della struttura di appartenenza, anche se in ufficio, unità operativa o servizio diverso da quello di assegnazione, in quanto rientrante nell’ordinaria gestione del personale affidata al dirigente responsabile7.

Di seguito le altre tre ipotesi di licenziamento:

c) Falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera.

La norma si riferisce sia per la sfera giuridica di ingresso del lavoratore nel rapporto di lavoro di ruolo, sia per i percorsi di sviluppo delle carriere previste (incarichi dirigenziali, incarichi di posizioni organizzative, incarichi per funzioni di coordinamento, progressioni verticali, progressioni orizzontali)

d) Reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale altrui.

e) Condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione, comunque denominata del rapporto di lavoro.

Ulteriore novità è l’ipotesi di licenziamento prevista in caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l’amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, una valutazione di insufficiente rendimento.

Anche qui occorre preventivamente avere un sistema di valutazione che sia attivo e funzionante, un passaggio con il Nucleo Interno di Valutazione (poi Organismo Indipendente di Valutazione), in quanto la norma si riferisce alle prestazioni e non alla professionalità espressa, che accerta in sede di valutazione di seconda istanza l’insufficiente rendimento prestazionale, e infine la contestazione e avvio del procedimento disciplinare, perché trattasi comunque di responsabilità disciplinare.

Occorre preventivamente, ritengo sia essenziale, che l’Azienda chiarisca nei sistemi di valutazione che cosa si intende per insufficiente rendimento e quali sono i parametri di rilevazione. E’ una questione delicata, in quanto se si vuole applicarla correttamente occorre essere chiari e precisi per evitare inutili contenziosi e fenomeni di discrezionalità soggettiva.

Un’altra importante novità in tema di responsabilità disciplinare è quella prevista dall’art. 55 sexies – in tema di condotte pregiudizievoli per l’amministrazione.

In tale articolo sono previste diverse fattispecie, inquadrabili nel danno al corretto funzionamento dell’amministrazione, per effetto della condotta del soggetto.

  1. La condanna dell’ Azienda Sanitaria al risarcimento del danno derivante dalla violazione, da parte del lavoratore dipendente, degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa comporta l’applicazione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di tre mesi, in proporzione all’entità del risarcimento.

Qui si apre una partita complessa per le aziende sanitarie, in quanto la sanzione rientra nelle ipotesi di danno e conseguente risarcimento. Le ipotesi possono anche essere numerose per effetto della particolare funzione dei professioni sanitari, si pensi alla dirigenza medica. Sta di fatto che la norma va applicata, quindi in caso di condanna al risarcimento del danno, occorre effettuare apposita contestazione e avviare il procedimento disciplinare.

  1. Il lavoratore che cagiona grave danno al normale funzionamento dell’ufficio di appartenenza, per inefficienza o incompetenza professionale accertate dall’amministrazione ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale, è collocato in disponibilità all’esito del procedimento disciplinare che accerta tale responsabilità. Quindi viene iscritto in una sorta di elenco regionale, percepisce un retribuzione ridotta per un periodo massimo limitato e attende una eventuale ricollocazione in altre aziende. Al di là dell’attenzione al fatto che è essenziale che l’Azienda abbia un buon sistema di valutazione con criteri oggettivi, trovo difficile poi per una azienda sanitaria che fa prestazioni dirette all’utente riprendere un professionista che sia incorso in un collocamento in disponibilità. Forse la norma doveva esser più diretta ai ministeri e ad altre amministrazioni pubbliche, e non certo alle Aziende Sanitarie.
  1. Il mancato esercizio o la decadenza dell’azione disciplinare, dovuti all’omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare, comporta, per i soggetti responsabili aventi qualifica dirigenziale, l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravità dell’infrazione non perseguita, fino ad un massimo di tre mesi in relazione alle infrazioni sanzionabili con il licenziamento, ed altresì la mancata attribuzione della retribuzione di risultato per un importo pari a quello spettante per il doppio della durata della sospensione. Ai soggetti non aventi qualifica dirigenziale si applica la predetta sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo.

E’ palese che la norma ha un effetto deterrente. Si vuole combattere il lassismo che ha contraddistinto la pubblica amministrazione, prevedendo delle sanzioni anche a carico di chi doveva avviare nei tempi giusti il procedimento disciplinare.

L’articolo conclude con la precisazione che “la responsabilità civile eventualmente configurabile a carico del dirigente in relazione ai profili di illiceità nelle determinazioni concernenti lo svolgimento del procedimento disciplinare è limitata, in conformità ai principi generali, ai casi di dolo o colpa grave”.

Quindi anche qui, due sanzioni: una disciplinare e una a carattere di responsabilità civile.

Ulteriori norme rivolte alla dirigenza riguardano:

  1. l’osservanza delle disposizioni sui controlli sulle assenze del personale, al fine di prevenire e contrastare, nell’interesse dell’ufficio, le condotte assenteistiche. Si rinvia anche qui alla responsabilità disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione.

  2. Il fatto che il dirigente debba avere un ruolo attivo nella programmazione triennale del fabbisogno di personale, per poi sancire, però, all’art. 50 che “la mancata individuazione da parte del dirigente responsabile delle eccedenze delle unità di personale è valutabile ai fini della responsabilità per danno erariale.

Inoltre se il lavoratore dipendente o il dirigente, essendo a conoscenza di un fatto o di informazioni rilevanti per la conclusione di un procedimento disciplinare, rifiuta senza giustificato motivo di prestare la dovuta collaborazione (sia verso la propria Azienda o anche verso un’Azienda diversa) ovvero rende dichiarazioni false o reticenti, è soggetto – da parte dell’amministrazione di appartenenza – alla sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, commisurata alla gravità dell’illecito contestato al dipendente, fino ad un massimo di quindici giorni.

Per gli addetti ai lavori della dirigenza amministrativa, particolare attenzione, alle norme sulle relazioni sindacali e sul procedimento di contrattazione collettiva integrativa aziendale – articolo 55 del dlgs.vo n. 150/2009 – con tassativo rispetto delle materie demandate dal CCNL, delle fasi di ipotesi di contratto integrativo aziendale, controllo di compatibilità del Collegio Sindacale (con le due relazioni tecnico-finanziaria e illustrativa) pubblicazione dell’accordo perfezionato nel sito dell’Azienda (in modo che sia visibile a tutti), trasmissione dell’accordo all’ARAN e invio dei dati (entro il 31 Maggio di ogni anno) sulla contrattazione integrativa al Ministero dell’economia e finanze, che li trasmette alla Corte dei Conti. Attenzione perché le norme sulla contrattazione integrativa aziendale parlano di: rispetto dei vincoli finanziari in ordine sia alla consistenza dei fondi e della spesa a bilancio, di criteri applicativi improntati alla premialità, al riconoscimento del merito e alla valorizzazione dell’impegno e qualità della prestazione individuale, nonché a parametri di selettività con particolare riferimento alle progressioni economiche (vedi progressioni orizzontali). La norma, al comma 5, dispone che “ in caso di mancato adempimento delle prescrizioni previste dall’articolo in questione, è fatto divieto alle amministrazioni di procedere a qualsiasi adeguamento delle risorse destinate alla contrattazione integrativa”.

In conclusione possiamo affermare che con il decreto legislativo n. 150/2009 sono state introdotte nuove ed importanti sanzioni per il personale delle Aziende Sanitarie. La novità più rilevante è che per la prima volta vengono introdotte anche sanzioni conservative per la dirigenza, per lo più incentrate sulla scelta della “via di mezzo” della sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione.

Per il personale del comparto (non dirigente) le sanzioni previste dal decreto incidono direttamente sull’assetto contrattuale modificando e integrando in automatico le norme già previste nel CCNL 19 Aprile 2004 articoli 10 e seguenti, e conservando invece quelle norme contrattuali che sono ancora compatibili con il dlgs.vo n. 150/2009. Per il personale della dirigenza, per il momento, si può fare solo riferimento alle ipotesi e sanzioni disciplinari tassativamente previste dal decreto legislativo n. 150/2009, per lo più incentrate sulla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione e sul licenziamento. Su quest’ultimo aspetto occorre anche rilevare che il dlgs.vo n. 150/2009, per il SSN, non ha modificato l’assetto attuale del ruolo del Comitato dei Garanti (cosa invece avvenuta per le altre pubbliche amministrazioni utilizzando la formula “sentito” e eliminando la formula “ previo conforme parere”). Non sono ravvisabili per il momento altre sanzioni, previste invece per il comparto quali: la censura scritta e la multa. Di questo se ne dovrà occupare il nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro.

E’ evidente che la scelta del legislatore è drastica e repressiva, dettata dall’esigenza di rivalutare, con immediatezza, il ruolo datoriale pubblico, l’efficienza, la produttività, la regolarità dei servizio. Se può essere intesa così, di primo impatto, per riequilibrare le sorti del datore di lavoro pubblico, da sempre in Italia in soggezione e debolezza storica come elite amministrativa (uno dei motivi del fallimento della riforma avviata con il decreto legislativo n.29/93, è proprio lo squilibrio e la soggezione in cui si è trovato il datore di lavoro pubblico rispetto alla componente politica) se prendiamo a riferimento, invece, il datore di lavoro privato agevolato anche dal semplice e determinante fine dell’utile economico. Nel contempo, però, occorre anche prendere consapevolezza che le soluzioni drastiche non possono durare a lungo. L’auspicio è che le nuove norme del decreto legislativo n. 150/2009 più che fare una vera mattanza, possano suscitare un nuovo impulso che valorizzi l’importanza del servizio pubblico. La questione, per il vero, ci sembra più una punta di un iceberg, che nasconde la vera sfida: la necessità di avviare una nuovo corso, un nuovo approccio culturale della pubblica amministrazione, un nuovo equilibrio anche con le relazioni politiche, che passa obbligatoriamente con la valorizzazione del merito e del rispetto delle capacità tecniche, come valore fondante per ogni incarico nelle pubbliche amministrazioni e soprattutto nelle aziende sanitarie dove il ruolo professionale è un fattore determinante.

 

Marra Felice

 

 

1 M. Cadamuro Morgante, G. Pavan, C. Zanatta “ La responsabilità professionale negli aspetti informativi, comunicativi e relazionali del nursing”. Nursing Oggi, n. 2, 2003.

2 Virginia Zambrano “ Interesse del paziente e responsabilità medica” su Ragiusan n. 301/302 sez. 4 dottrina.

3 Felice Marra “ Le funzioni di coordinamento delle professioni sanitarie. Aspetti contrattuali e management” Franco Angeli editore – 2010.

4 Paride Bertozzi- Giorgio Cappelli- Riccardo Giovani “ Manuale di amministrazione del personale” IPSOA 2003

5 G. Bronzetti “ La responsabilità nella pubblica amministrazione” Padova – 1993

6 si veda l’articolo 69 “ disposizioni relative al procedimento disciplinare” del decreto legislativo 27 Ottobre 2009, n. 150 “ Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”. Le legge prevede tassativamente le fasi del procedimento e tempi da seguire per l’irrogazione diretta della sanzione disciplinare, a cura del dirigente.

7 Sentenza n. 11835 del 21 Maggio 2009 – Sezione Lavoro – Cassazione .

Ribadisce che è vietato il totale demansionamento del pubblico dipendente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2103 c.c.

Tale disposizione considera illegittima ogni modifica in peius delle mansioni del lavoratore, anche se non comporta un danno di natura economica. Ai fini della valutazione della sussistenza dello ius variandi, da parte datoriale, è necessario verificare l’equivalenza in concreto di tali mansioni con quelle in precedenza assegnate, alla stregua del contenuto, della natura e delle modalità di svolgimento delle stesse; la suddetta equivalenza presuppone che le nuove mansioni, pur se non identiche a quelle in precedenza espletate, corrispondano alla specifica competenza tecnica del dipendente, ne salvaguardino il livello professionale e siano comunque tali da consentire l’utilizzazione del patrimonio di esperienza lavorativa acquisita nella pregressa fase del rapporto.

Marra Felice

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