Nel Seicento avviene una crisi economica in cui il capitale si riversa in possedimenti terrieri, aggravando i contadini di una massa di nuovi obblighi. Il cosiddetto “secondo servaggio” si presenta in due modi distinti, secondo che l’autorità stratale sia più o meno presente.
Nei paesi orientali (Prussia, Polonia, Boemia, Austria) sono restaurate le consuetudini feudali, mentre nei paesi occidentali prevalse il sistema del diritto “privato”, che sommergeva i contadini con una massa enorme di pesi sui fondi agrari. In contrapposizione al risorgere delle strutture feudali, inizia il processo di accentramento monarchico. Esso si sviluppa dapprima nei paesi occidentali, in cui il nuovo capitalismo fondiario si era paludato del diritto “privato” e solo nel Settecento si estende nei paesi feudali dell’Est.
Per mantenere la macchina burocratica statale si impongono nuovi gravami sui contadini, tuttavia l’impoverimento dei paesi latini non avviene, in quanto risparmiati dalle guerre di religione che insanguinano l’area germanica. Se l’asservimento diventa più meticoloso e la “segregazione” più efficiente, visto nella generalità ha una minore estensione di quello provocato dall’insieme dei corpi autonomi.
All’inizio del Settecento esiste una notevole confusione giuridica a causa delle innumerevoli fonti legislative. Il primo impulso a una “codificazione” del diritto avviene ad opera dell’assolutismo monarchico, il potere accentrato del sovrano porta all’asservimento della feudalità e alla frantumazione dei poteri intermedi fra lui e i suoi sudditi. Il sovrano non si considera più primo fra i suoi pari ma colui che detiene un potere assoluto e illimitato.
Nel Seicento la legislazione viene progressivamente intesa come espressione della volontà sovrana, nei paesi in cui la monarchia è più forte, maggiore è la pressione sulla magistratura e sul foro ed ha come risultato non solo delle teorie generali, ma anche dei risultati pratici. Così è per la teoria che afferma la validità del diritto consuetudinario in quanto approvato dal sovrano e la prevalenza della legge della fonte superiore su quella della fonte inferiore in caso di conflitto.
Particolarismo giuridico
Vi furono notevoli resistenze che si espressero nei principi del vecchio particolarismo giuridico , come la prevalenza della norma specifica, anche se inferiore, su quella superiore ma generale. L’unificazione del sistema giuridico si realizza nella misura in cui l’accentramento della giurisdizione ha successo; la prevalenza delle norme regie sulle altre avviene se il monarca ha un saldo dominio sulla corporazione dei giudici.
Per tutto il secolo XVII si era manifestata la tendenza di organizzare il sistema giuridico in forma unitaria, eliminando, quanto più era marcata la tendenza, “immunità” e “privilegi”. Il vocabolo “giurisdizione” anteriormente al XVIII secolo indicava il potere giuridico di applicare e produrre diritto, la distinzione tra potestà giudiziaria e legislativa intervenne solo più tardi, tanto che persino in Montesquieu hanno l’identico nome di potestà “esecutive”.
Perciò quando si parla di organizzazione del sistema giuridico, si intende che la concentrazione del potere politico ha portato a precise delimitazioni dei compiti dei tribunali. Ovvero alla perdita del potere di legiferare.
In molte parti si costituiscono uffici giudiziari centrali e “supremi” nel senso :
- a) della gerarchia, in quanto hanno compiti di appello e di revisione rispetto agli altri tribunali;
- b) della competenza esclusiva di talune materie di particolare importanza.
A questa organizzazione corrisponde una concezione dottrinale parallela, secondo cui la legislazione è sempre somministrata dal re o comunque in sua vece, tuttavia all’atto pratico il processo di accentramento della giustizia è vario a seconda delle regioni.
In Inghilterra si era consolidata una situazione di stallo, con l’equilibrio tra le forze progressiste e conservatrici, che portò alla consolidazione della magistratura in termini meno dipendenti dalla monarchia, più procliva a perpetuare le strutture giuridiche formali.
In Svezia l’asservimento della magistratura alla monarchia è più completo, mentre negli Stati germanici la situazione muta con l’importanza dello Stato. Mentre negli Stati minori l’accentramento sussisteva già, il problema principale essendo costituito dall’evitare l’asfissia economica e politica, in Austria e in Baviera si accentrano, mentre in Prussia si integrano, in forma piuttosto corporativa, le giurisdizioni feudali e locali.
In Francia l’accentramento fu difficile e incompleto, in quanto i tentativi del monarca urtarono contro i Parlamenti regionali (Corti supreme), i quali d’altra parte ne approfittarono per erodere, senza comunque riuscire ad eliminare, le sfere di competenza dei tribunali locali.
In Italia si ebbero situazioni che variarono da Stato a Stato. Il maggiore accentramento si ebbe nello Stato pontificio, dove nel XVIII secolo acquisì grande prestigio e importanza la Sacra Rota. In Toscana e negli Stati sabaudi si ebbero vari tribunali ma forse di potere maggiore, comunque tutti i tribunali italiani, tranne la Rota romana, privilegiarono la “interpretatio” rispetto alla “lex”.
Thomas Hobbes è il teorico dell’assolutismo, secondo Hobbes ogni uomo tende alla pace e alla sicurezza della vita e dei beni. Lo stato di natura cui l’uomo viveva prima di costituirsi in “stato civile”, era dominato dalle “passioni” e non garantiva queste esigenze fondamentali. Per evitare la guerra di tutti contro tutti non resta che accordarsi ed entrare in un nuovo stato detto “stato civile”, in cui si abolisce l’uso individuale della forza.
Per entrare nello “stato civile” gli uomini stipulano un “contratto sociale”, in cui rinunciano ai propri “diritti naturali” in favore di un uomo o di una assemblea di uomini che diventa il “sovrano”.
Al “sovrano” spettano tutti i poteri e i diritti, mentre al “cittadino” non resta che obbedire. Il potere assoluto del sovrano non deriva da alcun diritto divino e le sue azioni sono giuste per definizione, l’unico diritto esistente è quello derivante dalla volontà del sovrano, cioè il diritto “positivo”.
La legge consiste nell’interpretazione, ma per evitare incertezze e confusione il sovrano si pone come unico interprete, essendo l’unico legislatore. Da questo deriva che un delitto è tale perché sanzionato e punito dal sovrano, quindi da non confondersi con la nozione di peccato derivante da precetti divini.
Il termine “leggi di natura” ha in Hobbes due significati: nel primo intende tutti i comportamenti allo “stato di natura”; nel secondo la razionalità del comportamento umano, che ha come scopo principale l’autoconservazione.
Nello “stato di natura” riguardava ciascun uomo, ma con lo “stato civile” essa riguarda il “sovrano”, che a tal fine applicherà la “vendetta”. Essa è razionale in quanto persegue un bene futuro, cioè tende a impedire il ripetersi del comportamento scorretto, e non la mera “retribuzione” di un fatto passato.
Disobbedire al sovrano è male, quindi tutti i crimini sono “peccati”, ma non tutti i “peccati” sono crimini, come per esempio le intenzioni le quali, non traducendosi in pratica, non ledono l’autoconservazione del sovrano.
Il diritto penale si laicizza subordinando la qualificazione a quella politica. Inoltre la concezione della pena, derivante da una violazione di un ordine sovrano, come perseguimento di un bene futuro porta alla conseguenza che essa: a) deve essere preceduta dal comando di una legge e dal giudizio di una autorità, altrimenti diventa arbitraria (irretroattività della legge); b) deve assicurare la futura obbedienza della legge; c) deve costituire per il criminale un male maggiore dell’utile ricavato.
La tematica giuridica di tutta l’Europa continentale nel primo Settecento può riassumersi nei reciproci rapporti tra “lex” e “interpretatio”, simboli dell’accentramento e delle resistenze particolariste.
All’inizio del XVIII secolo per “lex” si intendeva tutta la legge statutaria, per “interpretatio” qualunque norma pronunciata da tribunali o giurisperiti in mancanza di una “lex” specifica per un determinato caso. Naturalmente i tribunali che intendevano opporre resistenza alla normativa regia applicavano ferreamente la regola, diminuendo la portata della “lex” e aumentando il proprio spazio autonomo per mezzo dell’ “interpretatio”.
Tutte le tematiche giuridiche del XVIII secolo (tentativi dei sovrani di asservire i grandi tribunali, certezza del diritto, dottrine della mancanza di casi dubbi nella legge, della natura puramente meccanica delle decisioni giudiziarie, della riforma del diritto ex novo, tutto il movimento della codificazione) vanno interpretate rispetto a questo problema. Ma il problema della certezza del diritto, della sua razionalizzazione si poteva risolvere solo con la prevalenza o della “interpretatio”, come avvenne in Inghilterra con la cristallizzazione dei precedenti, o della “lex” come sul continente europeo.
All’inizio del XVIII secolo la Francia si presentava come l’unico grande paese del continente con una amministrazione ed una giurisdizione relativamente accentrata. Nonostante questo, presenta una frattura dal punto di vista dell’unitarietà del diritto, tra il sud di diritto romano e il nord di diritto consuetudinario. Da una parte compie alcuni tentativi fra i più organici per razionalizzare il diritto, dall’altra parte presenta la maggiore impenetrabilità della pratica alle opere della scuola.
L’opposizione tra accentramento e particolarismo feudale dura fino alla Rivoluzione, considerando come unico elemento univoco il sorgere di una nuova classe borghese che non si identifica completamente in nessuno dei due campi avversi. Riguardo al diritto privato occorre tenere presente la distinzione, poco anzi accennata, tra diritto romano o scritto del meridione della Francia con il diritto consuetudinario del Nord.
Le differenze sostanziali riguardavano: a) una concezione più unitaria e più autoritaria della famiglia al Sud, rispetto alla maggiore autonomia dei figli e alla migliore situazione giuridica delle donne nel Nord; b) una proprietà più individualistica e assorbente nel Sud, dove ogni controllo sui beni è inteso come proprietà e mancano le forme giuridiche di disponibilità collettiva dei beni come nel Nord; c) una conseguente maggiore possibilità di disporre per contratto o per testamento dei propri beni rispetto alle regioni di diritto consuetudinario del Nord.
Sia il diritto scritto che quello consuetudinario vengono usati, nell’ambito dei territori sotto loro potestà, come “diritti comuni”. Accanto ad essi si applicano i “diritti particolari”, canonico e feudale. Essi hanno giurisdizione su tutta la Francia, ma invece di essere elemento unificatore fungono da ulteriore elemento di differenziazione.
Il diritto canonico agiva prevalentemente sulla differenziazione del regime giuridico delle capacità personali, della famiglia e del diritto penale. In particolare: a) sottraeva il clero alla giurisdizione comune; b) altrettanto per il matrimonio e i rapporti fra i coniugi, c) privava i non cattolici dell’istituto della famiglia e indirettamente dei diritti di successione “ab intestato”.
Il diritto feudale provocava confusione nel regime giuridico della disponibilità e circolazione dei beni immobili. La situazione innanzi descritta crea un sistema giuridico estremamente complicato.
Per quanto riguarda i soggetti dei diritti si stabilivano le seguenti distinzioni: 1) soggetti di diritto comune scritto o consuetudinario; 2) soggetti di religione cattolica e non; 3) soggetti nobili, non nobili, clero e servi. Questa distinzione è parzialmente sottordinata alle altre due, mentre particolare importanza ha la regione di provenienza e la religione per i non nobili o borghesi; 4) soggetti maschi o femmini; 5) soggetti sottoposti o meno alla patria potestà. Il 4 e 5 sono sottordinati alle precedenti distinzioni.
Sui beni si stabilivano distinzioni di natura giuridica e dei tipi di diritti che sui beni stessi potevano concorrere. In particolare: 1) Beni mobili e immobili; 2) nell’ambito dei beni immobili, gli edifici urbani dalle terre extraurbane; 3) nell’ambito delle terre extraurbane la distinzione tra terre libere, o allodiali, e terre signorili.
Nelle terre allodiali è possibile una proprietà piena nel senso romano, mentre in quelle signorili si ha una verticalizzazione di un numero aperto di diritti reali. La distinzione fra terre allodiali e signorili, ancora nel XVII secolo, seguiva la divisione fra paesi di diritto romano e quelli di diritto consuetudinario. Ma già agli inizi del XVIII per vari interessi, principalmente sovrani (tasse e giurisdizione) e privati, gli allodii ormai costituivano una minima parte del territorio nazionale. Le terre signorili si distinguevano a loro volta in terre nobiliari e non nobiliari.
Questo complicato sistema giuridico era ulteriormente appesantito dalla mancanza di un qualsiasi tipo di catasto e dalla labile terminologia giuridica.
Come il diritto civile anche quello penale risentiva del frazionamento eccessivo. L’unico tentativo di coordinamento era avvenuto nella seconda metà del Seicento ad opera di Luigi XIV, ma si limitò alla procedura penale, rimanendo tuttavia in vita sia i tribunali ecclesiastici che quelli signorili restava la distinzione tra diritto penale comune e particolare.
Nel diritto penale comune rientrano norme di diritto romano e diritto canonico, oltre l’Ordinnance di Luigi XIV; il diritto penale particolare è costituito da norme canoniche non rientranti in quello comune e dalle interpretazioni particolari dei tribunali. Nei processi si faceva ampio riferimento ai più disparati status soggettivi del reo e della parte lesa; anche le pene avrebbero dovuto essere diminuite di numero e standardizzate nella applicazione. Comunque il diritto penale all’inizio del XVIII secolo incomincia ad apparire superato e misterioso.
Il diritto mercantile francese in quest’epoca era considerato come un diritto speciale applicabile ad una classe di persone aventi lo status di commerciante e non a chi eserciti la professione di commerciante.
La borghesia, accontentata per quanto riguardava i traffici con il mercantilismo, trovava ragioni di malcontento nell’organizzazione giuridica che intralciava e impediva il commercio. Tuttavia non esisteva ancora nella borghesia una consapevolezza dei propri interessi di ceto che si avrà nella seconda metà del Settecento e solo per alcuni ceti privilegiati, quali la piccola nobiltà di toga e la borghesia curiale.
In Germania non esiste alcuna entità politica o amministrativa. Il diritto pubblico dell’Impero è sempre meno importante, mentre si formano particolari “diritti pubblici” fondati su basi storiche.
Il diritto romano funge da diritto privato comune suppletivo nei confronti dei diritti particolari territoriali (Landrechte). Il diritto territoriale non si può considerare diritto privato consuetudinario, perché conteneva norme di diritto pubblico accanto a norme di diritto privato oltre ad atti normativi voluti da Principi territoriali.
Il Land si contrapponeva alla città (Stand) e alla foresta (Wald), in quanto territorio agricolo con una sua organizzazione. In senso politico e in senso giuridico era costituito dal Principe territoriale e dai ceti dei signori, entrambi dotati di proprie organizzazioni burocratiche. Il Land non aveva un vero e proprio centro di produzione normativa, ma esistevano più fonti (signori feudali, corporazioni cittadine, Principe territoriale) in equilibrio fra loro.
Durante il secolo XVIII il tentativo di accentramento dei vari Principi porta a contrapporre la legislazione principesca ai diritti territoriali. Inoltre l’accentramento porta come ulteriore conseguenza la tendenza a far coincidere il diritto territoriale con il confine politico dello Stato, ostacolando eventuali altri diritti territoriali. In ciascun Stato si crea la contrapposizione tra un diritto privato e penale comune, costituito dal diritto romano, e un diritto particolare, costituito dal diritto territoriale. In teoria non si verificavano mai conflitti particolari in quanto il diritto romano-comune aveva carattere suppletivo.
Negli Stati cattolici la situazione era complicata dalla giurisdizione matrimoniale e di famiglia del diritto canonico cattolico. Il diritto feudale era parte integrante dei diritti territoriali in quanto regolante i rapporti fra privati.
La complicatezza del diritto tedesco risiede nelle caratteristiche dell’organizzazione politica dell’Impero, che si riflette nel frazionamento dei diritti territoriali. Nonostante l’estrema complicatezza del sistema giuridico germanico all’inizio del XVIII secolo non era prevedibile nessun movimento di riforma, questo per due ragioni una interna al sistema giuridico, l’altra attinente alla società nel suo complesso.
Per il primo punto causa fondamentale è la mancanza di un centro di produzione normativa capace di assumersi il compito di razionalizzare il diritto germanico, cosa impossibile ai Principi sovrani troppo piccoli, all’imperatore preoccupato per i propri domini ereditari e alle università interessate al diritto romano. Per il secondo punto è la mancanza di una potente borghesia e della correlativa scarsezza del commercio tra i vari Stati.
Per quanto riguarda le istituzioni gli Stati germanici sono più piccoli rispetto alla Francia e in essi l’accentramento inizierà alla fine del secolo, quando in Francia la sua spinta sarà ormai esaurita. Le minori dimensioni e il tempo trascorso permetteranno un’azione maggiormente incisiva dando origine alle prime codificazioni e, negli Stati maggiori: Austria e Prussia, all’ “assolutismo illuminato”.
La situazione italiana
La situazione italiana è complessivamente meno complicata per il sistema giuridico relativamente unitario dei vari Stati italiani. In tutti gli Stati, ad eccezione dello Stato pontificio, vi era una distinzione tra il diritto comune suppletivo e il diritto particolare dello Stato. Inoltre ogni Stato ammetteva deroghe speciali in favore sia di consuetudini locali, sia di diritti particolari.
Altro elemento turbativo del diritto generale dello Stato (diritto comune suppletivo e diritto particolare) sono i suoi rapporti con il diritto canonico, specialmente in materia penale, mentre il diritto feudale tende a scomparire, tranne nel regno meridionale, anche in Italia vi è una notevole pluralità di soggetti di diritto aventi differenti capacità giuridiche. Anzitutto il clero, che ha un proprio status giuridico e i cui privilegi i Principi tendono a porli sotto il proprio controllo, sottraendoli al diritto canonico con proprie disposizioni legislative. Poi gli appartenenti alle religioni diverse da quella cattolica, molto importante per accedere a cariche pubbliche e magistrature. Quindi i mercanti, aventi un particolare diritto mercantile, infine hanno capacità giuridiche differenti gli appartenenti ai diversi status sociali, specialmente i nobili in campo pubblico.
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