Le problematiche minorili secondo la Carta di Ottawa

Scarica PDF Stampa

Abstract: L’Autrice presenta una panoramica di un documento internazionale che si occupa della promozione della salute, illustrandone i contenuti in relazione alle problematiche dei giovanissimi

 

Etimologicamente “problema” significa “ciò che si getta o mette avanti o si presenta” e, per natura della vita, sono così le situazioni riguardanti bambini e ragazzi, perché si presentano nuove ogni volta e per ognuno.

Il principale problema che si pone è la loro salute, che deve divenire “progetto” (che ha lo stesso significato etimologico di “problema”) di ben-essere e di vita e in questo viene in aiuto la Carta di Ottawa per la promozione della salute, sottoscritta nel Canada nel 1986 (a conclusione della prima Conferenza Internazionale sulla Promozione della salute), un atto all’avanguardia ma sottovalutato e poco perseguito.

La prima fonte di ben-essere è sicuramente l’amore: “La salute è creata e vissuta dalle persone all’interno degli ambienti organizzativi della vita quotidiana: dove si studia, si lavora, si gioca e si ama. La salute è creata prendendosi cura di se stessi e degli altri, essendo capaci di prendere decisioni e di avere il controllo sulle diverse circostanze della vita” (dalla Carta di Ottawa). È una delle poche fonti normative in cui si parla esplicitamente dei luoghi in cui si ama. L’amore (secondo alcuni studiosi, dal latino “a mors”, non morte, cioè vita) è prendersi cura di se stessi e degli altri, essendo capaci di prendere decisioni e di avere il controllo sulle diverse circostanze della vita. Da qui la necessità dell’educazione sentimentale e sessuale dei bambini e dei ragazzi, non come disciplina scolastica ma come stile relazionale ed esempio relazionale. Il primo ambiente d’amore è la famiglia che deve (o dovrebbe) tener conto di tutto ciò, ma purtroppo sono in aumento le famiglie lacerate e quelle, poi, ricomposte o ricostituite. A tale proposito la psicologa e psicoterapeuta Anna Oliviero Ferraris spiega: “Separazioni e divorzi sono sempre un lutto per il figlio, che subisce la creazione di una nuova famiglia. Imporsi o farsi imporre come nuovo genitore è quasi sempre la mossa sbagliata: saranno solo i ragazzi, con il tempo, a decidere che ruolo potrà avere questo “terzo genitore” nella propria vita, se quello di un amico o di uno «zio»”. Le persone separate o divorziate e con figli, prima di intraprendere nuove relazioni sentimentali o di avere altri figli dalle nuove relazioni sentimentali, si facciano guidare da consapevolezza e responsabilità e non solo dal desiderio di rifarsi una vita, perché ogni loro scelta avrà sempre più riverberi in una reazione a catena e ricordando che ciò che è desiderio non sempre è un diritto e che è prioritario l’interesse superiore del fanciullo, tanto di quello già nato quanto dell’eventuale nascituro. Un altro aspetto importante in seno alla famiglia è la cosiddetta “memoria emozionale”, per la quale Duccio Demetrio, professore di filosofia dell’educazione, propone: “Una famiglia che abbia l’intenzione educativa a sviluppare il senso dei ricordi nei propri figli ha davanti varie strade. In primo luogo credo che uno dei miti da tramandare riguardi gli eventi legati alla nascita dei figli. I genitori dovrebbero tenere un diario, per esempio, del tempo antecedente il parto, di quello immediatamente successivo. Questo genere di diario familiare è spesso legato all’uso e all’abuso delle immagini mentre io sono convinto che, oggi sempre più, una mitologia familiare si costituisca dando spazio alla narrazione orale e alla possibilità di fermare con la scrittura queste immagini e questi ricordi. La foto del pancione non si carica di forza emotiva perché quelle immagini risultano comunque un po’ fredde e stereotipate, mentre la narrazione orale e quella scritta mantengono un livello di comunicazione emotiva e affettiva molto forte”.

Dopo l’amore familiare, nei ragazzi subentra l’esigenza e l’impulso d’amore per l’altro da sé, e dei ragazzi si dice: “Sicuramente hanno bisogno di un amore-per-sempre, checché ne dicano le statistiche. L’amore parte da lì e non si schioda da lì. I ragazzi e le ragazze hanno bisogno di dare alla sessualità un significato più bello di quello di ginnastica sessuale, di potere dell’uno sull’altro” (mons. Domenico Sigalini, esperto di tematiche giovanili). È necessario educare i ragazzi non solo all’amore (ed anche a fare l’amore e non a fare sesso), ma innanzitutto alla vulnerabilità nell’amore e dell’amore e così nella vita. Come afferma lo psichiatra Eugenio Borgna: “Le persone fragili sono quelle che sono infinitamente più sensibili nel cogliere lo strapotere delle certezze. E quindi la fragilità è anche indice della coscienza del limite, del confine. Se ho consapevolezza di che cos’è la fragilità, cercherò di essere cosciente delle cose che possono mettere in pericolo la mia condizione, e soprattutto del rischio mortale che hanno le sicurezze. Le certezze in psichiatria – come nella vita – sono pericolosissime”. Nella Carta di Ottawa si legge: “La promozione della salute sostiene lo sviluppo individuale e sociale fornendo l’informazione e l’educazione alla salute, e migliorando le abilità per la vita quotidiana. In questo modo, si aumentano le possibilità delle persone di esercitare un maggior controllo sulla propria salute e sui propri ambienti, e di fare scelte favorevoli alla salute. È essenziale mettere in grado le persone di imparare durante tutta la vita, di prepararsi ad affrontare le sue diverse tappe e di saper fronteggiare le lesioni e le malattie croniche. Ciò che deve essere reso possibile a scuola, in famiglia, nei luoghi di lavoro e in tutti gli ambienti organizzativi della comunità. È necessaria un’azione che coinvolga gli organismi educativi, professionali, commerciali e del volontariato, ma anche le stesse istituzioni” (dalla Carta di Ottawa).

Un altro degli “ambienti organizzativi della vita quotidiana: dove si studia, si lavora, si gioca e si ama” è la scuola in cui aumentano le difficoltà da individuare e affrontare, tra cui l’ADHD (disturbo da iperattività e deficit di attenzione): “Non si parla di ADHD se un bambino è vivace e irrequieto ma questo suo modo di essere non compromette il suo rapporto con gli altri, consente buone relazioni con la famiglia e i compagni, non condiziona la vita sua e di chi gli sta vicino. Lo stesso vale per eventuali disturbi di apprendimento che non incidano, in maniera significativa, sul rendimento scolastico. Quando, però, queste condizioni impediscono a una famiglia di andare tranquillamente a cena da amici o a un ragazzo, di intelligenza normale o superiore alla media, di raggiungere gli obiettivi scolastici che potrebbe conseguire, si deve intervenire” (Stefano Vicari, neuropsichiatra infantile). “[…] Chi bussa a questi centri, e non ha l’ADHD, presenta di solito disturbi di ansia o di altro tipo. Ignorare il malessere e le difficoltà dei nostri figli, o peggio ancora finendo per dare la colpa a loro, oppure a noi come genitori o educatori, non aiuta nessuno” (Roberta Villa, medico e giornalista scientifica). “È come per la miopia: nessuno viene stigmatizzato o considerato “malato” perché ha bisogno degli occhiali per leggere alla lavagna. Una volta molti disturbi della vista non venivano riconosciuti per le stesse ragioni per cui non si riconoscevano ADHD e disturbi dell’apprendimento. Oggi, però, abbiamo gli strumenti per rispondere a un disagio le cui radici sono in parte genetiche e in parte ambientali” (Antonella Costantino, neuropsichiatra infantile). Per le varie situazioni problematiche relative a bambini e ragazzi anziché ricorrere subito all’etichettamento e alla medicalizzazione bisogna far maturare la consapevolezza nei soggetti coinvolti e in quelli interagenti. “La discussione non deve concentrarsi sul fatto di dare o meno dei farmaci ai bambini, ma piuttosto sull’offrire a ognuno la cura migliore per quel particolare momento. Per i disturbi dell’apprendimento non servono medicine, ma strumenti compensativi: ad esempio, il cd rom con la registrazione della lezione o l’uso del computer o della calcolatrice in classe svolgono lo stesso ruolo degli occhiali nel caso della miopia; e ancora, strumenti dispensativi, previsti dalla legge che richiede agli insegnanti di non far leggere ad alta voce i dislessici, non fare dettati, lasciare loro più tempo per svolgere i compiti assegnati” (S. Vicari).

Oltre a questi disturbi che compromettono la carriera scolastica (e non solo), quella più a rischio, anche in giovane età, sembra essere la salute mentale in toto. “In Italia si rimuove l’idea del disturbo mentale, perché restiamo ancorati a una visione psicologica per cui se un ragazzo soffre di una malattia mentale, diversamente da uno colpito dal diabete, ci deve essere una responsabilità sua o della famiglia. Questo fa mettere la testa sotto la sabbia ignorando il dato per cui sono tra il 10 e il 15 per cento gli adolescenti che hanno una vera malattia mentale” (R. Villa). Le patologie mentali non sempre sono causate dal circuito familiare e non riguardano solo l’ambito familiare. “La promozione della salute è il processo che mette in grado le persone di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla. Per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, un individuo o un gruppo deve essere capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di cambiare l’ambiente circostante o di farvi fronte. La salute è quindi vista come una risorsa per la vita quotidiana, non è l’obiettivo del vivere. La salute è un concetto positivo che valorizza le risorse personali e sociali, come pure le capacità fisiche. Quindi la promozione della salute non è una responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma va al di là degli stili di vita e punta al benessere” (dalla parte iniziale della Carta di Ottawa).

Si registrano problemi di salute mentale che portano sempre più a varie sindromi, casi di depressione giovanile e suicidi: “[…] la morte, prima di essere una questione che ci riguarda tutti, è un discorso affettivo personale di cui ciascuno deve ogni volta imparare le regole e l’alfabeto da capo. Sarà anche normale che una madre muoia prima del figlio, ma non è normale per quel figlio, per cui quella è la sola madre che avrà mai al mondo e quella morte sarà per lui la prima della storia, l’unica che lo lascerà orfano. Tutte le famiglie hanno avuto un malato di tumore, ma ogni cancro ammala una famiglia in modo diverso, sconvolgendone le dinamiche e costringendo tutti a convivere con una dimensione della fragilità che le persone sane non sono mai costrette a incontrare, se non di striscio negli ospedali in cui la fragilità è stata efficientemente esiliata. Sapere che la persona che ami di più al mondo sta scomparendo come un colore vivace che si attenua ti costringe a organizzare l’addio con molto anticipo, sviluppando risposte all’assenza quando ancora la presenza amata è lì, palpitante a dispetto del termine” (la scrittrice Michela Murgia). Occorre educare al senso della morte per educare al senso della vita, al rispetto di sé e dell’altro, affinché le nuove generazioni non temano la morte né la cerchino o la sfidino. Ciò rende possibile anche l’attuazione di quanto previsto in una disposizione della prima parte della Carta di Ottawa: “L’azione della promozione della salute punta a rendere favorevoli queste condizioni tramite il sostegno alla causa della salute”.

“Di sicuro, siamo un Paese in cui i bambini e gli adolescenti non sono considerati cittadini con diritti propri, ma neppure come soggetti su cui sarebbe doveroso, oltre che utile, investire” (la sociologa Chiara Saraceno). Investire, soprattutto a livello relazionale, sui bambini e sugli adolescenti significa salvaguardare e promuovere il “ben-essere” di tutti, perché, tra l’altro, si possono prevenire problemi e patologie, quali bullismo, ludopatia, dipendenze, disturbi del comportamento alimentare. “[…] riconoscere che la salute e il suo mantenimento sono un importante investimento sociale e una sfida” (dalla Carta di Ottawa).

Un modo per prevenire è puntare su sport, danza, teatro e altre attività affini, che sono e rimangono scuole di vita. “Essere i migliori e non guardare mai in basso. Arrivare in vetta, osservare intorno e poi salire più su, oltre i propri limiti. È la sfida con cui ogni uomo in fondo è chiamato a misurarsi, perché nello sport, così come nella vita, siamo chiamati a mettere da parte la mediocrità. Non bastano fortuna e talento per riuscire in un’impresa. Ci vuole anche «uno zaino pieno di volontà», con qualche benda per curare le ferite delle sconfitte” (Giovanni Bettini, giornalista sportivo). Fondamentale e polivalente è l’attività sportiva per tutti, ma ancor di più per i bambini e i giovani. “I cambiamenti dei modelli di vita, di lavoro e del tempo libero hanno un importante impatto sulla salute. Il lavoro e il tempo libero dovrebbero esser una fonte di salute per le persone. Il modo in cui la società organizza il lavoro dovrebbe contribuire a creare una società sana. La promozione della salute genera condizioni di vita e di lavoro che sono sicure, stimolanti, soddisfacenti e piacevoli” (dalla Carta di Ottawa).

Le attività suindicate favoriscono pure la conoscenza di sé, del sé, di altro e dell’altro, portatore di alterità e alienità. I minori, o meglio le persone in via di formazione, devono essere educati alle differenze e alla consapevolezza delle differenze per il loro “ben-essere” (quel benessere più volte menzionato nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). “Pare dunque venir meno oggi la distinzione tra umano e animale, e tra umano e meccanico. Ma anche per quanto riguarda quell’idea di umanità che abbiamo sempre avuto sono messe in discussione differenze che in passato sembravano naturali. La distinzione tra i sessi, ad esempio, viene trasformata in una differenza puramente culturale tra vari “generi”. Allo stesso modo vengono annullate, tecnicamente e medicalmente, le specificità che sono proprie delle varie fasi della vita, le quali vengono ricondotte a un unico modello falsamente giovanile” (Adriano Fabris, docente di filosofia morale). “La promozione della salute focalizza l’attenzione sul raggiungimento dell’equità in tema di salute. Per mettere in grado tutte le persone di raggiungere appieno il loro potenziale di salute, l’azione della promozione della salute punta a ridurre le differenze nello stato di salute attuale e ad assicurare pari opportunità e risorse. Tutto ciò comprende solide basi su un ambiente favorevole, sulla disponibilità di informazioni, su abilità personali e su opportunità che consentano di fare scelte sane. Le persone non possono raggiungere il loro pieno potenziale di salute se non sono capaci di controllare quei fattori che determinano la loro salute. Ciò va applicato in egual misura agli uomini e alle donne” (dalla Carta di Ottawa). La costruzione dell’identità avviene mediante un processo di identificazione e differenziazione, pertanto le differenze non possono e non devono essere né escluse né eluse. Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, precisa: “C’è, infine, un’altra importante agenzia di socializzazione, sovraordinata sia alla famiglia che alla scuola. Sto parlando del clima culturale in cui viviamo e, soprattutto, dei valori di cui la nostra società è portatrice. La migliore delle famiglie e la migliore delle scuole non avranno pieno successo nell’educazione alla prosocialità, se guerre, mafie, ingiustizie continueranno a prevalere. Credo, anzi, che educazione alla prosocialità ed educazione alla pace siano le due facce di un’unica medaglia”. La sanità delle relazioni è fonte di salubrità per le persone, di solidarietà e di solidità della società.

Bisognerebbe recuperare il profondo senso di società (“essere uniti”) e farla coincidere con civiltà (“essere cittadini, cioè coloro che abitano nella città e sono capaci di goderne gli onori e i benefici”). “[…] la questione è delicata perché riguarda tutta la società e, nel contempo, la rapidissima, radicale, trasformazione cui è andata incontro, nell’ultimo secolo, ma prima ancora il suo futuro che, da queste generazioni, dipende. Fino a pochi decenni fa, il sistema educativo era molto rigido, la struttura familiare e sociale solida, le regole chiare e solo a una piccolissima percentuale della popolazione era richiesto quel che oggi è la norma per tutti: concentrarsi per molte ore e per lunghissimi anni a scuola; quindi, imparare, presto e bene, a leggere, scrivere, fare di calcolo. A un contadino dell’Ottocento non raggiungere queste competenze non cambiava la vita. Pochissimi bambini, solo tra quelli che riuscivano meglio, continuavano a studiare. La maggior parte delle persone era impegnata in attività per le quali tutto questo non era indispensabile alla piena realizzazione” (R. Villa). “Le nostre società sono complesse e interdipendenti, e non è possibile separare la salute dagli altri obiettivi. Gli inestricabili legami che esistono tra le persone e il loro ambiente costituiscono la base per un approccio socio-ecologico alla salute. Il principio guida globale per il mondo, […], è la necessità di incoraggiare il sostegno e la tutela reciproci: prendersi cura gli uni degli altri, delle nostre comunità e del nostro ambiente naturale” (dalla Carta di Ottawa).

“Una buona salute è una risorsa significativa per lo sviluppo sociale, economico e personale ed è una dimensione importante della qualità della vita. Fattori politici, economici, sociali, culturali, ambientali, comportamentali e biologici possono favorire la salute, ma possono anche danneggiarla” (dalla Carta di Ottawa). Parole che si possono parafrasare riferendole ai giovani, a cominciare con: “Una gioventù in buona salute è una risorsa significativa per lo sviluppo sociale, economico e personale ed è una dimensione importante della qualità della vita di tutti”. Giovane (“colui che combatte, che difende, che respinge”), salute (etimologicamente “integrità, salvezza”), vita (dal verbo concreto “vivere” da cui, poi, è derivato il  nome astratto di vita): questo il connubio in cui credere, crescere, far credere, far crescere. Questo il “progresso materiale o spirituale della società” (dall’art. 4 Costituzione) cui ognuno deve concorrere con la propria attività o funzione, in primis con la funzione genitoriale che è un vero lavoro (“fatica”).

“Chi colpisce una comunità in ciò che ha di più prezioso, i bambini in primo luogo, deve ricevere una risposta dall’intera collettività. Insieme siamo più forti. Insieme troviamo più coraggio. Insieme recuperiamo speranza” (lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro). Forza, coraggio, speranza: i giovani sono questo, hanno diritto a questo! Insieme, si può, si deve!

Dott.ssa Marzario Margherita

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento