Le problematiche normative in tema di immigrazione clandestina per via marittima

Redazione 04/07/04
dott. Francesco Di Pietro ( f-dipietro@libero.it )
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1. Premessa; 2. Il diritto internazionale della navigazione; 2.1 La libertà dell’alto mare; 2.2 Il diritto di visita; 2.3 I trattati in materia di immigrazione clandestina; 2.4 La zona contigua; 2.5 La sicurezza della navigazione; 3. La legislazione italiana: le nuove disposizioni contenute nel T.U. sull’immigrazione; 3.1 La legislazione italiana: il decreto ministeriale 14 luglio 2003; 4. Rilievi conclusivi.
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1. Premessa
Il fenomeno dell’immigrazione clandestina ha in Italia una connotazione particolare nel più grave aspetto di immigrazione clandestina per via marittima. La quasi totalità degli ingressi clandestini (a parte il caso del confine italo-sloveno e di pochi ingressi tramite via aerea) avviene infatti sulle nostre coste a bordo delle cosiddette carrette del mare.
Dal raffronto tra gli anni 2000 e 2002 emerge una diminuzione del numero di clandestini sbarcati in Puglia (18.990 nel 2000 contro i 3.372 del 2002) e Calabria (5.045 nel 2000 contro i 2.122 del 2002), pari rispettivamente, all’82,2% ed al 57,9%, a fronte di un aumento del fenomeno in Sicilia (da 2.782 nel 2000 a 18.225 nel 2002). Complessivamente, si registra un calo (-11,5%) di clandestini sbarcati lungo le coste meridionali della penisola italiana.
La tendenza alla flessione della pressione migratoria illegale è confermata dai dati dei primi sei mesi del 2003, durante i quali sono sbarcati clandestinamente 7.888 extracomunitari (12.272 nell’analogo periodo del 2002 con una riduzione del 35,7%). E’ diminuito drasticamente il numero degli sbarcati in Puglia (81 persone) e Calabria (177) a fronte delle 2.846 e 1.442 persone sbarcate, rispettivamente, in Puglia e Calabria nel primo semestre del 2002, ma è altresì diminuito il numero delle persone sbarcate in Sicilia (7.630 nel periodo 1° gennaio – 30 giugno 2003 contro le 7.984 del corrispondente periodo del 2002), con un decremento, quindi, del 4,4%. Per quanto riguarda la Sicilia, è esploso il numero degli sbarchi a partire dal 30 maggio che, sino al 30 di giugno sono stati 4.732, tutti provenienti dalla Libia[1].
L’inserimento nel nostro ordinamento di speciali misure d’intervento per la repressione del traffico di migranti clandestini via mare è un tema di primaria importanza, vista la posizione geografica dell’Italia nel Mediterraneo[2]. Il legislatore italiano è infatti recentemente intervenuto sul punto con la legge 30 luglio 2002, n. 189 (cosiddetta Bossi-Fini).
Scopo del presente lavoro è verificare l’adeguatezza delle nuove norme, specie in confronto delle già presenti norme di diritto internazionale pattizio e consuetudinario.

2. Il diritto internazionale della navigazione
Prima di entrare nello specifico della nuova disciplina legislativa italiana, è interessante esaminare le norme del diritto internazionale generale e dei trattati internazionali di cui l’Italia è parte.

2.1 La libertà dell’alto mare
Una caratteristica del diritto internazionale del mare è il principio della libertà dell’alto mare[3]. Infatti la sovranità dello Stato costiero si estende sino alle 12 miglia nautiche (mare territoriale): oltre tale limite tutti gli Stati possono usare liberamente il mare.
Questo principio della libertà dell’alto mare (che include innanzitutto la libertà di navigazione) è sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay del 10 dicembre 1982 (cd. Convenzione sul diritto del mare), entrata in vigore per l’Italia il 12 gennaio 1995[4].
“In alto mare, il collegamento tra uno Stato e una nave non si basa su di un requisito territoriale, ma sul requisito della nazionalità, come espresso dalla bandiera che la nave ha ottenuto da uno Stato”[5]: ciò è ribadito dall’art. 92 (Posizione giuridica delle navi) della Convenzione di Montego Bay per cui “le navi battono la bandiera di un solo Stato e, salvo casi eccezionali specificamente previsti da trattati internazionali o dalla presente Convenzione, nell’alto mare sono sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva”. E’ da precisare che il termine giurisdizione è qui da intendere nel senso ampio proprio della terminologia giuridica anglosassone, ovvero “comprendente anche la cosiddetta executive jurisdiction (o enforcement jurisdiction), vale a dire il potere di organi dello Stato di esercitare atti coercitivi nei confronti di una nave e delle persone che si trovano a bordo (inseguimento, abbordaggio, fermo, dirottamento, arresto di persone)”[6].
La Convenzione di Montego Bay prevede espressamente le eccezioni al principio della libertà dell’alto mare. I casi sono la pirateria (artt. 100 a 107); il diritto di inseguimento (art. 111)[7]; le emissioni non autorizzate a partire dall’alto mare (art. 109). In queste ipotesi uno Stato può esercitare la sua giurisdizione su una nave straniera che si trova in alto mare.
Come si dirà più ampliamente avanti, vi sono altri casi, parimenti molto gravi (si pensi alla tratta di schiavi, art. 99 ed al traffico di stupefacenti, art. 108), in cui però la giurisdizione può essere esercitata solo dallo Stato di bandiera, “a meno che non esistano specifici trattati in vigore tra lo Stato di bandiera e altri Stati”[8].

2.2 Il diritto di visita
Diverso dal diritto di esercitare la giurisdizione è il diritto di visita di navi straniere presenti nell’alto mare. Tale diritto è previsto dall’art. 110 della Convenzione di Montego Bay[9], la quale, però, non prevede che il mero sospetto di traffico clandestino di immigrati possa costituire motivo per esercitare un diritto di visita: occorrono fondati motivi al riguardo. Al contrario, l’art. 8 par 7 del Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria – trafficking of human beings, secondo la terminologia dell’O.N.U. – (sottoscritto nel corso della Conferenza di Palermo del 12-15 dicembre 2000)[10], enuncia: “Uno Stato parte che ha ragionevoli motivi per sospettare che una nave è coinvolta nel traffico di migranti via mare e che questa è senza nazionalità, o può essere assimilata ad una nave senza nazionalità, può fermare e ispezionare la nave. Se il sospetto è confermato da prove, detto Stato Parte prende misure opportune, conformemente al relativo diritto interno ed internazionale”. Qui il diritto di visita è più ampio (non occorrono fondati motivi, ma bastano ragionevoli motivi di sospetto che la nave sia coinvolta nel traffico clandestino di immigrati), anche se limitato al solo caso di nave senza nazionalità o equiparata a nave senza nazionalità, quindi già rientrante in un caso già previsto dall’art. 110, par. 1. lett. d) della Convenzione di Montego Bay[11].
Inoltre il Protocollo di Palermo è oscuro sul contenuto delle misure opportune, conformemente al relativo diritto interno ed internazionale. “Ulteriori precisazioni, in una materia così delicata, sarebbero state quanto mai necessarie”[12].

2.3 I trattati internazionali in materia di immigrazione clandestina
Non esistono, quindi, norme della Convenzione di Montego Bay e neanche norme del diritto internazionale consuetudinario che autorizzano uno Stato a esercitare la sua giurisdizione nei confronti di navi straniere sospettate di trasportare immigrati clandestini in alto mare.
Di conseguenza, le violazioni delle normative sull’immigrazione costituiscono illeciti di rilevanza meramente interna agli ordinamenti nazionali degli Stati coinvolti nel traffico (Stato di partenza; Stato di destinazione o entrambi). Così ragionando, però, “qualsiasi illecito di immigrazione clandestina si consuma soltanto dopo che le persone coinvolte sono entrate nel mare territoriale dello Stato di destinazione (o di uno Stato di transito), e non già prima, cioè quando la nave che li trasporta si trova ancora in alto mare”[13].
Proprio per ovviare a ciò, sono state introdotte forme di cooperazione internazionale nella lotta contro l’immigrazione clandestina via mare.
Importante è lo scambio di lettere tra l’Italia e l’Albania del 25 marzo 1997 (cui è seguito un protocollo di attuazione del 2 aprile 1997[14]. Il fine perseguito con questo accordo bilaterale è instaurare una collaborazione per prevenire gli atti contrari all’ordine giuridico coinvolgenti i due Paesi e prestare l’immediato soccorso umanitario quando è in pericolo la vita di coloro che tentano di lasciare l’Albania per raggiungere le coste italiane a bordo delle cosiddette carrette del mare.
Per quanto riguarda invece il piano multilaterale, il citato Protocollo di Palermo “conferma il tradizionale schema in base al quale la giurisdizione in alto mare a bordo di navi straniere può essere esercitata soltanto con il consenso dello Stato di bandiera”[15]. Infatti l’art. 8, par. 2 statuisce: “Uno Stato Parte che ha ragionevoli motivi per sospettare che una nave, che esercita la libertà di navigazione in conformità al diritto internazionale e che batte bandiera o che esibisce i segni di iscrizione al registro di un altro Stato Parte, sia coinvolta nel traffico di migranti via mare, può informare di ciò lo Stato di bandiera, chiedere conferma dell’iscrizione sul registro e, se confermata, chiedere l’autorizzazione a detto Stato a prendere misure opportune in relazione a tale nave. Lo Stato di bandiera può autorizzare lo Stato richiedente, tra le altre misure, a:
Fermare la nave;
Ispezionare la nave; e
Se vengono rinvenute prove che la nave è coinvolta nel traffico di migranti via mare, prendere le misure opportune in relazione alla nave, alle persone e al carico a bordo, come da autorizzazione da parte dello Stato di bandiera.”
Tale procedura è molto macchinosa: mal si adatta quindi a situazioni caratterizzate sempre dall’urgenza dell’azione da adottare. Non costituisce neanche soddisfacimento all’esigenza di urgenza, il par. 4 dell’art. 8, secondo cui: “Uno Stato Parte risponde senza ritardo alla richiesta di un altro Stato Parte per stabilire se una nave che vanta l’iscrizione al suo registro o che batte la sua bandiera è legittimata a fare ciò, nonché ad una richiesta di autorizzazione in applicazione del paragrafo 2 del presente articolo”.
Si badi inoltre che il Protocollo di Palermo si applica solo nei rapporti tra gli Stati Parte e non può pregiudicare i diritti degli Stati di bandiera che hanno preferito rimanerne terzi.
2.4 La zona contigua
La Convenzione di Montego Bay, a tutela degli interessi degli Stati Costieri, prevede all’art. 33: “In una zona contigua al suo mare territoriale, denominata zona contigua, lo Stato costiero può esercitare il controllo necessario al fine di:
Prevenire le violazioni delle proprie leggi e regolamenti doganali, fiscali, sanitari e di immigrazione entro il suo territorio o mare territoriale;
Punire le violazioni delle leggi e regolamenti di cui sopra, commesse nel proprio territorio o mare territoriale.
La zona contigua non può estendersi oltre 24 miglia marine dalla linea di base da cui si misura la larghezza del mare territoriale.”
L’Italia, anche se le sue coste sono diventate approdo di ingenti flussi migratori e di traffici di merci di contrabbando (stupefacenti; armi; tabacchi lavorati esteri), non ha ancora ritenuto opportuno istituire espressamente una zona contigua. Né può ovviare a tale mancanza, come si dirà avanti, l’art. 12 comma 9 bis del T.U. sull’immigrazione. La conseguenza è che per l’Italia “l’alto mare inizia immediatamente dopo le 12 miglia nautiche di mare territoriale”[16].
2.5 La sicurezza della navigazione
Un obbligo fondamentale per tutti gli Stati è quello di proteggere la vita umana in mare, prestando assistenza alle persone in pericolo. L’art. 98, par. 1 della Convenzione di Montego Bay statuisce infatti al riguardo: “Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri:
Presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo;
Proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa;
Presti soccorso, in caso di abbordo, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata, e qual è il porto più vicino presso cui farà scalo.”
Ma, prima ancora che i singoli Stati, il dovere di salvaguardia della vita umana in mare riguarda lo Stato di bandiera, il quale è obbligato ad assicurare che sia in condizioni di navigare in modo da non mettere in pericolo la nave stessa o altre navi.
Riguardo a tale obbligo, si consideri che secondo la Convenzione di Montego Bay (art. 92) e secondo il diritto consuetudinario, “una nave è sottoposta alla giurisdizione dello Stato che le ha attribuito la sua nazionalità, rappresentata dalla bandiera, sulla base delle condizioni di immatricolazione che esso ha liberamente determinato. E’ però anche precisato che deve sussistere un legame sostanziale (genuine link, lien substantiel, relaciòn autèntica) tra uno Stato e la nave che ne batte la bandiera”[17].
La nozione di legame sostanziale è data dall’art. 94, par. 3 della Convenzione di Montego Bay: “Ogni Stato adotta, per le navi che battono la sua bandiera, tutte le misure necessarie a salvaguardare la sicurezza in mare, con particolare riferimento a:
Costruzione, attrezzature e navigabilità delle navi;
Composizione, condizioni di lavoro e addestramento degli equipaggi, tenendo conto degli appropriati strumenti internazionali;
Impiego dei segnali, buon funzionamento delle comunicazioni e prevenzione degli abbordi.”
Come si vede, il legame sostanziale comprende oltre l’obbligo dello Stato di esercitare in modo effettivo la giurisdizione ed il controllo amministrativo, altri obblighi relativi alla sicurezza della navigazione.
Il successivo par. 4 prosegue con l’elencazione delle misure che lo Stato è obbligato a prendere[18]: da esse si evince l’importanza che assume l’osservanza delle regole sulla sicurezza in mare. Basti pensare che, secondo il par. 5[19], tali regole si applicano senza bisogno di una specifica assunzione dell’obbligo da parte dello Stato, ma per il semplice fatto che esse siano conformi a regole, procedure e pratiche generalmente accettate[20].
Continuando con l’esame dell’art. 94 della Convenzione di Montego Bay, il par. 6 enuncia: “Qualunque Stato che abbia fondati motivi per ritenere che su una nave non sono stati esercitati la giurisdizione ed i controlli opportuni, può denunciare tali omissioni allo Stato di bandiera. Nel ricevere la denuncia, lo Stato di bandiera apre un’inchiesta e, se vi è luogo a procedere, intraprende le azioni necessarie per sanare la situazione”. Tale paragrafo, apparentemente semplice, comporta diverse difficoltà di interpretazione. Infatti, “secondo l’interpretazione da alcuni preferita, sembrerebbe che nei confronti di uno Stato che manchi di esercitare un effettivo controllo sulla nave cui ha attribuito la propria bandiera (cosiddetta bandiera ombra o bandiera di convenienza) sia soltanto esperibile quel diritto (se così lo si puo chiamare) di segnalazione che è previsto dall’art. 94, par. 6 della Convenzione. Al contrario, posto che l’esercizio di un effettivo controllo in materia di sicurezza della navigazione costituisce un preciso obbligo dello Stato di bandiera, è preferibile ritenere che l’inadempimento di tale obbligo determina le conseguenze che, secondo il diritto internazionale, discendono da un qualsiasi illecito internazionale: cessazione del comportamento illecito, ristabilimento della situazione precedente, risarcimento del danno, soddisfazione, contromisure”[21].

3. La legislazione italiana: le nuove disposizioni contenute nel T.U. sull’immigrazione
Dopo aver passato in rassegna le norme più importanti del diritto internazionale, si passa ora ad esaminare la normativa italiana (recentemente modificata), mettendola a confronto con le prime.
In tema di poteri di polizia in relazione alle fattispecie penali connesse al traffico di migranti (di cui all’art. 12 del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero[22]), si segnalano, oltre alle novità in tema di arresto in flagranza e di confisca, i nuovi poteri di vigilanza delle navi italiane che, in servizio di polizia, pattugliano le frontiere marine per fronteggiare l’emergenza sbarchi[23]. La legge 30 luglio 2002, n. 189 (cosiddetta Bossi-Fini) ha introdotto, tra le numerose polemiche durante l’iter di approvazione alla Camera ed al Senato (sia in Commissione che in Assemblea), nell’art. 12 del T.U. sull’immigrazione i nuovi commi 9 bis, 9 ter, 9 quater, 9 quinquies e 9 sexies. Con l’introduzione di tali norme, “il legislatore ha voluto anticipare nuovamente il contenuto delle disposizioni specifiche sul traffico via mare contenuto nel Protocollo delle N.U., senza peraltro riuscire nell’intento”[24]. Infatti, l’art. 8 del Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria (sottoscritto nel corso della Conferenza di Palermo del 12-15 dicembre 2000) prevede, come visto in precedenza, diverse modalità di intervento in mare per lo Stato Parte che ha ragionevoli motivi di sospettare che la nave sia coinvolta nel traffico di migranti, a seconda che la nave interessata sia di nazionalità dello Stato interveniente o sia sprovvista di nazionalità (nel qual caso può richiedere ad altri Stati Parte assistenza per porre fine a tale utilizzo della nave); o appartenga ad altro Stato, sia pure in apparenza (nel qual caso può informare lo Stato di bandiera; chiedere conferma dell’iscrizione nel registro e chiedere l’autorizzazione a prendere le misure opportune, come il fermo, l’ispezione ed altro). Sono poi molto importanti le clausole di salvaguardia previste dall’art. 9 del Protocollo di Palermo (anche queste ignorate dal legislatore italiano del 2002), in base alle quali ogni intervento in mare ai sensi dell’art. 8 non deve ostacolare o modificare i diritti e gli obblighi degli Stati costieri e l’esercizio della loro giurisdizione, ai sensi del diritto internazionale del mare, ed anche l’esercizio, per lo Stato di bandiera, della propria giurisdizione e controllo sulla nave. Lo strumento internazionale inoltre salvaguarda, nell’azione di intervento in mare, l’incolumità delle persone a bordo[25], la sicurezza della nave e del carico, gli interessi commerciali o giuridici dello Stato di bandiera, gli interessi ambientali.
Passando all’esame dei nuovi poteri introdotti dalla legge Bossi-Fini, essi consistono nei poteri di fermo e di ispezione delle navi sospettate di essere coinvolte nel traffico di migranti, con eventuale sequestro e conduzione in un porto dello Stato, “nel caso in cui vengano rinvenuti elementi che confermano il coinvolgimento della stessa in un traffico di migranti”[26].
Questa previsione rappresenta un’estensione dei poteri già spettanti alla polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 352 c.p.p., in situazioni di flagranza di reato commesso nella zona contigua e nel mare territoriale[27].
Inoltre, già la versione originaria del T.U., all’art. 12 comma 7, prevedeva la possibilità di fermare navi sospette (natanti per i quali sussistono fondati motivi di ritenere il loro utilizzo per i delitti di cui allo stesso art. 12), di ispezionarle e di sequestrarle. La Bossi-Fini ha solamente dilatato queste facoltà[28].
Altro rilievo consiste nel fatto che l’Italia, come detto in precedenza, non ha istituito una propria zona contigua; ed è difficile pensare che a tal fine sia sufficiente il citato nuovo art. 12 comma 9 bis T.U., poiché secondo il diritto internazionale, la zona contigua, a differenza del mare territoriale e della piattaforma continentale, non ha carattere automatico, ma dipende da un espresso atto legislativo dello Stato costiero che indichi i limiti esterni, specie nell’ipotesi che i confini marittimi si debbano definire con gli Stati adiacenti o fronteggianti (altrimenti le autorità nazionali non saprebbero dove esercitare i loro poteri)[29].
Stesso errore è commesso dal legislatore del D.M. 14 luglio 2003 (di cui si dirà più ampliamente nel paragrafo successivo), il cui art. 6 comma 2 stabilisce: “Al fine di rendere più efficace l’intervento delle Forze di Polizia nelle acque territoriali è stabilita una fascia di coordinamento che si estende fino al limite dell’area di mare internazionalmente definita come zona contigua nelle cui acque il coordinamento delle attività navali connesse al contrasto dell’immigrazione clandestina, in presenza di mezzi appartenenti a diverse Amministrazioni, è affidato al Corpo della Guardia di Finanza”. Non essendo stata istituita in Italia la zona contigua, come può il Corpo della Guardia di Finanza coordinare gli interventi di diverse forze di polizia che non sanno neanche dove possono spingersi con i loro interventi?[30]
I citati poteri sono adesso estesi (comma 9 quater) anche al di fuori del mare territoriale (alto mare), nel rispetto e nei limiti stabiliti dalla legge, dal diritto internazionale e dalle convenzioni o accordi internazionali, anche bilaterali, a prescindere dalla nazionalità delle navi sospette ed anche nei casi di nave priva di bandiera o con bandiera di convenienza[31]. Questa previsione “non è comunque nuova nel panorama internazionale delle fonti normative, poiché ai sensi della Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982 (ratificata in Italia con legge 2 dicembre 1994, n. 689) è già previsto il diritto di visita in alto mare mediante navi da guerra per il controllo di situazioni illecite rigorosamente delimitate”[32].
Il confronto con la Convenzione di Montego Bay (e con il Protocollo di Palermo) qui si impone inoltre per il richiamo fatto dal comma 9 quater al limite del diritto internazionale: se non vi è dubbio alcuno che le navi italiane in servizio di polizia possano, in alto mare, fermare, ispezionare e sequestrare una nave battente bandiera italiana, invece, nel caso di nave senza bandiera, l’unico intervento consentito (dall’art. 110, par. 1, lett. d della Convenzione di Montego Bay e dall’art. 8, par. 7 del Protocollo di Palermo) è il diritto di visita. Analogamente, nel caso di navi straniere, sempre in alto mare, “nessun tipo di fermo, ispezione o sequestro sembrerebbe ammissibile, a meno che esso sia consentito da uno specifico accordo”[33].
Ulteriore elemento per marcare la mancanza di carica innovativa del nuovo comma 9 quater è inoltre la previsione di cui all’art. 202 cod. nav. (Nave sospetta di tratta di schiavi): “La nave da guerra italiana, che incontri in alto mare o anche in mare territoriale estero una nave nazionale sospetta di attendere alla tratta di schiavi, può catturarla e condurla in un porto dello Stato o nel porto estero più vicino, in cui risieda un’autorità consolare”.
Durante la discussione al Senato della legge 189/2002 era infatti stato messo in evidenza che i poteri introdotti all’art. 12 T.U., erano già previste aliunde[34].
Al di là dell’ampiezza extraterritoriale dei poteri di polizia, dati dai quali non si può prescindere sono il rispetto degli accordi internazionali e “la soluzione dei problemi di giurisdizione che, inevitabilmente, sono connessi alla tipologia dei reati in esame”[35]. Già secondo la giurisprudenza[36] sussiste la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria italiana anche per i delitti consumati interamente in acque internazionali, se essi sono in rapporto di connessione con reati commessi nel mare territoriale per i quali sia stato esercitato il cosiddetto diritto d’inseguimento[37], in base al quale è consentito l’inseguimento di navi straniere, sempre che questo sia iniziato nel mare territoriale dello Stato rivierasco o nella zona contigua e si sia ininterrottamente protratto fino al fermo, allorché ci sia motivo di ritenere, per le autorità dello Stato rivierasco, che tali navi abbiano violato le sue leggi o regolamenti[38].
In base al nuovo comma 9 ter dell’art. 12 T.U., i poteri fin qui descritti sono attribuiti alle navi della Marina militare, qualora essa venga utilizzata per tali servizi.
Il comma 9 quinquies rinvia ad un decreto interministeriale[39] tra i dicasteri competenti (interni, difesa, economia e finanze, infrastrutture e trasporti) per definire le modalità di intervento delle navi della Marina militare e per definire i modi di raccordo con le altre unità navali in servizio di polizia.
L’ultimo comma, 9 sexies, consente di applicare tutte queste disposizioni relative al traffico di migranti via mare, anche al traffico aereo. “Non appare chiaro quale concreta situazione di fatto il legislatore avesse in mente, tenuto conto della diversa regolamentazione dello spazio aereo e, soprattutto dell’impossibilità di procedere all’ispezione, se non in zona aeroportuale”[40].

3.1 La legislazione italiana: il decreto ministeriale 14 luglio 2003
In base al decreto del Ministro dell’Interno (di concerto con i Ministri della Difesa, dell’Economia e delle Finanze e delle Infrastrutture e dei Trasporti) del 14 luglio 2003, Disposizioni in materia di contrasto all’immigrazione clandestina[41], emanato con un certo ritardo dall’entrata in vigore della legge 189/2002, le attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell’immigrazione clandestina via mare sono svolte dai mezzi aeronavali della Marina militare, delle Forze di Polizia e delle Capitanerie di Porto.
Il raccordo delle operazioni e l’acquisizione delle informazioni sono svolti dalla Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere del Dipartimento della Pubblica Sicurezza.
Gli Enti e le Amministrazioni interessate comunicano con immediatezza alla Direzione Centrale
tutte le informazioni e i dati relativi ad imbarcazioni che, per comportamenti o altri indizi, possano ragionevolmente essere sospettate di essere coinvolte nel traffico o nel trasporto di migranti.
L’attività di prevenzione e contrasto del traffico di migranti via mare si sviluppa attraverso le seguenti tre fasi:
a) nei Paesi di origine dei flussi o interessati al transito, tramite attività di carattere prevalentemente diplomatico con l’obiettivo di prevenire il fenomeno alla fonte;
b) nelle acque internazionali, tramite il dispositivo aeronavale della Marina Militare, della Guardia di Finanza, del Corpo delle Capitanerie di Porto e delle altre unità navali o aeree in servizio di polizia. L’intervento si estrinseca nell’esercizio dei poteri, di polizia dell’alto mare diretti al monitoraggio, alla sorveglianza, all’individuazione, al controllo degli obiettivi navali in navigazione ed all’accertamento dei flussi migratori clandestini;
c) nelle acque territoriali, tramite le unità ed i mezzi navali in servizio di polizia, con il concorso, ove necessario, delle navi della Marina Militare ai sensi dell’articolo 12, comma 9-ter T.U.. L’intervento è finalizzato all’attività istituzionale delle Forze di Polizia diretta alla repressione dei reati ed alla scoperta delle connessioni con le organizzazioni transnazionali che gestiscono l’illecito traffico, al fine di sequestrare e confiscare i patrimoni d’illecita provenienza.
Le attività in mare possono assumere il carattere di:
a) sorveglianza;
b) intervento di soccorso, il cui coordinamento è di competenza del Corpo delle Capitanerie di Porto;
c) intervento di polizia, la cui competenza è attribuita, in via prioritaria, alle Forze di Polizia.
L’attività di sorveglianza, orientata sulla base delle informazioni e delle situazioni oggettive che caratterizzano il flusso migratorio via mare, si articola, di massima, su:
a) dati operativi integrati provenienti dalla rete radar costiera della Marina Militare e dagli analoghi dispositivi di scoperta delle altre Amministrazioni che effettuano vigilanza nelle acque territoriali;
b) pattugliamento delle unità navali specificamente impiegate per tali attività;
c) sorveglianza coordinata a lungo raggio a mezzo velivoli di pattugliamento marittimo della Marina Militare e di aeromobili della Guardia di Finanza e del Corpo delle Capitanerie di Porto;
d) concorso eventuale di tutti gli altri assetti aeronavali della Marina Militare, della Guardia dì Finanza, delle altre Forze di Polizia e delle Capitanerie di Porto che perseguono i fini istituzionali delle proprie Amministrazioni quali compiti primari;
e) valorizzazione delle informazioni provenienti da altri comandi operativi internazionali operanti nel bacino del Mediterraneo o da organismi di intelligence[42].
Ai fini della prevenzione e del contrasto del traffico illecito di migranti in acque internazionali è assicurata una costante attività di sorveglianza finalizzata alla localizzazione, alla identificazione e al tracciamento di natanti sospettati
L’attività di identificazione è svolta prevalentemente con il concorso dei mezzi aerei.
La fase di tracciamento deve essere condotta, compatibilmente con la situazione contingente e con i sensori disponibili, in forma occulta al fine di non vanificare l’intervento repressivo nei confronti delle organizzazioni criminali che gestiscono l’illecito traffico.
Il Comando in Capo della Squadra Navale svolge la necessaria azione di raccordo delle fasi di pianificazione dell’attività in stretta cooperazione con il Comando Generale della Guardia di Finanza e con il Comando Generale delle Capitanerie di Porto.
Nella fase esecutiva ciascuna Amministrazione/Ente è responsabile dell’emanazione delle direttive attuative ai mezzi dipendenti, tenendo debitamente informati gli altri.
Ferme restando le competenze dei Prefetti dei capoluoghi di Regione nelle acque territoriali e interne italiane, le unità navali delle Forze di Polizia svolgono attività di sorveglianza e di controllo ai fini della prevenzione e del contrasto del traffico illecito di migranti. Le unità navali della Marina Militare e delle Capitanerie di Porto concorrono a tale attività attraverso la tempestiva comunicazione dell’avvistamento dei natanti in arrivo o mediante tracciamento e riporto dei natanti stessi, in attesa dell’intervento delle Forze di Polizia. Quando in relazione agli elementi meteomarini ed alla situazione del mezzo navale sussistano gravi condizioni ai fini della salvaguardia della vita umana in mare[43], le unità di Stato presenti provvedono alla pronta adozione degli interventi di soccorso curando nel contempo i riscontri di polizia giudiziaria.
Al fine di rendere più efficace l’intervento delle Forze di Polizia nelle acque territoriali è stabilita una fascia di coordinamento che si estende fino al limite dell’area di mare internazionalmente definita come zona contigua[44] nelle cui acque il coordinamento delle attività navali connesse al contrasto dell’immigrazione clandestina, in presenza di mezzi appartenenti a diverse Amministrazioni, è affidato al Corpo della Guardia di Finanza.
L’azione di contrasto è sempre improntata alla salvaguardia della vita umana ed al rispetto della dignità della persona.
Le unità navali procedono, ove ne ricorrano i presupposti, all’effettuazione dell’inchiesta di bandiera, alla visita a bordo, qualora sussista un’adeguata cornice di sicurezza, ed al fermo delle navi sospettate.
In acque internazionali, qualora a seguito dell’inchiesta di bandiera se ne verifichino i presupposti, può essere esercitato il diritto di visita. Nell’ipotesi di navi battenti bandiera straniera, l’eventuale esercizio di tale diritto sarà richiesto formalmente dal Ministro dell’Interno una volta acquisito, tramite Ministero degli Affari Esteri, l’autorizzazione del Paese di bandiera. Parimenti, l’esercizio del diritto di visita può essere richiesto formalmente dal Ministro dell’ Interno anche nell’ipotesi di interventi da effettuarsi su natanti privi di bandiera e dei quali non si conosce il porto di partenza.
Quando navi mercantili, a seguito di interrogazione da parte dei mezzi aeronavali in pattugliamento, appaiano ragionevolmente sospette sulla natura del carico, porto di partenza o di arrivo, la Direzione Centrale, immediatamente informata dalle Amministrazioni di appartenenza, intraprende le opportune iniziative per verificare l’attendibilità di tale notizie e per l’adozione di conseguenti misure.
4. Rilievi conclusivi
I flussi migratori sono oggi un fenomeno molto preoccupante, in quanto “le migrazioni clandestine si svolgono quasi sempre con modalità e mezzi tali da mettere in pericolo la vita stessa di coloro che, per necessità, cercano fortuna al di fuori del loro paese”[45]. Gli opportuni interventi in alto mare verso navi straniere che trasportano immigrati clandestini possono essere consentiti dalla violazione delle norme poste a salvaguardia della vita umana in mare. Ma gli strumenti messi al riguardo a disposizione dall’ordinamento sono poco utilizzati. In più è imperante il dogma dell’esclusiva giurisdizione in alto mare dello Stato di bandiera: il che pregiudica l’elaborazione di specifiche norme di diritto internazionale, in primis il protocollo di Palermo del 2000. Sarebbe auspicabile che prendesse strada l’impostazione per cui lo Stato che accetta che le proprie navi mettano in pericolo la vita umana in mare commette un illecito internazionale, quindi può essere soggetto a contromisure quali un intervento in alto mare a bordo delle stesse navi.
Note:
[1] Ministero dell’Interno, Lo stato della sicurezza in Italia, Roma, 2003, pp. 139-140.
[2] ROSI, Le misure internazionali per la lotta contro le forme di criminalità connesse al fenomeno migratorio, in Rivista giuridica della circolazione e dei trasporti, 2, 2002, pp. 178 ss.
[3] Tale principio risale ai tempi del Mare Liberum di Ugo Grozio (sec. XVII).
[4] L’Italia ha depositato la sua ratifica alla Convenzione il 13 gennaio 1995, dopo la legge di autorizzazione n. 689 del 2 dicembre 1994 (in G.U. suppl. al n. 295 del 19 dicembre 1994).
Si riporta di seguito il testo dell’art. 87 (Libertà dell’alto mare) della Convenzione di Montego Bay:
“L’alto mare è aperto a tutti gli Stati, sia costieri sia privi di litorale. La libertà dell’alto mare viene esercitata secondo le condizioni sancite dalla presente Convenzione e da altre norme del diritto internazionale. Essa include, tra l’altro, sia per gli Stati costieri sia per gli Stati privi di litorale, le seguenti libertà:
a) Libertà di navigazione;
b) Libertà di sorvolo;
c) Libertà di posa di cavi sottomarini e condotte, alle condizioni della Parte VI;
d) Libertà di costruire isole artificiali e altre installazioni consentite dal diritto internazionale, alle condizioni della Parte VI;
e) Libertà di pesca, secondo le condizioni stabilite nella sezione 2;
f) Libertà di ricerca scientifica, alle condizioni delle Parti VI e XIII.
Tali libertà vengono esercitate da parte di tutti gli Stati, tenendo in debito conto sia gli interessi degli altri Stati che esercitano la libertà dell’alto mare, sia i diritti sanciti dalla presente Convenzione relativamente alle attività nell’Area.”
[5] SCOVAZZI, La lotta all’immigrazione clandestina alla luce del diritto internazionale del mare, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 4, 2003, pp. 48 ss.
[6] Ibidem.
[7] Sul diritto di inseguimento si dirà più ampliamente avanti.
[8] SCOVAZZI, op. cit.
Un esempio è il trattato tra Italia e Spagna concluso il 23 marzo 1990 (G.U. suppl. al n. 194 del 19 agosto 2003).
[9] Art. 110 (Diritto di visita) della Convenzione di Montego Bay:
“Salvo il caso in cui gli atti di ingerenza derivino da poteri conferiti in virtù di trattati, una nave da guerra che incrocia una nave straniera nell’alto mare non avente diritto alla completa immunità secondo il disposto degli articoli 95 e 96, non può legittimamente abbordarla, a meno che non vi siano fondati motivi per sospettare che:
a) La nave sia impegnata in atti di pirateria;
b) La nave sia impegnata nella tratta degli schiavi;
c) La nave sia impegnata in trasmissioni abusive e lo Stato di bandiera della nave da guerra goda dell’autorità di cui all’art. 109;
d) La nave sia priva di nazionalità; oppure
e) Pur battendo una bandiera straniera o rifiutando di esibire la sua bandiera, la nave abbia in effetti la stessa nazionalità della nave da guerra.
Nei casi di cui al numero 1, la nave da guerra può procedere con gli accertamenti necessari a verificare il diritto della nave a battere la propria bandiera. A questo fine può inviare alla nave sospettata una lancia al comando di un ufficiale.
Se dopo il controllo dei documenti i sospetti permangono, si può procedere con ulteriori indagini a bordo, che saranno svolte con ogni possibile riguardo.
Se i sospetti si mostrano infondati e purché la nave non abbia commesso alcun atto che li giustifichi, essa sarà indennizzata di ogni danno o perdita che possa aver subito.
Queste disposizioni si applicano, mutatis mutandis, anche agli aeromobili militari.
Queste disposizioni si applicano anche ad altre navi o aeromobili autorizzati, che siano chiaramente contrassegnati e identificabili come navi o aeromobili in servizio di Stato.”
[10] Tale Protocollo (di cui si dirà più ampliamente avanti) non è stato ancora ratificato dall’Italia e non è entrato ancora in vigore sul piano internazionale.
[11] Vedi nota 9.
[12] SCOVAZZI, op. cit.
[13] SCOVAZZI, op. cit.
[14] G.U. suppl. al n. 163 del 15 luglio 1997.
[15] SCOVAZZI, op. cit.
[16] SCOVAZZI, op. cit. Le 12 m.m. si misurano a partire dalla linea di bassa marea o dalle linee di base diritte determinate con D.P.R. 26 aprile 1977, n. 816 (in G.U. 9 novembre 1977, n. 305)
[17] SCOVAZZI, op. cit.
Convenzione di Montego Bay, art. 91, par. 1: “Ogni Stato stabilisce le condizioni che regolamentano la concessione alle navi della sua nazionalità, dell’immatricolazione nel suo territorio, del diritto di battere la sua bandiera. Le navi hanno la nazionalità dello Stato di cui sono autorizzate a battere bandiera.”
[18] Convenzione di Montego Bay, art. 94, par. 4: “Tali misure includono le norme necessarie a garantire che:
a) Ogni nave, prima dell’immatricolazione e dopo, a intervalli opportuni, sia ispezionata da un ispettore marittimo qualificato, e abbia a bordo le carte e le pubblicazioni nautiche, nonché la strumentazione e le apparecchiature atte a salvaguardare la sicurezza della navigazione;
b) Ogni nave sia affidata a un comandante e a un ufficiale che posseggano i necessari titoli professionali, con particolare riferimento alla capacità marinaresca, alla condotta della navigazione, alle comunicazioni e all’ingegneria navale; e abbia un equipaggio adeguato, nel numero e nella specializzazione dei suoi componenti, al tipo, alle dimensioni, ai macchinari e alle apparecchiature della nave;
c) Il comandante, gli ufficiali e, nella misura appropriata, i membri dell’equipaggio conoscano perfettamente e abbiano l’ordine di rispettare le pertinenti norme internazionali relative alla salvaguardia della vita umana in mare, alla prevenzione, riduzione e controllo dell’inquinamento marino, e al buon funzionamento delle radiocomunicazioni.”
[19] Convenzione di Montego Bay, art. 94, par. 5: “Nell’adottare le misure di cui ai numeri 3 e 4, ogni Stato è tenuto sia ad attenersi alle norme, alle procedure e alle pratiche internazionali generalmente accettate, sia ad assumere qualsiasi iniziativa che si renda necessaria per garantirne l’osservanza”.
[20] Esistono diversi trattati internazionali sulla sicurezza in mare, conclusi su impulso dell’I.M.O. (Organizzazione marittima internazionale) e ampliamente ratificati. Si citano al riguardo: la Convenzione per la sicurezza della vita umana in mare di Londra del 1974; la Convenzione per la prevenzione delle collisioni in mare di Londra del 1972; la Convenzione sulla linea di massimo carico di Londra del 1966; la Convenzione sui criteri di addestramento, abilitazione e tenuta della guardia per i marittimi di Londra del 1978; la Convenzione sulla ricerca e il salvataggio dei marittimi di Amburgo del 1979; la Convenzione sul salvataggio di Londra del 1989.
[21] SCOVAZZI, op. cit.
Le contromisure potrebbero essere il fermo, l’ispezione, il sequestro della nave.
[22] Art. 12 d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Disposizioni contro le immigrazioni clandestine):
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque in violazione delle disposizioni del presente testo unico compie atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero ovvero atti diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 15.000 euro per ogni persona.
2. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato.
3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre profitto anche indiretto, compie atti diretti a procurare l’ingresso di taluno nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico, ovvero a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona. La stessa pena si applica quando il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti.
3-bis. Le pene di cui al comma 3 sono aumentate se:
a) il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone;
b) per procurare l’ingresso o la permanenza illegale la persona è stata esposta a pericolo per la sua vita o la sua incolumità;
c) per procurare l’ingresso o la permanenza illegale la persona è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante.
3-ter. Se i fatti di cui al comma 3 sono compiuti al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale ovvero riguardano l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento, si applica la pena della reclusione da cinque a quindici anni e la multa di 25.000 euro per ogni persona.
3-quater. Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall’articolo 98 del codice penale, concorrenti con le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.
3-quinquies. Per i delitti previsti dai commi precedenti le pene sono diminuite fino alla metà nei confronti dell’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l’individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti.
3-sexies. All’articolo 4-bis, comma 1, terzo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, dopo le parole: ”609-octies del codice penale sono inserite le seguenti: ”nonché dall’articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
4. Nei casi previsti dai commi 1 e 3, è sempre consentito l’arresto in flagranza ed è disposta la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per i medesimi reati, salvo che si tratti di mezzo destinato a pubblico servizio di linea o appartenente a persona estranea al reato. Nei medesimi casi si procede comunque con giudizio direttissimo, salvo che siano necessarie speciali indagini.
5. Fuori dei casi previsti dai commi precedenti, e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell’ambito delle attività punite a norma del presente articolo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a lire trenta milioni.
6. Il vettore aereo, marittimo o terrestre è tenuto ad accertarsi che lo straniero trasportato sia in possesso dei documenti richiesti per l’ingresso nel territorio dello Stato, nonché a riferire all’organo di polizia di frontiera dell’eventuale presenza a bordo dei rispettivi mezzi di trasporto di stranieri in posizione irregolare. In caso di inosservanza anche di uno solo degli obblighi di cui al presente comma, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire un milione a lire cinque milioni per ciascuno degli stranieri trasportati. Nei casi più gravi è disposta la sospensione da uno a dodici mesi, ovvero la revoca della licenza, autorizzazione o concessione rilasciato dall’autorità amministrativa italiana, inerenti all’attività professionale svolta e al mezzo di trasporto utilizzato. Si osservano le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.
7. Nel corso di operazioni di polizia finalizzate al contrasto delle immigrazioni clandestine, disposte nell’ambito delle direttive di cui all’articolo 11, comma 3, gli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza operanti nelle province di confine e nelle acque territoriali possono procedere al controllo e alle ispezioni dei mezzi di trasporto e delle cose trasportate, ancorché soggetti a speciale regime doganale, quando, anche in relazione a specifiche circostanze di luogo e di tempo, sussistono fondati motivi di ritenere che possano essere utilizzati per uno dei reati previsti dal presente articolo. Dell’esito dei controlli e delle ispezioni è redatto processo verbale in appositi moduli, che è trasmesso entro quarantotto ore al procuratore della Repubblica il quale, se ne ricorrono i presupposti, lo convalida nelle successive quarantotto ore. Nelle medesime circostanze gli ufficiali di polizia giudiziaria possono altresì procedere a perquisizioni, con l’osservanza delle disposizioni di cui all’articolo 352, commi 3 e 4, del codice di procedura penale.
8. I beni immobili e i beni mobili iscritti in pubblici registri, sequestrati nel corso di operazioni di polizia finalizzate alla prevenzione e repressione dei reati previsti dal presente articolo, possono essere affidati dall’autorità giudiziaria procedente in custodia giudiziale agli organi di polizia che ne facciano richiesta per l’impiego immediato in attività di polizia; se vi ostano esigenze processuali, l’autorità giudiziaria rigetta l’istanza con decreto motivato. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 100, commi 2, 3 e 4, del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
9. Le somme di denaro confiscate a seguito di condanna per uno dei reati previsti dal presente articolo, nonché le somme di denaro ricavate dalla vendita, ove disposta, dei beni confiscati, sono destinate al potenziamento delle attività di prevenzione e repressione dei medesimi reati, anche a livello internazionale mediante interventi finalizzati alla collaborazione e alla assistenza tecnico-operativa con le forze di polizia dei Paesi interessati. A tal fine, le somme affluiscono ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato per essere assegnate, sulla base di specifiche richieste, ai pertinenti capitoli dello stato di previsione del Ministero dell’interno, rubrica “Sicurezza pubblica”.
9-bis. La nave italiana in servizio di polizia, che incontri nel mare territoriale o nella zona contigua, una nave, di cui si ha fondato motivo di ritenere che sia adibita o coinvolta nel trasporto illecito di migranti, può fermarla, sottoporla ad ispezione e, se vengono rinvenuti elementi che confermino il coinvolgimento della nave in un traffico di migranti, sequestrarla conducendo la stessa in un porto dello Stato.
9-ter. Le navi della Marina militare, ferme restando le competenze istituzionali in materia di difesa nazionale, possono essere utilizzate per concorrere alle attività di cui al comma 9-bis.
9-quater. I poteri di cui al comma 9-bis possono essere esercitati al di fuori delle acque territoriali, oltre che da parte delle navi della Marina militare, anche da parte delle navi in servizio di polizia, nei limiti consentiti dalla legge, dal diritto internazionale o da accordi bilaterali o multilaterali, se la nave batte la bandiera nazionale o anche quella di altro Stato, ovvero si tratti di una nave senza bandiera o con bandiera di convenienza.
9-quinquies. Le modalità di intervento delle navi della Marina militare nonché quelle di raccordo con le attività svolte dalle altre unità navali in servizio di polizia sono definite con decreto interministeriale dei Ministri dell’interno, della difesa, dell’economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti.
9-sexies. Le disposizioni di cui ai commi 9-bis e 9-quater si applicano, in quanto compatibili, anche per i controlli concernenti il traffico aereo
[23] Già l’Accordo tra Italia ed Albania del 25 marzo 1997 prevedeva il conferimento alle unità navali ed aeromobili della Marina Militare italiana del potere di mettere in atto nei confronti del naviglio albanese, nelle acque territoriali albanesi e nelle acque internazionali, tutte le misure necessarie a garantire il controllo ed il contenimento del flusso di cittadini albanesi clandestini, anche attraverso l’esecuzione di inchiesta di bandiera, fermo, visita e dirottamento. Cfr. ALGOSTINO, Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio: anche gli albanesi?, in Politica del diritto, 1, 1998, pp. 25 ss.
[24] De Augustinis, Ferrajolo, Genovese, Rosi, San Giorgio, La nuova legge sull’immigrazione. Commento alla L. n. 189 del 30 luglio 2002 e al D.L. n. 195 del 9 settembre 2002, Milano 2003, p. 50.
Sugli strumenti relativi al traffico di migranti via mare contenuti nel Protocollo di Palermo (artt. 7, 8, 9), si veda: ROSI, op. cit.
[25] Già la dottrina aveva messo in evidenza che l’intera tematica dell’immigrazione per via marittima, del diritto di inseguimento, del soccorso in mare, dell’abbordo, ha una sua peculiarità per la natura dell’oggetto del trasporto: persone e non cose. Ciò coinvolge un principio fondamentale del diritto della navigazione: la solidarietà. Quindi l’esigenza di sicurezza della vita umana condiziona l’esercizio di tutte le misure coercitive. Cfr. GRIGOLI, Il problema normativo dell’immigrazione clandestina per via marittima, in Giustizia civile, n. 7-8, 1999, parte II, pp. 43 ss.
[26] De Augustinis ed altri, op. cit., p. 49.
[27] Spiezia, Frezza, Pace, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, Milano 2002, p. 72.
Secondo l’art. 3 della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare, il mare territoriale si estende per 12 miglia marine; si veda inoltre l’art. 2 cod. nav. La zona contigua, invece, è compresa nelle 24 miglia marine dalla linea di base da cui si misura la larghezza del mare territoriale.
Secondo l’art. 18 della stessa Convenzione, si intende per passaggio, la navigazione nel mare territoriale per attraversarlo senza fare scalo, dirigersi verso le acque interne o uscirne, o fare scalo. Il passaggio di una nave straniera è considerato pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero se, nel mare territoriale, la nave è impegnata in una delle attività indicate dall’art 19, fra le quali il carico e lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero (comma 2, lett. g). Correlativamente, l’art. 21 prevede che lo Stato costiero può emanare leggi e regolamenti volti alla prevenzione di violazioni delle leggi o dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione dello Stato costiero. Le navi straniere che esercitano il diritto di passaggio inoffensivo si devono attenere a tali leggi e regolamenti ed a tutte le norme internazionali relative alla prevenzione degli abbordi via mare (art. 21, comma 4). La violazione di quest’ultima norma causò, il 28 marzo 1997, il luttuoso sinistro nel canale d’Otranto tra la corvetta della Guardia di Finanza Sybilla e la motovedetta albanese Kater, carica di clandestini. Cfr. GRIGOLI, op. cit. Sul punto pure: SCOVAZZI, op. cit.
[28] CERASE, Il commento (alla legge 30 luglio 2002, n. 189), in Diritto penale e processo, 11, 2002, p. 1348.
[29] SCOVAZZI, op. cit.
La Convenzione di Montego Bay (art. 33, par. 2) indica in 12 miglia nautiche il limite massimo della zona contigua, non escludendo quindi che uno Stato costiero decida di crearne una di dimensioni minori.
[30] Ibidem.
[31] “In acque internazionali, le navi battenti una bandiera nazionale e di proprietà di quello Stato, purché non adibiti ad uso commerciale, sono totalmente immuni”. Cfr. CERASE, op. cit.
[32] Spiezia, Frezza, Pace, op. cit., p. 72.
Si veda l’art. 110, Convenzione O.N.U. di Montego Bay sul diritto del mare (ratificata con legge 2 dicembre 1994, n. 689).
Una nave da guerra (o in servizio di Stato) che incrocia una nave straniera nell’alto mare, non avente il diritto alla completa immunità secondo gli artt. 95 e 96 della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare, può legittimamente abbordarla se vi sono fondati motivi di sospettare che la nave sia impegnata in atti di pirateria, tratta degli schiavi, trasmissioni abusive, oppure sia priva di nazionalità, o pur battendo bandiera straniera o rifiutando di esibire la sua bandiera, abbia la stessa nazionalità della nave da guerra. Cfr. GRIGOLI, op. cit.
Secondo una dottrina, le previsioni dell’art. 110 della Convenzione di Montego Bay non sono adeguate in quanto il traffico di clandestini (situazione non prevista) è diverso dalla tratta degli schiavi (situazione prevista per esercitare il diritto di visita). Per superare l’empasse si potrebbe richiamare la locuzione condizione analoga alla schiavitù (di cui all’art. 600 c.p.) ed applicarla alla condizione di disagio, inferiorità e soggezione in cui versano gli stranieri durante il trasporto tramite vettore marittimo: così si potrà configurare un vero crimine transnazionale penalmente perseguibile al di là di ogni limite spaziale. Soluzione migliore sarebbe l’integrazione dell’art. 110 della Convenzione di Montego Bay, con la previsione che legittimi, in acque internazionali, i poteri di fermo e di visita delle navi sospettate di trasportare immigrati clandestini ovvero l’adozione di una convenzione multilaterale ad hoc. Altro limite della Convenzione di Montego Bay è il prevedere la cattura della nave dedita alla tratta degli schiavi solo da parte dello Stato della bandiera; gli altri Stati possono solo riferire allo Stato della bandiera quanto risulta dalla visita. Non è così per la nave pirata (art. 105), in quanto la pirateria arreca pregiudizio alla sicurezza dei trasporti. Cfr. ANGELONI, La repressione dei traffici illeciti marittimi, in Diritto dei trasporti, 3, 2000, pp. 743 ss.
[33] SCOVAZZI, op. cit. Interessante è la menzione, nel comma 9 quater, della nave con bandiera di convenienza. “Sorge il dubbio che il legislatore italiano, facendo propria un’interpretazione evolutiva delle norme di diritto internazionale, abbia previsto, a titolo di contromisura, il fermo, l’ispezione e il sequestro di una nave straniera che, per le sue manchevolezze o per quelle del suo equipaggio, costituisca un effettivo pericolo per la sicurezza della navigazione e della vita umana in mare. Se così fosse, il legislatore italiano si sarebbe molto opportunamente deciso a infrangere il dogma dell’esclusiva giurisdizione dello Stato di bandiera in alto mare. Ma, purtroppo, non è chiaro se le cose stiano realmente così”. Infatti l’art. 7, comma 3 del decreto ministeriale 14 luglio 2003 contraddice il comma 9 quater dell’art. 12 T.U., omettendo qualsiasi riferimento al caso della nave con bandiera di convenienza e subordinando il diritto di visita (quindi a fortiori, quello di ispezione e sequestro) “all’esperimento di una complessa procedura volta ad ottenere la previa autorizzazione dello Stato straniero di bandiera della nave”.
[34] Atti parlamentari, XIV Legislatura, Senato della Repubblica, Assemblea, seduta del 20 febbraio 2002 n. 125, p. 6.
[35] De Augustinis ed altri, op. cit., p. 50.
[36] Cass., sez. I, 8 gennaio 2002, n. 325, Duka, in Gli Stranieri, 2, 2002, p. 137 (reati di naufragio ed omicidio colposo plurimo verificatisi in acque internazionali come epilogo dell’attività di favoreggiamento all’ingresso clandestino).
[37] Si veda l’art. 23 della Convenzione di Ginevra sull’alto mare del 29 aprile 1958, ratificata con legge 8 dicembre 1961, n. 1658.
[38] L’inseguimento deve iniziare quando la nave straniera o una delle sue imbarcazioni si trova nelle acque interne, nelle acque arcipelagiche, nel mare territoriale oppure nella zona contigua dello Stato che mette in atto l’inseguimento e può continuare oltre il mare territoriale o la zona contigua solo se non è stato interrotto. L’inseguimento non si considera iniziato se non dopo che la nave inseguitrice sia certa che la nave inseguita si trovi all’interno del mare territoriale, della zona contigua o della zona economica esclusiva. L’inseguimento può iniziare solo dopo che l’ordine di arresto sia stato emesso con un segnale visivo o sonoro a distanza adeguata. Il diritto di inseguimento cessa appena la nave inseguita entra nel mare territoriale del proprio Stato o di uno Stato terzo. Cfr. GRIGOLI, op. cit.
[39] Decreto del Ministro dell’Interno emanato di concerto con i Ministri della Difesa, dell’Economia e delle Finanze e delle Infrastrutture e dei Trasporti, del 14 luglio 2003 (Disposizioni in materia di contrasto all’immigrazione clandestina), pubblicato in G.U. del 22 Settembre 2003, n. 220.
Si veda al riguardo il paragrafo successivo.
[40] De Augustinis ed altri, op. cit., p. 50.
[41] In G.U. n. 220 del 22 settembre 2003.
Un’ampia disamina delle misure introdotte con tale decreto è in: NASCIMBENE (a cura di), Diritto degli stranieri, Milano 2004, pp. 308 ss.
[42] “Deplorevoli, nel testo di questo decreto sono due americanate linguistiche (intelligence all’art. 4, e team all’art. 7, par. 4) che avrebbero potuto essere evitate con l’uso di corrispondenti parole italiane”. Cfr. SCOVAZZI, op. cit.
[43] Il decreto del 2003 dà un peso più marcato rispetto alla legge 189/2002 alle esigenze umanitarie, comprese quelle relative alla salvaguardia della vita umana in mare.
[44] Sulla fantomatica istituzione della zona contigua, si è detto in precedenza.
[45] SCOVAZZI, op. cit.

Redazione

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