Scopo del presente contributo non è indagare le ragioni storiche delle provvidenze pubbliche, né tanto meno proporre un’elencazione delle principali forme in cui queste sono state declinate. Si cercherà piuttosto di mettere a fuoco e indagare alcuni aspetti comuni della materia[1], quali: l’inquadramento giuridico; le condizioni di legittimità; le condizioni di efficacia; i profili di riservatezza e le connessioni con le misure di contrasto alla corruzione; le prospettive di sviluppo in termini di maggiore efficacia, efficienze ed economicità; la decadenza dai benefici ottenuti.
Ragioni di economia connesse al presente mezzo suggeriscono di suddividere l’esposizione in due parti: una prima parte, dedicata alle prime tre tematiche (dall’inquadramento giuridico alle condizione di efficacia); un secondo elaborato dedicato agli aspetti ulteriori dell’indagine qui proposta.
Indice
- Inquadramento giuridico dell’attività di concessione delle provvidenze pubbliche
- Le condizioni di legittimità
- La pubblicità dei provvedimenti di concessione delle provvidenze pubbliche
- Conclusioni (rinvio)
1. Inquadramento giuridico dell’attività di concessione delle provvidenze pubbliche
Porsi il problema dell’inquadramento giuridico dell’attività di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e vantaggi economici di qualunque genere, significa, in buona sostanza, domandarsi se tale attività sia inquadrabile come servizio pubblico ovvero come attività autoritativa. Non si tratta di un’indagine particolarmente impegnativa. È sufficiente prendere in considerazione i contenuti e le caratteristiche del rapporto che si instaura tra il soggetto che concede la provvidenza pubblica e il soggetto beneficiario della stessa per rendersi conto che, in questa materia, la pubblica amministrazione agisce in modo autoritativo. Tra le parti non si instaura un rapporto inter pares, basato su reciproci diritti e doveri (tipico dei servizi pubblici), ma un rapporto qualificato da una pubblica amministrazione sovraordinata al cittadino. L’interesse giuridicamente rilevante di quest’ultimo a percepire la provvidenza pubblica non è infatti qualificabile come diritto soggettivo (con conseguente obbligo della pubblica amministrazione alla relativa concessione) ma come interesse legittimo che presuppone, in capo alla pubblica amministrazione erogante, non una condizione di soggezione/obbligo ma di potere[2]. A favore della ricostruzione qui proposta depone l’articolo 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241, (recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”), rubricato “Provvedimenti attributivi di vantaggi economici”. Sui contenuti di tale articolo si tornerà in dettaglio nel successivo paragrafo, in questa sede è sufficiente evidenziare come lo stesso trovi collocazione all’interno di un corpo normativo (la L. n. 241/1990) che, da oltre trent’anni, costituisce il principale punto di riferimento in materia di regolazione dell’attività autoritativa della pubblica amministrazione contenendo la stessa la disciplina generale in materia di procedimento e di provvedimento amministrativo.
Chiarita la natura autoritativa dell’attività di concessione delle provvidenze pubbliche[3], è opportuno interrogarsi sulle caratteristiche (generali) dei provvedimenti amministrativi attraverso i quali la stessa si estrinseca. Le tipologie di provvedimenti che il nostro ordinamento ammette sono, come noto, molto numerose, la manualistica di riferimento utilizza da sempre diversi criteri di classificazione. Una delle principali distinzioni è quella tra provvedimenti amministrativi ampliativi e provvedimenti amministrativi restrittivi della sfera giuridica del destinatario. Alla prima categoria appartengono i provvedimenti che modificano in melius la sfera giuridica del destinatario arricchendone il contenuto, non necessariamente sotto l’aspetto patrimoniale ma anche, per così dire, sul piano individuale/personale (si pensi in questo senso ai provvedimenti che dispongono l’iscrizione in albi professionali attribuendo, di fatto, un determinato status). Appartengono invece alla seconda categoria i provvedimenti che, all’opposto, modificano in peius la sfera giuridica del destinatario. Al netto delle specificità dei contenuti delle singole ipotesi di provvedimenti di concessioni di contributi, ausili, sovvenzioni e altre provvidenze da parte di una pubblica amministrazione, è indubbio che per le proprie caratteristiche intrinseche questi tipi di provvedimenti realizzano un effetto ampliativo della sfera giuridica del destinatario. Altra fondamentale distinzione che rileva in questa sede è quella tra provvedimenti a contenuto discrezionale e provvedimenti a contenuto vincolato. Secondo l’insegnamento di illustre dottrina[4] la discrezionalità della pubblica amministrazione nell’esercizio dei poteri autoritativi si distingue in discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica. Nel primo caso la legge riconosce all’autorità amministrativa spazi valutativi e decisionali in ordine ad uno o più aspetti connessi all’esercizio del potere pubblico quali, ad esempio, l’an, il quid, il quomodo e il quando del provvedimento amministrativo. Nel secondo caso, invece, la pubblica amministrazione non ha un vero e proprio spazio valutativo a propria disposizione limitandosi ad accertare, sulla base di regole tecniche e specialistiche, il ricorrere dei requisiti che la legge ha fissato per l’adozione di un provvedimento finale il cui contenuto risulta già predeterminato dal legislatore nei termini sostanziali di accoglimento o di rigetto. Nei provvedimenti a contenuto vincolato tale predeterminazione è ancora più accentuata in quanto, come osserva la medesima dottrina, in questo caso alla pubblica amministrazione è riservato unicamente il compito di accertare la sussistenza dei presupposti che la legge ha preventivamente individuato come rilevanti ai fini dell’adozione del provvedimento finale. Quella tra attività discrezionale e attività vincolata è una distinzione dai risvolti pratici e applicativi molto importanti e delicati[5]. Nell’esercizio delle funzioni connesse al rilascio di provvidenze la pubblica amministrazione pone in essere atti autoritativi privi di discrezionalità amministrativa fondati su un’attività meramente accertativa. Infatti, nella sostanziale totalità dei casi, la concessione di aiuti pubblici postula il mero accertamento dell’esistenza o meno dei requisiti individuati dalla normativa di riferimento (primaria o secondaria) o da atti amministrativi generali (es. bandi pubblici) per l’accesso agli stessi. Si tratta ordinariamente di requisiti di tipo on/off rispetto ai quali non residuano particolari spazi di discrezionalità amministrativa. Tutt’al più, in presenza di requisiti di accesso particolarmente complessi o comunque strutturati in modo tale da richiedere l’applicazione, in tutto o anche solo in parte, di particolari regole tecniche o specialistiche, essa potrà se del caso essere qualificata come attività soggetta a discrezionalità tecnica, mai comunque a discrezionalità amministrativa.
2. Le condizioni di legittimità
Se in base al principio di legalità i poteri della pubblica amministrazione non possono mai essere “originari” ma sempre “derivati”, il principio di legittimità dell’azione amministrativa attende all’esercizio degli stessi. Ne deriva, sul piano logico prima ancora che giuridico, che devono qualificarsi illegittimi gli atti amministrativi adottati in difformità alle norme che riguardano il loro esercizio. Le condizioni di legittimità, cui si fa riferimento in questo paragrafo, altro non sono se non l’insieme di prescrizioni che disciplinano l’esercizio del potere conferito alla pubblica amministrazione di adottare, riconoscere e concedere provvidenze pubbliche. Sul punto, il principale riferimento è la legge 7 agosto 1990, n. 241, segnatamente l’articolo 12 già sopra richiamato. Nella sua vigente formulazione la norma stabilisce che <<La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi.>> (comma 1), per poi specificare che <<L’effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1.>> (comma 2). Si tratta di previsioni che non presentano particolari difficoltà ermeneutiche: le amministrazioni che, avendone il potere, intendono erogare provvidenze pubbliche, devono preventivamente fissare i criteri di erogazione delle stesse e le modalità con le quali procedere in tal senso (comma 1), dando evidenza di tale predeterminazione negli atti di concessione delle provvidenze medesime (comma 2). Anche la relativa ratio legis non pone particolari problemi: assicurare il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione (articolo 97 della Costituzione), contrastando abusi e distorsioni nella concessione di provvidenze pubbliche. La chiave di volta di tale norma – nonostante quanto a breve si dirà riguardo all’implicito collegamento con il principio di pubblicità – è il concetto di “predeterminazione”. Più correttamente, la predeterminazione dei criteri e delle modalità di assegnazione delle provvidenze pubbliche. Si tratta di un duplice oggetto estremamente delicato e importante. Eventuali provvedimenti di concessione adottati in violazione delle predette previsioni devono ritenersi illegittimi per violazione di legge, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto del citato articolo 12 e dell’articolo 21-octies, comma primo, della legge 241 del 1990.
La sola attività di predeterminazione prevista dall’articolo 12 della legge n. 241 del 1990, a ben vedere, difficilmente sarebbe in grado di scongiurare quelle distorsioni e quegli abusi cui sopra si è fatto riferimento se considerata in modo asettico. Rappresenterebbe, piuttosto, una forza di contrasto di tipo “potenziale”. Si intende dire che, anche laddove fossero dettagliatamente previsti tutti i criteri di assegnazione del caso e individuate tutte le modalità operative per ottenere le provvidenze, di per sé ciò non basterebbe a soddisfare in concreto esigenze di buona amministrazione. Questo perché, senza la possibilità di conoscere tali criteri e tali modalità operative da parte dei potenziali interessati, abusi e distorsioni sarebbero comunque facilmente attuabili. Per questa ragione, naturale complemento dell’attività di predeterminazione, deve considerarsi la pubblicità. Ancora oggi, nonostante l’espressa previsione della pubblicità tra i principi generali dell’azione amministrativa[6], l’articolo 12 della legge n. 241 del 1990 non contiene alcun esplicito riferimento ad essa. Non si tratta di una svista quanto piuttosto la conseguenza del fatto che dal 2013, con l’adozione del decreto legislativo n. 33 del 2013 (rubricato “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”), la pubblicità dei provvedimenti di concessione di provvidenza pubbliche è prevista in altra sede come adempimento obbligatorio capace di incidere sull’efficacia di tali atti.
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3. La pubblicità dei provvedimenti di concessione delle provvidenze pubbliche
Gli articoli 26 e 27 del decreto legislativo n. 33 del 2013, contengono importanti disposizioni generali riguardo le condizioni di efficacia dei provvedimenti di concessione di benefici economici pubblici comunque denominati.
In base alla prima di dette norme le pubbliche amministrazioni sono tenute a pubblicare gli atti attraverso i quali, ai sensi del già analizzato articolo 12 delle legge n. 241 del 1990, (pre)determinano i criteri e le modalità cui le stesse devono attenersi per la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari di qualunque genere a persone fisiche e persone giuridiche (comma 1). Non solo, la medesima norma fissa anche un ulteriore obbligo di pubblicità stabilendo che le amministrazioni devono pubblicare anche gli atti di concessione di provvidenze di importo superiore a mille euro con la specificazione che, laddove i beneficiari siano controllati (di diritto o di fatto) dalla stessa persona fisica o dalla stessa persona giuridica, ovvero dagli stessi gruppi di persone fisiche o giuridiche, devono essere pubblicati anche i dati consolidati di gruppo. Dunque, a dover essere pubblicati sono non solo gli atti che a monte stabiliscono modalità e criteri di assegnazione di provvidenze, ma anche quelli che a valle vengono adottati per la concessione delle stesse risultando esclusi, da quest’ultimo adempimento, soltanto le concessioni di importo inferiori ad euro mille (comma 2). L’articolo contiene poi altre due importanti disposizioni nei successivi commi terzo e quarto. Il comma terzo, in particolare, enuncia una speciale condizione legale di efficacia in materia di provvidenze pubbliche stabilendo che <<La pubblicazione ai sensi del presente articolo costituisce condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongano concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro nel corso dell’anno solare al medesimo beneficiario. La mancata, incompleta o ritardata pubblicazione rilevata d’ufficio dagli organi di controllo è altresì rilevabile dal destinatario della prevista concessione o attribuzione e da chiunque altro abbia interesse, anche ai fini del risarcimento del danno da ritardo da parte dell’amministrazione, ai sensi dell’articolo 30 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.>>. Sul punto non sembrano porsi particolari problemi di ricostruzione. Interessante è il diverso modo in cui il legislatore utilizza il limite dei mille euro rispetto a quanto fatto nel precedente comma secondo. Mentre in quest’ultimo viene riferito al singolo atto di concessione, nel comma terzo il limite dei mille euro, come abbiamo appena visto, assume una dimensione “complessiva”. Questa distonia può agilmente essere superata analizzando in chiave antielusiva il combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’articolo 26. Assumendo tale prospettiva di indagine risulta chiaro che il contrasto è in questo caso solo apparente in quanto, attraverso la previsione di una condizione di efficacia da valutarsi in modo complessivo, il legislatore ha voluto evitare che l’obbligo di pubblicazione fissato al comma 2 potesse essere raggirato attraverso forme di “spezzatino”. Il quarto e ultimo comma dell’articolo 26 contiene invece delle prescrizioni afferenti alcuni specifici aspetti di riservatezza motivo per cui verrà analizzato, tenuto conto della ripartizione indicata in premessa, nell’elaborato dedicato alla parte seconda, segnatamente, nel paragrafo deputato all’analisi dei diversi profili privacy che attengono all’intera materia.
Passando all’articolo 27 del decreto legislativo n. 33 del 2013, la norma individua il contenuto “necessario” degli atti di concessione affinché possa dirsi integrata la condizione legale di efficacia vista sopra. Stabilisce infatti che <<La pubblicazione di cui all’articolo 26, comma 2, comprende necessariamente, ai fini del comma 3 del medesimo articolo: a) il nome dell’impresa o dell’ente e i rispettivi dati fiscali o il nome di altro soggetto beneficiario; b) l’importo del vantaggio economico corrisposto; c) la norma o il titolo a base dell’attribuzione; d) l’ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del relativo procedimento amministrativo; e) la modalità seguita per l’individuazione del beneficiario; f) il link al progetto selezionato e al curriculum del soggetto incaricato.>>. Accanto all’individuazione di contenuto “necessario” la norma stabilisce anche dove, e con quali modalità tecniche, debba procedersi alla pubblicazione richiesta. Precisa infatti che gli atti che contengono dette informazioni devono essere pubblicati all’interno della sezione <<Amministrazione trasparente>> delle pubbliche amministrazioni in modo da permettere la facile consultazione delle stesse in formato tabellare aperto. Anche in questo caso la norma si segnala per una certa chiarezza di contenuti che non pongono particolari problemi ermeneutici.
4. Conclusioni (rinvio)
Si rinvia al corrispondente paragrafo della parte seconda del presente contributo in corso di pubblicazione su questa rivista online.
Note
[1] Non verrà quindi presa in considerazione la disciplina degli “aiuti di Stato” pur rappresentando la stessa una declinazione molto interessante della categoria <<provvidenze pubbliche>>. Vista la specifica rilevanza e il particolare assetto normativo che qualifica gli aiuti di Stati, si rinvia fin d’ora a successivo e più specifico contributo.
[2] Differente non è solo l’architettura del rapporto esistente tra le parti, diverso è anche l’atto giuridico che sorregge detto rapporto: il contratto, nel caso di servizi pubblici; il provvedimento amministrativo, nel caso di atti autoritativi.
[3] Qualificare una determinata attività nei termini di attività autoritativa non è mai un esercizio mentale fine a se stesso. Implica una serie di conseguenze a cominciare dalla riferibilità di una gamma qualificata di istituti, e più in generale, di prescrizioni – in primis quelle dettate dalla legge n. 241 del 1990 ma non solo – finalizzate a definire ruoli, compiti e responsabilità, sia sul fronte dell’amministrazione (si pensi, a titolo esemplificativo, alle norme sulla motivazione dei provvedimenti, a quelle inerenti i termini di conclusione dei relativi procedimenti, etc….), sia sul fronte del soggetto destinatario (in questo caso il riferimento è, ad esempio, alla disciplina relativa alle dichiarazioni sostitutive – ex d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 – che gli interessati sono chiamati a rendere in sede di formulazione delle proprie istanze alle pubbliche amministrazioni).
[4] Ex multis, FRANCESCO CARINGELLA, Manuale di Diritto Amministrativo, Parte Generale e Parte Speciale, XIII edizione 2020, DIKE Giuridica Editrice Srl, pag. 975 e seguenti.
[5] Basti ricordare che non è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma dell’atto qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (articolo 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990).
[6] Si veda il contenuto dell’articolo 1 della legge n. 241 del 1990.
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