Le riproduzioni informatiche costituiscono piena prova ai sensi dell’art. 2712 c.c. qualora, anche in mancanza di una procedura di verificazione dell’auteniticità, il Giudice accerti la conformità all’originale anche mediante altri mezzi di prova.
La fattispecie. A seguito della notifica del decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace, la società resistente promuoveva giudizio di opposizione risultandone soccombente. Pertanto, la società impugnava la sentenza avanti al Tribunale di Milano convinta che la corrispondenza mail intercorsa tra le parti e prodotta in atti dimostrasse la sussistenza di un accordo transattivo risolutivo della controversia. A maggior ragione se si considera che durante l’interrogatorio formale, esperito in primo grado, il legale rappresentante della società appellata aveva confessato l’esistenza di un accordo il quale, tuttavia, era subordinato a futuri rapporti commerciali mai avvenuti. Non solo lo stesso aveva dichiarato che le successive mail confermative dello “sconto” erano state erroneamente inviate.
Il quesito. Il Giudice del Tribunale di Milano è chiamato a decidere se le mail disconosciute nel contenuto dall’autore possano essere ritenute prove utilizzabili al fine della decisione.
Argomentazioni e motivi. Ai sensi dell’art. 2712 c.c. le riproduzioni fotografiche costituiscono piena prova dei fatti e delle cose rappresentate fino al disconoscimento della conformità da parte di chi le ha prodotte.
Nella fattispecie il legale rappresentante della società appellata confessava di aver inviato le mail attribuitegli e, pertanto, nessun disconoscimento era avvenuto circa la provenienza.
Rimane il dubbio se il contenuto delle stesse riproduzioni, che a dire dell’interpellato era erroneo, può determinare l’inutilizzabilità delle stesse come prova.
L’adito Giudice, aderendo all’orientamento formato dalla Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. Lav., 17 febbraio 2015, n. 3122), afferma che il “disconoscimento” che fa perdere alla prova la sua qualità deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito.
Invece, la dichiarazione resa dall’interpellato non solo era generica (l’invio per errore) ma non era neppure supportata da alcun elemento che attestasse la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta.
Pertanto, l’art. 2712 c.c., non essendo soggetto ai limiti e alle modalità di cui all’art. 214 c.p.c. e discostandosi dall’art. 215, secondo comma, c.p.c. il quale richiede una procedura di verifica dell’autenticità, consente al Giudice di porre a fondamento della propria decisione la riproduzione informatica qualora ne accerti la conformità all’originale anche mediante altri mezzi.
Nell’occasione tale accertamento è stato determinato dalle dichiarazioni rese durante l’interpello ma, così come sostiene l’autorevole Suprema Corte, lo stesso può essere conseguito anche mediante presunzioni.
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