1. Le fonti legislative
Le fonti relative alla Centrale Rischi si rinvengono nelle seguenti norme:
· Art. 53 c. 1 lettera b e art. 107 c. 2 d. lgs. 385/1993 (attribuzione alla banca D’Italia del potere di emanare , su conforme deliberazione del CICR, provvedimenti in materia di contenimento del rischio);
· Delibera CICR del 29 marzo 1994, che ha affidato la gestione della Centrale dei Rirschi alla Banca d’Italia, oltre che nelle istruzioni per gli intermediari creditizi di cui alla circolare della banca d’Italia del 22 giugno 2004.
· Il servizio centralizzato dei rischi gestito dalla Banca d’Italia, denominato Centrale dei rischi, è disciplinato:
· dalla delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio del 29 marzo 1994, pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 20 aprile 1994, assunta ai sensi degli artt. 53, comma 1, lett. b) 67, comma 1, lett. b), e 107, comma 2, del d-lgs 1° settembre 1993, 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia;
· dalle norme attuative emanate dalla Banca d’Italia in conformità delle menzionata delibera.
· Gli intermediari segnalanti sono tenuti a fornire alla Banca d’Italia i dati relativi all’indebitamento della clientela ai fini dello svolgimento del servizio centralizzato dei rischi in base agli artt. 51, 66, comma 1, e 107, comma 3, del citato Testo unico.
La centrale rischi è stata istituita senza alcun intervento del Parlamento, dal momento che nel TUB viene solo conferito alla banca d’Italia il potere di emanare disposizioni per il contenimento del rischio e niente più. Per tale ragione, autorevole dottrina ha parlato di sistema praeter legem (Trib. Patti 17.09.2004).
Lo spirito di collaborazione degli intermediari, impone agli istituti bancari di osservare in modo puntuale tutte le regole che disciplinano il servizio, in adempimento dei propri doveri di bonus argentarius adottando quindi ogni cautela che rispettino le ragioni dell’utenza per evitare che si diffondano notizie false o incomplete (ma direi anche imprecise).
Abbiamo dunque da un lato l’interesse pubblico a tutela della solvibilità del sistema creditizio, mentre dall’altro un diritto soggettivo da parte dell’utente a non vedersi pregiudicato per notizie false, incomplete e imprecise.
Tale situazione impone un equo bilanciamento tra gli interessi in gioco, che giustifica il sacrificio del diritto all’immagine e alla reputazione laddove il credito sia verosimilmente in sofferenza, contrariamente, la segnalazione pregiudicherebbe il debitore che si troverebbe nella impossibilità di accedere al credito, che nel caso dell’imprenditore, trova altresì una lesione ancor più grave se si pensa alla funzione costituzionale nell’economia del paese (art. 47 Cost).
2. Criteri valutativi
La valutazione dello stato di sofferenza, necessita da parte della banca che procede ad una tale segnalazione di una visione complessiva, sia economica che patrimoniale del soggetto segnalando, informazioni di cui spesso la banca segnalante è sprovvista. Dovrà quindi tenersi conto di elementi quali la liquidità, la capacità produttiva e reddituale, la situazione del mercato in cui opera, l’ammontare complessivo del credito.
Tali elementi, tuttavia, pur consentendo di dare una valutazione di massima sul soggetto segnalando, non giustifica una eventuale segnalazione in sofferenza qualora non sia venuta meno una generale solvibilità (Trib. Napoli 18 marzo 2005). La circolare illustrativa di Bankitalia in ordine alle modalità di segnalazione dalla centrale rischi osserva che “l’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non scaturisce automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel servizio di pagamento del debito”. È necessario che la banca fondi la propria valutazione ad elementi oggettivi di cui ha, o può avere a propria disposizione, elementi che non possono essere il mero ritardo nel pagamento[1] o la sussistenza della pendenza di un giudizio per l’accertamento del credito.
Tali problematiche portano all’attenzione la seguente casistica:
1. Volontà del debitore di adempiere alla propria obbligazione
2. L’ipotesi che il debitore, intenda adempiere, tuttavia proponendo un piano di rientro dilazionato.
In tale ipotesi, è innegabile che la volontà di adempiere in tempi più lunghi rispetto a quelli contrattualmente previsti dalle banche (di solito da 1 a 15 giorni) appare giustificata da una impossibilità pratica di far fronte al debito nell’immediatezza, condizione che evidentemente non identifica, di per sé, una situazione di decozione tale da giustificare una segnalazione in sofferenza o incaglio.
Peraltro proprio, in tale ipotesi, ritengo operante il dovere di protezione del proprio cliente da parte della banca, o meglio il contraente (più debole) il quale vuole adempiere ma in tempi oggettivamente possibili. In una tale ipotesi, una eventuale segnalazione da parte della banca comporterebbe una violazione del dovere di buona fede ex art. 1375 c.c.[2].
E’ tale condotta, che a parere dello scrivente, rappresenta una grave violazione del principio della buona fede sancito dall’art. 1375 c.c., principio volto a garantire l’equilibrio tra le contrapposte prestazioni, che nella questione in commento è estremamente sproporzionata.
A tal fine gli interpreti hanno sempre maggiormente specificato e ampliato gli obblighi derivanti dalle clausole generali, come quelle della buona fede e dell’equità, affidando ad esse un ruolo imperativo e quindi derogatorio della stessa volontà dei contraenti. La condotta degli istituti di credito rappresenta un aspetto delle problematiche legate agli “equilibri contrattuali” che trovano la loro più alta garanzia proprio nel principio generale della buona fede.
La buona fede, dunque, permea tutto il codice civile e anche quando non è richiamata esplicitamente dal legislatore opera come principio di portata generale a cui le parti e i soggetti di diritto possono fare riferimento nei loro rapporti sociali. Come è noto la violazione dell’obbligo di buona fede può comportare, responsabilità contrattuale ed obbligo risarcitorio.
Non sembra discutibile infatti che il trend del diritto contrattuale sia quello di controllare i trasferimenti di ricchezza, mirando ad evitare che i più ricchi, per ciò solo dotati di maggiore forza contrattuale, si avvantaggino a danno dei più poveri.
La buona fede si atteggia quindi come un obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del «neminem laedere», senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte (Cass. 9 marzo 1991, n. 2503, in Foro it., 1991, 1, c. 2077).
Ricordando il noto giurista Wieacker la clausola generale assolve a tre funzioni (tesi ripresa da Boehmer) (Grundlagen der buergerlichen Rechtsordnung, 1951):
(i) funzione applicativa del diritto, nel senso di coadiuvare il giudice nell’esplicazione del suo ufficio;
(ii) funzione suppletiva del diritto, nel senso di consentire al giudice una interpretazione praeter legem, al fine di controllare se il comportamento delle parti sia conforme a giustizia;
(iii) funzione correttiva del diritto, nel senso di individuare una soluzione che corregga lo strictum jus.
Tale visione appare oggi più che mai di necessaria applicazione al fine di ristabilire e garantire gli equilibri contrattuali a tutela dei contraenti più deboli. Rimane tuttavia ancora oggi faticosa l’applicazione del principio della buona fede.
Il contrasto dottrinale al riguardo non è sopito: sin dall’Ottocento, e ancor oggi, alcuni ritengono che il giudice non possa che rimettersi alle vedute accolte dalla maggioranza e che debba fare cioè un semplice restatement; ma questa soluzione non è accolta da quanti (a cui lo scrivente si unisce) ritengono per contro che il diritto abbia una funzione direttiva del mutamento sociale e che questa funzione possa essere assolta dalla giurisprudenza (e quindi dal giudice) e dalla dottrina (e quindi dagli interpreti) e non solo dal legislatore (ALPA).
3. Criteri Oggettivi
E’ un dato oramai consolidato che la banca non può segnalare in sofferenza un credito per un mero ritardo, ma deve essere presa in considerazione la complessiva situazione finanziaria.
L’art. 6 della Circolare della banca d’Italia, prevede l’ipotesi di sospensione della segnalazione della sofferenza stabilendo che “… non è più dovuta quando: viene a cessare lo stato di insolvenza o la situazione ad esso equiparabile; il credito viene rimborsato dal debitore o da terzi.
Il pagamento del debito e/o la cessazione dello stato di insolvenza o della situazione ad esso equiparabile non comportano la cancellazione delle segnalazioni a sofferenza relative alla rilevazione pregresse, spetta all’intermediario valutare caso per caso se siano venuti meno i presupposti per l’appostazione a sofferenza”.
Nel glossario della circolare lo “stato di insolvenza” viene così definito: “incapacità non transitoria di adempiere alla obbligazioni assunte”. Sul punto la Suprema Corte – Sez. I – , con le note sentenza 12 ottobre 2007 n. 21428 e Cass. Sez. I 1 aprile 2009 n. 7958 hanno confermato il diffuso orientamento della dottrina e della giurisprudenza di merito per cui, l’appostazione a sofferenza del credito, non può essere frutto della sola analisi dello specifico o degli specifici rapporti in corso di svolgimento tra la singola banca segnalante ed il cliente, ma necessita di una valutazione della complessiva situazione patrimoniale del debitore.
Purtroppo la circolare ha equiparato allo stato di insolvenza, la cui definizione è, ad avviso di chi scrive, troppo generica, tutta una serie di situazioni simili ma non analoghe tanto da creare una vera e propria situazione di arbitrarietà ed ingiustizia nella classificazione di determinate situazione come “sofferenti”.
È evidente che è stato conferito un potere arbitrario e del tutto fuori controllo, salvo ovviamente il ricorso all’Autorità Giudiziaria, alle banche nel valutare, spesso, senza neppure avere gli elementi sufficienti, la reale situazione economico patrimoniale del soggetto esaminando.
Il sistema così strutturato ha portato la giurisprudenza a contenere l’arbitrarietà delle banche nelle valutazioni delle singole situazione, mediante una rielaborazione più precisa e costituzionalmente orientata del concetto di insolvenza.
È stata attribuita una nozione levior rispetto a quella di insolvenza fallimentare (vecchio art. 5 l.f.) così da concepire “lo stato di insolvenza e le situazioni equiparabili in termini di valutazione negativa di una situazione patrimoniale apprezzata come deficitaria, ovvero, in buona sostanza, di grave (e non transitoria) difficoltà economica, senza, cioè, fare necessario riferimento all’insolvenza intesa quale situazione di in capienza, ovvero di definitiva irrecuperabilità … sarebbe frustrata l’utilità del servizio di centralizzazione del rischio, poiché gli altri intermediari si troverebbero nell’impossibilità di attivarsi in tempo utile per cautelare la propria posizione, laddove, del resto, in un ordine di idee nel quale la nozione stessa di sofferenza poggi sulla nozione di insolvenza fallimentare, le situazioni sostanzialmente equiparabili all’insolvenza, di cui è parola nelle più volte richiamate istruzioni, verrebbero a manifestarsi, secondo quanto trovasi affermato in dottrina, come le sfumature di una sola tonalità cromatica, se non addirittura come delle addizioni di mero stile”.
I Giudici di legittimità proseguono “ciò che rileva è la situazione “oggettiva” di incapacità finanziaria (“incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni assunte”) mentre nessun rilievo assume la manifestazione di volontà di non adempiere se giustificata da una seria contestazione sull’esistenza del titolo del credito vantato dalla banca. Ulteriore riprova è data dall’equiparazione (contenuta nel paragrafo 6 delle istruzioni), ai fini della cessazione dell’obbligo di segnalazione di una posizione di rischio tra le sofferenze, dell’ipotesi di cessazione dello stato di insolvenza e di quello di avvenuto rimborso del credito, dal debitore o dal terzo, anche a seguito di accordo transattivo liberatorio”.
Valutazione fatta discrezionalmente dalla banca segnalante in assenza di contraddittorio e di controllo e privacy
I giudici di merito ritengono che non sia conforme alla buona fede il comportamento dell’istituto di credito che ha automaticamente segnalato l’esposizione di un proprio cliente, senza averlo preventivamente informato della sua situazione affinché, ove possibile, egli potesse provvedere a ripianarla e soprattutto senza avvisarlo che, a partire da una certa data, quella situazione lo esponeva alla segnalazione in centrale rischi [3],[4].
Peraltro, l’art. 11 del Codice della privacy stabilisce che i dati devono essere trattati in modo lecito e secondo correttezza e devono essere registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi; inoltre, occorre che i dati siano registrati e tale procedura deve essere «pertinente, completa e non eccedente rispetto alle finalità per le quali sono raccolti e successivamente trattati».
Nell’ipotesi di erronea segnalazione alla Centrale dei rischi si palesa una violazione dell’art. 11, lett. c), in quanto la norma richiamata stabilisce che i dati personali oggetto di trattamento devono essere esatti e, se necessario, aggiornati. L’art. 15 (che sostanzialmente riproduce il contenuto degli artt. 18 e 29, 9° co., legge 31-12-1996, n. 675) dispone che chiunque cagioni un danno ad altri, per effetto del trattamento dei dati personali, è tenuto al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2050 c.c. La banca è sottoposta ad una responsabilità cosiddetta aggravata, pertanto, in questo caso la prova liberatoria è posta a suo carico, in quanto dovrà dimostrare di aver trattato correttamente i dati e di aver utilizzato le tecniche avanzate nel momento in cui ha eseguito la registrazione dei dati.
L’art. 15 d.lg. n. 196/2003, delinea i profili di responsabilità da illecito trattamento dei dati, che si sostanzia nella divulgazione non consentita di dati attinti da una Centrale dei rischi.
La illegittima divulgazione di notizie o la diffusione di notizie non veritiere può certamente essere valutata come ipotesi di illegittimo trattamento dei dati personali, rilevato che gli intermediari sono tenuti all’obbligo della riservatezza sui dati censiti, così come previsto dall’art. 11 del Codice deontologico e dal punto 4 della delibera Cicr del 29-3-1994. L’aspetto di maggior rilievo ed interesse è dato dalla previsione contenuta nell’art. 15 del Codice della privacy che richiama espressamente l’art. 2050 c.c., rapportando, quindi, la gestione dei dati personali all’esercizio di attività pericolose.
Deve peraltro rilevarsi come in giurisprudenza si sia oramai delineato l’orientamento secondo cui è cumulabile sia la responsabilità contrattuale che extracontrattuale. La dottrina evidenzia come il rapporto che intercorre tra la banca e il cliente si caratterizza per il reciproco rapporto di fiducia che implica l’acquisizione di notizie ed informazioni riservate di natura patrimoniale del cliente. L’obbligo di riservatezza, pertanto, deve essere eretto sul principio di correttezza — ex art. 1175 c.c.— che preclude quei comportamenti che, resi possibili dal cosiddetto «contatto sociale» dal quale è sorta l’obbligazione, possono recare un danno alla controparte, trovando così applicazione anche oltre la fase precontrattuale. La circ. 11-2-1991, 9° aggiornamento del 22-6-2004, al punto 5 sez. I, del capitolo 1 delle Istruzioni per gli intermediari creditizi, precisa che il corretto funzionamento della Centrale dei rischi si fonda sul senso di responsabilità e sullo spirito di collaborazione degli intermediari partecipanti; per di più, gli intermediari che si avvalgono di centri di elaborazione esterni per lo scambio di informazioni con la Centrale dei rischi, la responsabilità in merito alle informazioni fornite, l’osservanza degli adempimenti e dei termini previsti per la loro trasmissione e, in generale, il loro corretto svolgimento del servizio rimane a carico degli stessi.
Di conseguenza ne deriva, secondo autorevole dottrina, una responsabilità da status da parte della banca[5].
La stessa giurisprudenza, molto esigua sull’argomento, ha affermato che l’illecita divulgazione di informazioni riservate — come quelle patrimoniali relative ad un rapporto bancario — può essere fonte di pregiudizio della dignità e reputazione della persona che gode del diritto a non vedere travisata, compromessa e svalutata la propria personalità e l’immagine di sé[6].
Per quanto rilevato, la giurisprudenza, così come la dottrina, non escludono la possibilità di poter esperire cumulativamente l’azione contrattuale e quella extracontrattuale nel momento in cui si verifica l’ipotesi del concorso di più norme poste a tutela del medesimo interesse[7].
Il Codice della privacy non riconosce solo una tutela alla riservatezza, ma anche il diritto ad un lecito trattamento dei dati personali, il che esclude un concorso materiale delle norme. Il legislatore, dunque, ha attribuito all’art. 15, 1° co., del Codice della privacy una natura preferenziale con l’indubbio vantaggio per il soggetto segnalato, non cliente della banca, di dover dimostrare esclusivamente l’esistenza del nesso causale, ricadendo sul danneggiante l’onere di provare di aver utilizzato tutte le cautele prescritte dalla legge per evitare la diffusione di notizie riservate.
Vi è più. Il secondo comma dell’art. 15 del Codice della privacy prevede che il danno non patrimoniale sia risarcibile anche nel caso di violazione dell’art. 11 dedicato alle modalità di raccolta dei dati personali.
4. Pregiudizio imminente ed irreparabile
“L’illegittima segnalazione alla centrale rischi determina un pregiudizio che sussiste in re ipsa e che comporta l’obbligo di risarcimento oltre che del danno patrimoniale, se verificatosi, anche del danno non patrimoniale costituito dalla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di specifiche categorie di essi con le quali il soggetto opera, la cui liquidazione deve effettuarsi in via equitativa tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto.” (Trib. Mantova, 27/05/2008).
La non corretta segnalazione alla Centrale dei rischi è idonea non solo a produrre effetti pregiudizievoli di perdurante attualità, ma anche a determinare una progressiva accentuazione degli stessi, per cui può costituire il periculum in mora che giustifica la concessione, ai danni del segnalante, di un provvedimento d’urgenza, consistente nell’ordine dato all’istituto di credito di eliminare la segnalazione del credito in questione da quelli a sofferenza[8].
“Posto che l’ingiustificata segnalazione di un credito a sofferenza presso la centrale rischi della banca d’Italia è suscettibile di determinare un pregiudizio imminente ed irreparabile alla reputazione economica del cliente di una banca, nonché di precludergli la fruizione dei rapporti in corso e l’ulteriore accesso al credito, va ordinato alla banca che ha effettuato la segnalazione e alla banca d’Italia di procedere immediatamente alla cancellazione della stessa.” (Trib. (Ord.) Venezia, 17/07/2006).
E ancora, “Sussiste il “periculum in mora” che legittima la concessione del provvedimento d’urgenza nel caso di richiesta di revoca della segnalazione di una sofferenza alla Centrale Rischi, poichè la reiterazione mensile della segnalazione mina la possibilità per il cliente di ricorrere al credito bancario, causando così una lesione del “diritto all’impresa” (Trib. Palermo, 04/11/2002)[9].
Il ricorrente, come da documentazione prodotta, ha subito a causa della erronea segnalazione la sospensione della procedura di concessione di un fido alla società di cui è amministratore talchè si deve ritenere, “In caso di erronea segnalazione “a sofferenza” alla centrale rischi a opera della Banca risulta sussistente il “periculum in mora”, ai fini della concessione del provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., allorquando si dimostri che, nelle more del giudizio, si possano verificare irreparabili e gravi compromissioni del diritto del ricorrente alla libera iniziativa economica, consistenti, in particolare, nella maggiore difficoltà di reperire credito sul mercato.” (Trib. Salerno, 22/04/2002).[10]
Il perseguimento dell’interesse generale, sotteso alla disciplina della Centrale dei rischi della Banca d’Italia, può ritenersi conseguito solo se gli intermediari utilizzano il potere di segnalazione nel rispetto delle regole dettate dalla normativa di riferimento, prima ancora dei principi generali in tema di correttezza e buona fede. Il tribunale può esaminare il corretto utilizzo del potere di segnalazione, dichiarandone l’illegittimità laddove vi sia stato dello stesso un utilizzo erroneo e concedendo lo strumento cautelare richiesto, ex art. 700 c.p.c., al fine di far cessare la segnalazione stessa.
Sotto altro profilo, “L’illegittima segnalazione alla centrale rischi determina un pregiudizio che sussiste in re ipsa e che comporta l’obbligo di risarcimento oltre che del danno patrimoniale, se verificatosi, anche del danno non patrimoniale costituito dalla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di specifiche categorie di essi con le quali il soggetto opera, la cui liquidazione deve effettuarsi in via equitativa tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto.” (Trib. Mantova, 27/05/2008).
La non corretta segnalazione alla Centrale dei rischi è idonea non solo a produrre effetti pregiudizievoli di perdurante attualità, ma anche a determinare una progressiva accentuazione degli stessi, per cui può costituire il periculum in mora che giustifica la concessione, ai danni del segnalante, di un provvedimento d’urgenza, consistente nell’ordine dato all’istituto di credito di eliminare la segnalazione del credito in questione da quelli a sofferenza[18].
“Posto che l’ingiustificata segnalazione di un credito a sofferenza presso la centrale rischi della banca d’Italia è suscettibile di determinare un pregiudizio imminente ed irreparabile alla reputazione economica del cliente di una banca, nonché di precludergli la fruizione dei rapporti in corso e l’ulteriore accesso al credito, va ordinato alla banca che ha effettuato la segnalazione e alla banca d’Italia di procedere immediatamente alla cancellazione della stessa.” (Trib. (Ord.) Venezia, 17/07/2006).
E ancora, “Sussiste il “periculum in mora” che legittima la concessione del provvedimento d’urgenza nel caso di richiesta di revoca della segnalazione di una sofferenza alla Centrale Rischi, poichè la reiterazione mensile della segnalazione mina la possibilità per il cliente di ricorrere al credito bancario, causando così una lesione del “diritto all’impresa”.” (Trib. Palermo, 04/11/2002)8.
“In caso di erronea segnalazione “a sofferenza” alla centrale rischi a opera della Banca risulta sussistente il “periculum in mora“, ai fini della concessione del provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., allorquando si dimostri che, nelle more del giudizio, si possano verificare irreparabili e gravi compromissioni del diritto dei ricorrenti alla libera iniziativa economica, consistenti, in particolare, nella maggiore difficoltà di reperire credito sul mercato.” (Trib. Salerno, 22/04/2002).
Il perseguimento dell’interesse generale, sotteso alla disciplina della Centrale dei rischi della Banca d’Italia, può ritenersi conseguito solo se gli intermediari utilizzano il potere di segnalazione nel rispetto delle regole dettate dalla normativa di riferimento, prima ancora dei principi generali in tema di correttezza e buona fede.
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5. Le procedure
Le eventuali e probabili procedure esecutive da parte delle banche che si trovano di fronte a debitori insolventi per cause derivanti dall’eccessivo costo delle operazioni di mutuo, per la presenza di tassi ultralegali hanno comportato un ulteriore problema legato alla segnalazione della posizione di insolvenza alla Centrale Rischi.
Dette segnalazioni infatti si ritiene non veritiere in quanto riferite ad una cifre debitorie superiori a quella realmente e legalmente dovute: infatti, da un lato la cifra pretesa dalla banca esecutante porta in se un quota interessi ultralegale, quindi non dovuta, dall’altro l’interruzione del pagamento delle quote di mutuo può trovare giustificazione nel principio della buona fede esecutiva ex art. 1375 c.c..
Proprio in riferimento al principio della buona fede , la normativa sopravvenuta può costituire, per le pattuizioni in corso, un parametro esterno cui rapportare l’attuazione del rapporto ed il reciproco adempimento delle prestazioni. L’incidenza dello jus superveniens non sarebbe immediata, ma mediata da una valutazione dell’adempimento contrattuale alla stregua del principio di buona fede che ai sensi dell’art. 1375 c.c., deve caratterizzare l’esecuzione del contratto.
La buona fede infatti costituisce un criterio di reciprocità, che deve essere osservato vicendevolmente tra creditore e debitore in relazione ai principi della solidarietà sociale: da un lato essa può portare ad ampliare gli obblighi che le parti hanno dedotto in contratto, dall’altro può eventualmente restringere tali obblighi, ove la pretesa del creditore si ponga in contrasto con i medesimi principi: la buona fede in executivis assolve perciò ad una funzione di controllo, quale limite all’esercizio di pretese e correlativamente all’adempimento di obblighi, onde “il giudizio di buona fede sulla compatibilità tra circostanze ed esecuzione del contratto si risolve in un controllo sull’esigibilità dell’adempimento”.
L’obbiettivo specifico che si prefigge la Centrale dei Rischi è quello di consentire la conoscibilità, da parte degli istituti di credito, del rischio complessivo collegato ad un cliente e dare, quindi, la possibilità di valutare meglio l’affidabilità del cliente stesso sia ex ante, cioè al momento della verifica dell’opportunità di concludere un contratto che preveda un’esposizione della banca, sia nel corso dell’esecuzione di un rapporto già concluso.
E’ evidente dunque come una segnalazione erronea alla centrale dei rischi possa determinare una lesione e del diritto d’impresa, e del diritto di ogni singolo individuo, potendo creare difficoltà insormontabili a chiunque voglia accedere al credito bancario e potendo determinare la revoca di quello già concesso.
In un sistema informativo generalizzato, infatti, teso proprio a consentire a tutti gli aderenti del circuito bancario la possibilità di valutare i rischi dell’affidamento richiesto, l’eventuale segnalazione di una posizione di rischio, con connessa rilevante difficoltà di andare a verificare le effettive cause, comporta, o comunque può comportare, un effetto a catena di mancati affidamenti o, peggio, di revoca di quelli già concessi.
Ma non solo, in via generale, una errata segnalazione può incidere anche sul regime della libera concorrenza e sullo stesso sistema creditizio: il mancato accesso al credito di un’impresa o la revoca degli affidamenti porta ad avvantaggiare le altre imprese operanti nel medesimo settore, così come può essere fuorviante per le stesse altre banche condizionandone la loro politica creditizia.
Dunque, l’erronea segnalazione alla Centrale dei rischi crea un danno sia all’utente che alle altri istituti creditizi.
Per quanto riguarda le modalità di segnalazione, e quindi della relativa correttezza, lo scrivente ritiene, in linea con l’attuale giurisprudenza, non corretto ritenere che la segnalazione sia un fatto automatico e non implichi, invece, una valutazione della banca in ordine alla insolvenza del cliente, insolvenza che deve essere tale da legittimare l’individuazione del credito ad una posizione che sia di incaglio o di sofferenza.
E’ infatti, questo il passaggio che determina, poi, l’automatismo della segnalazione: tutte le posizioni di sofferenza, infatti, a prescindere dalla loro entità, vanno segnalate, ma è la banca che deve decidere se lo stato di insolvenza del cliente è tale che non vi sono più possibilità, rectius, vi sono rilevantissime difficoltà di recuperare il credito.
Va inoltre ulteriormente evidenziato, come tutta la procedura si svolga senza contraddittorio: è la stessa banca, cioè, che procede nella istruttoria senza necessariamente interpellare il cliente, ed effettuare la segnalazione senza neanche comunicarglielo.
La detta procedura, in considerazione dei rilevanti effetti pratici che può determinare, appare di per sé anomala e, sicuramente, poco garantista : pertanto è auspicabile . in virtù dei generalissimi principi di correttezza e buona fede, una più che attenta diligenza nella istruttoria e nella conseguente, eventuale, segnalazione da parte della banca.
Indubbiamente la banca deve ancorare la sua valutazione sullo stato di insolvenza a qualche elemento oggettivo a sua disposizione, elemento che non può certamente essere il mero ritardo nel pagamento o la sussistenza della pendenza di un giudizio per l’accertamento del credito.
Il mero inadempimento del debito verso la banca, eventualmente anche accompagnato da un esplicito rifiuto ad adempiere, se non è correlato ad un oggettivo stato di difficoltà di adempiere alle proprie obbligazioni, non comporta la qualificazione della posizione del credito come in sofferenza.
L’eventuale iscrizione, da parte della banca, del credito in tale categoria, nonostante il mero inadempimento senza insolvenza, costituisce, a parere dello scrivente, un comportamento illecito suscettibile della conseguenza del risarcimento del danno.
Sono ipotizzabili alcune situazioni esemplificative di contegni implicanti l’uno o l’altro profilo di responsabilità, a seconda che il comportamento dell’istituto di credito sia posto in essere, erroneamente, o, in ipotesi, addirittura intenzionalmente, nell’ambito di un rapporto negoziale già operante tra le parti, ovvero venga realizzato in violazione degli obblighi generali di astensione e tutela imposti dai principi in materia di responsabilità extracontrattuale:
1) l’istituto di credito segnala alla Centrale dei rischi un affidamento del cliente per un credito superiore a quello effettivamente in essere;
2) la banca segnala alla Centrale dei rischi un affidamento del soggetto per un credito inesistente;
3) la banca segnala alla Centrale dei rischi una posizione di rischio definibile come sofferenza, a fronte della piena capacità del soggetto, cliente o terzo, di far fronte regolarmente all’eventuale debito con il suo patrimonio.
Quanto alla natura dei comportamenti denunziati, è possibile fare riferimento, riguardo alle ipotesi di erroneità delle segnalazioni, ad alcuni dei casi probabilmente più evidenti :
a) la (possibile, o probabile) negligenza nelle registrazioni dei dati presso la centrale dei rischi, ad esempio, sotto l’aspetto anagrafico, come nell’ipotesi della sostituzione di un soggetto ad un altro, fortemente indebitato verso il sistema bancario, ovvero indicato come non solvibile;
b) la negligenza e l’imperizia nella valutazione della sussistenza dei presupposti per le registrazioni dei dati presso la Centrale dei rischi, in relazione all’ammontare dell’esposizione debitoria del soggetto nei confronti della banca, come nel caso in cui manchi l’indicazione dei limiti esatti del debito, in relazione al relativo titolo negoziale;
c) la negligenza e l’imperizia nella valutazione della sussistenza dei presupposti per le registrazioni dei dati presso la Centrale dei rischi, in relazione allo stato di insolvenza od alle situazioni sostanzialmente equiparabili, come probabilmente nel caso in specie, in termini di entità e di quantità dei beni che ne fanno parte, a far fronte all’obbligazione menzionata.
Riguardo alle ipotesi, invece, di intenzionalità della segnalazione alla Centrale rischi, di situazioni non veritiere, o comunque non completamente, o falsate da applicazioni illegittime di tassi ultralegali, la banca utilizzi la segnalazione come mezzo di illecita pressione, rivolta ad esempio ad una definizione più sollecita ed a condizioni gradite della controversia .
Riguardo invece alle conseguenze delle segnalazioni erronee o abusive, può rilevarsi che la posizione del soggetto segnalato può essere pregiudicata sotto diversi profili:
a) viene innanzi tutto, limitato l’accesso del soggetto segnalato, al mercato del credito, tenuto conto del fatto che, se è vero che non viene astrattamente impedita la possibilità di concessione di nuovi affidamenti, questi vengono sostanzialmente ostacolati dalla difficile dimostrabilità, agli altri istituti di credito, della fondatezza dell’eventuali contestazioni del credito o della piena solvibilità pure eventualmente sostenute in sede giudiziale;
b) in alcuni casi la stessa segnalazione potrebbe provocare uno stato di vera e propria insolvenza del soggetto segnalato, per l’impossibilità di soddisfare regolarmente le obbligazioni assunte con mezzi normali di pagamento, come nel caso in cui, in conseguenza della registrazione, da un lato la persona segnalata non riesca più ad attingere a fonti di finanziamento ordinarie, e, dall’altro, si trovi a dover far fronte a nuove ed imprevedibili situazioni debitorie, dovute al recesso da parte di altre banche da rapporti di finanziamento in corso, per l’apparente situazione di rischio.
Attraverso il meccanismo delle segnalazioni non veritiere alla Centrale dei rischi, inoltre, l’istituto di credito può vanificare gli obbiettivi della rilevazione dei rischi con inevitabile deformazione della reale situazione debitoria e della affidabilità economica complessiva del soggetto segnalato.
Conseguentemente deve ritenersi ipotizzabile, in astratto, il ricorso alla tutela cautelare atipica, al fine di ottenere un ordine di ritiro o revoca di una segnalazione illegittima, in quanto potenzialmente idonea a pregiudicare, in modo irreparabile, la posizione del soggetto segnalato, ed al fine di evitare il prevedibile danno al patrimonio dello stesso, nelle more della proposizione dell’azione di merito diretta ad accertare l’illiceità del comportamento dell’istituto di credito ed alla eventuale condanna al risarcimento del danno”.
Nel caso di segnalazione erronea, per negligenza o imperizia nella valutazione della sussistenza dei presupposti prescritti per la segnalazione , ovvero “abusiva per l’intenzionalità della comunicazione di dati non veritieri alla Centrale dei rischi, la banca è tenuta, secondo parte della giurisprudenza di merito, a risarcire i danni causati al cliente, a titolo di responsabilità contrattuale, se la segnalazione è avvenuta nell’ambito di un rapporto negoziale già operante tra le parti o, altrimenti, a titolo di responsabilità extracontrattuale.
Di fronte dunque all’ennesimo abuso [20] da parte dell’istituto di credito si rende necessario un intervento del tribunale adito – accertata l’illegittimità dei tassi applicati al mutuo in questione, l’errata segnalazione del debito reale alla Centrale rischi, ed infine dell’ingiusta esecuzione del pignoramento immobiliare, in considerazione anche del fatto che la banca si è sempre rifiutata di adeguare i tassi a quelli legali, nonostante il trascorrere degli anni e l’intensificarsi delle polemiche che oramai hanno invaso le aule di Tribunale di tutta Italia – affinché dichiarato senza effetto il pignoramento suddetto condanni la banca convenuta al risarcimento danni per responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.
6. Le modalità di segnalazione alla centrali rischi
La circolare illustrativa di Bankitalia in ordine alle modalità di segnalazione dalla centrale rischi osserva che “l’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non scaturisce automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel servizio di pagamento del debito”.
È necessario che la banca fondi la propria valutazione ad elementi oggettivi di cui ha, o può avere a propria disposizione, elementi che non possono essere il mero ritardo nel pagamento[11]o la sussistenza della pendenza di un giudizio per l’accertamento del credito.
Nel glossario della circolare lo “stato di insolvenza” viene così definito: “incapacità non transitoria di adempiere alla obbligazioni assunte”. Sul punto la Suprema Corte – Sez. I – , con le note sentenza 12 ottobre 2007 n. 21428 e Cass. Sez. I 1 aprile 2009 n. 7958 hanno confermato il diffuso orientamento della dottrina e della giurisprudenza di merito per cui, l’appostazione a sofferenza del credito, non può essere frutto della sola analisi dello specifico o degli specifici rapporti in corso di svolgimento tra la singola banca segnalante ed il cliente, ma necessita di una valutazione della complessiva situazione patrimoniale del debitore.
Purtroppo la circolare ha equiparato allo stato di insolvenza, la cui definizione è, ad avviso di chi scrive, troppo generica, tutta una serie di situazioni simili ma non analoghe tanto da creare una vera e propria situazione di arbitrarietà ed ingiustizia nella classificazione di determinate situazione come “sofferenti”.
È evidente che è stato conferito un potere arbitrario e del tutto fuori controllo, salvo ovviamente il ricorso all’Autorità Giudiziaria, alle banche nel valutare, spesso, senza neppure avere gli elementi sufficienti, la reale situazione economico patrimoniale del soggetto esaminando.
Il sistema così strutturato ha portato la giurisprudenza a contenere l’arbitrarietà delle banche nelle valutazioni delle singole situazione, mediante una rielaborazione più precisa e costituzionalmente orientata del concetto di insolvenza.
È stata attribuita una nozione levior rispetto a quella di insolvenza fallimentare (vecchio art. 5 l.f.) così da concepire “lo stato di insolvenza e le situazioni equiparabili in termini di valutazione negativa di una situazione patrimoniale apprezzata come deficitaria, ovvero, in buona sostanza, di grave (e non transitoria) difficoltà economica, senza, cioè, fare necessario riferimento all’insolvenza intesa quale situazione di in capienza, ovvero di definitiva irrecuperabilità … sarebbe frustrata l’utilità del servizio di centralizzazione del rischio, poiché gli altri intermediari si troverebbero nell’impossibilità di attivarsi in tempo utile per cautelare la propria posizione, laddove, del resto, in un ordine di idee nel quale la nozione stessa di sofferenza poggi sulla nozione di insolvenza fallimentare, le situazioni sostanzialmente equiparabili all’insolvenza, di cui è parola nelle più volte richiamate istruzioni, verrebbero a manifestarsi, secondo quanto trovasi affermato in dottrina, come le sfumature di una sola tonalità cromatica, se non addirittura come delle addizioni di mero stile”.
I Giudici di legittimità proseguono “ciò che rileva è la situazione “oggettiva” di incapacità finanziaria (“incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni assunte”) mentre nessun rilievo assume la manifestazione di volontà di non adempiere se giustificata da una seria contestazione sull’esistenza del titolo del credito vantato dalla banca.
Ulteriore riprova è data dall’equiparazione (contenuta nel paragrafo 6 delle istruzioni), ai fini della cessazione dell’obbligo di segnalazione di una posizione di rischio tra le sofferenze, dell’ipotesi di cessazione dello stato di insolvenza e di quello di avvenuto rimborso del credito, dal debitore o dal terzo, anche a seguito di accordo transattivo liberatorio”.
Purtroppo questo è il limite di un sistema completamente sbilanciato: è il soggetto creditore a poter decidere se una posizione debba essere segnalata a sofferenza oppure non, senza il sindacato di un soggetto terzo ed imparziale.
La tutela giurisdizionale è infatti eventuale e comunque successiva all’evento segnalazione, strumento, che pare, nel caso di specie, sia stato usato, come accade non di rado, come deterrente per costringere il debitore a pagare, per usare una metafora, “stringendolo alle corde, senza la presenza di un arbitro imparziale”.
È proprio questo potere dato al sistema bancario, che ha costretto la Giurisprudenza a colmare le lacune normative, nel tentativo di bilanciare da un lato il diritto di credito e dall’altro una corretta comunicazione di dati sensibili alla collettività.
Da questo punto di vista il profilo probatorio, assume una rilevanza tutt’altro che marginale: dato il privilegio della banca nel sindacare la situazione economico finanziaria di un soggetto, in sede processuale, seppur cautelare, la banca avrebbe almeno dovuto indicare le ragioni di una tale scelta, necessarie, affinché il soggetto colpito possa spiegare adeguatamente le proprie difese e confutare i dati forniti, diversamente v’è il rischio di onerare il ricorrente di una prova negativa. Senza dilungarsi in disquisizioni giuridiche, è parere di questa difesa, che sen è vero che è onere del ricorrente provare il fumus boni iurisi ed il periculum in mora, data la peculiarità del caso, sarebbe opportuno, che la giurisprudenza determinasse un giusto riparto dell’onere della prova, al fine di compensare lo sbilanciamento nella sede endoprocessuale.
In realtà la casistica del diritto bancario ci offre già un caso simile, ed è dato dall’art. 50 TUB.
La banca, come noto può autocertificarsi il proprio credito, tuttavia, sono nella fase monitoria: nel giudizio di merito, l’onere della prova viene ripristinato nella sua pienezza, e l’autocertificazione assume la funzione di mero indizio presuntivo.
Come noto con circolare n. 139/1991 (periodicamente aggiornata) Banca d’Italia ha dettato le istruzioni a cui devono attenersi le banche per effettuare le segnalazioni dei clienti in Centrale Rischi.
In particolare, la circolare – paragrafo 1.5 sez. II capitolo II – individua i parametri che la banca deve tenere presenti per censire nella categoria “sofferenze” l’esposizione debitoria di un cliente. In altre parole, il censimento a “sofferenza” di un debito (e la conseguente segnalazione in Centrale Rischi) non è rimesso all’arbitrio della banca, ma giunge a conclusione di un’istruttoria che le banche devono svolgere e valutare nel rispetto delle regole stabilite dalla circolare (ex multis, Trib. Brindisi 20/07/1999, in Giust. Civ. 2000, I, 555; Trib. Palermo 04/11/2002, in Giur. Merito 2003, 2, I, 207).
Nello specifico, il paragrafo 1.5 della circolare dispone che “nella categoria di censimento sofferenze va ricondotta l’intera esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipen-dentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dall’azienda.
Si prescinde, pertanto, dall’esistenza di eventuali garanzie (reali o personali) poste a presidio dei crediti (comma 1); l’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito(comma 2)”.
L’appostazione a sofferenza non può scaturire automaticamente da un semplice ritardo del cliente nel pagamento del proprio debito; è necessario che la banca ancori la propria valutazione a qualche elemento oggettivo a sua disposizione, elemento che non può essere il mero ritardo nel pagamento o la sussistenza della pendenza di un giudizio per l’accertamento del credito[12].
Lo scopo della Centrale Rischi è fornire alle banche un elenco aggiornato delle “sofferenze”, per il contenimento del rischio di credito.
Basandosi sull’analisi delle segnalazioni in Centrale Rischi, gli istituti di credito evitano di erogare credito ai soggetti che non offrono adeguate garanzie in ordine alla restituzione degli affidamenti concessi: nella caso in commento le informazioni rese della Banca alla Centrale Rischi erano per di più errate in quanto non rispettose del ricalcolo operato dalla sentenza di merito di 1° grado.
7. Illegittima la segnalazione se la banca non ha preventivamente informato il debitore-cliente
I giudici di merito ritengono che non sia conforme alla buona fede il comportamento dell’istituto di credito che ha automaticamente segnalato l’esposizione di un proprio cliente, senza averlo preventivamente informato della sua situazione affinché, ove possibile, egli potesse provvedere a ripianarla e soprattutto senza avvisarlo che, a partire da una certa data, quella situazione lo esponeva alla segnalazione in centrale rischi[13][14].
Peraltro, l’art. 11 del Codice della privacy stabilisce che i dati devono essere trattati in modo lecito e secondo correttezza e devono essere registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi; inoltre, occorre che i dati siano registrati e tale procedura deve essere «pertinente, completa e non eccedente rispetto alle finalità per le quali sono raccolti e successivamente trattati».
Nell’ipotesi di erronea segnalazione alla Centrale dei rischi si palesa una violazione dell’art. 11, lett. c), in quanto la norma richiamata stabilisce che i dati personali oggetto di trattamento devono essere esatti e, se necessario, aggiornati.
L’art. 15 (che sostanzialmente riproduce il contenuto degli artt. 18 e 29, 9° co., legge 31-12-1996, n. 675) dispone che chiunque cagioni un danno ad altri, per effetto del trattamento dei dati personali, è tenuto al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2050 c.c.
La banca è sottoposta ad una responsabilità cosiddetta aggravata, pertanto, in questo caso la prova liberatoria è posta a suo carico, in quanto dovrà dimostrare di aver trattato correttamente i dati e di aver utilizzato le tecniche avanzate nel momento in cui ha eseguito la registrazione dei dati.
L’art. 15 d.lg. n. 196/2003, delinea i profili di responsabilità da illecito trattamento dei dati, che si sostanzia nella divulgazione non consentita di dati attinti da una Centrale dei rischi.
La illegittima divulgazione di notizie o la diffusione di notizie non veritiere può certamente essere valutata come ipotesi di illegittimo trattamento dei dati personali, rilevato che gli intermediari sono tenuti all’obbligo della riservatezza sui dati censiti, così come previsto dall’art. 11 del Codice deontologico e dal punto 4 della delibera Cicr del 29-3-1994. L’aspetto di maggior rilievo ed interesse è dato dalla previsione contenuta nell’art. 15 del Codice della privacy che richiama espressamente l’art. 2050 c.c., rapportando, quindi, la gestione dei dati personali all’esercizio di attività pericolose.
Deve peraltro rilevarsi come in giurisprudenza si sia oramai delineato l’orientamento secondo cui è cumulabile sia la responsabilità contrattuale che extracontrattuale. La dottrina evidenzia come il rapporto che intercorre tra la banca e il cliente si caratterizza per il reciproco rapporto di fiducia che implica l’acquisizione di notizie ed informazioni riservate di natura patrimoniale del cliente.
L’obbligo di riservatezza, pertanto, deve essere eretto sul principio di correttezza — ex art. 1175 c.c. — che preclude quei comportamenti che, resi possibili dal cosiddetto «contatto sociale» dal quale è sorta l’obbligazione, possono recare un danno alla controparte, trovando così applicazione anche oltre la fase precontrattuale.
La circ. 11-2-1991, 9° aggiornamento del 22-6- 2004, al punto 5 sez. I, del capitolo 1 delle Istruzioni per gli intermediari creditizi, precisa che il corretto funzionamento della Centrale dei rischi si fonda sul senso di responsabilità e sullo spirito di collaborazione degli intermediari partecipanti; per di più, gli intermediari che si avvalgono di centri di elaborazione esterni per lo scambio di informazioni con la Centrale dei rischi, la responsabilità in merito alle informazioni fornite, l’osservanza degli adempimenti e dei termini previsti per la loro trasmissione e, in generale, il loro corretto svolgimento del servizio rimane a carico degli stessi.
Di conseguenza ne deriva, secondo autorevole dottrina, una responsabilità da status da parte della banca[15].
La stessa giurisprudenza, molto esigua sull’argomento, ha affermato che l’illecita divulgazione di informazioni riservate — come quelle patrimoniali relative ad un rapporto bancario — può essere fonte di pregiudizio della dignità e reputazione della persona che gode del diritto a non vedere travisata, compromessa e svalutata la propria personalità e l’immagine di sé[16].
Per quanto rilevato, la giurisprudenza, così come la dottrina, non escludono la possibilità di poter esperire cumulativamente l’azione contrattuale e quella extracontrattuale nel momento in cui si verifica l’ipotesi del concorso di più norme poste a tutela del medesimo interesse[17]. Il Codice della privacy non riconosce solo una tutela alla riservatezza, ma anche il diritto ad un lecito trattamento dei dati personali, il che esclude un concorso materiale delle norme.
Il legislatore, dunque, ha attribuito all’art. 15, 1° co., del Codice della privacy una natura preferenziale con l’indubbio vantaggio per il soggetto segnalato, non cliente della banca, di dover dimostrare esclusivamente l’esistenza del nesso causale, ricadendo sul danneggiante l’onere di provare di aver utilizzato tutte le cautele prescritte dalla legge per evitare la diffusione di notizie riservate.
Vi è più: il secondo comma dell’art. 15 del Codice della privacy prevede che il danno non patrimoniale sia risarcibile anche nel caso di violazione dell’art. 11 dedicato alle modalità di raccolta dei dati personali.
8. L’Ordinanza del tribunale di Firenze dell’11 agosto 2017 [19]
L’Ordinanza del tribunale di Firenze dell’11 agosto 2017 (sotto allegata) stabilisce con precisione quali devono essere i presupposti per la segnalazione a sofferenza, e quali le condotte del soggetto segnalante.
Il giudizio sui presupposti per la segnalazione a sofferenza necessità un quid pluris, rappresentato dalla ragionevole ed oggettiva opinione che il credito non possa essere soddisfatto in tempi congrui, sulla base di un sospetto qualificato dalla presenza degli elementi sintomatici dell’inadempimento.
8.1 Preventiva consultazione del cliente
Al fine di una corretta e compiuta valutazione della complessiva situazione finanziaria del cliente può rendersi necessaria la consultazione del cliente a chiarimenti sulla sua esposizione debitoria.
Tale precisazione pone un passo avanti verso la ricerca di un equilibrio nei rapporti banca – cliente in una procedura che vede quest’ultimo escluso e costretto solamente a difendersi ex posto in via giudiziaria.
La posizione assunta dal Tribunale di Firenze, assume, senza dubbio un precedente innovativo coerente con li principio della buona fede alla luce del più alto principio della solidarietà sociale sancito dall’art. 2 della Costituzione.
8.2 Quale deve essere la condotta della banca
Altrettanto innovativa, e senza precedenti, è l’individuazione dei i connotati della condotta che la banca deve assumere prima di proceder alla segnalazione: la banca deve procedere ad un’indagine sul complessivo stato del cliente, che vada ad attingere quelle informazioni che un avveduto operatore del settore raccoglierebbe prima di concedere il credito.
A pensarci bene il Tribunale di Firenze, per la prima volta in Italia, non si limita a esprimere un principio generale, come quello di insolvenza, comunque non equiparabile a quello identificabile in materia fallimentare, concetto, si utile, ma troppo generale e quindi oggetto di molte, ed alcune volte contraddittorie interpretazioni, ma detta un parametro preciso ed equidistante.
La banca dovrà assumere tutte le accortezze e la medesima diligenza che adotta per valutare se un soggetto può essere destinatario della concessione di un credito.
8.3 Profili processuali: onere della prova
Altro aspetto rilevante, ribadito anche da altri tribunali, riguarda l’aspetto processuale dell’onere della prova [21].
Il Tribunale di Firenze precisa che: in sede cautelare, la banca segnalante non può affermare genericamente di aver effettuato l’istruttoria, ma deve corroborare il sospetto ragionevole ed oggettivo che il credito non poteva essere soddisfatto in tempi congrui per la presenza degli elementi sintomatici della difficoltà economico-finanziaria del cliente. In definitiva, la banca segnalante dovrà consentire al soggetto segnalato di conoscere gli elementi che hanno portato alla conclusione che il soggetto debitore (o presunto tale) si trovasse in uno stato di insolvenza tale da giustificare la segnalazione a sofferenza
8.4 Periculum in mora: il Tribunale di Firenze compie tre passi avanti
Anche sotto il profilo del periculum in mora il tribunale di Firenze compie tre passi avanti:
1. – Non vi è dubbio, infine, che sussiste il pericolo di un danno imminente ed irreparabile (destinato ad aggravarsi con il trascorrere del tempo), poiché la segnalazione alla CR pregiudica l’accesso al credito, andando così a minare la possibilità di investimenti e quindi di guadagni futuri e, soprattutto, incidendo sull’immagine personale e commerciale del soggetto segnalato. La formulazione utilizzata da giudice lascerebbe pensare che il danno possa essere presunto con notevole semplificazione della prova a carico del ricorrente. In effetti gli effetti della segnalazione a sofferenza sono indubbi e che non possono essere disconosciuti neppure dalla banca resistente: il punto quindi potrebbe essere acquisito come prova ion quanto circostanza non contestata.
2. – Il pericolo è attuale, posto che sebbene la segnalazione sia cessata, essa non viene meno, rimanendo visibile per almeno 36 mesi: questo aspetto è particolarmente interessante. Il Tribunale riconduce l’attualità del pericolo non alla sussistenza della segnalazione all’atto della presentazione del ricorso ma al fatto che tale segnalazione, seppur venuta meno, continua a produrre i suoi effetti dannosi in quanto il sistema bancario, valuta la solvibilità del cliente in base il suo profilo storico e non semplicemente immediato.
3. – Ai fini del periculum in mora, affinché un soggetto possa agire in giudizio deducendo la lesione della propria posizione giuridica occorre che sia consapevole della sussistenza del vulnus. Anche questa decisione, rappresenta una novità. È noto che il ricorso ex art. 700 non può essere promosso a distanza di tempo dal fatto o atto che ha posto lo stato di pregiudizio imminente e irreparabile, per il rischio di rigetto per la mancanza del c.d. periculum in mora, tuttavia nel caso di specie tale periculum sussiste anche se il ricorso viene proposta a distanza di tempo dall’avvenuta segnalazione: per il soggetto segnalato, la percezione del vulnus si identifica con il momento in cui il soggetto, ne subisce gli effetti (richiesta negata di finanziamento).
NOTE
[1] Nella valutazione della situazione di “insolvenza”, la Banca deve tener presente la situazione complessiva del debitore, anche in riferimento ai debiti contratti con altri istituti di credito o società erogatrici, al fine di poter addivenire alla prospettazione della detta “insolvenza” e poter, quindi, legittimamente effettuare la segnalazione alla Centrale dei Rischi ed ha l’obbligo, prima di disporre la segnalazione, di verificare la non solvibilità del cliente alla stregua di una valutazione complessiva della situazione del medesimo, valutazione che non può certo limitarsi alla verifica del mero inadempimento, ma che deve considerare e valutare ulteriori elementi dai quali desumere la oggettiva difficoltà economico-finanziaria del cliente, individuabili esemplificativamente in protesti, pendenza di procedimenti esecutivi, ulteriori decreti ingiuntivi, squilibrio tra i mezzi a disposizione del debitore e consistenza della debitoria da coprire e, quindi, verifica della capacità di produzione di reddito e della liquidità, parametrate alla possibilità di far fronte, a mezzo delle dette disponibilità, alla debitoria da segnalare a sofferenza (Trib. Parma 21/9/2006); La segnalazione alla Centrale rischi di un credito in sofferenza non è giustificata dal mero inadempimento del debito verso la banca, essendo necessario che il soggetto segnalante abbia accertato, attraverso il parametro di correttezza e buona fede di cui all’art. 1176 c.c., l’incapacità del debitore di fare fronte regolarmente alle proprie obbligazioni con il suo patrimonio (Trib. Matera, 28/6/2005); Il perseguimento dell’interesse generale, sotteso alla disciplina della Centrale dei rischi della Banca d’Italia, può ritenersi conseguito solo se gli intermediari utilizzano il potere di segnalazione nel rispetto delle regole dettate dalla normativa di riferimento, prima ancora che dei principi generali in tema di correttezza e buona fede; in tal senso il presupposto per la segnalazione risiede nell’incapacità del debitore di far fronte con mezzi normali alle obbligazioni assunte, con l’esclusione di ogni automatismo tra inadempimento e segnalazione. Il tribunale può esaminare il corretto utilizzo del potere di segnalazione, dichiarandone l’illegittimità laddove vi sia stato dello stesso un utilizzo erroneo e concedendo lo strumento cautelare, richiesto ex art. 700 c.p.c. al fine di fare cessare la segnalazione stessa (Trib. Napoli, Sez. X, 18/03/2005)
[2] Trib. Parma 30.06.2010
[3] La segnalazione alla centrale rischi della Banca d’Italia di un debito contestato come posizione di “sofferenza” è illegittima e può essere inibita con provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., qualora la contestazione abbia i caratteri della non manifesta infondatezza e sia posta a fondamento del rifiuto di adempiere (Trib. Bari, 2.11.2005; Trib. Pescara, 22/12/2006)
[4] La segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia dell’esistenza di un credito a sofferenza può derivare solo dall’ incapacità del debitore di far fronte in modo ordinario alle proprie obbligazioni verso l’intermediario bancario o finanziario segnalante e non può essere fatta in funzione di uno stato di insolvenza desumibile da altri fattori (Trib. Napoli, 22/10/2002; T. Potenza, 4-5-2001; T. Potenza, 30-6-2001)
[5] L’imprenditore bancario che, omettendo di porre in essere la gamma di cautele imposte a tutela della corretta erogazione del credito, violi i doveri propri dello «status» dei soggetti facenti parte del sistema bancario, incorre in una responsabilità di natura extracontrattuale; ove poi lo stesso comportamento, risalente al medesimo autore, appaia lesivo pure di clausole contrattuali, l’imprenditore bancario è anche contrattualmente responsabile (cfr. Cass. n. 343/1993; Cass. n. 5659/1998)
[6] Violazione della privacy bancaria: imprudenza della banca nella comunicazione di informazioni riservate (Trib. Venezia, 20.6.2005)
[7] In caso di indagini sulla solvibilità svolte illecitamente, spetta al danneggiato il risarcimento del danno patrimoniale ex art. 2043 c.c. (da ritenersi comprensivo non solo dei danni patrimoniali in senso stretto, ma anche di tutti i danni derivanti dalla lesione di diritti di rilevanza costituzionale e che rilevano per il solo fatto della lesione, prescindendo dal concreto pregiudizio patrimoniale), del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.(consistente nell’ingiusto turbamento dello stato d’animo in conseguenza dell’offesa subita) e del danno non patrimoniale in base al combinato disposto dell’art. 9 e dell’art. 29, 9° co., l. n. 675/1996 (stante la violazione delle norme sul consenso al trattamento e sulla sicurezza dei dati), così T. Orvieto, 25-11-2002
[8] La falsità o erroneità delle segnalazioni effettuate dagli intermediari può essere in concreto ricondotta: a) all’attribuzione della esposizione creditizia ad un soggetto diverso, causata ad esempio per omonimia; b) nella indicazione dell’esposizione creditizia per un importo maggiore o minore della linea o delle linee di credito accordate; c) nella erronea classificazione della linea di credito concessa in relazione alla classificazione dei fidi secondo il livello di rischio; d) nella imputazione al soggetto interessato di una posizione a sofferenza. Le prime tre ipotesi ci consentono di individuare un comportamento dell’intermediario palesemente contrario ai doveri di diligenza nella segnalazione dei dati, che certamente arreca un danno al soggetto illegittimamente segnalato, ma appare opportuno precisare che dette ipotesi statisticamente rappresentano dei casi marginali. La quarta ipotesi, invece, si traduce in una vera e propria contestazione del giudizio valutativo della posizione, che rientra nell’ambito della discrezionalità gestionale dell’intermediario
[9] Con provvedimento urgente ex art. 700 c.p.c. è possibile – in via generale – ordinare la sospensione delle segnalazione a sofferenza effettuata da una banca alla Centrale Rischidelle Banca d’Italia a carico di un’impresa cliente. In particolare, sotto il profilo del periculum in mora, la erroneità della segnalazione è foriera di indubbio pregiudizio per chi ne è oggetto, comportando nell’immediato il congelamento dei crediti e l’inibizione della possibilità di accedere al finanziamento bancario, e, nel più lungo termine, il discredito della propria immagine commerciale (Trib. Bologna, Sez. III, 11/07/2007)
[10] La non corretta segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia dell’esistenza di un credito “a sofferenza” verso il cliente è idonea non solo a produrre effetti pregiudizievoli di perdurante attualità, ma anche a determinare una progressiva accentuazione degli stessi, per cui può costituire il “periculum in mora” che giustifica la concessione di un provvedimento d’urgenza, consistente nell’ordine dato alla Banca di eliminare la segnalazione del credito in questione da quelle a sofferenza (Trib. Napoli, 22/10/2002).
[11]Trib. (Ord.) Parma, 21/09/2006 Nella valutazione della situazione di “insolvenza”, la Banca deve tener presente la situazione complessiva del debitore, anche in riferimento ai debiti contratti con altri istituti di credito o società erogatrici, al fine di poter addivenire alla prospettazione della detta “insolvenza” e poter, quindi, legittimamente effettuare la segnalazione alla Centrale dei Rischi ed ha l’obbligo, prima di disporre la segnalazione, di verificare la non solvibilità del cliente alla stregua di una valutazione complessiva della situazione del medesimo, valutazione che non può certo limitarsi alla verifica del mero inadempimento, ma che deve considerare e valutare ulteriori elementi dai quali desumere la oggettiva difficoltà economico-finanziaria del cliente, individuabili esemplificativamente in protesti, pendenza di procedimenti esecutivi, ulteriori decreti ingiuntivi, squilibrio tra i mezzi a disposizione del debitore e consistenza della debitoria da coprire e, quindi, verifica della capacità di produzione di reddito e della liquidità, parametrate alla possibilità di far fronte, a mezzo delle dette disponibilità, alla debitoria da segnalare a sofferenza. Trib. Matera, 28/06/2005 La segnalazione alla Centrale rischi di un credito in sofferenza non è giustificata dal mero inadempimento del debito verso la banca, essendo necessario che il soggetto segnalante abbia accertato, attraverso il parametro di correttezza e buona fede di cui all’art. 1176 c.c., l’incapacità del debitore di fare fronte regolarmente alle proprie obbligazioni con il suo patrimonio.Trib. (Ord.) Napoli, Sez. X, 18/03/2005 Il perseguimento dell’interesse generale, sotteso alla disciplina della Centrale dei rischi della Banca d’Italia, può ritenersi conseguito solo se gli intermediari utilizzano il potere di segnalazione nel rispetto delle regole dettate dalla normativa di riferimento, prima ancora che dei principi generali in tema di correttezza e buona fede; in tal senso il presupposto per la segnalazione risiede nell’incapacità del debitore di far fronte con mezzi normali alle obbligazioni assunte, con l’esclusione di ogni automatismo tra inadempimento e segnalazione. Il tribunale può esaminare il corretto utilizzo del potere di segnalazione, dichiarandone l’illegittimità laddove vi sia stato dello stesso un utilizzo erroneo e concedendo lo strumento cautelare, richiesto ex art. 700 c.p.c. al fine di fare cessare la segnalazione stessa.
[12] La circolare illustrativa di Bankitalia in ordine alle modalità di segnalazione dalla centrale rischi osserva che “l’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non scaturisce automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel servizio di pagamento del debito”. Ne deriva che per esprimere un tale giudizio, la banca deve indagare sulla situazione finanziaria del cliente nella sua interezza. (Nel caso di specie il Tribunale ha ordinato alla banca la cancellazione della segnalazione del mancato pagamento da parte di un cliente della somma di euro 168.632,64 in quanto dall’esame dei bilanci dello stesso non poteva desumersi l’esistenza di uno stato di difficoltà economica idoneo ad incidere sulla possibilità di recupero del credito da parte della banca.)
[13] 2T. Bari, 2-11-2005 La segnalazione alla centrale rischi della Banca d’Italia di un debito contestato come posizione di “sofferenza” è illegittima e può essere inibita con provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., qualora la contestazione abbia i caratteri della non manifesta infondatezza e sia posta a fondamento del rifiuto di adempiere. Trib. (Ord.) Pescara, 22/12/2006
[14] La segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia dell’esistenza di un credito a sofferenza può derivare solo dall’ incapacità del debitore di far fronte in modo ordinario alle proprie obbligazioni verso l’intermediario bancario o finanziario segnalante e non può essere fatta in funzione di uno stato di insolvenza desumibile da altri fattori. Trib. Napoli, 22/10/2002 T. Potenza, 4-5-2001; T. Potenza, 30-6-2001
[15] L’imprenditore bancario che, omettendo di porre in essere la gamma di cautele imposte a tutela della corretta erogazione del credito, violi i doveri propri dello «status» dei soggetti facenti parte del sistema bancario, incorre in una responsabilità di natura extracontrattuale; ove poi lo stesso comportamento, risalente al medesimo autore, appaia lesivo pure di clausole contrattuali, l’imprenditore bancario è anche contrattualmente responsabile cfr. Cass., 13-1-1993, n. 343; Cass., 9-6-1998, n. 5659.
[16] T. Venezia, 20-6-2005 – Violazione della privacy bancaria: imprudenza della banca nella comunicazione di informazioni riservate.
[17] In caso di indagini sulla solvibilità svolte illecitamente, spetta al danneggiato il risarcimento del danno patrimoniale ex art. 2043 c.c. (da ritenersi comprensivo non solo dei danni patrimoniali in senso stretto, ma anche di tutti i danni derivanti dalla lesione di diritti di rilevanza costituzionale e che rilevano per il solo fatto della lesione, prescindendo dal concreto pregiudizio patrimoniale), del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. (consistente nell’ingiusto turbamento dello stato d’animo in conseguenza dell’offesa subita) e del danno non patrimoniale in base al combinato disposto dell’art. 9 e dell’art. 29, 9° co., l. n. 675/1996 (stante la violazione delle norme sul consenso al trattamento e sulla sicurezza dei dati), così T. Orvieto, 25-11-2002
[18] Con provvedimento urgente ex art. 700 c.p.c. è possibile – in via generale – ordinare la sospensione delle segnalazione a sofferenza effettuata da una banca alla Centrale Rischidelle Banca d’Italia a carico di un’impresa cliente. In particolare, sotto il profilo del periculum in mora, la erroneità della segnalazione è foriera di indubbio pregiudizio per chi ne è oggetto, comportando nell’immediato il congelamento dei crediti e l’inibizione della possibilità di accedere al finanziamento bancario, e, nel più lungo termine, il discredito della propria immagine commerciale. Trib. (Ord.) Bologna, Sez. III, 11/07/2007
[19] G. MORINI www.studiocataldi.it/articoli/27464-centrale-rischi-i-presupposti-per-la-segnalazione.asp
[20] G. MORINI http://www.altalex.com/documents/news/2015/09/29/abuso-del-diritto
[21] G. MORINI www.studiocataldi.it/articoli/26697-centrale-rischi-l-illegittimita-della-segnalazione-a-sofferenza.asp
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