Le Sezioni Unite fanno chiarezza sulla proseguibilità del giudizio ai soli fini della confisca c.d. urbanistica senza condanna in caso di prescrizione del reato-presupposto: un nuovo tassello nel variegato mosaico della confisca lottizzatoria.

Giovanni Russo 07/07/20
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Annullamento senza rinvio per prescrizione del reato – conferma della disposta confisca

Le S.U. confermano i precedenti arresti di Corte cost. e Corte Edu sulla ordinabilità della confisca urbanistica senza condanna ed effettuano importanti precisazioni in ordine alla corretta interpretazione del neointrodotto art. 578-bis c.p.p.

Prescrizione del reato – proseguibilità del giudizio – confisca urbanistica.

Riferimenti normativi: art. 44 d.P.R. 380/2001; art. 578-bis c.p.p.; art. 129 c.p.p.

«la confisca di cui all’art. 44 DPR 380/2001 può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato purché sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell’art. 129 c.1 c.p.p., proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento»;

«in caso di declaratoria, all’esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per prescrizione, il giudice di appello e la Corte di Cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578-bis c.p.p., a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui all’art. 44 DPR 380/2001».

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Sommario. 1. Premessa. – 2. La questione. – 3. Confisca urbanistica senza condanna  e natura giuridica del provvedimento ablatorio. – 4. Il problema della prosecuzione del giudizio ai soli fini della confisca, argomentazioni a favore. – 5. Le Sezioni Unite sulla prosecuzione del giudizio ai soli fini della confisca e sulla portata operativa dell’art. 578-bis c.p.p. – 6. I principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite. – 7. Conclusioni.

 

1.      Premessa

 

Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite rispondono alla questione di diritto, sollevata dalla terza sezione penale con ordinanza n. 40380 del 2019[1], formulata in questi termini: «se, in caso di declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, sia consentito l’annullamento con rinvio limitatamente alla statuizione sulla confisca ai fini della valutazione da parte del giudice di rinvio della proporzionalità della misura, secondo il principio indicato dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo 28 giugno 2018 G.I.E.M. srl e altri c. Italia».

La pronuncia in esame mostra profili di rilevante interesse oltre che per la specifica questione inerente al rapporto tra declaratoria di prescrizione del reato di lottizzazione abusiva e confisca c.d. urbanistica, invero già affrontata e (provvisoriamente) chiarita da giurisprudenza nazionale e sovranazionale, anche per i risvolti più ampi che la precisazione in merito alla operatività del neointrodotto art. 578-bis c.p.p.[2] proveniente dal Supremo Collegio potrà avere. La portata della sentenza in commento si comprende ancora meglio se si tiene presente il fatto che la questione da essa affrontata si inscrive nell’ambito dell’ormai annoso dibattito dottrinale e giurisprudenziale alimentato prima dalla nota sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Varvara c. Italia del 2013, poi dalla successiva pronuncia della Corte costituzionale n. 49/2015 e infine dalla più recente sentenza G.I.E.M. e altri c. Italia, pronunciata dalla Grande Camera della Corte EDU, in data 28 giugno 2018.

 

2.      La questione

 

Il fatto concreto, da cui ha origine la questione di diritto sottoposta alle Sezioni Unite e che ha fornito l’occasione del pronunciamento in discorso, chiarificante di un possibile contrasto giurisprudenziale, riguarda un commesso reato di lottizzazione abusiva, ex art. 44 comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001, concernente, in particolare, l’edificazione di dodici corpi di fabbrica fuori terra in assenza del necessario titolo abilitativo, in violazione del piano di lottizzazione comunale e degli standard urbanistici vigenti.

All’accertamento di tale reato aveva fatto seguito, in primo e secondo grado,  la condanna alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno e mesi due di arresto ed euro 60.000,00 di ammenda a carico del rappresentante legale della ditta edile costruttrice.  Con la sentenza in appello, poi impugnata per Cassazione, era stata inoltre confermata la confisca dell’area e dei fabbricati abusivamente realizzati, già disposta dal giudice di prime cure.

Tuttavia, dopo l’impugnazione della sentenza emessa dal giudice d’appello e la conseguente instaurazione del rapporto impugnatorio davanti alla Corte di Cassazione, essendo decorsi i termini di prescrizione del reato ascritto all’imputato, i giudici di legittimità non hanno potuto non procedere alla declaratoria di prescrizione del reato ex art. 129 c.p.p.

Gli stessi giudici, però, rimettevano alle Sezioni Unite la questione di diritto in ordine alla sorte della confisca, disposta e confermata dai giudici di merito, dopo aver rilevato la possibilità che, in argomento, si potesse prospettare un contrasto giurisprudenziale. Più esattamente, ciò che era venuto in discussione riguardava la possibilità di una sostanziale prosecuzione del giudizio, nonostante la  declaratoria di estinzione per prescrizione del reato, attraverso un annullamento della sentenza con rinvio limitatamente alla statuizione sulla confisca, in modo da consentire al giudice del rinvio la valutazione (di merito) in ordine alla proporzionalità della misura, in ossequio al principio indicato dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo 28 giugno 2018 G.I.E.M. e altri c. Italia.

In altri termini – come ben sintetizzato dalla Corte –  si è trattato di accertare se, all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, possano resistere singole statuizioni della stessa, nello specifico quelle con cui è disposta o confermata la confisca urbanistica, sulla possibilità di individuare una sostanziale autonomia di esse, anche alla luce del neointrodotto art. 578-bis c.p.p.

 

Resta chiaramente sullo sfondo della sollevata questione l’assunto – che il Supremo Collegio ha opportunamente  ricostruito e autorevolmente condiviso – per il quale la confisca c.d. urbanistica sia ordinabile anche in assenza di una sentenza di condanna, come nel caso di declaratoria di prescrizione del reato, purché ne sussistano i presupposti dell’accertamento sostanziale del fatto e – come insegnano i giudici di Strasburgo – della proporzionalità della misura, della cui sussistenza è necessario che il giudice ne dia adeguatamente conto nella parte motiva della sentenza.

Invero, quella di sganciare l’ordinabilità del provvedimento ablatorio dall’esistenza di un provvedimento formale di condanna sembra essere una tendenza che, incoraggiata anche dalla più recente giurisprudenza euro-convenzionale, è andata via via consolidandosi anche in riferimento ad altri tipi di confische, pure dai caratteri eminentemente afflittivi, talora in contrasto non solo col dato letterale delle norme che depongono chiaramente in senso avverso, ma anche con i principi di rango costituzionale di colpevolezza, della presunzione di innocenza e del principio di giurisdizionalità.

 

Si comprende, allora, la portata del pronunciamento in discorso, attesa la importanza della questione la quale, nel chiamare direttamente in causa alcuni dei principi fondanti il sistema penale e processuale penale, involge – come sottolineano gli stessi giudici di legittimità – un piano «innanzitutto di dommatica generale del processo penale» (pag. 9 sentenza).

Proprio per questo, e per una migliore intelligibilità delle conclusioni cui sono pervenute le Sezioni Unite, si impone la necessità di affrontare – come d’altronde il più ampio consesso della Corte regolatrice ha fatto – alcune tematiche sottese al quesito loro sottoposto, come quelle che riguardano la natura, amministrativa o penale, della confisca c.d. urbanistica; la sua ordinabilità anche in assenza di formale condanna; l’effettiva operatività del neointrodotto art. 578-bis c.p.p., anche in rapporto all’obbligo di immediata declaratoria di prescrizione del reato ai sensi dell’art. 129 c.p.p.

 

3.      Confisca urbanistica senza condanna  e natura giuridica del provvedimento ablatorio

 

Come si era iniziato a dire, la questione così come sottoposta alle Sezioni Unite lascia sullo sfondo l’assunto secondo il quale la confisca, in particolare quella urbanistica, possa essere disposta anche in assenza di provvedimento formale di condanna che definisca il giudizio, come nel caso in cui venga pronunciata declaratoria di prescrizione del reato, purché il giudice dia conto, con adeguata ed ampia motivazione,  della certezza probatoria (al di là di ogni ragionevole dubbio) concernente la sussistenza del fatto di reato, nei suoi elementi oggettivi e soggettivi.

Proprio tale assunto merita di essere approfondito, dal momento che esso, nonostante sia, tra la giurisprudenza interna, risalente nel tempo, è andato progressivamente consolidandosi e, solo di recente, “affinandosi” (pag. 11 sentenza) attraverso il contributo della Corte Edu e il confronto tra le più alte corti nazionali e sovranazionali.

 

Al centro del dialogo tra giudici nazionali e giudici europei v’era stata la questione, intimamente connessa, anzi prodromica, a quella sull’applicabilità della confisca urbanistica senza condanna formale, inerente alla natura giuridica, penale o amministrativa, del provvedimento ablatorio.

È noto infatti che, in generale, l’istituto della confisca, nel nostro ordinamento, abbia sofferto le perplessità che giurisprudenza e dottrina hanno talora espresso circa la classificazione di tale tipologia di provvedimento, qualificato ora come misura di sicurezza, ora come pena accessoria, ora come sanzione sui generis. Sorte ancora peggiore, se possibile, ha conosciuto, negli ultimi tempi, il particolare istituto della confisca urbanistica. Granitica giurisprudenza ha per anni inteso tale misura non come misura di sicurezza penale, ma come misura amministrativa avente funzione preventiva. Sulla scorta di tale qualificazione, si era sempre ritenuto, peraltro, che essa fosse applicabile in via automatica e a prescindere da qualsiasi giudizio di proporzionalità rispetto allo scopo tutelativo suo proprio. Negli ultimi tempi, tuttavia, questa stessa giurisprudenza ha dovuto fare i conti con la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo che ha tentato di mettere in discussione i solidi convincimenti dei giudici nazionali, riuscendoci invero solo parzialmente, come si accennerà infra.

D’altra parte, è altrettanto noto che oggi non abbia più senso riferirsi alla confisca come ad una categoria unitaria, essendo più opportuno che si parli ormai di confische, attesa la diversa natura e la diversa funzione, non sempre o non solo preventiva, che l’istituto, al di là delle etichette, è chiamato di volta in volta ad assolvere.

Di tal guisa, l’orientamento interno, volto a concepire la confisca urbanistica quale provvedimento avente carattere amministrativo, non ha potuto resistere al vaglio della giurisprudenza Edu e dei criteri interpretativi “autonomistici” (Engel criteria) elaborati in ambito euro-convenzionale, alla luce dei quali è stato riconosciuto il carattere eminentemente sanzionatorio, e quindi sostanzialmente penale, del provvedimento ablatorio in discorso. A partire da tale rivisitazione ermeneutica, la stessa giurisprudenza euro-convenzionale negò, in un primo momento, la possibilità che esso potesse essere disposto in assenza di una formale condanna resa all’esito di un regolare giudizio.

In questo senso si era espressa, in prima battuta, la Corte Edu sia nell’ambito del noto affaire Sud Fondi[3], sia nella successiva pronuncia Varvara c. Italia[4]. In tale occasione, in particolare, i giudici di Strasburgo avevano riconfermato la natura sostanzialmente penale della confisca urbanistica ponendo l’accento sul suo carattere solo in parte preventivo, nella misura in cui risulti funzionale alla tutela del bene “paesaggio”, e prevalentemente repressivo, specie nel caso in cui insista – come ben può insistere – su «terreni per la maggior parte non costruiti» e «quindi in mancanza di un reale pericolo per il paesaggio».

Conformemente  a tale lettura, i giudici europei avevano quindi ritenuto che la inflizione del provvedimento ablatorio in assenza di una decisione di condanna, come nel caso di declaratoria di prescrizione, contrastasse con i principi essenziali del giusto processo, segnatamente, gli artt. 6, par. 2 e 7 CEDU: atteso che la confisca presenta i caratteri propri della sanzione penale – era questa la sostanza del ragionamento – essa non può essere comminata nei confronti di una persona dichiarata innocente o la cui responsabilità non sia stata accertata da una decisione formale di condanna.

 

Alla pronunzia europea, si era poi contrapposta la replica[5] della Corte costituzionale che, con sent. n. 49 del 2015, ha di gran lunga ridimensionato, reinterpretandola, la portata ermeneutica della sentenza Varvara, confermando nei fatti l’orientamento opposto, peraltro già consolidato in sede di legittimità nazionale[6], secondo cui «la sentenza che accerta la prescrizione del reato non denuncia alcuna incompatibilità logico-giuridica con un pieno accertamento di responsabilità»[7] atteso che tale pronuncia ben può «accompagnarsi alla più ampia motivazione sulla responsabilità, ai soli fini della confisca del bene lottizzato». In sintesi, all’occasione, il Giudice delle leggi, di fatto glissando sulla natura giuridica del provvedimento, ha ritenuto che l’esistenza di un accertamento sostanziale, non necessariamente formale, del reato, di cui il giudice dia adeguata motivazione nella sentenza dichiarativa della prescrizione, sarebbe sufficiente a fondare l’ordinabilità della confisca.

 

A chiusura del confronto tra giudici interni e giudici sovranazionali, è da ultimo tornata a pronunciarsi, nella sua composizione più prestigiosa, la Corte Edu, con l’attesa sentenza G.I.E.M. e altri c. Italia del 2018. La Grande Camera di Strasburgo, senza negare, anzi ribadendo, la natura sostanzialmente afflittiva della confisca urbanistica, con le conseguenze che ne discendono sul piano delle garanzie previste dall’art. 7 CEDU, ha però sconfessato gli approdi più significativi dei precedenti arresti in Strasburgo, aprendo definitivamente  alla possibilità di una confisca urbanistica disposta a seguito di un accertamento che abbia le caratteristiche anche solo sostanziali della condanna, senza necessariamente presentarne la forma[8], assestandosi – a sorpresa –  sulle posizioni assunte dai giudici della Consulta. A questo fine – ribadiscono comunque i giudici europei –  resta ferma la necessità che il giudice, nella parte motivazionale della sentenza, dia conto dell’ accertamento del reato sotto il profilo oggettivo e soggettivo, che tale accertamento abbia avuto luogo all’esito di una fase istruttoria regolarmente svolta, nel rispetto delle garanzie del giusto processo e dei principi convenzionali (art. 6 CEDU) e sempre che la misura ablativa sia proporzionata rispetto alla tutela della potestà pianificatoria pubblica e dell’ambiente[9].

 

A conforto di tale orientamento, nella sostanza già affermato tra la giurisprudenza interna, soccorre in verità lo stesso dato normativo, da sempre già valorizzato dai giudizi nazionali, dell’art. 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 che, là dove ricollega la confisca lottizzatoria al solo accertamento del reato, consente di prescindere da una sentenza di condanna “formale”, permettendo di fondare la legittimità del provvedimento ablatorio su un accertamento del fatto che, pur assumendo le forme esteriori di una pronuncia di proscioglimento, equivalga ad una pronuncia di condanna[10].

 

Assai più criticabile, invece, è parsa un’altra interpretazione dell’art. 44 cit. – pure avanzata da certa giurisprudenza – secondo cui la norma, postulando che ai fini della confisca sia sufficiente l’accertamento del fatto, e consentendo perciò la misura anche a fronte di maturata prescrizione, preveda finanche un vero e proprio “obbligo” per il giudice di compiere o completare quell’accertamento e, quindi, di proseguire il giudizio, nonostante la già decorsa prescrizione, al (solo) fine di disporre la confisca (v. par. 7.1. della sentenza). Sulla validità di tale interpretazione – come si dirà – è calata la scure delle Sezioni Unite.

 

4.      Il problema della prosecuzione del giudizio ai soli fini della confisca, argomentazioni a favore

 

Opportunamente (ri)stabilito e autorevolmente condiviso il principio secondo cui il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla ordinabilità della confisca del bene oggetto di lottizzazione abusiva, purché in presenza delle condizioni di garanzia sopra ricordate, la giurisprudenza – da ultimo le Sezioni Unite nella sentenza in commento – ha dovuto affrontare il problema relativo alla possibilità che, maturata la causa estintiva, il giudizio stesso possa proseguire affinché si accertino i presupposti necessari per la ordinabilità della confisca.

Più precisamente, con l’annotata sentenza, il massimo consesso della Corte regolatrice è stato chiamato a stabilire se sia possibile, per il giudice di legittimità, dopo aver annullato la sentenza impugnata, dichiarando l’estinzione del reato per prescrizione, rinviare al giudice di merito per una sostanziale prosecuzione del giudizio affinché questi possa operare la valutazione (di merito) in ordine alla proporzionalità della misura ablatoria già disposta che, come i giudici euro-convenzionali insegnano, costituisce presupposto indefettibile per la legittimità dell’ablazione stessa (sentenza GIEM).

 

In un prospettiva più generale, il problema che viene in luce riguarda – essenzialmente – la possibilità che, decorsa la causa estintiva, un giudizio possa di fatto proseguire per accertamenti di merito, nonostante la perentorietà del dettato normativo di cui all’art. 129 c.p.p. che, invece, imporrebbe la cessazione immediata delle attività processuali.

 

E infatti, il problema di una possibile prosecuzione del giudizio limitatamente alla confisca, a prescrizione maturata, si pone e si è posto non solo per consentire la valutazione sulla proporzionalità della misura ablatoria già eventualmente disposta, ma (fin)anche per consentire il prosieguo dell’accertamento del reato-presupposto, in forza del quale fondare il provvedimento confiscatorio. Riguardo a quest’ultima evenienza, si consideri che tra la giurisprudenza si rinvengono pronunce secondo le quali, anche quando la prescrizione sia intervenuta durante il giudizio di primo grado, questo possa (rectius, debba) proseguire per l’accertamento della responsabilità “penale”, al fine di disporre l’ablazione lottizzatoria[11].

 

Si tratta, allora, di provare a comprendere quale sia – se c’è – il fondamento normativo su cui poggia siffatto orientamento.

 

Innanzitutto – come anticipato sopra – si è ritenuto che l’art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, allorquando stabilisce che «la sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca…», nonostante la già intervenuta prescrizione, non solo consenta l’applicazione della misura ablatoria, ma imponga in capo al giudice un “obbligo” di compiere, o completare, l’accertamento a questo stesso fine. E così, proprio in forza di tale “obbligo di accertamento”, è stato ritenuto che il giudice abbia il dovere di «adottare altri provvedimenti a carattere reattivo o ripristinatorio, nei quali si sostanzia l’esigenza dell’ ordinamento di ripristinare l’ordine giuridico violato dal fatto illecito»[12].

 

In secondo luogo, sarebbe la regola processuale contenuta nell’art. 578-bis c.p.p. a consentire la prosecuzione del giudizio nella misura in cui prescrive che «quando è stata ordinata la confisca […] il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato».

Senza trascurare che la norma citata si riferisce esclusivamente al giudice di appello e ai giudici di cassazione, e non anche al giudice di primo grado che, quindi, non sarebbe tenuto a disporre la confisca in assenza di un accertamento “sostanziale” del reato, né tantomeno a continuare il giudizio ai soli fini di tale accertamento; e senza trascurare gli altri dubbi interpretativi che l’art. 578-bis c.p.p. suscita, anche in riferimento alla sua legittimità costituzionale, come nella sua ordinanza osserva la Terza sezione rimettente; si tratta comunque di sottoporre la validità della interpretazione fornita da gran parte della giurisprudenza pronunciatasi in argomento alla prova del (prevalente) principio di immediata operatività della causa estintiva di prescrizione, espresso dall’art. 129, comma 1, c.p.p., come d’altronde hanno fatto le Sezioni Unite nella sentenza in commento.

 

Inoltre, in una prospettiva “sistematica”, di coerenza del sistema normativo-giurisprudenziale, si è ritenuto che la prosecuzione del giudizio, e quindi anche l’annullamento della sentenza con rinvio, in caso di prescrizione del reato, ai fini dell’ordinabilità della confisca, costituisca «logico ed inevitabile corollario» del principio – ormai consolidato, come ricordato sopra – per il quale la confisca urbanistica può essere disposta anche in assenza di sentenza formale di condanna «pena, diversamente, la sua declamazione solo virtuale: infatti, la possibilità di coesistenza della prescrizione della confisca, riconosciuta, da ultimo, anche dalla Corte Edu, acquista un concreto valore, in quanto si consenta che, nonostante l’intervenuta prescrizione maturata nel corso del giudizio di impugnazione, il giudice possa ugualmente disporre la misura in oggetto». Sul punto – come si vedrà –  le Sezioni Unite negano che dai pronunciamenti nazionali e sovranazionali possa ricavarsi siffatto “corollario”, mostrando la invalidità di tale esito ermeneutico, alla luce di quanto effettivamente sancito dai giudici interni (Corte Cost. 49/2015) ed europei (sentenza GIEM c. Italia 2018).

Infine, ancora in una prospettiva di sistema, si è fatto notare che la prosecuzione del giudizio per determinate specifiche finalità, nonostante la declaratoria di proscioglimento, è una evenienza già pacificamente ammessa, ad esempio, in riferimento alle ipotesi di cui agli artt. 537 c.p.p. e 301 d.P.R. n. 43 del 1973 (in tema di contrabbando): se così è,  se ne fa discendere che ciò ben sia possibile anche in riferimento alla confisca.

 

5.      Le Sezioni Unite sulla prosecuzione del giudizio ai soli fini della confisca e sulla portata operativa dell’art. 578-bis c.p.p.

 

Messe in questi termini le principali argomentazioni a sostegno della proseguibilità del giudizio limitatamente alla confisca, nonostante la decorsa prescrizione del reato, si impone – a questo punto –  la necessità di  dare conto degli importanti chiarimenti forniti dalle Sezioni Unite a fronte dei dubbi sollevati dai giudici rimettenti che, in pressoché totale disaccordo con le tesi sopra menzionate, hanno paventato la possibilità che si formassero contrasti giurisprudenziali.

 

Per quanto riguarda la prima delle argomentazioni brevemente ripercorse nel paragrafo precedente,  i giudici di cassazione riuniti nel loro massimo consesso correttamente chiariscono che «dal tenore letterale dell’art. 44 cit. non può trarsi alcuna indicazione nel senso di un “obbligo” di compiere l’accertamento nonostante la prescrizione già maturata». E infatti, gli Ermellini fanno opportunamente rilevare che la norma «nulla dice in ordine ai rapporti in punto di successione temporale tra l’accertamento del fatto, da un lato, e la prescrizione, dall’altro, se, cioè, l’accertamento debba necessariamente precedere il termine di compimento della prescrizione, affinché sia legittimo disporre la confisca, oppure sia invece consentito che, nonostante la prescrizione ormai intervenuta, il giudizio debba proseguire oltre ai soli fini di accertare il fatto (evidentemente prima non accertato) onde potere disporre la confisca. Né poteva, una norma sostanziale come quella in oggetto, operare specificazione sui tempi e sul quomodo dell’accertamento, appartenendo fisiologicamente un tale ambito alle sole norme di carattere processuale».

 

I giudici di legittimità, poi, sollecitati dalla Terza sezione, si soffermano maggiormente sull’art. 578-bis c.p.p., affrontando incidentalmente le questioni circa la sua portata applicativa, e precisamente: 1) se esso possa ritenersi applicabile anche in riferimento alla confisca urbanistica ex art. 44 T.U. edilizia., stante le incertezze che il testo della norma solleva e il parere, in senso contrario, della sezione semplice; 2) la fondatezza della illegittimità costituzionale della norma per eccesso di delega, in violazione dell’art. 76 Cost., pure paventata dalla sezione rimettente; 3) e, soprattutto, i limiti che alla sua operatività sono imposti dall’art. 129 c.p.p.

1) In merito al primo profilo, le Sezioni Unite rispondono affermativamente, superando lo scetticismo mostrato dalla Terza sezione, attraverso un’accurata e approfondita interpretazione letterale e sistematica del dato normativo (v. par. 5, 5.1. e .5.4 sentenza). In verità, tra le due, ad essere meno convincente è proprio l’interpretazione letterale fornita dai giudici, per l’analisi, a tutta evidenza forzata, nella quale essi restano impelagati. Più efficace, invece, l’interpretazione sistematica della norma che, nella linearità e nella brevità delle argomentazioni addotte, pare in grado di restituire un più lampante «criterio di evidente razionalità».

Principiando dalla interpretazione letterale dell’art. 578-bis c.p.p.[13], già ad una sua prima lettura, pare si possa ragionevolmente sostenere – diversamente da quanto convenuto dal Supremo Collegio e conformemente a quanto meglio ricostruito dalla sezione rimettente –  che la norma, in effetti, si riferisca a due soli tipi di confische:  da un lato, la confisca “in casi particolari”, ossia la confisca c.d. allargata, prevista dall’art. 240-bis, comma 1, c.p. (rubricato, appunto, confisca in casi particolari) “e da altre disposizioni di legge”; dall’altro,  la confisca c.d. per equivalente prevista dall’articolo 322-ter c.p. In questa prospettiva, l’inciso “e da altre disposizioni di legge”  andrebbe dunque riferito alla sola confisca allargata che, sebbene prevista dall’art. 240-bis c.p. in riferimento alla maggior parte dei reati-presupposto per i quali essa è ordinabile[14], è contemplata anche da altre disposizioni speciali relative a specifici reati[15].

E invece, le Sezioni Unite hanno ritenuto che il suddetto inciso debba essere letto nel senso che esso sia volto a ricomprendere qualunque tipo di confisca previsto “da altre disposizioni di legge” (non solo quella c.d. allargata) e, tra queste, anche quella urbanistica ex art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, fornendo, di tal guisa, una lettura del dato testuale «ad ampio raggio» (pag. 15 sentenza), in continuità peraltro con quanto già «significativamente affermato» dallo stesso Collegio con sentenza a sezioni riunite del 7 febbraio 2019,  n. 6141[16]. Ad ogni modo, quello che più non convince è che, dopo aver intrapreso un faticoso sforzo analitico del dato letterale,  senza omettere di esaminare nemmeno il senso delle congiunzioni che legano le diverse proposizioni che compongono il dettato normativo, né di raffrontare la versione attuale della norma con quella primigenia, i giudici nomofilattici liquidano la questione concludendo che, proprio alla luce del suddetto raffronto, «l’affidamento sull’appropriata utilizzazione delle congiunzioni e sulle sue conseguenze interpretative appare in definitiva assai labile».

Meglio avrebbero fatto a limitarsi a porre l’accento – come solo successivamente pure hanno fatto – sul criterio interpretativo logico-sistematico, sufficiente a far propendere per l’applicabilità della norma processuale anche alla confisca urbanistica, in considerazione del semplice fatto che tanto l’art. 44 T.U. edilizia, quanto le affermazioni di consolidata giurisprudenza nazionale e sovranazionale, ritengono sufficiente ai fini di disporre la confisca lottizzatoria l’esistenza di un “sostanziale accertamento” del fatto. Diversamente, non si comprenderebbe «quale senso potrebbe avere consentire che il mero fatto di una prescrizione sopravvenuta in grado di appello o in quello di legittimità (ovvero, in altri termini, il sopravvenire di una situazione che, ove prodottasi già in primo grado, non avrebbe comunque potuto impedire la sanzione amministrativa de qua) impedisca al giudice dell’ impugnazione di decidere comunque gli effetti della confisca».

2) In merito al secondo profilo, la sezione rimettente aveva dubitato, nella sua ordinanza, della legittimità costituzionale dell’art. 578-bis c.p.p., adottato in forza del d.lgs. n. 21 del 2018 attuativo della legge delega 23 giugno 2017, n. 103, ritenendo che il legislatore governativo, attraverso l’introduzione della norma de qua all’interno del codice di rito, abbia oltrepassato il perimetro d’azione concessogli dalla legge delega.

Sul punto, il Supremo Collegio risponde alle perplessità sollevate dalla sezione semplice facendo notare che il potere delegato, nell’esercitare le sue funzioni, deve sì rimanere vincolato ai criteri e ai principi direttivi fissati dalla legge delega, ma ha altresì «la possibilità di valutare le particolari situazioni giuridiche da regolamentare nella fisiologica attività di “riempimento” che lega i due livelli normativi [delegante e delegato]». È in questa prospettiva, dunque,  che deve essere letto il neointrodotto art. 578-bis c.p.p., quale norma processuale di “coordinamento” rispetto alle innovazioni apportate in ambito sostanziale che, in mancanza, si troverebbero collocate all’interno di un quadro privo, nel complesso, di coerenza sistematica (par. 5.3 sentenza). In questo modo, le Sezioni Unite negano che  tra la neointrodotta norma del codice di rito e la norma costituzionale, disciplinante l’esercizio del potere delegato, possano esserci «possibili attriti» tali «da far dubitare, in termini non manifestamente infondati, della sua legittimità costituzionale».

3) Infine, meritano particolare attenzione gli illuminanti e indispensabili chiarimenti che i giudici di Cassazione riuniti nel loro massimo consesso forniscono in merito ai limiti della portata operativa dell’art. 578-bis c.p.p. in rapporto, soprattutto, all’art. 129 c.p.p. e al principio “generale” da esso sancito.

Al riguardo, le Sezioni Unite affermano che la sostanziale prosecuzione del giudizio, a prescrizione maturata, in ragione della necessità di accertare il fatto in vista della confisca urbanistica, come parte della giurisprudenza ammette a partire da una certa interpretazione degli artt. 578-bis c.p.p. e 44 T.U. edilizia, contrasti con il “principio d’immediatezza del proscioglimento” sancito dall’art. 129 c.p.p., che non può ritenersi “generalmente derogabile”, per di più in senso sfavorevole per l’imputato, in assenza di una precisa disposizione normativa che lo consenta.

L’affermazione della Corte coinvolge, pertanto, una pluralità di considerazioni che investono: la funzione che l’art. 129 c.p.p. è chiamato ad assolvere; i risvolti negativi che diversamente ne discenderebbero in termini di giustizia sostanziale per l’imputato; la violazione del principio di legalità che ne deriverebbe, stante l’assenza di una norma che espressamente consenta di derogare il principio generale di cui allo stesso art. 129 cit.

In primo luogo, il Supremo Collegio rammenta che l’art. 129 cit. è da sempre interpretato dalla giurisprudenza di legittimità come norma «espressiva di un obbligo per il giudice di pronunciare con immediatezza sentenza di proscioglimento» allorquando sopraggiunga una causa di non punibilità (tra cui la estinzione del reato per sopraggiunta prescrizione) «al momento di sua formazione ed indipendentemente da quello che sia lo stato e il grado del processo» (par.7.2).

La norma, quindi, come ribadito già altre volte dalla stessa Corte a sezioni unite, riveste rilievo «di ordine anche costituzionale» che non può dirsi «generalmente derogabile», in considerazione delle funzioni fondamentali che essa assolve: ossia quella di favorire l’imputato innocente (o comunque da prosciogliere o assolvere), prevedendo l’obbligo della immediata declaratoria di cause di non punibilità “in ogni stato e grado del processo”; quella di agevolare in ogni caso l’esito del processo, ove non appaia concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato; e quella (implicita nelle prime due) consistente nel fatto che l’art. 129 cit. rappresenta, sul piano processuale, la proiezione del principio di legalità stabilito sul piano del diritto sostanziale  dall’art. 1 c.p.

In secondo luogo, rilevano opportunamente le Sezioni Unite, «ove il principio dell’ immediatezza del proscioglimento appena ricordato fosse ritenuto generalmente derogabile in ragione della necessità di accertare il fatto in vista della confisca urbanistica, ovvero in senso chiaramente sfavorevole all’imputato, non ci si potrebbe sottrarre all’evidente sperequazione che verrebbe in generale in tal modo a crearsi nel caso, invece, di accertamenti da operare in melius, essendosi sempre esclusa da questa Corte la possibilità di prosecuzione a tal fine del processo proprio per il contrasto della stessa con quanto disposto dall’art. 129 cod. proc. pen.». «In altri termini» – si aggiunge – «con evidente ingiustificato differente approdo, mentre l’assoluzione nel merito potrebbe prevalere unicamente se già emergente con evidenza al momento della maturazione della prescrizione, a fini “sanzionatori”, invece, il processo, pur a prescrizione ormai decorsa, dovrebbe, secondo la soluzione qui non condivisa, ugualmente proseguire» (par.7.3 sentenza).

In terzo luogo, i giudici di Cassazione non escludono a priori la derogabilità, anche in peius, del principio espresso dall’art. 129 cit., ma riaffermano l’esigenza (rectius, la necessità) di una norma che chiaramente disponga in tal senso che, tuttavia, nell’attuale quadro normativo non si rinviene in riferimento alla confisca[17].  Né, tantomeno, «possono essere certo considerate esemplificative di un “sistema” in tal senso» le disposizioni di cui agli artt. 537 c.p.p. e 301 d.P.R. n. 43 del 1973, in ragione delle peculiarità specifiche della loro finalità (nel caso dell’art. 537 c.p.p., quella di evitare la celebrazione di un giudizio civile per accertare la falsità dell’atto), «non equiparabili a quella della confisca urbanistica» (par. 7.4). Tali disposizioni, piuttosto, confermerebbero la necessità di un apposito intervento legislativo derogatorio dell’art. 129 c.p.p.

 

Per quanto concerne, infine, l’ultima argomentazione (quella “sistematica”), addotta a sostegno della tesi che ammette la prosecuzione del giudizio ai soli fini della confisca, le Sezioni Unite negano che tale regola possa essere desunta sulla scorta delle pronunce dei giudici interni della Corte costituzionale ovvero dei giudici sovranazionali della Corte Edu.  Se è vero, infatti, che la giurisprudenza nazionale e quella europea concordano ormai nell’ammettere la confisca urbanistica anche in caso di sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato, e quindi in assenza di una formale condanna dell’imputato, in nessuna di queste sentenze – chiariscono gli Ermellini – è lasciata intendere, anche solo indirettamente, la regola per la quale sia possibile, o necessario, che per disporre la suddetta confisca il giudizio debba proseguire, nonostante la maturata prescrizione, per accertare il fatto (qualora non sia stato già accertato) o per verificare la proporzionalità della misura (già disposta).

 

6.      I principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite

 

All’esito di tali, pressoché condivisibili, osservazioni, le Sezioni Unite ridimensionano, con i principi di diritto enucleati nel pronunciamento in commento, la portata applicativa dell’art. 578-bis c.p.p. e, più in generale, negano validità alla regola – elaborata da taluna giurisprudenza – per la quale, nonostante la maturata prescrizione del reato, il giudizio possa ulteriormente proseguire per accertamenti di merito al “solo” fine di disporre la confisca urbanistica.

Più esattamente, le Sezioni Unite, andando anche oltre la stretta questione rimessagli dalla Terza sezione, si preoccupano di differenziare l’ipotesi in cui la prescrizione del reato sopraggiunga in primo grado ovvero in sede di impugnazione (appello o cassazione).

In verità, dai ragionamenti e dalle conclusioni  cui pervengono i giudici nella sentenza in esame, pare si possa ulteriormente distinguere – ma su questo le Sezioni Unite hanno mostrato meno rigore – l’ipotesi in cui, decorsa la prescrizione, ai fini di disporre la confisca, il giudizio debba proseguire per accertamenti di merito sul reato-presupposto (evidentemente non ancora completati), dall’ipotesi in cui il giudizio debba proseguire per valutare la sola proporzionalità della misura (già disposta in altro grado di giudizio).

Il Supremo Collegio ha statuito che in caso di declaratoria di estinzione per prescrizione del reato-presupposto, in primo grado, il giudice possa(/debba) disporre la confisca solo ove, anteriormente al momento di maturazione della prescrizione, sia stato comunque già accertato, nel contraddittorio delle parti, il fatto di reato nelle sue componenti oggettive e soggettive, non potendo il giudizio proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento, in ossequio al superiore principio di adozione in via immediata del proscioglimento ex art. 129 c.p.p.

Nel caso, invece, in cui la suddetta declaratoria di estinzione costituisca l’esito del giudizio di impugnazione, l’art. 578-bis c.p.p. deve essere letto nel senso per cui il giudice di appello e la Corte di cassazione sono sì tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui all’art. 44 d.P.R. 380 del 2001, ma nei limiti, appunto, in cui ciò risulti – quando risulti –  dai motivi di ricorso, stanti «i poteri cognitivi della Corte […] comunque vincolati alla fisiologia del giudizio di legittimità, sia in relazione alla impossibilità di operare valutazioni del fatto, sia in relazione alla natura devolutiva del giudizio». Le Sezioni Unite, pertanto, escludono che si possa procedere ad un annullamento con rinvio ai giudici di merito al solo scopo di disporre, previ ulteriori accertamenti sul fatto, la confisca.

Meno lineari, invece, sembrano essere le conclusioni dei giudici di legittimità in riferimento alla possibilità che, sempre in caso di declaratoria di prescrizione del reato nel giudizio di impugnazione, il giudice procedente possa pronunciarsi in merito alla proporzionalità della misura già disposta, quando ciò implichi la valutazione di elementi fattuali ulteriori e diversi da quelli di cui la Corte può avere cognizione, ovvero disporre l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio a questo specifico fine.

Nel caso concreto, le Sezioni Unite, comunque, hanno negato questa possibilità dal momento che tale questione non era stata espressamente sollevata dal ricorrente nell’unico motivo riguardante la confisca. I Giudici fanno peraltro notare che la questione nemmeno poteva essere rilevata e decisa d’ufficio ai sensi dell’art. 609, comma 2, c.p.p., atteso che quello della proporzionalità della misura era un profilo che ben poteva essere sottoposto alla cognizione dei giudici di merito, in quanto la necessità che il provvedimento ablatorio, per essere legittimo, sia “proporzionato”, era stata affermata già a partire dalla sentenza Sud Fondi del 2009 (e quindi già prima della proposizione del giudizio di secondo grado da parte del ricorrente). D’altra parte,  anche a voler opinare diversamente, un «annullamento con rinvio» – chiariscono ad abundantiam le Sezioni Unite – «effettuato in assenza di elementi fattuali deponenti per il mancato rispetto dei principi anche sovranazionali, si risolverebbe nella specie in un annullamento ad explorandum, evidentemente del tutto estraneo al ruolo e ai compiti del giudice di legittimità».

Oltre ciò, la Suprema Corte poco o nulla dice in riferimento alla possibilità che, decorsa e dichiarata la prescrizione in sede di impugnazione, un giudizio possa o meno proseguire ai fini della verifica della proporzionalità della misura ablativa già disposta, allorquando ciò sia oggetto di specifico e puntuale motivo di ricorso. Tuttavia, posto che anche siffatta verifica può implicare, come è noto, accertamenti di merito, quando è così, la risposta sembra che debba essere altresì negativa.

 

7.      Conclusioni

 

Pare si possa senz’altro accogliere con favore il principio di diritto enucleato dalle Sezioni Unite volto a limitare la portata operativa dell’art. 578-bis c.p.p. e a riaffermare la pre-valenza dell’art. 129 c.p.p.. E infatti, senza trascurare l’importanza di salvaguardare altre esigenze, pure meritevoli di tutela, come quelle volte ad assicurare che il crimine non paghi, nemmeno quando l’imputato non sia punibile, o a preservare gli effetti delle attività processuali già svolte, sembra tuttavia doversi respingere l’idea che un chiaro e perentorio dettato normativo (quello contenuto dall’art. 129 cit.), peraltro espressivo di principi generali, possa essere distorto per via interpretativa o prasseologica, senza che si passi per le modifiche pienamente legittime dell’intervento legislativo.

In quest’ottica, se è ragionevole ammettere che, a fronte di un già compiuto accertamento sostanziale del fatto, la confisca urbanistica possa essere ordinata, nonostante la (contestuale) declaratoria di prescrizione del reato, sembra invece eccessivo dover consentire che, a fronte della decorsa prescrizione, sia il giudizio stesso a poter proseguire per accertamenti di merito al solo scopo di disporre la confisca.

In verità, anche la prima regola – ormai ampiamente condivisa – deve poter essere messa in discussione qualora applicata indiscriminatamente ad ogni tipo di confisca. Infatti, il concetto di “condanna in senso sostanziale”, da cui si fa discendere l’ammissibilità della confisca senza condanna, elaborato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 49 del 2015), e poi nei fatti recepito dalla Grande Camera di Strasburgo (sentenza G.I.E.M. c. Italia), può tutt’al più trovare giustificazione solo nelle ipotesi in cui, tra i presupposti della confisca, non sia espressamente richiesta la pronuncia di una sentenza di condanna, come nel caso di quella urbanistica ex art. 44 T.U. edilizia

Negli ultimi tempi, invece, è andata via via affermandosi la tendenza volta a sganciare l’ordinabilità di qualsiasi confisca dall’esistenza di un provvedimento formale di condanna, anche contro riferimenti normativi che talora depongono in senso chiaramente contrario.

A questo riguardo, il problema che, in generale, si pone è duplice: il primo è ravvisabile nel fatto che provvedimenti ablativi di confisca, aventi talora carattere eminentemente sanzionatorio (come nel caso della confisca per equivalente o della stessa confisca urbanistica), siano disposti nonostante l’intervenuta prescrizione, con la conseguenza che un soggetto non punibile venga comunque “punito”; il secondo nel fatto che tali provvedimenti ablatori – a prescindere dal loro carattere sostanzialmente penale – siano ordinati in assenza di formale condanna, anche qualora l’esistenza di tale provvedimento sia espressamente richiesta dalle norme di riferimento (è il caso, ad es., degli artt. 240, comma 1, c.p., 240-bis c.p., 322-ter c.p., art. 12-bis d.lgs. 74/2000). Come è chiaro, in questi casi, vengono in rilievo principi di rango costituzionale come quelli di colpevolezza, della presunzione di innocenza, del principio di legalità e di giurisdizionalità, che rischiano di essere ingiustificatamente compromessi.

La portata del fenomeno la si comprende meglio se si considera che questa tendenza, sdoganata a partire dalle note sentenze “De Maio” del 2008[18] e “Lucci” del 2015, in relazione alla sola confisca obbligatoria del prezzo del reato ex art. 240, comma 2, n. 1 c.p. (confisca diretta), è andata impropriamente generalizzandosi come dimostrano le più recenti riforme del processo penale o, più correttamente, le interpretazioni che di esse sono state rese dalla giurisprudenza maggioritaria (si veda ancora la vicenda dell’art. 578-bis c.p.p.); come dimostrano alcune recenti sentenze anche di corti territoriali, che ammettono – contro consolidati orientamenti –  la confisca senza condanna anche per quella facoltativa ex art. 240, comma 1, c.p. [19]; e come dimostra la recente ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, chiamata a pronunciarsi su queste tematiche (Cass. Sez. V, Ordinanza, 27 febbraio 2020, n. 7881).

 

Per quanto poi riguarda la confisca urbanistica, di cui nello specifico si è occupata la sentenza in commento, è certamente comprensibile che, anche a fronte di sopravvenuta prescrizione del reato, l’ordinamento non vi possa rinunciare del tutto. Se così fosse, le conseguenze si riverserebbero tutte sul territorio, sul bene/interesse dell’ambiente-paesaggio che, oggettivamente leso, quando non addirittura martoriato, dagli scempi edilizi, finirebbe ad essere eccessivamente vulnerabile quando sguarnito (anche) dal presidio della confisca urbanistica.

Allo stesso modo, però, non si può ritenere che la richiesta di giustizia di chi lamenti la illegittimità del provvedimento ablatorio possa rimanere inevasa, specie quando si trovi a dover subire l’inflizione malgrado il proscioglimento (per prescrizione) e la conseguente interruzione del processo.

Eppure, le Sezioni Unite, con la sentenza in esame, non omettono di considerare – sia pure marginalmente – entrambi i profili. Per quanto concerne la prima questione, fanno notare che, in effetti, «all’interno del sistema delle sanzioni amministrative previsto per la lottizzazione […] l’intervento sanzionatorio del giudice penale attuato tramite la confisca è di ordine meramente residuale […] non interferisce, quindi, né si sovrappone all’autonomo potere principalmente attribuito all’autorità amministrativa». Sicché, ai fini del provvedimento di acquisizione in via amministrativa del terreno da parte della p.a., «è irrilevante che possa venire a mancare una pronuncia di confisca in sede penale».

Per quanto attiene alla seconda questione, invece, i giudici rammentano che l’interessato che intenda far valere ulteriori doglianze, come quelle in merito alla proporzionalità della disposta confisca, possa rivolgersi al giudice dell’esecuzione e chiedere in tale sede anche la revoca della misura ablativa limitatamente alle aree o immobili che dovessero essere ritenuti estranei alla condotta illecita, attraverso lo strumento dell’incidente di esecuzione, nell’ambito del quale il giudice gode di ampi poteri istruttori ai sensi dell’art. 666, comma 5, c.p.p. (par. 10 della sentenza).

 

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Note

[1] Cass., Sez. III, 2 ottobre 2019, n. 40380.

[2] Art. 578-bis c.p.p.: «Quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240 bis del codice penale e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall’articolo 322 ter del codice penale, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato».

[3] C. eur. dir. uomo, sent. 20 gennaio 2009, Sud Fondi c. Italia.

[4] C. eur. dir. uomo, sent. 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia.

[5] Sic Cass., Sez. Un., 26 giugno 2015, n. 31617 (sentenza “Lucci”).

[6] Si veda Cass., Sez. III, 30 aprile 2009, n. 21188: «il soggetto proprietario della res non deve essere necessariamente condannato, in quanto detta sanzione ben può essere disposta allorquando sia comunque accertata la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva in tutti i suoi elementi (oggettivo e soggettivo) anche se per una causa diversa, qual è, ad esempio, l’intervenuto decorso della prescrizione, non si pervenga alla condanna del suo autore e all’inflizione della pena».

[7] Cfr. § n. 4 del Considerato in diritto, Corte cost., 14 gennaio 2015, n. 49.

[8] A tale proposito, la Grande camera osserva come «sia necessario guardare oltre le apparenze e il linguaggio adoperato e concentrarsi sulla realtà della situazione» e come, pertanto, «la Corte sia legittimata a guardare oltre il dispositivo del provvedimento, e tenere conto della sostanza, essendo la motivazione una parte integrante della sentenza» C. eur. dir. uomo, Grande Camera, sent. 28 giugno 2018, G.I.E.M. e altri c. Italia, § 259.

[9] La corte di Strasburgo in quella stessa occasione ha infatti condannato l’Italia per violazione dell’art. 1 Prot. Add. Cedu (diritto di proprietà) per il carattere sproporzionato della confisca urbanistica.

[10] Art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380: «la sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite».

[11] Cfr. Cass. Sez. III, 13 luglio 2017, n. 53692.  Di queste posizione ne dà conto l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite (pp. 12-14).

[12] Ex plurimis, Cass. Sez. III., 25 ottobre 2019 n. 2292; Sez. III, 13 luglio 2017, n. 53692; Sez. III, sent. 25 giugno 2018, n. 43630.

[13] «Quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall’articolo 322-ter del codice penale, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato».

[14] Si tratta, più di preciso, dei delitti menzionati all’art. 51, comma 3bis, c.p.p., dei delitti contro la p.a., dei delitti contro la fede pubblica, dei delitti collegati alla produzione e commercio di materiale pornografico, di usura e riciclaggio e di traffico di sostanze stupefacenti, dei delitti di associazione a delinquere, in particolare di stampo mafioso e di quelli commessi con finalità di terrorismo o eversione dell’ordine costituzionale.

[15] In particolare: art. 301, comma 5-bis, d.P.R. n. 43/1973 (in tema di contrabbando) e art. 85-bis, d.P.R. n. 309/1990 (in tema di stupefacenti)

[16] Cass., Sez. Un., 7 febbraio 2019 (ud. 25 ottobre 2018), n. 6141.

[17] «Deve subito dirsi che, salvo a volere arbitrariamente frammentare la portata unitaria dell’ annullamento della sentenza logicamente derivante dalla prescrizione del reato quale causa di estinzione dello stesso, la possibilità di individuare all’interno della sentenza statuizioni che restano immuni rispetto all’effetto caducante esercitato dalla prescrizione stessa, non può che essere il frutto di disposizioni normative che, espressamente o implicitamente, consentano una tale operazione» (par.3.1. della sentenza).

[18] Cass., Sez. Un., 10 luglio 2008, n. 38834, De Maio. Invero, in tale occasione le Sezioni Unite, in riferimento alla confisca del prezzo del reato, avevano ribadito il principio di diritto per il quale l’ablazione può essere disposta soltanto contestualmente ad una pronuncia di condanna. Tuttavia,  la stessa Corte, sia pure nell’ambito di un obiter dictum del pronunciamento, sembrava aver manifestato notevoli “aperture” in senso parzialmente opposto, proprio le quali sono state maggiormente valorizzate dalla giurisprudenza successiva, anche ai massimi livelli. Cass., Sez. III, 4 febbraio 2013, n. 17066; Cass., Sez. III, 18 ottobre 2012, n. 45833; Cass., Sez. III, 30 aprile 2009, n. 21188; Corte cost., 26 marzo 2015, n. 49; Cass., Sez. Un., 21 luglio 2015, n. 31617, Lucci.

[19] Corte d’Assise d’Appello di Milano, Sez. II, 27 novembre 2018, n. 45.

Sentenza collegata

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Giovanni Russo

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