Le Sezioni Unite sull’onere di allegazione relativo all’eccezione di prescrizione delle rimesse solutorie (Cass. civ., Sez. Unite, 13 giugno 2019 n. 15895)

Redazione 10/09/19

di Martina Mazzei

Sommario

1. Premessa

2. Il caso

3. La prescrizione dell’azione di ripetizione delle rimesse in conto corrente: Cass. sez. un. civ. 2 dicembre 2010 n. 24418

4. Il contrasto giurisprudenziale alla base dell’ordinanza di rimessione n. 27680 del 30 ottobre 2018

5. La soluzione delle Sezioni Unite: la sentenza n. 15895 del 13 giugno 2019

1. Premessa

Con sentenza n. 15895 del 13 giugno 2019 le Sezioni Unite, chiamate a fare chiarezza sulla questione – oggetto di perdurante contrasto nella giurisprudenza di legittimità – della ripartizione dell’onere probatorio quanto alla natura, solutoria o ripristinatoria, delle rimesse, hanno stabilito che la banca, convenuta nell’ambito di una azione di ripetizione dell’indebito fondata sull’illegittimità degli addebiti effettuati su conto corrente affidato, nell’eccepire la prescrizione del credito, non è tenuta ad indicare specificamente quali tra le rimesse abbiano carattere solutorio potendosi limitare ad allegare l’inerzia del creditore con conseguente volontà di volerne profittare.

2. Il caso

La sentenza in commento trae origine da un’azione di ripetizione di un indebito oggettivo avanzata da una S.a.s. nei confronti di un istituto di credito.

La società attrice chiedeva la rideterminazione del saldo relativo a due conti correnti con apertura di credito e la condanna della banca alla restituzione delle somme e degli interessi indebitamente versati. La S.a.s. lamentava, in particolare, l’applicazione di interessi passivi e commissioni di massimo scoperto non dovuti: i primi perché pattuiti mediante clausole nulle e le seconde perché non pattuite.

La banca convenuta, costituendosi in giudizio, eccepiva la prescrizione di tutte le rimesse confluite nel conto corrente allegando l’inerzia del correntista e il relativo dies a quo (individuato nelle singole annotazioni sul conto) senza elencare le singole rimesse ritenute prescritte.

La Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado – che aveva rigettato la domanda attorea – accoglieva l’eccezione di prescrizione avanzata dall’istituto di credito esclusivamente rispetto alle rimesse solutorie respingendola, invece, relativamente a quelle ripristinatorie.

Nello specifico i giudici d’appello muovendo dalla nota distinzione – affermata dalle Sezioni Unite con sentenza n. 24418 del 2010 – tra versamenti con funzione solutoria (cioè effettuati in un momento in cui il conto era scoperto perché non erano ancora state concesse aperture di credito o perché l’esposizione a debito era maggiore di quella autorizzata) e versamenti con funzione ripristinatoria (compiuti durante l’operatività delle aperture di credito e in presenza di un saldo debitorio inferiore all’affidamento concesso) dichiaravano l’intervenuta prescrizione dell’azione di ripetizione in riferimento alla prima tipologia di versamenti.

Avverso tale pronuncia la S.a.s. proponeva ricorso per cassazione censurando – per quanto di interesse – la sentenza d’appello nella parte in cui i giudici di merito, in violazione e falsa applicazione degli artt. 2938, 2697 e 2727 c.c., avevano accolto un’eccezione di prescrizione inammissibile in quanto formulata genericamente dall’istituto di credito senza allegare e provare le rimesse solutorie. Così facendo, secondo il ricorrente, la Corte territoriale si erano sostituita alla banca nell’individuare tali rimesse e, quindi, aveva sopperito alla carenza probatoria violando il principio secondo cui, una volta provata dal cliente l’apertura di credito ed i limiti del fido, spetterebbe alla banca l’onere di vincere la presunzione della natura ripristinatoria delle rimesse.

La qualificazione delle rimesse quali solutorie è, infatti, essenziale ai fini della determinazione del dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione. Come affermato dalle Sezioni Unite nel 2010 solo con riguardo alle rimesse solutorie la prescrizione decennale decorre dalla data della singola rimessa; viceversa, ove il correntista effettui versamenti a saldo di un conto passivo o nei limiti dell’accreditamento concesso dalla banca (rimesse ripristinatorie) il dies a quo coincide con la data di chiusura del conto.

La prima sezione della Corte di Cassazione rilevato che tale doglianza pone la questione delle modalità di formulazione dell’eccezione di prescrizione avanzata dall’istituto di credito e preso atto di un perdurante contrasto sul punto, con ordinanza interlocutoria n. 27680 del 30 ottobre 2018[1], ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.

[1] Cfr. in dottrina GUADAGNO S., «Le sezioni unite chiamate a fare chiarezza sull’onere della prova circa la natura solutoria delle rimesse in conto corrente», in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata n. 3/2019; COLOMBO C., Questioni in materia di prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito promossa dal correntista nei confronti della banca, in Il Corriere Giuridico n. 3/2019.

3. La prescrizione dell’azione di ripetizione delle rimesse in conto corrente: Cass. sez. un. civ. 2 dicembre 2010 n. 24418

A quasi un decennio di distanza dalla nota sentenza Sez. Un. n. 24418 del 2010[2] la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha nuovamente sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite sul tema – di p>

In altri termini l’ordinanza di rimessione affida alla composizione più autorevole della Suprema Corte la problematica della ripartizione dell’onere di prova circa la natura solutoria, o meno, delle rimesse ai fini dell’individuazione del momento iniziale del decorso della prescrizione.

Appare opportuno, pertanto, muovere proprio dalle motivazioni con cui le Sezioni Un hanno risolto, nel 2010, la questione del dies a quo del termine di prescrizione[3] per poi soffermarsi sul tema oggetto di contrasto giurisprudenziale.

Questi, in sintesi, i passaggi argomentativi della Corte in riferimento al rapporto tra correntista e istituto di credito:

1.In primo luogo affinché possa sorgere il diritto alla ripetizione di un pagamento indebitamente eseguito tale pagamento deve esistere ed essere ben individuabile. Per esistere il pagamento deve tradursi nell’esecuzione di una prestazione da parte di un soggetto (il solvens) con conseguente spostamento patrimoniale in favore di altro soggetto (accipiens). Per dirsi indebito, quindi, il pagamento deve difettare di un’idonea causa giustificativa.

2.Non può, di conseguenza, ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico definibile come pagamento, nel senso anzidetto, che l’attore affermi indebito. Tale situazione non muta quando la natura indebita sia la conseguenza dell’accertata nulp>

3.In base al disposto degp>

I versamenti effettuati dal correntista durante lo svolgimento del rapporto potranno essere considerati pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove indebiti), quando abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca, e cioè quando siano stati eseguiti su un conto in passivo (o scoperto) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista o quando siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento.

Per converso quando il passivo non ha superato il limite dell’affidamento concesso i versamenti in conto fungono unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere, rispetto ai quali la prescrizione decennale decorre non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.

Nel fondamentale arresto del 2010, pertanto, le Sezioni Unite hanno distinto tra:

-versamenti con funzione solutoria, ovverosia versamenti effettuati in conto dal correntista in un momento in cui il conto era scoperto, siccome in quanto non erano ancora state concesse aperture di credito o perchè l’esposizione a debito era maggiore di quella autorizzata;

-versamenti con funzione ripristinatoria, ovverosia versamenti compiuti durante l’operatività delle aperture di credito e in presenza di un saldo debitorio inferiore all’affidamento concesso;

stabilendo che la prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito decorre dal momento del versamento stesso in relazione ai primi e dal momento della chiusura del conto corrente in relazione ai secondi affermando il seguente principio di diritto:

«Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati[4]

Il menzionato arresto, costantemente applicato dalla giurisprudenza successiva, è stato riconfermato anche dalle Sezioni Unite nella sentenza in commento.

Infatti il Supremo Collegio sottolinea come “prima ancora che per la coerenza di sistema in riferimento alle p>.”

La distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie della provvista è, infatti, pacifica e non ha dato luogo a specifici problemi interpretativi in relazione all’onere di allegazione dovuto dal correntista nella proposizione dell’azione di ripetizione.

La questione relativa alla necessità che l’attore, oltre all’indicazione del conto corrente, dell’eventuale apertura di credito e della durata del relativo rapporto, dovesse indicare partitamente i versamenti effettuati, e specificarne la natura, o se, invece, fosse sufficiente l’allegazione di versamenti indebiti con la richiesta di restituzione di una determinata somma, è stata risolta recentemente dalla giurisprudenza di legittimità[5] secondo cui non compete al correntista l’allegazione della mancata effettuazione di versamenti solutori trattandosi di un fatto negativo estraneo alla fattispecie costitutiva del diritto azionato[6].

[2] Per un’analisi della sentenza v. in dottrina STILO A., Prescrizione e anatocismo nei rapporti bancari: principi giurisprudenziali e riforme legislative, in I Contratti n. 6/2011; COLANGELO G., Prescrizione dell’azione di ripetizione: dalla Cassazione un primo rimedio, in Danno e Responsabilità n. 8-9/2014; MILIZIA G., Anatocismo: l’azione di ripetizione, soggetta alla prescrizione ordinaria dalla chiusura del conto corrente, si estende a tutte le operazioni effettuate ed è esclusa la capitalizzazione degli interessi ultralegali a debito del risparmiatore, in Diritto & Giustizia, fasc.0, 2010, pag. 545; GRECO F., Anatocismo bancario e prescrizione: le sezioni unite e la difficile applicabilità del decreto mille proroghe. Continua il match tra correntisti e banche match tra correntisti e banche, Responsabilità Civile e Previdenza, fasc.4, 2011, pag. 810; BONTEMPI P., L’anatocismo bancario torna di attualità, in La nuova giurisprudenza civile commentata n. 4/2011; BELLUSCIO A.C.V., Violazione dell’art. 1283 c.c. e nullità parziale del contratto: il problema dell’integrazione tra favor debitoris e tutela dell’equilibrio contrattuale, in Il Corriere giuridico n. 2/2012.

[3] In dottrina hanno affrontato la questione del diverso dies a quo della prescrizione tra rimesse solutorie e ripristinatorie: DOLMETTA A., Versamenti in conto corrente e prescrizione dell’indebito, in Contratti, 2011, 498; SALANITRO U., L’inizio della decorrenza della prescrizione dell’azione di ripetizione degli interessi anatocistici nel conto corrente bancario: orientamenti giurisprudenziali e soluzioni legislative, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, 459 ss; PISANI P., Anatocismo bancario e ingiustificato arricchimento, in Squilibrio e usura nei contratti, a cura di VETTORI, 2002, 537 ss.; NANNA C.M., Asimmetrie contrattuali e ripetibilità degli interessi anatocistici, in Contratti, 2001, 211 ss.; MAFFEIS D., Anatocismo bancario e ripetizione degli interessi da parte del cliente, ibidem, 406 ss.; COLOMBO C., voce «Anatocismo» in Enc. giur. Treccani, II, Ed. Enc. it., Agg., 2005, 4; DOLMETTA A., Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 78/2012 (retroattività delle leggi bancarie, prescrizione della ripetizione per titolo invalido di versamenti in c/c e diritto vivente dell’anatocismo), in Banca, borsa, tit. cred., 2012, 431 ss.

[4] Come evidenzia GUADAGNO S., «Le sezioni unite chiamate a fare chiarezza sull’onere della prova circa la natura solutoria delle rimesse in conto corrente», in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata n. 3/2019, «Il principio affermato dalle Sezioni Unite, conducendo di fatto al risultato di far decorrere il termine di prescrizione, nella generalità dei casi, dalla chiusura del conto, ha generato forti timori nel ceto bancario, timori che sono stati presi in considerazione dal legislatore, il quale ha inserito al comma 61º dell’art. 2, d.l., 29.12.2010, n. 225 (c.d. decreto ‘‘Milleproroghe”), conv. con modifiche con l. 26.2.2011, n. 10 la previsione secondo cui ‘‘In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa”. Tale disposizione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima da Corte Cost., con sentenza 5.4.2012, n. 78, la quale ha condiviso l’impianto proposto dalla sentenza 24418 del 2010 confermando che l’annotazione in conto corrente, non costituendo un ‘‘pagamento”, non è suscettibile di ripetizione dell’indebito oggettivo, e conseguentemente il termine di prescrizione del diritto di ripetere gli importi oggetto dell’annotazione medesima non può decorrere dalla data della registrazione

[5] Cfr. Cass. civ. sez. I 30 novembre 2017, n. 28819.

[6] Tale conclusione è stata data per assunta anche nelle sentenze n. 18581 del 2017; n. 4273 del 2018, n. 18144 del 2018 che richiamano la giurisprudenza – formatasi in materia di revocatoria fallimentare ante L. n. 80 del 2005 – ferma nel ritenere che non sia affetta da nullità per indeterminatezza dell’oggetto o della c ausa petendi la citazione contenente la domanda di revocatoria fallimentare di pagamenti costituiti da rimesse di conto corrente bancario, seppure in mancanza d’indicazione dei singoli versamenti solutori. Cfr. in proposito anche Cass. civ. sez. un. 22 maggio 2012 n. 8077 che ha affermato che l’atto di citazione per la revoca di rimesse in conto corrente bancario non è affetto da nullità per vizio del petitum se l’attore ha identificato una somma minima o un importo complessivo ed ha ed ha chiesto la revoca di tutte le rimesse affluite, non essendo necessaria, per l’individuazione della domanda, l’indicazione di ciascuna singola rimessa revocabile.

4. Il contrasto giurisprudenziale alla base dell’ordinanza di rimessione n. 27680 del 30 ottobre 2018

I problemi interpretativi si sono invero registrati, invece, come evidenzia l’ordinanza di rimessione, sulla modalità di formulazione dell’eccezione di prescrizione da parte della banca convenuta in ripetizione.

Posto che, secondo la menzionata sentenza n. 24418 del 2010, la prescrizione del diritto alla restituzione ha decorrenza diversa a seconda del tipo di versamento effettuato – solutorio o ripristinatorio – si è, infatti, posta la questione se, nel formulare l’eccezione di prescrizione, la banca debba necessariamente indicare il termine iniziale del decorso della prescrizione, e cioè l’esistenza di singoli versamenti solutori – a partire dai quali l’inerzia del titolare del diritto può venire in rilievo – ovvero se possa limitarsi ad opporre tale inerzia, spettando poi al giudice verificarne effettività e durata in base alla norma in concreto applicabile.

La questione sottesa al contrasto giurisprudenziale è, quindi, la seguente: se l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca, per essere ammissibile, deve contenere “l’allegazione, non solo dell’inerzia del titolare, ma anche delle singole rimesse operate nel corso del rapporto aventi natura solutoria e, pertanto, dell’avvenuto superamento del limite di affidamento da parte del debitore.”

A tale quesito la giurisprudenza di legittimità ha dato soluzioni differenti dando vita a orientamenti contrapposti[7].

Secondo un primo orientamento[8], accreditatosi presso la giurisprudenza di merito e successivamente avallato da alcune recenti sentenze della Corte di Cassazione, l’eccezione di prescrizione formulata genericamente dalla banca, senza la specificazione dei versamenti destinati a coprire uno scoperto di conto corrente, è inammissibile.

Tale conclusione si fonda sulla presunzione della natura ripristinatoria delle rimesse, e dunque sull’assunto che “i versamenti eseguiti su conto corrente, in corso di rapporto, hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens.”

Spetta, quindi, alla banca che eccepisce la prescrizione allegare e provare quali sono le rimesse che hanno, invece, natura solutoria con la conseguenza che, a fronte della formulazione generica dell’eccezione, indistintamente riferita a tutti i versamenti intervenuti sul conto in data anteriore al decennio – decorrente dalla data di proposizione della domanda – il giudice non può supplire all’omesso assolvimento di tale onere individuando d’ufficio i versamenti solutori e, di conseguenza, l’eccezione è inammissibile.

Si colloca in una posizione intermedia la sentenza n. 12977 del 2018[9], che, in realtà, l’ordinanza interlocutoria menziona tra quelle adesive alla prima soluzione.

Tale sentenza condivide, in effetti, il presupposto da cui muovono quelle decisioni secondo cui, in costanza di rapporto, i versamenti eseguiti sul conto corrente hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens ma se ne discosta nella parte in cui afferma che grava sulla banca, a fronte di un rapporto di conto corrente con apertura di credito, l’onere di allegare, ai fini dell’ammissibilità dell’eccezione di prescrizione – e poi di provare, ai fini della fondatezza dell’eccezione – non solo il mero decorso del tempo ma anche l’ulteriore circostanza dell’avvenuto superamento, ad opera del cliente, del limite dell’affidamento.

Tale attività di allegazione deve recare un grado di specificità tale da consentire alla controparte un adeguato esercizio di difesa sul punto e, in mancanza, la relativa eccezione deve essere respinta, in quanto genericamente formulata (prima che infondata), non potendo il giudice supplire all’omesso assolvimento di tali oneri, individuando d’ufficio i versamenti solutori.

Diversamente, in caso di conto non assistito da apertura di credito, tutte le rimesse devono automaticamente reputarsi solutorie, con conseguente inesistenza di alcun onere in capo alla banca di individuarle specificamente.

Un contrapposto orientamento[10], invece, muove dall’assunto – affermato per la prima volta da Cass., sez. un., 25.7.2002, n. 10955 e condiviso dalla giurisprudenza successiva – secondo cui “l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, ossia l’inerzia del titolare, senza che rilevi l’erronea individuazione del termine applicabile, ovvero del momento iniziale o finale di esso, trattandosi di questione di diritto sulla quale il giudice non e` vincolato dalle allegazioni di parte”.

E, sulla base di questa premessa, rileva che: “a fronte della comprovata esistenza di un contratto di conto corrente assistito da apertura di credito, la natura ripristinatoria o solutoria dei singoli versamenti emerge dagli estratti conto che il correntista, attore nell’azione di ripetizione, ha l’onere di produrre in giudizio. La prova degli elementi utili ai fini dell’applicazione dell’eccepita prescrizione è, dunque, nella disponibilità del giudice che deve decidere la questione.”[11]

[7] Per una compiuta rassegna sul contrasto giurisprudenziale che ha dato vita alla rimessione alle sez. un., cfr. in dottrina DOLMETTA A., Prescrizione della ripetizione di «rimesse solutorie»: onere e vicinanza della prova e QUINTARELLI A., Conto corrente bancario: anatocismo e capitalizzazione; prescrizione; azioni di accertamento e condanna, distribuzione dell’onere probatorio e saldo zero, entrambi in www.ilcaso.it.

[8] In particolare, come riportano le Sezioni Unite con la sentenza n. 15895 del 2019, hanno aderito alla prima soluzione:
– Cass. n. 4518 del 2014 (con nota di COLANGELO G., Prescrizione dell’azione di ripetizione: dalla Cassazione un primo rimedio, in Danno e Responsabilità n. 8-9/2014) secondo cui i versamenti eseguiti in conto corrente hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens, rispondendo allo schema causale tipico del contratto, sicchè una diversa finalizzazione dei singoli versamenti (o di alcuni di essi) deve essere in concreto provata da parte di chi intende far decorrere la prescrizione da una data diversa e anteriore rispetto a quella della chiusura del conto (in quel caso, la banca non aveva mai dedotto nè allegato tale diversa destinazione dei versamenti in deroga all’ordinaria utilizzazione dello strumento contrattuale);
– Cass. n. 20933 del 2017, secondo cui la natura ripristinatoria delle rimesse è presunta: spetta dunque alla banca che eccepisce la prescrizione di allegare e di provare quali sono le rimesse che hanno, invece, avuto natura solutoria, con la conseguenza che, a fronte della formulazione generica dell’eccezione, indistintamente riferita a tutti i versamenti intervenuti sul conto in data anteriore al decennio decorrente a ritroso dalla data di proposizione della domanda, il giudice non può supplire all’omesso assolvimento di tale onere, individuando d’ufficio i versamenti solutori;
– Cass. n. 28819 del 2017 cit., secondo cui incombe sulla banca, quando eccepisce la prescrizione del credito, l’onere di far valere l’avvenuta effettuazione di rimesse solutorie in pendenza di rapporto, non essendo configurabile, in mancanza di tali versamenti, l’inerzia del creditore, che rappresenta il fatto costitutivo dell’eccezione;
– Cass. n. 17998 del 2018, secondo cui il fatto costitutivo dell’eccezione di prescrizione (ossia la finalizzazione del versamento da parte del correntista a una funzione diversa da quella ripristinatoria della provvista) deve essere allegato e provato dalla Banca, e pertanto l’eccezione di prescrizione non può considerarsi validamente proposta, quando non sono stati allegati i fatti che ne costituiscono il fondamento, sicchè “la prescrizione va fatta decorrere dalla chiusura del conto” (in quel caso neppure verificatasi);
– Cass. n. 18479 del 2018, che ha riaffermato il principio secondo cui la natura ripristinatoria delle rimesse deve presumersi, spettando, dunque, alla banca di indicare specificamente i versamenti solutori rispetto ai quali è intervenuta la prescrizione. In particolare, la sentenza ha aggiunto che il principio, secondo cui l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, ossia l’inerzia del titolare, senza che rilevi l’erronea individuazione del termine applicabile, ovvero del momento iniziale o finale di esso, trattandosi di questione di diritto sulla quale il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte, deve esser coniugato con quello secondo cui quando, come nella specie, si è in presenza di pluralità di rimesse affluite sul conto corrente, ognuna delle quali costituisce un distinto credito, è necessario che l’elemento costitutivo dell’eccezione sia specificato, dovendo il convenuto precisare, appunto, il momento iniziale dell’inerzia in relazione a ciascuno dei diritti azionati;
– Cass. n. 33320 del 2018, che ha ribadito esser onere della banca, che ha eccepito la prescrizione, fornire la prova della decorrenza e quindi della natura solutoria delle rimesse.

[9] In questi termini Cass. civ. 24 maggio 2018 n. 12977.

[10] Come riportano le SS.UU. hanno aderito a questa seconda soluzione:
– Cass. n. 2308 del 2017, che ha ritenuto fondata, e così implicitamente ammissibile, l’eccezione di prescrizione formulata dall’istituto di credito, con riferimento alla richiesta di restituzione di tutte le rimesse, evidenziando che la Corte territoriale correttamente si è limitata ad accoglierla solo in parte, distinguendo, tramite l’ausilio del tecnico nominato, tra rimesse aventi funzione solutoria e rimesse aventi funzione ripristinatoria;
– Cass. n. 18581 del 2017, secondo cui, in un quadro processuale definito dalla presenza degli estratti conto, non compete alla banca convenuta fornire specifica indicazione delle rimesse solutorie cui è applicabile la prescrizione, essendo tale incombente estraneo alla disciplina positiva dell’eccezione, che è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, e cioè l’inerzia del titolare, e manifestato la volontà di avvalersene. La decisione ha ritenuto, in particolare, che un’allegazione nel senso indicato non cessa di esser tale ove la parte interessata correli quell’inerzia anche ad atti (id est, versamenti ripristinatori) che non spieghino incidenza sul diritto fatto valere dell’attore, evidenziando che, così come, ai fini della valida proposizione della domanda di ripetizione, non si richiede che il correntista specifichi una ad una le rimesse, da lui eseguite, che, in quanto solutorie, si siano tradotte in pagamenti indebiti a norma dell’art. 2033 c.c., non si vede, in conseguenza, perchè debba essere la banca, che eccepisca la prescrizione, ad essere gravata dell’onere di indicare i detti versamenti solutori (su cui la prescrizione possa, poi, in concreto operare);
– Cass. n. 4372 del 2018, del medesimo tenore. Nel ribadire che l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, e cioè l’inerzia del titolare, e manifestato la volontà di avvalersene, specifica come la natura ripristinatoria o solutoria dei singoli versamenti emerga dagli estratti conto che il correntista, attore nell’azione di ripetizione, ha l’onere di produrre in giudizio. Riafferma che non sussistono ragioni per distinguere l’onere di allegazione del correntista da quello della banca, richiamando, al riguardo, la giurisprudenza di legittimità formatasi sull’azione revocatoria in tema di rimesse bancarie riferita alla disciplina anteriore alla riforma della legge fallimentare. La decisione conclude affermando che il carattere solutorio o ripristinatorio delle singole rimesse non incide sul contenuto dell’eccezione, che rimane lo stesso, indipendentemente dalla natura dei singoli versamenti: semplicemente, la distinzione concettuale esistente tra le diverse tipologie di versamento imporrà al giudice, anche con l’ausilio del consulente tecnico, di selezionare giuridicamente le rimesse che assumano concreta rilevanza ai fini della ripetizione dell’indebito e della prescrizione;
– Cass. n. 5571 del 2018, che, nel cassare la decisione d’appello che aveva ritenuto inammissibile l’eccezione di prescrizione, afferma, che per principio consolidato, l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, ossia l’inerzia del titolare, senza che rilevi l’erronea individuazione del termine applicabile, ovvero del momento iniziale o finale di esso, trattandosi di questione di diritto sulla quale il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte;
– Cass. n. 18144 del 2018, che ripercorre gli argomenti svolti dalle sentenze n. 18581 del 2017 e n. 4372 del 2018, rilevando che in un quadro processuale definito dagli estratti conto non compete alla banca convenuta fornire specifica indicazione delle rimesse solutorie cui è applicabile la prescrizione, e che, una volta che la parte convenuta abbia formulato l’eccezione di prescrizione, compete al giudice verificare quali rimesse, per essere ripristinatorie, siano irrilevanti ai fini della decorrenza della prescrizione nel corso del rapporto, non potendosi considerare quali pagamenti;
– Cass. n. 30885 del 2018, che, nel rigettare il motivo di ricorso del correntista, secondo cui la Corte del merito avrebbe eluso gli oneri delle parti attribuendo la ricerca ufficiosa del thema decidendum al CTU anziché alla parte, che aveva genericamente eccepito la prescrizione decennale dei presunti pagamenti indebiti, ha ricondotto la questione nell’ambito della qualificazione dei fatti rilevati e riepilogati in chiave ricostruttiva dal CTU, affermando che l’accertamento della natura dei versamenti era dipeso dalla condivisione da parte del giudice dell’affermazione svolta dal CTU, circa la mancanza di un’apposita convenzione di affidamento di credito bancario e l’esclusione della natura ripristinatoria dei versamenti con applicazione della prescrizione, solo, con riferimento ai “pagamenti” effettuati nel decennio anteriore alla domanda giudiziale;
– Cass. n. 2660 del 2019, che, nel ricostruire il modo in cui si atteggia l’onere della prova nei giudizi in esame, ha affermato che, nel formulare l’eccezione di prescrizione, l’istituto di credito ha l’onere di dedurre l’inerzia, il tempo del pagamento ed il tipo di prescrizione invocata, aggiungendo che l’eccezione è comunque validamente proposta, quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, e cioè l’inerzia del titolare, e manifestato la volontà di avvalersene.

[11] Così Cass. civ. ord. 22 febbraio 2018 n. 4372.

5. La soluzione delle Sezioni Unite: la sentenza n. 15895 del 13 giugno 2019

Chiamate a comporre il predetto contrasto ermeneutico le Sezioni Unite hanno avallato il secondo orientamento giurisprudenziale.

In via preliminare hanno ricordato che per allegazione in senso proprio si intende “l’affermazione dei fatti processualmente rilevanti posti a base dell’azione o dell’eccezione” e che l’eccezione individua i fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi dei diritti fatti valere in giudizio (ossia i c.d. fatti principali da tenere, invece, distinti dai c.d. fatti secondari dedotti in funzione di prova di quelli principali). Non rientra, invece, nell’ambito dell’onere di allegazione la qualificazione dei fatti allegati che costituisce attività riservata al giudice il quale, nel provvedervi, non è vincolato dalla qualificazione eventualmente offerta dalle parti[12].

L’art. 163 n. 4 c.p.c. impone all’attore l’allegazione dei fatti costituenti le ragioni della domanda e ne sanziona con nullità, ex art. 164 co. 4 c.p.c., l’omessa esposizione. La relativa indagine va compiuta caso per caso tenendo in considerazione che l’adempimento dell’onere di allegazione può mutare in relazione alle caratteristiche degli elementi costitutivi della domanda[13]. L’incertezza dei fatti costitutivi della domanda deve essere, inoltre, vagliata in coerenza con la ragione ispiratrice della norma che risiede, principalmente, nell’esigenza di porre immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese, oltre che di offrire al giudice l’immediata contezza del thema decidendum[14]. E, proprio in tema di allegazioni dovute dal correntista che agisca in ripetizione di versamenti asseritamente indebiti, la giurisprudenza ha fatto specifica applicazione di tale principio.

La Suprema Corte nella sentenza in commento rammenta, inoltre, che l’onere di allegazione del convenuto va distinto a seconda che si sia in presenza di eccezioni in senso stretto o eccezioni in senso lato: nel primo caso i fatti estintivi, modificativi o impeditivi possono esser introdotti nel processo solo dalla parte mentre nel secondo sussiste il potere-dovere di rilievo da parte del giudice.

Tale distinzione è stata posta in evidenza sin dal 1998 dalle stesse Sezioni Unite che, con la sentenza n. 1099, nell’ambito della contestazione del convenuto, hanno differenziato il potere di allegazione da quello di rilevazione.

Il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (soggiacendo, pertanto, alle relative preclusioni e decadenze), mentre il secondo compete alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) solo nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva) ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte, dovendosi, in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d’ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo e provati alla stregua della specifica disciplina processuale in concreto applicabile.

Sulla scorta di queste considerazioni le Sezioni Unite hanno affermato che, pur nella loro indiscutibile connessione, l’onere di allegazione è concettualmente distinto dall’onere della prova, attenendo il primo alla delimitazione del thema decidendum e il secondo, attendendo alla verifica della fondatezza della domanda o dell’eccezione, costituisce, per il giudice, regola di definizione del processo.

L’aver assolto all’onere di allegazione non significa, quindi, avere proposto una domanda o un’eccezione fondata, in quanto l’allegazione deve esser provata dalla parte cui per legge incombe il relativo onere e le risultanze probatorie devono esser valutate, in fatto e in diritto, dal giudice.

Nello specifico tema della prescrizione estintiva, infatti, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 10955 del 2002 – menzionata anche nell’ordinanza interlocutoria – hanno chiarito che il relativo elemento costitutivo è rappresentato dall’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio mentre la determinazione della durata di detta inerzia, necessaria per il verificarsi dell’effetto estintivo, si configura come una quaestio iuris concernente l’identificazione del diritto e del regime prescrizionale previsto dalla legge.

Ne consegue che la riserva alla parte del potere di sollevare l’eccezione – qualificata pacificamente come eccezione in senso stretto – implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare di quell’effetto e non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso specifica menzione della durata dell’inerzia) le norme applicabili al caso di specie. Tale identificazione spetta, infatti, al giudice, che – previa attivazione del contraddittorio sulla relativa questione – potrà applicare una norma di previsione di un termine diverso.

In particolare, analizzando la struttura nella fattispecie estintiva delineata dall’art. 2934 c.c., secondo cui “ogni diritto si estingue quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge” la sentenza n. 10955 – che era stata chiamata a dirimere il contrasto esistente circa la necessità che la parte che formuli tale eccezione debba o meno specificare il lasso di tempo a ciò necessario – nel pervenire alla soluzione analizzata ha evidenziato che l’identificazione della fattispecie estintiva cui corrisponde l’eccezione di prescrizione va correttamente compiuta alla stregua del “fatto principale” e che tale fatto va individuato nell’inerzia del titolare. Il tempo, invece, è soltanto la dimensione del fatto principale ossia una circostanza ad esso inerente che non ha valore costitutivo di un corrispondente tipo di prescrizione.

In linea con gli esposti principi in tema di onere di allegazione, in generale, e di onere di allegazione, riferito alla specifica eccezione di prescrizione, le Sezioni Unite hanno, quindi, risolto il contrasto ermeneutico nel senso della non necessarietà dell’indicazione, da parte della banca, del dies a quo del decorso della prescrizione aderendo al secondo orientamento giurisprudenziale.

Il Supremo Collegio, infatti, ha ribadito che l’elemento qualificante l’eccezione di prescrizione è l’allegazione dell’inerzia del titolare del diritto che costituisce il fatto principale al quale la legge riconnette l’invocato effetto estintivo e, al contempo, ha sconfessato l’opposto orientamento.

Secondo il Collegio, infatti, la giurisprudenza che ha ritenuto necessaria l’indicazione delle rimesse solutorie ha fatto leva su di un argomento – la presunta natura ripristinatoria dei versamenti, secondo un andamento fisiologico del rapporto – che, riferendosi allo schema delle presunzioni, attiene al profilo probatorio (art. 2727 c.c. e segg.) e non al profilo allegatorio rilevante ai fini dell’ammissibilità dell’eccezione.

Il problema della specifica indicazione delle rimesse solutorie non viene, quindi, eliminato, ma semplicemente si sposta dal piano delle allegazioni a quello della prova, sicchè sarà il giudice a valutare la fondatezza delle tesi contrapposte alla luce del riparto dell’onere probatorio e, se del caso, avvalendosi di una consulenza tecnica.

In sostanza la pronuncia n. 15895 del 2019 ha il pregio di aver ricondotto ad una ragionevole simmetria gli oneri gravanti sulle parti contendenti.

Il correntista, infatti, potrà limitarsi ad indicare unicamente l’esistenza di versamenti indebiti e chiederne la restituzione in riferimento ad un dato conto e ad un tempo determinato, mentre la banca potrà limitarsi ad eccepire la prescrizione allegando l’inerzia dell’attore in ripetizione e dichiarare di volerne profittare.

In conclusione e alla stregua dei principi riportati le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto:

“L’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie”.

[12] È’ il principio dello iura novit curia in base al quale il giudice nella sua attività di reperimento, interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche – nella sua attività di ius dicere – non è in alcun modo vincolato alle indicazioni delle parti. Il giudice deve qualificare la domanda giudiziale ossia sussumere il caso sotto la previsione normativa quindi individuare, interpretare e applicare la norma al fatto. Il giudice, infatti, ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente la domanda giudiziale sulla base dei fatti dedotti dalla parte, dovendo valutare il contenuto sostanziale della pretesa, desumibile dalla situazione dedotta in causa, nonché dal provvedimento richiesto in concreto, così inquadrando l’azione proposta nella tipizzazione legislativa che le è propria

[13] Cfr. Cass. civ. sez. un. 12 dicembre 2014 n. 26242.

[14] Cfr. Cass. 15 maggio 2013 n. 11751; Cass. 12 dicembre 2008 n. 29241.

Redazione

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