Le SS.UU. Penali sulla modificazione dell’imputazione e sulle contestazioni suppletive nel c.d. giudizio abbreviato “condizionato”

Estremi della sentenza: Corte di Cassazione, Sez. Unite, n.05788/20 del 18 aprile 2019, depositata in cancelleria il 13 febbraio 2020.

Premessa: Con ordinanza del febbraio 2019, la I Sezione Penale della Corte di Cassazione, in ragione di un potenziale contrasto rilevante ex art. 618 c.p.c., rimetteva alle Sezioni Unite la seguente quaestio iuris in tema del c.d. giudizio abbreviato condizionato «se, nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria, a norma dell’art. 438, comma 5, cod. proc. pen., o nel quale l’integrazione sia stata disposta dal giudice, a norma dell’art. 441, comma 5, dello stesso codice, sia possibile la modifica dell’imputazione, allorché il fatto risulti diverso o emerga una circostanza aggravante o un reato connesso, anche nel caso in cui i fatti oggetto della contestazione suppletiva già si desumessero dagli atti delle indagini preliminari e non siano collegati ai predetti esiti istruttori».

SOMMARIO: 1. Fatto; 2. Il contrasto giurisprudenziale; 3. Valutazione delle Sezioni Unite in diritto; 4. Conclusioni.

  1. Fatto

La Corte d’Assise d’Appello di Perugia confermava – nel merito – la decisione con la quale il giudice di prime cure dichiarava la penale responsabilità dell’imputato anche in relazione all’ulteriore reato di occultamento di cadavere (art. 412 c.p.) ed alle aggravanti relative al delitto di cui all’art. 575 c.p. (ex artt. 61, co.1, n. 1 c.p. e 577, co.1, n. 3 c.p., quest’ultima poi esclusa in secondo grado) frutto di contestazione suppletiva da parte del P.M., contestazione questa, intervenuta solo a seguito dell’accoglimento della richiesta di procedere con rito abbreviato “condizionato”.

Difatti, all’esito delle indagini preliminari, e dell’ammissione da parte dell’imputato del proprio coinvolgimento nella vicenda omicidiaria nonché dell’indicazione del luogo di occultamento del corpo della vittima, la pubblica accusa formulava l’imputazione limitandosi a contestare il reato di omicidio e quello di incendio (art. 423 c.p.) aggravato ex art. 61 n. 2 c.p. per aver commesso il fatto per assicurarsi l’impunità del delitto ex art. 575 c.p. (poi derubricato a danneggiamento aggravato dal giudice di primo grado).

Ebbene, il giudice di prima istanza, respinte con ordinanza le doglianze della difesa che denunciava l’inammissibilità della contestazione suppletiva in quanto non era emersa nessuna circostanza nuova ed ulteriore nel corso del rito che la giustificasse, condannava l’imputato a trent’anni di reclusione, oltre pene accessorie.

A seguito della sentenza di secondo grado sopra menzionata, veniva proposto ricorso per Cassazione.

Come indicato in epigrafe, la Sezione della Suprema Corte assegnataria del procedimento trasmetteva gli atti alle Sezioni Unite rinvenendo contrasto giurisprudenziale in relazione alla legittimità delle contestazioni suppletive elevate dal Pubblico Ministero nel corso del giudizio abbreviato c.d. “condizionato” riferibili a circostanze già in atti del processo e non riportate nell’originario capo di imputazione.

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  1. Il contrasto giurisprudenziale

La Sezione remittente, in prima istanza, ritenendo che tanto l’occultamento come le ragioni di applicazione dell’aggravante di cui all’art. 61, comma 1, n. 4 c.p. fossero patenti già al momento delle dichiarazioni confessorie dell’imputato, valutava non rinvenibile nesso alcuno tra la contestazione suppletiva e gli accertamenti istruttori a ragione dei quali il giudizio abbreviato si qualificava come “condizionato”.

Inoltre gli ermellini si proclamavano in disaccordo con l’orientamento interpretativo costante nella giurisprudenza di legittimità secondo cui se fatti e circostanze non contestate siano conosciute o conoscibili da parte dell’imputato perché desumibili dagli atti possono essere formulate contestazioni suppletive che non derivino da nuove emergenze processuali (ex multis Sez. II, n. 23466 del 9.05.2005). Secondo tale impianto interpretativo, non vi sarebbero lesioni al diritto di difesa, (Sez. IV, n. 48280 del 26.09.2017) perché il comma 5 dell’articolo 441 c.p.p., che disciplina lo svolgimento del giudizio abbreviato, rimette nel caso di giudizio abbreviato “condizionato” alla disciplina contenuta all’art. 423 c.p.p. e dunque deve ritenersi possibile la modifica dell’accusa se il fatto risulta diverso da come descritto nell’imputazione ovvero emerga un reato connesso o una circostanza aggravante.

Suddetta tesi, a parere della Sezione remittente, non trova riscontri né sul piano dell’interpretazione letterale delle disposizioni che disciplinano il rito abbreviato, né su quello logico-sistematico. Difatti, accogliendo l’orientamento interpretativo derivante dalla sentenza n. 140/2010 della Corte Costituzionale, la Sezione afferma che, posto il dictamen dell’art. 441, co.1, c.p.p., costituirebbe disparità di trattamento ritenere legittime le cc.dd. contestazioni suppletive patologiche (ovvero quelle non giustificate da l’emersione di fatti nuovi nel corso del giudizio e direttamente dipendenti dall’ampliamento della base cognitiva a causa di nuove prove) per il solo giudizio abbreviato “condizionato”, posto che per quello “puro” non risultano ammissibili. Invero secondo tale impostazione seppur il rinvio alla disciplina dell’art. 423 c.p.p. costituisca discrimen tra il rito abbreviato “secco” e quello “condizionato” la norma citata, propria del rito ordinario, non può considerarsi estensibile tout court ad altro rito.

  1. Valutazione delle Sezioni Unite in diritto

Le SS.UU., ai fini della risoluzione della questione giuridica, si premurano di fornire corretta interpretazione degli art. 441, co.1, c.p.p. e dell’art. 423 c.p.p. in ragione delle peculiarità del giudizio abbreviato.

Difatti l’art. 441, co. 1, c.p.p. stabilisce che nel rito abbreviato si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni dettate per l’udienza preliminare, fatta eccezione per quelle di cui agli artt. 422 e 423 c.p.p. Ne deriva, per il pubblico ministero, l’impossibilità di modificare l’imputazione originariamente mossa all’imputato, ancorché caratterizzata da errori od omissioni desumibili dalla semplice lettura degli atti del fascicolo processuale. L’eventuale modificazione dell’imputazione è causa di nullità generale a regime intermedio della sentenza pronunciata all’esito del giudizio ex art. 178, co.1, lett. c), c.p.p. (v. fra le altre: Sez. IV, n. 3758 del 03.06.2014). Orbene, «1)qualora, successivamente alla ammissione del giudizio abbreviato c.d. “secco” vengano in evidenza fatti (reati connessi o circostanze aggravanti) desumibili dagli atti processuali, ma non ricompresi nell’imputazione, in linea generale il pubblico ministero non potrà procedere alla formulazione di contestazioni suppletive; 2) nel caso in cui l’omessa contestazione attenga ad un reato connesso, il pubblico ministero dovrà procedere con separato giudizio, posto che in tal caso la azione penale non è stata ancora consumata; 3) nel caso in cui l’omissione attenga ad una circostanza aggravante, questa non sarà più recuperabile» (Cfr. sentenza oggetto della presente disamina).

Come sottolinea la Corte, allora, anche la possibilità di modificare l’imputazione a norma dell’art. 423 c.p.p., seppur concessa per il rito abbreviato “condizionato”, dovrà tener conto delle caratteriste del rito premiale.

Il rito abbreviato è un giudizio “allo stato degli atti”. Effettivamente, il fatto che la L. 479/1999 abbia introdotto la possibilità di arricchire la “piattaforma probatoria” su richiesta dell’imputato (art. 438, commi 1 e 5, c.p.p.) o su richiesta del giudice (art. 438, co.1 e 441, co. 5, c.p.p.) non muta la natura del giudizio posto che è proprio sulla base della valutazione degli “atti” – e sul tenore degli addebiti mossi in loro funzione – che l’imputato matura la richiesta del rito de quo rinunciando – tra l’altro – alla formazione della prova in contraddittorio. A ben vedere, la stessa richiesta di integrazione probatoria, che qualifica il rito abbreviato “condizionato”, risente del tenore delle accuse.

L’imputazione è presidio di garanzia. Ritenere che la pubblica accusa possa ad libitum modificare l’imputazione non solo è lesivo del presidio ma crea anche un’ingiustificata diversità di trattamento, una inspiegabile disarmonia di sistema. Secondo le Sezioni Unite la giurisprudenza di legittimità ha compiuto un’erronea interpretazione del rimando che l’art. 441, co.5, c.p.p. fa all’art. 423 c.p.p. per il rito abbreviato “condizionato”.

Da quanto sopra deriva che la previsione della possibilità per il p.m. di modificare ex art. 423 c.p.p. il o i capi di imputazione ove sia avvenuta un’integrazione probatoria si pone come eccezione rispetto alla regola enunciata dall’art. 441, co. 1, c.p.p. e dunque le nuove contestazioni saranno legittime solo se ancorate a fatti nuovi o nuove circostanze emerse a seguito della modificazione della base cognitiva.

Ebbene, le Sezioni Unite, accogliendo la tesi esposta dalla Sezione I nella propria ordinanza di rimessione, tesi peraltro in linea con quanto ritenuto dalla Corte Costituzionale nella sentenza 140/2010, hanno sancito che «nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria a norma dell’art. 438 c.5 c.p.p. o nel quale l’integrazione sia stata disposta a norma dell’art. 441 c. 5 c.p.p., è possibile la modifica dell’imputazione solo per i fatti emergenti dagli esiti istruttori ed entro i limiti previsti dall’art. 423 c.p.p.».

In ragione del principio di diritto emarginato, la Suprema Corte, accogliendo il primo -ed assorbente-motivo di ricorso, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata per quanto attiene all’aggravante ed al delitto oggetto della contestazione suppletiva illegittima e, per l’effetto, ritenendo da riconsiderarsi il trattamento sanzionatorio, ha rinviato alla Corte di Assise d’Appello competente gli atti per un nuovo giudizio sul punto.

La decisione in oggetto risulta rilevante perché supera il contrasto interpretativo fino ad ora esistente tra giurisprudenza di legittimità e la giurisprudenza costituzionale circa le contestazioni suppletive patologiche e dunque l’interpretazione del rimando all’art. 423 c.p.p. compiuto dall’art. 441 c.p.p. per il caso di rito abbreviato “condizionato”.

La Corte di fatto, cassando la tesi della giurisprudenza di legittimità, per cui solo per il rito abbreviato “condizionato” non valessero i limiti alla modifica dell’imputazione, risolve la disarmonia sistematica sussistente tra le due forme del rito abbreviato.

Pur sfuggendo alla censura le mere contestazioni suppletive fisiologiche o le modifiche al capo di imputazione avvenute prima della formale instaurazione del rito speciale, posto che, essendo ancora in corso l’udienza preliminare, è concesso all’imputato, ex art. 441 bis, co. 1, c.p.p., di revocare la scelta processuale precedentemente compiuta, (v. Sez VI, n. 14295 del 20 marzo 2014) diviene chiaro che anche per il rito abbreviato “condizionato” non potranno essere oggetto di contestazione reati connessi e circostanze aggravanti desumibili dagli atti processuali una volta disposto il passaggio al rito abbreviato.

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Dott.ssa Gaia Derasmo

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