Le tre fasi del processo di democratizzazione dell’Unione europea

Sgueo Gianluca 20/11/08
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1.1   Le basi democratiche dell’Unione europea. Le tre fasi del processo di democratizzazione: la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
 
Questo articolo si propone di ricostruire brevemente l’evoluzione del processo di democratizzazione dell’ordinamento europeo.
I riferimenti allo sviluppo di un sistema sovranazionale democratico – e, dunque, partecipato – sono presenti nei Trattati e nella normativa ufficiale sin dalle origini del percorso di integrazone europea[1]. È, anzi, possibile valutare i progressi compiuti dal Legislatore comunitario nel trattare temi quali lo sviluppo democratico delle istituzioni ed il coinvolgimento degli interessati nelle procedure ripercorrendo il percorso normativo che ha portato alla creazione dell’Unione europea.
Sono, dunque, ragioni di comodità espositiva che suggeriscono di distinguere tre diverse fasi storiche.
Già nel corso della prima fase, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso, si avvertì l’esigenza di democratizzazione dell’ordinamento europeo. Lo sviluppo dei valori democratici venne interpretato alla stregua di un ulteriore incentivo al processo di integrazione, allora appena iniziato. All’epoca, infatti, la Comunità europea andava progressivamente trasformandosi da organizzazione internazionale – legittimata, come tale, in modo pressocchè esclusivo dall’adesione dei singoli Stati membri – ad un’ordinamento sovranazionale in grado di incidere, con le proprie decisioni, sulla posizione dei singoli cittadini. Apparve dunque indispensabile avviare un processo finalizzato all’accrescimento dell’accountability delle proprie istituzioni, da tradursi concretamente in un più diretto coinvolgimento della base – i cittadini, appunto – nello svolgimento della vita politica europea[2]
Tra i documenti di maggiore spessore ascrivibili a questo primo periodo si può collocare, anzitutto, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, del 1950[3] Riaffermano il loro profondo attaccamento a tali libertà fondamentali che costituiscono le basi stesse della giustizia e della pace nel mondo e il cui mantenimento si fonda essenzialmente, da una parte, su un regime politico effettivamente democratico e dall’altra, su una concezione comune e un comune rispetto dei Diritti dell’Uomo di cui essi si valgono».. La Convenzione contiene numerosi riferimenti al concetto di democrazia. Nel preambolo essa specifica che gli Stati firmatari: «
L’instaurazione ed il rispetto di un regime «effettivamente» democratico sono, pertanto, i presupposti necessari per poter garantire un’efficace tutela dei diritti e delle libertà degli individui.
Nel testo della Convenzione, poi, si fa ricorso all’espressione «società democratica» in ciascuna delle occasioni in cui viene citato uno dei diritti fondamentali da questa contemplati. Tra questi, ad esempio, si menziona il diritto ad un equo processo (articolo sesto); il diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo ottavo); il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione (articolo nono); o, più in generale, la libertà di espressione (articolo decimo).
Infine, sono presenti sporadici riferimenti, anzitutto, al concetto di partecipazione alla vita sociale e politica del proprio Paese, in qualità di diritto fondamentale di ogni individuo. In secondo luogo, ai sensi dell’articolo undicesimo, si fa riferimento al diritto di ogni cittadino di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderirvi per difendere i propri interessi.
Non sono presenti, dunque, riferimenti specifici alla partecipazione delle parti interessate alle procedure amministrative.
Per quanto riguarda, invece, l’attività della Corte europea dei diritti dell’uomo, Ogni Stato contraente (nel caso di un ricorso inter-statale) o individuo che si ritenga vittima di una violazione della Convenzione (nel caso di un ricorso individuale) è legittimato a presentare un ricorso che lamenti una violazione da parte di uno Stato contraente di uno dei diritti garantiti dalla Convenzione.
La Convenzione prevede inoltre che le procedure innanzi alla Corte siano svolte nel rispetto del contraddittorio e pubblicamente (fatte salve ipotesi eccezionali). Anche le memorie e gli altri documenti depositati presso la cancelleria della Corte dalle parti sono accessibili al pubblico.
           
1.2. Le dichiarazioni di Parigi e Copenhagen
 
Ci sono altri due documenti interessanti ascrivibili alla prima fase del processo di integrazione comunitaria in cui gli Stati membri hanno riaffermato i valori democratici dell’Unione.
Il primo caso riguarda la dichiarazione conclusiva del summit di Parigi del 1972. In essa, gli Stati membri affermarono l’impegno alla promozione dei valori democratici, tra cui la libertà di opinione, il libero movimento di uomini ed idee e la piena partecipazione della società civile attraverso un processo elettorale trasparente[4].
Pochi anni più tardi, nel 1978, al vertice di Copenhagen venne predisposta una nuova Dichiarazione ufficiale relativa ai valori democratici. Il documento sviluppa i medesimi punti della Dichiarazione di Parigi di sei anni prima. Diversamente da quella, però, approfondisce il rapporto tra l’esercizio dei diritti sociali e le garanzie democratiche.
Nessuno dei documenti citati richiama espressamente il concetto di consultazione delle parti interessate. Benchè i diritti ed i valori espressi siano tutti ascrivibili al concetto di ordinamento democratico, non venne ritenuto opportuno specificare espressamente quale dovesse essere il coinvolgimento delle parti interessate nelle procedure decisionali.
La spiegazione, tuttavia, è agevole. Non va dimenticato, infatti, che al tempo l’ordinamento comunitario viveva una prima fase di sviluppo. Non solo, dunque, il numero delle procedure decisionali svolte interamente a livello sovranazionle era ancora ridotto. Inoltre, era ritenuto prematuro argomentare in ordine ad un processo di integrazione completa tra sfere giuridiche nazionali e sfera comunitaria. Le garanzie di democraticità, allora, vennero legate di più all’esercizio di diritti e libertà fondamentali, piuttosto che all’esercizio di diritti procedurali specifici in capo ai soggetti interessati. L’unico riferimento alla democrazia partecipativa era quello inerente lo sviluppo di un sistema politico ed elettorale non discriminatorio.
 
2. La seconda fase del processo di democratizzazione in Europa. I problemi legati allo sviluppo democratico delle istituzioni
 
La seconda fase del processo di integrazione e democratizzazione in Europa si apre a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta del secolo scorso.
In questa fase il centro dell’attenzione del dibattito resta ancorato sulla definizione di quale fosse, o dovesse essere, il rapporto tra il processo di integrazione e, appunto, lo sviluppo democratico delle istituzioni. A differenza della fase precedente, tuttavia, si attribuì ad esso per la prima volta una connotazione problematica. Agli osservatori, infatti, apparve evidente che mentre il primo, il processo di integrazione, aveva compiuto significativi passi in avanti; al secondo, il processo di democratizzazione, continuava a frapporsi una serie di ostacoli: a partire da una un’eccessiva burocratizzazione delle procedure, per arrivare alla decisa prevalenza della componente tecnocratica su quella democratica in seno alle procedure decisionali.
Il fallimento del tentativo di accrescere il peso e la rilevanza del Parlamento europeo (un problema, questo, di cui dirò meglio e più approfonditamente in seguito) vennero interpretate (ed in effetti furono) un’ulteriore evidente dimostrazione dell’esistenza di un problema in tal senso. Ciò nonostante che, almeno sulla carta, i riferimenti ufficiali all’opportunità di accrescere la legittimazione democratica delle istituzioni e dei processi continuassero ad essere numerosi.
Il più interessante tra i documenti ascrivibili al periodo in esame è l’Atto Singolo europeo, entrato in vigore nel luglio del 1987. Il documento opera, nel preambolo, alcuni riferimenti generici allo sviluppo dei valori democratici. Ivi specifica che gli Stati ratificanti si impegnano a: «(…) promuovere insieme la democrazia basandosi sui diritti fondamentali sanciti dalle costituzioni e dalle leggi degli Stati membri, dalla convenzione per la salvaguardia del diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta sociale europea, in particolare la libertà, l’uguaglianza e la giustizia sociale».
Si afferma, inoltre, la consapevolezza degli esecutivi nazionali in merito alla: «(…) responsabilità (…) di far valere in particolare i principi della democrazia e il rispetto del diritto e dei diritti dell’uomo, al quale esse si sentono legate, onde fornire congiuntamente il loro contributo specifico al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali conformemente all’impegno che hanno assunto nell’ambito della Carta delle Nazioni Unite».
Come nel periodo precedente a quello esaminato, dunque, i riferimenti al sistema democratico continuano ad avere un tono piuttosto generico e sono orientati verso un concetto più vicino a quello di democrazia elettorale, piuttosto che di democrazia partecipativa in senso stretto. Infatti, allorchè l’Atto fa riferimenti al concetto di consultazione, non menziona i cittadini ma solamente le istituzioni comunitarie, quali la Commissione (o, meglio, i singoli comitati) e il Parlamento europeo.
 
3.1 La fase attuale. Il riconoscimento dei diritti endo-procedimentali ai cittadini europei. Il Trattato
 
La terza, ed ultima, fase del processo di democratizzazione europea, tuttora in corso, può essere fatta iniziare a cavallo tra la fine degli anni Novanta del secolo scorso e la prima decade del nuovo secolo.
È in questa fase che la normativa ed i documenti ufficiali operano il maggior numero di riferimenti al tema della legittimazione democratica dell’Unione. Al tempo stesso, e paradossalmente, è proprio in questa fase che si acquista la consapevolezza dell’esistenza di un deficit democratico dell’Unione[5].
Tra i documenti da prendere in considerazione vi sono il Trattato istitutivo, nell’ultima versione approvata a Lisbona nel 2007, la Carta di Nizza del 2000 ed il Codice europeo di buona condotta amministrativa.
Il Trattato istitutivo contiene, in tutte le sue versioni, riferimenti alla tutela dei valori democratici e della partecipazione diffusa alla vita politica ed istituzionale dell’Unione. Alla democrazia si fa riferimento, da un punto di vista generale, nel preambolo, allorchè si specifica che gli Stati membri si ispirano: «(…) alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di diritto».
Nonché, anche, nei passaggi successivi del Preambolo stesso, allorchè si ribadisce il medesimo principio, seppure in funzione programmatica.
Alla democrazia quale valore fondante dell’Unione fanno poi riferimento l’articolo secondo e l’intero Titolo secondo. Nell’articolo secondo, peraltro, trova menzione anche il principio dello Stato di diritto, da cui discende la procedimentalizzazione delle garanzie partecipative. In base alla disposizione citata: «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».
Il Titolo secondo del Trattato menziona i diritti partecipativi in numerose circostanze. Anzitutto, l’articolo nono legittima attivamente tutti i cittadini europei ad avere il diritto ad eguale attenzione da parte delle istituzioni e dei loro organi. Com’è noto, è cittadino europeo chiunque sia anche cittadino di uno Stato membro.
In base all’articolo decimo, al primo comma, il principio fondante dell’Unione è quello della democrazia rappresentativa. È confermato, pertanto, il ruolo del Parlamento europeo in qualità di principale istituzione rappresentare i cittadini a livello comunitario.
Quanto alla partecipazione endo-procedimentale propriamente detta rilevano, in primo luogo, il punto terzo dell’articolo decimo. In base ad esso: «Ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione. Le decisioni sono prese nella maniera il più possibile aperta e vicina ai cittadini».
In secondo luogo, va considerato l’articolo undicesimo, che è interamente dedicato alla partecipazione. Questo dispone, anzitutto, in merito al dovere dell’Unione di consentire ai cittadini di essere informati (comma primo) e impone, poi, un dialogo «aperto, trasparente e regolare» tra cittadini (o loro enti rappresentativi) e le istituzioni. Soprattutto, ai punti terzo e quarto stabilische che, rispettivamente: «Al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell’Unione, la Commissione europea procede ad ampie consultazioni delle parti interessate». E che: «Cittadini dell’Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l’iniziativa d’invitare la Commissione europea, nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione dei trattati»[6].
 
3.2 La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed il Codice di buona condotta amministrativa
 
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza nel 2000, si spinge oltre. Tra i diritti contemplati c’è anche quello ad una buona amministrazione. In merito, l’articolo quarantunesimo dispone, al secondo comma: «il diritto di ogni cittadino di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio; il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale; l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni».
Vengono riproposti, in buona sostanza, i presupposti di base dell’esercizio delle garanzie partecipative entro le procedure amministrative. Si contempla cioè il diritto al fair hearing nel caso di procedimento individuale (che possa cioè, almeno in teoria, recare pregiudizio alla posizione giuridica soggettiva dell’individuo); il diritto di accesso alle informazioni e l’obbligo di motivazione in capo all’amminiztrazione (che costituisce a sua volta il presupposto necessario per l’esercizio delle garanzie di revisione giudiziale delle decisioni).
Il Codice europeo di buona condotta amministrativa del 2005, infine, riprende e sviluppa ulteriormente i diritti espressi nella Carta dei diritti fondamentali. Tra le disposizioni di carattere più generale rientrano, ad esempio, gli articoli ventiduesimo e ventitreesimo, relativi, rispettivamente, al diritto dei cittadini ad ottenere informazioni da parte dei funzionari e il diritto di accedere ai documenti.
Più specifiche sono, invece, le garanzie contenute nell’articolo sedicesimo e seguenti. In base ad esso: «Nei casi in cui siano coinvolti i diritti o gli interessi di persone fisiche, il funzionario fa sì che, in ogni fase del processo decisionale, sia rispettato il diritto alla difesa. Ogni membro del pubblico ha il diritto, nei casi in cui deve essere presa una decisione che incide sui suoi diritti, di presentare commenti scritti e, se del caso, di presentare osservazioni orali prima che la decisione sia adottata».
Ai sensi dell’articolo diciottesimo, l’amministrazione è tenuta ad indicare i motivi della decisione presa. Le motivazioni devono essere offerte in modo dettagliato e, come specifica il terzo comma, qualora il numero dei destinatari sia tale da impedire la comunicazione dettagliata delle motivazioni, è dovere del funzionario impegnarsi a trasmettere, al cittadino che ne faccia richiesta, le motivazioni individuali. A tale proposito, peraltro, sovviene il contenuto dell’articolo ventesimo, in ragione del quale il funzionario amministrativo competente ha l’obbligo di notificare alla persona o le persone interessate la decisione che possa ledere i loro diritti.
In virtù dell’articolo diciannovesimo, le parti devono essere messe in condizione di impugnare la decisione. L’articolo dispone infatti che: «Una decisione dell’istituzione che possa ledere i diritti o gli interessi di una persona fisica contiene un’indicazione delle possibilità di ricorso disponibili per impugnare la decisione. Essa indica in particolare la natura dei mezzi di ricorso, gli organismi presso i quali possono essere esperiti, nonché i termini per farlo».
La norma va letta in combinato disposto con l’articolo ventiseiesimo, che consente ai cittadini di impugnare le decisioni dell’amministrazione europea presso il Mediatore.
 
3.3 Il Libro bianco sulla governance europea e la Costituzione europea
 
Un discorso a parte meritano due documenti che, pur ascrivibili al medesimo contesto, si differenziano rispetto ai precedenti. Il primo è il Libro bianco sulla governance europea, emanato con comunicazione della Commissione n. COM(2001) 428[7]. Il secondo, invece, è costituito dalla cd. Costituzione europea.
Nel caso del Libro bianco siamo in presenza di un documento che non è ascrivibile alla categoria dei documenti normativi, ma che risulta comunque di grande importanza per comprendere i riferimenti alla partecipazione e la consultazione delle parti interessate nell’ordinamento comunitario. Peraltro, in ordine alla questione relativa alla redazione dei Libri bianchi e verdi quali modalità per coinvolgere le parti interessate nell’assunzione delle decisioni di portata generale si dirà approfonditamente più avanti, nella seconda parte della ricerca.
Com’è noto, poi, il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa non è stato ancora ratificato. Il documento, dunque, per quanto di fondamentale importanza, non è al momento ancora entrato in vigore né vi è certezza sul se ed il quando questo evento si verificherà.
Il Libro bianco, dopo aver spiegato le ragioni per cui ritiene opportuna una modifica sostanziale alla governance dell’Unione – tra queste rientra la necessità di avvicinare l’esecuzione delle politiche europee ai cittadini – spiega quali sono i punti focali sui quali intervenire. Uno di questi è costituito dallo sviluppo di una «maggiore partecipazione ed apertura». A tale proposito, è previsto che la Commissione: «(…) fornirà informazioni on-line, regolarmente aggiornate, sull’elaborazione delle politiche, in tutte le fasi del processo decisionale. (…) instaurerà un dialogo più sistematico con i rappresentanti delle autorità regionali e locali,tramite associazioni nazionali ed europee, sin dalla prima fase dell’elaborazione delle politiche; (…) definirà e renderà pubblici criteri di qualità (standard minimi) da rispettare nelle consultazioni sulle politiche dell’Unione europea».
Le premesse esposte nel documento, dunque, fanno riferimento all’opportunità di una maggiore trasparenza e comunicazione, tanto con le istituzioni (nazionali, regionali e locali) quanto con i cittadini. Nel titolo II, ove vengono elencati i principi della buona governance, si fa menzione del principio di partecipazione. In base ad esso: «La qualità, la pertinenza e l’efficacia delle politiche dell’Unione dipendono dall’ampia partecipazione che si saprà assicurare lungo tutto il loro percorso, dalla prima elaborazione all’esecuzione. Con una maggiore partecipazione sarà possibile aumentare la fiducia nel risultato finale e nelle istituzioni da cui emanano tali politiche. Perché ci sia una maggiore partecipazione, è indispensabile che le amministrazioni centrali cerchino di interessare i cittadini all’elaborazione e all’attuazione delle politiche dell’Unione».
Sono le amministrazioni centrali (da intendersi presumibilmente quelle operanti a livello comunitario e nazionale) che, nelle intenzioni della Commissione, devono costituire il “motore” trainante per coinvolgere i cittadini.
Ai sensi del titolo III, relativo ai cambiamenti concreti proposti, questo ruolo viene esplicitato ulteriormente. Si ribadisce di nuovo l’opportunità di un regime trasparente, da svilupparsi per il tramite delle politiche di comunicazione, in particolare quelle informatiche. Quanto, invece, alla partecipazione all’elaborazione delle politiche vere e proprie, il documento spiega che: «A livello comunitario, la Commissione, nell’elaborare le sue proposte, deve tener conto delle realtà e delle esperienze regionali e locali. A tale scopo, la Commissione deve organizzare in forma più sistematica un dialogo con le associazioni europee e nazionali delle amministrazioni regionali e locali, rispettando al tempo stesso le disposizioni costituzionali e amministrative di ciascuno Stato membro. La Commissione sostiene le iniziative in corso intese ad accrescere la cooperazione tra le associazioni e il Comitato delle regioni. Contribuiranno a far conoscere meglio i rispettivi obiettivi, metodi di lavoro e strumenti anche gli scambi di personale e la formazione congiunta tra le amministrazioni ai vari livelli».
La stessa impostazione di apertura presso le parti sociali e la consultazione è presente nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa.
Il Titolo VI, dedicato alla vita democratica dell’Unione, contiene una serie di disposizioni estremamente interessanti a tale proposito. In base all’articolo I-45 («Principio dell’uguaglianza democratica») è diritto di tutti i cittadini beneficiare di uguale attenzione da parte delle istituzioni, organi ed organismi.
L’articolo I-46 titola significativamente «Principio della democrazia partecipativa». Esso ribadisce, anzitutto, il concetto per cui la rappresentanza dei cittadini avviene per il tramite del Parlamento europeo. Al punto terzo poi, spiega che: «Ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione. Le decisioni sono prese nella maniera il più possibile aperta e vicina al cittadino».
Le modalità per il cui tramite avviene la partecipazione sono esplicate dall’articolo I-47, per cui: «Le istituzioni danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell’Unione. Le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile. Al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell’Unione, la Commissione procede ad ampie consultazioni delle parti interessate (…)».
L’articolo I-50, infine, disciplina il principio di trasparenza, imponendo alle istituzioni comunitarie la massima apertura nei confronti dei cittadini dell’Unione.
 
 


[1] In realtà, chiariscono G.F. Mancini, D.T. Keeling, Democracy and the European Court of Justice, in The Modern Law Review, 1994, LVII, pag. 175: «Shocking though it may seem, the Community was never intended to be a democratic organisation. That is proved above all by the preamble and the first part of the Treaty of Rome in which the word “democracy” is not used at all and “liberty” is spoken of, like “peace”, as a value to be defended; so those terms are used not with reference to the form of government of the new international organisation, but in the light of the challenges and threats to which the founding Statesand the entire western world were subject in the 1950s».Successivamente gli autori chiariscono anche le ragioni a fondamento dell’originaria mancanza di riferimento al concetto di democrazia nella Comunità europea. Per un’analisi approfondita degli aspetti storici vedi F.A.M. Altin von Geusau (edited by), European Unification in the Twentieth Century. A Treasury of Readings, Nijmegen, Vidya Publishers, 1998.
[2] Cfr. G.F. Mancini, D.T. Keeling, op. cit., pag. 177: «Between the 1957 and the present day the situation has changed considerably. The Community is no longer an organism that pursues economic and social objectives with institutionals mechanisms that are indifferent to the requirements of democracy; instead it has at last been infected with thte democratic traditions of the Member States». Esistono autori che continuano ad interpretare il ruolo della Comunità europea come quello di un’organizzazione internazionale, con tutte le conseguenze che questo comporta per la partecipazione dei portatori di interessi. Lo fa notare, ad esempio, Sieberson S.C., The Proposed European Union constitution – Will it Eliminate the EU’s Democratic Deficit?, in Columbia Journal of European Law, 2004, X, pag. 181: «According to the intergovernmental theory, the EU has continued to operate in large part like an IGO»; P.L. Lindseth, Democratic Legitimacy and the Administrative Character of Supranationalism: the Example of the European Community, in Columbia Law Review, 1999, IXC, pagg. 654 ss. Sull’integrazione in senso lato vedi M. Wind, Sovereignty and European Integration. Towards a Post-Hobbesian Order, Houndmills, Basingstroke, New York, Palgrave, 2001; A. Duff, J. Pinder, R. Pryce (edited by), Maastricht and Beyond. Building the European Union, London, New York, Rutledge, 1994. Cfr. anche M. Newman, Democracy, Sovereignity and the European Union, New York, St. Martin’s Press, 1996, pag. 23: «The eclectic interpretation of the EU will naturally also have implications for the discussion of democracy. Those who are sure that the EU is moving – and should continue to move – towards Federalism can be quite confident that the EU is now a “polity” which requires fully democratic institutions. Those who are equally convinced that the states are – and should remain – dominant will contest this viewpoint»; P. Kruger, European institutions and identity in historical perspective, in Cavanna H. (edited by), Governance, Globalization and the European Union. Which Europe for Tomorrow?, Dublin, Portland, Four court Press, 2002, pagg. 95 ss.; N. Nugent, The Government and Politics of the European Union, Durham, Duke University Press, 2003, pagg. 3 ss.
[3] La Convenzione ha subito alcuni interventi modificatori destinati ad adattarne il contenuto alle nuove esigenze presentatesi nel coros del tempo. In tutto sono stati adottati dodici protocolli aggiuntivi. Tra i più importanti vi sono i Protocolli n° 1, 4, 6 e 7, che hanno aggiunto altri diritti e libertà a quelli già garantiti dalla Convenzione. Il Protocollo n° 9, invece, ha introdotto per i ricorrenti individuali la possibilità di portare il loro caso di fronte alla Corte, a condizione che detto strumento fosse stato ratificato dallo Stato convenuto e che il ricorso fosse accettato da un comitato di filtraggio. Una disamina approfondita la svolge M. Cousins, The European convention on Human Rights and Social Security Law, Antwerp, Oxford, Portland, Intersentia, 2008.
[4] La Dichiarazione è stata pubblicata nel Bollettino EU n. X del 1972, al punto 15. In merito si veda G.F. Mancini, D.T. Keeling, op. cit., pagg. 177 ss.
[5] La produzione scientifica sul tema è molto vasta. Ne parlano, tra gli altri, L. Siedentop, op. cit., 2001; J. Hokins, The Future of Sub-National Governments in a Supra-National World – Lessons from the European Union, in Victoria University Wellington Law Review, 2007, XXXVIII, pagg. 21 ss.; M. Newman, op. cit., pagg. 178 ss; J.H.H. Weiler, U. Haltern, F. Mayer, European Democracy and ist Critique, in J. Hayward (edited by), The Crisis of Representation in Europe, Frank Cass, 1995, pagg. 32 ss.; J.H.H Weiler, J.F. Aubert, R. Bieber, F. Emmert, Democracy and Federalism in European Integration, in Swiss Papers on European Integration, Verlag Stampfli+Cie AG, Bern, Schulthess Polygraphischer Verlag, Zurich, n. 1, 1995; A. Rosas, A. Antola, A Citizens’ Europe, In Search of a New Order, Sage, 1995; R. Bellamy, V. Bufacchi, D. Castiglione (edited by), Democracy and Constitutional Culture in the Union of Europe, Lothian Foundation Press, 1995; S. Andersen, K. Eliassen (edited by), The European Union: How Democratic Is It?, Sage, 1996;P.D. Masquardt, Deficit Reduction: Democracy, Technocracy, and Constitutionalism in the European Union, in Duke Journal of Comparative and International Law, 1994, 4:265, pagg. 265 ss.
[6] La presentazione delle iniziative da parte dei cittadini è regolata dal primo comma dell’articolo 24 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. In base ad esso: «Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le disposizioni relative alle procedure e alle condizioni necessarie per la presentazione di un’iniziativa dei cittadini ai sensi dell’articolo 11 del trattato sull’Unione europea, incluso il numero minimo di Stati membri da cui i cittadini che la presentano devono provenire».
[7] Cfr. A. Gatto, Governance in the European Union: A Legal Perspective, in Columbia Journal of European Law, 2005-2006, XII, pagg. 497 ss.; K.E. Jorgensen (edited by), Reflective Approaches to European Governance, London, Macmillan Press Ltd, 1997
 

Sgueo Gianluca

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