Tale business model introduce un cambio di rotta culturale, che investe e plasma la forma mentis dei giovani imprenditori, i quali si aprono verso nuove forme di impresa, svincolandosi dai metodi tradizionali, in linea con lo sviluppo tecnologico.
Il fenomeno in esame, seppur presenti delle analogie rispetto a quello delle PMI innovative, non va confuso con quest’ultimo, trattandosi di due realtà aziendali diverse ma sovrapponibili, ove la prima è lo stadio embrionale dell’altra.
Il presente elaborato si pone proprio l’obiettivo di svolgere un’analisi compilativa, con l’intento di far chiarezza, sull’ecosistema delle start-up e delle PMI innovative, tracciando le differenze tra questi due diversi ma simili fenomeni.
L’analisi verrà condotta sia sotto il profilo tecnico-giuridico e sia sotto quello fiscale, in termini di agevolazioni concesse ex lege al verificarsi, o mantenersi, di specifiche caratteristiche.
Per un riordino della materia, al fine di rendere più agevole la comprensione, si schematizzano i seguenti testi legislativi di riferimento: per le start- up innovative e incubatori certificati, la normativa di riferimento è il D.L. 179/2012 (recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”) e, nello specifico, si rinvia agli artt. 25-32; per le PMI innovative, invece, la normativa di riferimento è da rinvenire nel D.L. 3/2015 (recante “Misure urgenti per il sistema bancario e per gli investimenti”) e, nello specifico, si rinvia all’art. 4 e, infine, vi è la circolare AdE 16/2014[1].
Indice
- Che cosa si intende per start-up innovativa?
- Il concetto di incubatore certificato di start-up innovative
- Da start-up a PMI innovativa: l’evoluzione di una realtà imprenditoriale
- Disciplina fiscale delle start-up e PMI innovative
- Cosa occorre per creare un’impresa nell’era digitale?
- Brevi riflessioni conclusive
1. Cosa si intende per start-up innovativa?
Una start up innovativa, secondo la definizione contenuta nell’art. 25, comma 2 del D.L. 179/2012[2], è una società di capitali, nella specie una s.r.l., costituita anche in forma cooperativa che, sotto il profilo oggettivo, presenta i seguenti requisiti:
- è un’impresa nuova oppure costituita da non più di cinque anni;
- ha residenza fiscale in Italia, oppure in un Paese UE o SEE, ma con sede produttiva o filiale in Italia;
- dal secondo anno di attività, presenta un fatturato annuale pari ma non inferiore ad euro 5.000.000,00;
- non è quotata in un mercato regolamentato oppure in una piattaforma multilaterale di negoziazione;
- non distribuisce gli utili ma li reinveste nella start up stessa, diversamente perderebbe le agevolazioni e il carattere innovativo;
- ha come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di un prodotto o di un servizio innovativo ad alto valore tecnologico;
- non è il risultato di fusione, scissione o cessione di ramo d’azienda, ma si tratta di una società costituta ex novo.
Sotto il profilo soggettivo, invece, ai sensi dell’art. 25 co. 2 del D.L. 179/2012, una start up innovativa deve, inoltre, possedere almeno uno dei seguenti tre requisiti, tra loro alternativi:
- deve sostenere spese in R&S e innovazioni, nella misura ad almeno il 15%, corrispondente al maggior valore tra il fatturato e il costo della produzione;
- deve impiegare personale altamente qualificato (almeno 1/3 tra dottori di ricerca, dottorandi o ricercatori, oppure almeno i 2/3 con laurea magistrale);
- deve essere titolare, depositaria o licenziataria di almeno un brevetto oppure titolare di un software registrato.
Il D.M. 17.02.2016[3] ha introdotto la possibilità, per le start-up innovative, di redigere l’atto costitutivo mediante un modello standard tipizzato. Con l’utilizzo della firma digitale è possibile, quindi, evitare la costituzione della società innanzi ad un notaio.
Questa nuova modalità di costituzione presenta numerosi aspetti innovativi:
- il suo utilizzo, oltre ad essere su base volontaria, è completamente gratuito in quanto non sono previsti costi specifici legati alla creazione della nuova impresa;
- il processo è fortemente semplificato. Infatti, l’intera procedura si svolge telematicamente, su una apposita piattaforma concludendosi con firma digitale dei sottoscrittori dell’atto, al fine di riconoscerne l’identità.
È opportuno sottolineare come le start-up, contrassegnate dall’appellativo “innovativo”, devono essere iscritte nel Registro delle imprese, tenuto presso le Camere del Commercio, nella sezione speciale; la suddetta iscrizione, consente l’esonero dall’applicazione dall’imposta di bollo. Le start up innovative hanno anche diritto all’esonero dal pagamento dei diritti camerali dovuti annualmente, per un periodo di cinque anni dalla costituzione.
In estrema sintesi, la start up è un’impresa “neonata”, ossia un’impresa che è in vita da non più di cinque anni, decorso tale lasso temporale, non è più tale, ma diviene “maggiorenne”, dunque una P.M.I. oppure, come nella maggior parte delle ipotesi, fallisce, estinguendosi prima dei cinque anni.
In altre parole, la P.M.I. non è altro che la fase evolutiva della start up, alla quale vengono trasferite tutte le agevolazioni della precedente.
Volendo, meglio, definire la fattispecie de quo, possiamo ribadire e trascrivere la definizione organizzativa data dal noto imprenditore Steve Blank, secondo il quale “la start up è un’organizzazione temporanea, che ha lo scopo di cercare un business model scalabile e ripetibile”.
Infatti, sempre secondo Blank, la start up deve presentare alcune indiscutibili caratteristiche che permettono di distinguerla da imprese di altro genere; nello specifico, si fa riferimento alle seguenti caratteristiche:
- temporaneità: la start up è una fase transitoria, prima di divenire una vera e propria impresa;
- sperimentazione: la start up è alla ricerca di un modello di business (deve impiegare risorse e tentativi per trovare la formula giusta e divenire profittevole, facendo innovazione);
- il modello di business oggetto della sua “search” deve essere scalabile (quindi, operare in un mercato molto ampio con possibilità di crescere) e ripetibile nei suoi processi (esempio di vendita, di distribuzione ecc.).
2. Il concetto di incubatore certificato di start-up innovative
Il mondo delle start-up è legato, imprescindibilmente, alla figura del c.d. “incubatore certificato”. L’art. 25, comma 5 del D.L. 179/2012[4], ne fornisce la definizione.
L’incubatore certificato di start up innovative è una società di capitali (in genere una s.r.l., ma può anche essere una s.p.a.), anche cooperativa, residente in Italia, che offre servizi, anche in modo non esclusivo, per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative, assolvendo una funzione “mission” aziendale.
Sotto il profilo strutturale, un incubatore certificato deve possedere i seguenti requisiti:
- deve disporre di strutture, anche immobiliari, adeguate ad ospitare start-up innovative, quali spazi riservati al fine di accogliere attrezzature di prova, test, verifica o ricerca;
- deve disporre di attrezzature adeguate all’attività delle start-up innovative, quali sistemi di accesso in banda ultra larga alla rete internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi;
- deve essere amministrato o diretto da persone di riconosciuta competenza, in materia di impresa e di innovazione e avere, altresì, a disposizione una rete di consulenza manageriale permanente;
- deve avere regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche o partner finanziari, che svolgono attività o progetti legati al mondo start-up innovativo;
- deve avere comprovata e adeguata esperienza nell’attività di sostegno alle start-up innovative, con riferimento a progetti ricevuti di costituzione di start-up innovative, start-up avviate e riuscite, numero di collaboratori adeguato, tasso di crescita delle start-up incubate, un certo numero brevetti delle start-up incubate.
L’incubatore certificato, inoltre, dovrà essere iscritto in un apposito registro indicando il suo storico di incubatore, ossia le pregresse esperienze nel coadiuvare le start- up.
La logica di investimento che spinge un incubatore certificato, che altro non è che un imprenditore, nel sostenere la nascita di start-up innovative, può essere riassunta nel brocardo latino “do ut des”, ossia l’incubatore certificato offre strutture organizzative, immobiliari, servizi e competenze ottenendo in cambio, non somme di denaro bensì equity, vale a dire quote di partecipazione (non la maggioranza) nella start-up incubata, e qui si ravvisa il c.d. “cambio culturale”: l’imprenditore non chiede soldi alla neonata start-up bensì quote di partecipazione, il che comporta una condivisione del rischio (si può fallire, ma insieme, oppure si incrementano i profitti per entrambi: logica del rischio imprenditoriale).
Decorsi i cinque anni di vita, per la start-up si aprono due scenari: il fallimento, a cui segue l’estinzione sul piano civilistico e fiscale, oppure l’evoluzione, mutando in P.M.I. (Piccola Media Impresa) innovativa.
3. Da start-up a PMI innovativa: l’evoluzione di una realtà imprenditoriale
Nella legislazione domestica, la definizione di P.M.I. innovativa è racchiusa nell’art. 4, comma 1 del D.L. 3/2015[5]. A livello Ue, invece, una P.M.I. viene definita quale società con fatturato annuale pari o inferiore o, comunque, che non supera l’importo di euro 50 milioni[6].
Sotto il profilo strutturale, la P.M.I. innovativa è una società di capitali, costituita anche in forma di cooperativa, che possiede i seguenti requisiti di natura oggettiva:
- residenza in Italia, o in un Paese UE o in Stati SEE, purché in questi ultimi casi abbia una sede produttiva in Italia oppure una filiale;
- deve aver certificato l’ultimo bilancio da parte di un revisore contabile o società di revisione: qui risiede la differenza con la start- up innovativa, poiché quest’ultima può essere al suo primo anno di vita, mentre la P.M.I. deve essere almeno al secondo anno di vita;
- non deve essere quotata in borsa;
- non deve essere iscritta nella sezione speciale del Registro delle imprese: altra differenza con la start- up innovativa.
Sotto il profilo soggettivo, invece, una P.M.I. innovativa deve presentare almeno due delle seguenti caratteristiche:
- spese di ricerca e sviluppo pari ad almeno il 3% del maggior valore tra il costo e il valore totale della produzione;
- personale formato, almeno 1/5, da dottori di ricerca, dottorandi, ricercatori, con almeno tre anni di esperienza, oppure formato, almeno da 1/3, da personale in possesso della laurea magistrale;
- titolare o licenziataria di un brevetto o di un software registrato.
In estrema sintesi, la P.M.I. innovativa differisce dalla start- up innovativa in quanto non necessita di un oggetto sociale coincidente con lo sviluppo, produzione e commercializzazione di un prodotto/servizio innovativo, ad alto valore tecnologico (requisito obbligatorio, invece, per la start-up innovativa); non è assoggettata al limite temporale di cinque anni di costituzione; non è assoggettata al limite di fatturato pari ad euro 5.000.000,00; non è assoggettata al divieto di distribuzione degli utili; a differenza della start- up innovativa, è obbligata a certificare l’ultimo bilancio (essendo al secondo anno di vita, mentre la start- up no).
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4. Disciplina fiscale delle start- up e PMI innovative
In via preliminare, si evidenzia come l’art. 25, comma 8 del D.L. 179/2012, stabilisce che le start-up innovative e gli incubatori certificati devono essere iscritti nell’apposita sezione speciale presso il Registro delle imprese, al fine di poter beneficiare delle agevolazioni fiscali loro riconosciute ex lege.
L’iscrizione avviene telematicamente, mediante compilazione e presentazione della domanda in formato digitale, previo controllo della sussistenza dei requisiti necessari, i quali dovranno essere attestati anche successivamente all’iscrizione stessa: il rappresentante legale della start-up innovativa o dell’incubatore certificato, entro trenta giorni dall’approvazione del bilancio, oppure entro sei mesi dalla chiusura di ciascun esercizio, dovrà attestare il mantenimento dei predetti requisiti, depositando apposita dichiarazione presso l’ufficio del Registro delle imprese.
Per quanto riguarda l’aspetto fiscale in senso stretto, è possibile distinguere le agevolazioni tributarie ex lege concesse in due macro-aree, ossia le agevolazioni ordinarie e le agevolazioni maggiorate.
Per mera chiarezza espositiva, verranno analizzate schematicamente come segue.
Le agevolazioni ordinarie spettano sia ai soggetti passivi IRPEF che ai soggetti passivi IRES, ai sensi dell’art. 29, del D.L. 179/2012 e art. 4, comma 9 del D.L. 3/2015.
Per i soggetti passivi IRPEF (persone fisiche e soci di società di persone, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili, socio di una SNC o SAS) è prevista una detrazione dall’imposta lorda pari al 30% delle somme investite nel capitale sociale di una o più start up innovative (al contrario, se la start up non è innovativa non vi sono agevolazioni). L’investimento massimo detraibile, tuttavia, non può eccedere l’importo di euro 1.000.000,00 per ciascun periodo d’imposta. Il D.M. Finanze 7.5.2019, precisa che, affinché si possa beneficiare di tali agevolazioni, è necessario che l’investitore riceva dalla start up, dove sta investendo, i seguenti documenti:
1) la certificazione che attesti il rispetto dei limiti massimi per i conferimenti relativamente al periodo di imposta in cui è stato fatto l’investimento, ossia euro 15.000.000,00 per la singola start up;
2) il piano di investimento della start up/P.M.I. innovativa, contenente le informazioni dettagliate sull’oggetto dell’attività, sui prodotti e sull’andamento di vendite e profitti. Si tratta, nella specie, di una sorta di garanzia comprovante le modalità di investimento della predetta cifra, la cui mancanza è percorribile anche in sede penale.
Per i soggetti passivi IRES (ad esempio, s.p.a. o s.r.l.) che investono in una start up innovativa o in una P.M.I., vi sarà una deduzione dal reddito pari al 30% dei conferimenti effettuati. Affinché si possa usufruire di tale beneficio è necessario mantenere la partecipazione all’interno della start up/p.m.i. innovativa per almeno tre anni. Tuttavia, vi sono dei limiti: l’investimento massimo deducibile non può eccedere l’importo di euro 1.800.000,00 in ciascun periodo d’imposta, comportando, di fatto, un risparmio IRES annuale pari ad euro 129.600,00[7].
Tali agevolazioni sono ammesse per investimenti effettuati a partire dall’anno 2017 e a condizione che l’investimento sia mantenuto per almeno tre anni, sia per i soggetti IRPEF che per i soggetti IRES.
Inoltre, sia per le start-up innovative che per le P.M.I. innovative vi è un minimo di conferimento, ossia gli incentivi spettano fino ad un ammontare complessivo pari ad euro 15.000.000,00. Nel caso di investimenti nelle P.M.I. innovative, per poter fruire delle agevolazioni fiscale c.d. ordinarie, è necessario che tali agevolazioni siano considerate “ammissibili”, ai sensi dell’art. 1, co. 2, lett. c) del D.M. 19.5.2019[8], nel rispetto della disciplina europea dettata in materia di aiuti di Stato.
Nello specifico, si considerano “ammissibili” le P.M.I. in possesso dei requisiti, di cui al D.L. 3/2015, fino al settimo anno dalla loro prima vendita commerciale; il range temporale aumenta, fino a dieci anni dalla loro prima vendita, se attestano di non aver ancora dimostrato a sufficienza il loro potenziale di generare rendimenti; non vi sono limiti temporali, nel caso di P.M.I. innovative che effettuano investimenti in capitale di rischio, sulla base di un business plan relativo a un nuovo prodotto oppure ad un nuovo mercato geografico, superiore al 50% del fatturato medio annuo rispetto ai precedenti cinque anni.
Le agevolazioni maggiorate, la cui disciplina è da rinvenire nell’art. 38, co. 7-8 del D.L. 34/2020 che innovato rispettivamente il D.L. 179/2012, con l’art. 29-bis e l’art. 4 del D.L. 3/2015, con il comma 9-ter, spettano solamente ai soggetti passivi IRPEF.
Si tratta di una nuova detrazione IRPEF sugli investimenti nel capitale di start up e PMI innovative, maggiorata a quota 50% (rispetto a quella esistente del 30%) e fruibile solo dalle persone fisiche e società di persone (per trasparenza ai soci). Restano invece esclusi i soggetti passivi IRES, per i quali resta invariata la disciplina (deduzione fiscale pari al 30% dell’investimento).
Anche in questo caso, a pena di decadenza dal beneficio, l’investimento deve essere mantenuto per almeno tre anni.
Con riferimento al limite massimo dell’investimento detraibile, il DM 28.12.2020, prevede una detrazione dall’IRPEF lorda del 50% dell’investimento effettuato in start up innovative, fino ad un massimo di euro 100.000,00 annui; detrazione dall’IRPEF lorda del 50% dell’investimento effettuato in PMI innovative, fino ad un massimo di euro 300.000,00 annui. Per gli investimenti che superano tale limite, sulla parte eccedente ed in ciascun periodo di imposta, si potrà detrarre un importo pari al 30% dell’eccedenza (ex art. 29 del DL 179/2012, richiamato dal comma 9 dell’art. 4 del DL 3/2015), nel limite minimo dei 200.000,00 euro, in tre esercizi finanziari ì, per la stessa start up o PMI innovativa.
Sotto il profilo procedimentale, prima di effettuare l’investimento, da parte del soggetto investitore, l’impresa beneficiaria dovrà presentare apposita istanza preventiva, mediante la piattaforma informatica del MISE in “Incentivi fiscali in regime de minimis per investimenti in start up e PMI innovative”.
Il diritto all’agevolazione “maggiorata” viene meno se il soggetto investitore, entro tre anni dalla data dell’investimento, cede, anche parzialmente, a titolo oneroso, le partecipazioni o quote ricevute, in cambio degli investimenti agevolati oppure nel caso in cui la start up innovativa perda uno dei requisiti richiesti ex lege o, ancora, la PMI innovativa perda uno dei requisiti di ammissibilità, oppure nel caso in cui recedano o vengano esclusi degli investitori o, nel caso, di riduzione del capitale investito.
5. Cosa occorre per creare un’impresa nell’era digitale?
Al fine di creare un’impresa nel mondo digitale è necessario partire da un’idea e pensare alla medesima secondo il modello del business digitale, ossia da un punto di vista commerciale e riflettere come renderla redditizia.
Prima di “lanciare” un’idea sul mercato, occorre verificarne la fattibilità: decidere se l’idea sia attuabile, effettuando indagini sui clienti e sulla concorrenza, nonché valutare i possibili consumatori di quel prodotto/servizio.
Dopo aver svolto tale analisi preliminare, occorre reperire risorse, per trasformare l’idea in un progetto imprenditoriale.
In tal senso, si pone un’insormontabile problema: come si possono reperire fondi necessari?
Sussistono tre modalità mediante le quali un soggetto può finanziare il proprio progetto:
- Crowfunding;
- Venture Capital;
- Business Angels.
Analizziamoli singolarmente nel dettaglio.
Equity Crowfunding
Si tratta di un meccanismo che consente di accedere al capitale non ricorrendo direttamente al sistema bancario, ma mediante l’apertura al pubblico. Tale meccanismo può essere attuato dalle start up e da tutte le PMI e SRL italiane (con fatturato inferiore ad euro 50 milioni), anche non innovative (art. 26, co. 5 e art. 30, DL 179/12).
Sotto il profilo funzionale, la società offerente, che ricerca fondi, può lanciare una campagna attraverso uno dei quarantasette portali italiani di Crowfunding autorizzati dalla Consob, offrendo, per la realizzazione di un determinato progetto imprenditoriale, una parte delle sue quote societarie; coloro che aderiscono all’offerta, diventano in automatico soci dell’impresa, in maniera proporzionale a quanto versato.
Rispetto alla raccolta di capitale presso un istituto di credito, non occorrono garanzie e non occorre restituire il capitale con interessi.
Il 20 ottobre 2020 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’UE il Regolamento 2020/1503 Regulation on European Crowfunding Service Providers (Reg. ECSP), che istituisce un sistema armonizzato per tutti gli Stati membri, attraverso il quale le start up e PMI potranno rivolgersi ad investitori di altri Paesi Ue, tramite portali autorizzati a livello transfrontaliero, e raccogliere fino ad euro 5.000.000,00 annuali.
Business Angels
Con tale espressione si vuole identificare gli investitori informali privati che supportano la nascita e il primo stadio di sviluppo dei progetti imprenditoriali (fase embrionale), apportando sia capitale che capacità gestionale.
Si tratta di soggetti dotati di competenze strategiche e gestionali e know- how, maturati per un periodo non inferiore a due anni in imprese private.
I Business Angels si inseriscono nella fase “seed”, aiutando la società ad “arrivare” sul mercato, apportando un massimo di investimento pari ad euro 500.000,00[9].
Ma cosa chiedono in cambio i Business Angels?
Non chiedono la maggioranza, ma aspirano alla rappresentanza del CdA (Consiglio di Amministrazione), controllo sulle decisioni finali, diritti veto e di informazione (c.d. “golden share”, onde evitare che il neofita faccia danni), priorità nella distribuzione degli utili, dismissione dopo un periodo di tempo medio- lungo (c.d. “exit”, tecnicamente consiste nella vendita di quote di una società da parte del fondatore o di un soggetto che vi abbia investito, al fine di realizzare un guadagno), clausole a tutela dell’uscita (put options, Drag- along e Tag- along).
Venture Capital
Si tratta di un’altra tipologia di investitori, ossia le società finanziarie specializzate nell’investimento in capitale di rischio in start up tecnologiche. A differenza dei Business Angels, i c.d. Venture Capitalist operano nella fase di sviluppo e consolidamento dell’azienda e non in quella di avvio (c.d. fase “seed”) e, inoltre, operano su dimensioni maggiori.
Dunque, nella fase di inizializzazione di un’impresa, al fine di reperire fondi per consolidare l’idea in un progetto imprenditoriale, l’ideatore può affidarsi alle campagne di Crowfunding oppure ai Business Angels, mentre nella fase successiva di sviluppo, potrà reperire i fondi mediante l’ausilio di Venture Capitalist.
6. Brevi riflessioni conclusive
Dall’analisi fin qui svolta, è possibile comprendere, almeno in parte, il funzionamento del multiforme universo delle start-up e delle PMI innovative.
Si tratta di realtà imprenditoriali che si stanno sviluppando in misura crescente nel panorama globale-industrializzato. Il carattere “innovativo” favorisce l’accesso alle agevolazioni fiscali previste dalla legge, al fine di sostenere lo sviluppo di tali business model.
Volgendo uno sguardo alla realtà domestica, l’Italia, ad oggi, non è un Paese che favorisce l’insediamento di tali realtà, o meglio, non ancora.
Nonostante vi siano gli ingredienti giusti (ci sono le leggi, imperfette, in qualche caso difficili da interpretare, ma ci sono; i vantaggi fiscali non mancano; le risorse non scarseggiano), la salita è ancora ardua: se non si mettono assieme tutti questi ingredienti, se l’innovazione non diventa cultura di un Paese, se non si favorisce l’ambiente di crescita di tali model che rompono gli schemi tradizionali, allora il nostro Paese dista anni luce nel divenire terreno fertile per l’insediamento di start-up innovative.
Il darwinismo delle start-up, a parere di chi scrive, è un fenomeno remoto che non collima con la forma mentis italiana, ancora fortemente legata ai vetusti metodi imprenditoriali e non sempre pronta ad un radicale cambiamento di cultura o vedute.
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La presente trattazione è incentrata sulle dinamiche societarie.Inizia con la definizione del contratto di società e prosegue con la disciplina giuridica e le caratteristiche di questi enti, elencando in modo dettagliato i caratteri dei vari tipi di società e differenziando le società di persone dalle società di capitali, la denominazione e la ragione sociale.Il capitolo due è dedicato all’attività di amministrazione degli enti giuridici in questione, con particolare attenzione alle persone dei soci e alla loro attività.Il capitolo tre suona come un’innovazione, si parla della privacy in relazione alle recenti modifiche che hanno introdotto la figura del DPO.Il capitolo quattro prende in considerazione un altro fondamentale aspetto, le vicende della società, confrontando tra loro trasformazione, fusione, scissione e liquidazione.L’intento di questo lavoro è dare ai lettori una disamina delle società più ampia e dettagliata, con la consapevolezza che la vastità della materia impone contenuti riassunti, non meno efficaci di lunghe dissertazioni, con la speranza che sia utile a dare a chi legge una visione migliore.Alessandra Concas, Giornalista iscritta all’albo dell’Ordine di Cagliari e Direttore responsabile di una redazione radiofonica web. Interprete, grafologa e criminologa.In passato insegnante di diritto e lingue straniere, alternativamente. In relazione alla grande passione per il diritto, collabora dal 2012 con la Rivista giuridica on line Diritto.it, per la quale è altresì Coautrice della sezione delle Schede di Diritto e Referente delle sezioni attinenti al diritto commerciale e fallimentare, civile e di famiglia.
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Note:
[1] Avente ad oggetto: “Articolo 25 e seguenti del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 – Agevolazioni fiscali in favore delle start-up innovative e degli incubatori certificati”.
[2]L’art. 25 del D.L. 179 del 2012, al comma secondo stabilisce che: “(..) l’impresa start-up innovativa, di seguito «start-up innovativa», è la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che possiede i seguenti requisiti: a) LETTERA SOPPRESSA DAL D.L. 28 GIUGNO 2013, N. 76; b) è costituita e svolge attività d’impresa da non più di quarantotto mesi; c) ha la sede principale dei propri affari e interessi in Italia; d) a partire dal secondo anno di attività della start-up innovativa, il totale del valore della produzione annua, così come risultante dall’ultimo bilancio approvato entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio, non è superiore a 5 milioni di euro; e) non distribuisce, e non ha distribuito, utili; f) ha, quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico; g) non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda; h) possiede almeno uno dei seguenti ulteriori requisiti: 1) le spese in ricerca e sviluppo sono uguali o superiori al 15 per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione della start-up innovativa. Dal computo per le spese in ricerca e sviluppo sono escluse le spese per l’acquisto e la locazione di beni immobili (..) sono altresì da annoverarsi tra le spese in ricerca e sviluppo: le spese relative allo sviluppo precompetitivo e competitivo, quali sperimentazione, prototipazione e sviluppo del business plan, le spese relative ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati, i costi lordi di personale interno e consulenti esterni impiegati nelle attività di ricerca e sviluppo, inclusi soci ed amministratori, le spese legali per la registrazione e protezione di proprietà intellettuale, termini e licenze d’uso. Le spese risultano dall’ultimo bilancio approvato e sono descritte in nota integrativa. In assenza di bilancio nel primo anno di vita, la loro effettuazione è assunta tramite dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante della start-up innovativa; 2) impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale ai sensi dell’articolo 3 del decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270; 3) sia titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale ovvero sia titolare dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purché’ tali privative siano direttamente afferenti all’oggetto sociale e all’attività di impresa”.
[3] Il decreto ministeriale 17 febbraio 2016 definisce le modalità di redazione degli atti costitutivi di società a responsabilità limitata (startup innovative).
[4] “L’incubatore di start-up innovative certificato (..) è una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che offre servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative ed è in possesso dei seguenti requisiti: a) dispone di strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca; b) dispone di attrezzature adeguate all’attività delle start-up innovative, quali sistemi di accesso in banda ultralarga alla rete internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi; c) è amministrato o diretto da persone di riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e ha a disposizione una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente; d) ha regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari che svolgono attivita’ e progetti collegati a start-up innovative; e) ha adeguata e comprovata esperienza nell’attività di sostegno a start-up innovative, la cui sussistenza è valutata ai sensi del comma 7”
[5] Art. 4 del D.L. 3/2015, la cui rubrica è “Piccole e medie imprese innovative”, sancisce che: “Per piccole e medie imprese innovative (..) si intendono le PMI, come definite dalla raccomandazione 2003/361/CE, societa’ di capitali, costituite anche in forma cooperativa, che possiedono i seguenti requisiti: a) la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 73 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, o in uno degli Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo, purche’ abbiano una sede produttiva o una filiale in Italia; b) la certificazione dell’ultimo bilancio e dell’eventuale bilancio consolidato redatto da un revisore contabile o da una societa’ di revisione iscritti nel registro dei revisori contabili; c) le loro azioni non sono quotate in un mercato regolamentato; d) l’assenza di iscrizione al registro speciale previsto all’articolo 25, comma 8, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221; e) almeno due dei seguenti requisiti: 1) volume di spesa in ricerca, sviluppo e innovazione in misura uguale o superiore al 3 per cento della maggiore entita’ fra costo e valore totale della produzione della PMI innovativa. Dal computo per le spese in ricerca, sviluppo e innovazione sono escluse le spese per l’acquisto e per la locazione di beni immobili; nel computo sono incluse le spese per acquisto di tecnologie ad alto contenuto innovativo (…) sono altresi’ da annoverarsi tra le spese in ricerca, sviluppo e innovazione: le spese relative allo sviluppo precompetitivo e competitivo, quali sperimentazione, prototipazione e sviluppo del piano industriale; le spese relative ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati come definiti dall’articolo 25, comma 5, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221; i costi lordi di personale interno e consulenti esterni impiegati nelle attivita’ di ricerca, sviluppo e innovazione, inclusi soci ed amministratori; le spese legali per la registrazione e protezione di proprieta’ intellettuale, termini e licenze d’uso. Le spese risultano dall’ultimo bilancio approvato e sono descritte in nota integrativa; 2) impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al quinto della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’universita’ italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attivita’ di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a un terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’universita’ e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270; 3) titolarita’, anche quali depositarie o licenziatarie di almeno una privativa industriale, relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varieta’ vegetale ovvero titolarita’ dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purche’ tale privativa sia direttamente afferente all’oggetto sociale e all’attivita’ di impresa”
[6] “La categoria delle micro-imprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese con meno di 250 occupati, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro”. Estratto dell’articolo 2 dell’allegato della raccomandazione 2003/361/CE.
[7] Ai fini esemplificativi: 30% (percentuale dei conferimenti deducibile dal reddito complessivo) x 1.800.000,00 euro (investimento massimo deducibile) x 24% (aliquota IRES) = 129.600,00 euro.
[8]Art. 1, comma 2, lett. c) del D.M. 19.5.2019: “per PMI innovative ammissibili si intendono le PMI che: (i) rientrano nella definizione di PMI innovativa di cui all’art. 4, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, anche non residenti in Italia purché in possesso dei medesimi requisiti, ove compatibili, a condizione che le stesse siano residenti in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo e abbiano una sede produttiva o una filiale in Italia; (ii) ricevono l’investimento iniziale a titolo della misura anteriormente alla prima vendita commerciale su un mercato o entro sette anni dalla loro prima vendita commerciale. Le PMI innovative, dopo il periodo di sette anni dalla loro prima vendita commerciale, sono considerate ammissibili in quanto ancora in fase di espansione o nelle fasi iniziali di crescita: 1) fino a dieci anni dalla loro prima vendita commerciale, se attestano, attraverso una valutazione eseguita da un esperto esterno, di non aver ancora dimostrato a sufficienza il loro potenziale di generare rendimenti; 2) senza limiti di età, se effettuano un investimento in capitale di rischio sulla base di un business plan relativo ad un
nuovo prodotto o a un nuovo mercato geografico che sia superiore al 50 per cento del fatturato medio annuo dei precedenti cinque anni, in linea con l’art. 21, paragrafo 5, lettera c), del regolamento (UE) n. 651/2014”.
[9] In Italia, mediamente, un Business Angels investe circa 180.000,00 nelle operazioni di suo interesse.
BIBLIOGRAFIA
Scali L. e Vianello S. “Start up digitali e PMI innovative”, HOEPLI, 2016.
Pagamici B. “Start up innovativa”, IPSOA, 2018.
SITOGRAFIA
Migliorini E. “Qual è la differenza tra start up e PMI innovative?”, www.fiscomania.com, 2021.
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