Con la recente sentenza emessa dalla III sezione penale della Suprema Corte, ovvero la n. 12949 del 2021 i giudici del “Palazzaccio” hanno inteso rafforzare il principio generale enunciato dall’art. 95 del codice penale secondo cui, per i reati commessi in stato di intossicazione cronica da droga o alcol il reo dovrà essere esentato dal giudizio penale o, alternativamente, dovrà ricevere una riduzione della pena prevista per il reato commesso.
Sommario
- La vicenda
- I motivi del ricorso
- La pronuncia della Corte di Cassazione
- Aspetti medico legali del concetto di tossicità
- Conclusioni
1. La vicenda
La vicenda trae origine da una condanna che ha visto mutare il computo della pena nei primi due gradi di giudizio, per avere il reo commesso i reati di violenza sessuale (in misura meno grave), furto e molestie mentre si trovava in un evidente stato di alterazione psicofisica dovuta all’assunzione di una importante quantità di alcol.
La pena ottenuta in primo grado, a seguito di giudizio abbreviato, aveva portato a una prima condanna pari a due anni e tre mesi di reclusione. La successiva impugnazione dinanzi alla Corte di Appello ha condotto ad una riduzione della pena a due anni di reclusione.
2. Motivi del ricorso
Sebbene la Corte di Appello nel computare la pena si è avvalsa delle riduzioni previste dall’art. 95 del codice penale, il condannato ha voluto comunque presentare ricorso per Cassazione sul presupposto che la riduzione della pena fosse troppo modesta se rapportata all’esito della perizia psichiatrica effettuata in corso di giudizio di primo grado. Dalla citata perizia è emerso, infatti, che l’imputato era afflitto da un disturbo da consumo di alcol recidivante, almeno a far data dal 2010, ma la Corte di Appello, sulla base di una valutazione negativa della personalità e della condotta dell’imputato, ha voluto ridurre la pena di poco rispetto a quanto ordinariamente previsto.
Per questo il ricorso concludeva per l’annullamento della sentenza impugnata, ribadendo l’illogicità della motivazione nella parte relativa alla misura della diminuzione della pena.
3. La pronuncia della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’imputato chiarendo sostanzialmente che il principio dell’art. 95 c.p. si basa su una diminuzione della pena per i reati commessi in stato di cronica intossicazione da sostanze stupefacenti o alcol e, tale principio deve intendersi come applicabile per i casi in cui emerga uno stato patologico di carattere cronico, quindi di lungo corso e senza possibilità di rapida guarigione, che incide in maniera significativa sulla capacità di intendere e di volere del reo al momento della commissione del fatto.
Secondo gli ermellini tale principio dovrebbe ritenersi indirettamente rimarcato anche dall’art. 92 c.p. che prevede come per i casi di ubriachezza volontaria o colposa non vi sia una sottrazione al giudizio penale o una diminuzione della pena, prevedendo anzi, un aggravio per i casi in cui lo stato di ubriachezza sia stato preordinato al fine di avere una scusa per la commissione del delitto.
Da tale ultima previsione, proprio per la natura patologica dell’intossicazione da droga o alcol, si è reso necessario prevedere una diversa misura di giudizio per gli affetti da tale stato e che, quindi, devono beneficiare delle relative riduzioni previste.
Nel caso in esame, la cronicità del problema è emersa in maniera abbastanza chiara dalla perizia a cui è stato sottoposto il reo dinanzi al giudice di prima facie.
Inoltre, come già chiarito in altra pronuncia (Cass. Pen. n. 33268/2013), la determinazione della pena dovrà essere parametrata in maniera graduale allo stato di gravità della malattia e della sua incidenza nella condotta posta in essere in concreto dal soggetto agente.
All’esito dell’articolato ragionamento logico-giuridico posto in essere dagli Ermellini, questi hanno deciso di annullare la sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio, rinviando alla corte di appello per un nuovo computo della pena.
4. Aspetti medico legali del concetto di tossicità
Da un punto di vista prettamente medico legale è stato oggetto di ampio dibattito il concetto di “capacità di intendere e di volere” nel soggetto tossicomane che compie un atto di natura delittuosa.
Occorre innanzitutto rilevare che essendo il codice penale di “vecchia data”, poiché emanato nel 1930, viene data una maggiore attenzione circa il concetto di ubriachezza. In quella fase storica, infatti, i problemi relativi alle dipendenze erano per lo più legati all’alcol. Con l’evoluzione dei costumi e delle abitudini sociali, si è arrivati fino ai giorni “nostri” in cui l’effetto droga ha raggiunto livelli di diffusione altissimi e, con l’aumento dell’utilizzo vi è di pari passo un aumento dei soggetti che giungono in uno stato di dipendenza.
In realtà, come chiarito anche dal prof. Leggeri in un suo saggio sulla connessione tra tossicodipendenza e imputabilità, “Esiste una differenza sostanziale sul piano clinico, sintomatologico, anatomopatologico, sociale e psicologico fra intossicazione da alcool e intossicazione da sostanza stupefacente”. Da tale assunto si capisce come, con riferimento al dettato dell’art. 93 del codice penale, che in buona sostanza equipara il grado di responsabilità tra tossici di alcol e tossici di droghe, sia necessario un intervento del legislatore che miri a rendere più chiaro le modalità di applicazione della pena.
Per il caso dell’alcol, inoltre, il concetto di abitualità che giunge fino alla tossicità è abbandonato a una valutazione troppo discrezionale e poco clinica in quanto, in realtà, l’alcol consiste in una sostanza di uso domestico e, pare difficile stabilire in maniera clinica lo stato di tossicità del reo che utilizza tale “scusante” per la commissione di un reato.
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Conclusioni
Da quanto emerso dall’analisi della sentenza in commento e quanto dedotto da un punto di vista medico-legale pare in effetti confusionario l’attuale assetto normativo proprio per la difficoltà di riconoscere la gravità di intossicazione.
Il computo della pena, infatti, è stato effettuato in maniera diversa in ogni grado di giudizio ed è stato rimandato ancora a nuova valutazione.
Inoltre, sebbene l’art. 92 c.p. prevede che se l’ubriachezza è stata preordinata al fine di commettere il reato vi è un aggravio di pena, in realtà l’eccessiva discrezionalità consentita dalla normativa vigente può condurre a un abuso di alcol proprio per giungere ad una pena mite o, addirittura, alla non imputabilità.
Pare anche abbastanza chiaro che ai fini della valutazione circa lo stato di tossicità di un soggetto debba sopravvenire una scissione netta tra l’utilizzo di sostanza alcolica e l’utilizzo di sostanza stupefacente, poiché come chiarito anche dal mondo medico-legale gli effetti comportamentali che tali sostanze generano sono totalmente diversi.
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