Legge 120/20 (ex dl semplificazioni) : primi appunti sulle novelle in materia di servizi culturali di valorizzazione e servizi per il pubblico

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Una novella che esclude il ppp ed il terzo settore dalla gestione dei servizi di valorizzazione e per il pubblico

L’art.8 comma 7-bis della L.120/2020[1] ha apportato alcune modifiche al Codice dei Beni Culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42: in particolare: a) all’articolo 115 comma 3, primo periodo, le parole: “delle attività di valorizzazione” sono state sostituite dalle seguenti: “ovvero mediante l’affidamento di appalti pubblici di servizi”; b) all’articolo 115 al comma 4, terzo periodo, dopo le parole: “di cui all’articolo 114” sono state aggiunte le seguenti: “ferma restando la possibilità per le amministrazioni di progettare i servizi e i relativi contenuti, anche di dettaglio, mantenendo comunque il rischio operativo a carico del concessionario e l’equilibrio economico e finanziario della gestione”; c) all’articolo 117, comma 3, sono stati aggiunti i seguenti periodi: “Qualora l’affidamento dei servizi integrati abbia ad oggetto una concessione di servizi ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera vv), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, l’integrazione puo’ essere realizzata anche indipendentemente dal rispettivo valore economico dei servizi considerati. E’ ammessa la stipulazione di contratti di appalto pubblico aventi ad oggetto uno o più servizi tra quelli di cui al comma 1 e uno o piu’ tra i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria[2]”.

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Sembra ovvio che la novella abbia ristretto le possibilità di gestione indiretta dei beni culturali di appartenenza pubblica alle sole forme della concessione servizi e dell’appalto e non alle altre forme del PPP o del project financing, per come previsto nell’ancora vigente DM 29 gennaio 2008[3] che al comma 6 richiama il project financing di cui “agli articoli 152 e seguenti del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”.

Tanto è reso evidente, non solo dalla lettera immutata del comma 3 dell’articolo 115 (“concessione a terzi”) del D.Lgs 42/04 e dalla nuova versione dell’articolo 117, comma 3 C.b.C. che fa riferimento alla concessione di servizi ex-articolo 3, comma 1, lettera vv), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, ma anche dal riferimento fatto dal comma 4 dell’art. 115 C.b.C. al solo “rischio operativo”, espressamente previsto per le concessioni in forza dell’art. 3 comma 1 punto vv) e dell’art. 165 comma 1 del D.Lgs 50/16) e non anche ai “rischi di costruzione, domanda e disponibilità” propri dei PPP a norma dell’art. 180 comma 3 del Codice Contratti.

Ed ancora, nonostante il tanto parlare sulla socializzazione dei beni culturali per gli scopi sussidiari di solidarietà, oggi tanto apprezzati dalla Corte Costituzionale (sentenze nn.131/20 e 255/20)[4], la novella ipso iure esclude che possa essere applicata la normativa sui servizi di valorizzazione a mezzo delle concessioni servizi, nei casi di servizi di interesse generale non economici, ovvero servizi sociali di interesse generale[5], che interessano la cultura. Infatti, l’art. 4 c.2 della Dir.2014/23/UE e l’art. 164 c.3 del D.gs 50/16 escludono possa essere applicata la normativa sulle concessioni a tali servizi di interesse generale non economico.

In altre parole, i nuovi articolati escludono gli operatori del terzo settore dalla gestione dei servizi di valorizzazione e dei servizi al pubblico appunto perchè tali operatori rendono servizi di tipo non economico cui non si applica la normativa sulle concessioni di servizi, salvo che tali enti del terzo settore partecipino e vincano gare di appalto: cosa quanto mai improbabile considerati i presupposti di gara di cui alla valutazione comparativa sulla sostenibilità economico-finanziaria della gestione indiretta, previsti all’art. 115 comma 4 C.b.C..

Al di là delle previsioni fatte nel Codice del Terzo Settore[6], manca, poi, una specifica norma di coordinamento tra il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio con detto Codice del Terzo Settore, cosa che invece la L.120/20 ha fatto con riferimento ad alcuni richiami fatti nel D.Lgs 50/16 e smi al Codice del Terzo Settore.

Servizi culturali come servizi sociali di interesse generale o no?

Agli enti del terzo settore, operatori del servizi sociali di interesse generale (SSIG[7]), ove affidatari di servizi di valorizzazione per beni culturali, non si appplica, dunque, la normativa sulla valorizzazione (artt.115 e 117) del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, la normativa del Codice dei Contratti Pubblici in ordine alle concessioni, quella sugli aiuti di Stato (in quanto esercenti attività non economiche e non distorsive del mercato[8]). Le loro attività non producono, inoltre, impatti sugli equilibri di bilancio.

Essi sono sottoposti ad un regime differenziato di public procurement (affidamenti), tra enti pubblici e soggetti del terzo settore, quali gli accreditamenti (art.11 L.328/2000), la co-programmazione e la co-progettazione (ex-art.55 del D..Lgs 117/17), regime fondato sulla pratica e sulla regola della partecipazione[9], oggi confermato dalle due rivoluzionarie sentenze della Corte Costituzionale (sentenze n.131/2020 e n.255/20) prima citate[10].

Si applica, dunque, solo il Codice del Terzo Settore a mezzo dell’art. 89 comma 17 del D.Lgs 117/17 per gli enti del terzo settore iscritti al Registro Unico Nazionale Terzo Settore (RUNTS) ed oggetto dei detti accreditamenti, ex-art. 55 c.4 e/o convenzioni ex-art. 55 D.Lgs 11/17.

Unica eccezione all’esenzione dall’applicazione del Codice dei Contratti è che si applicano solo gli obblighi di pubblicità (ex-artt.19, art.31, par. 3, e artt.32, 46 e 47 della Dir.2014/23/UE).

Anche se la redditività dei loro investimenti è di tipo freddo, per come tipico in gran parte delle attività culturali, la norma del Codice del Terzo Settore non prevede che i ricavi possano provenire dal canone riconosciuto dall’Ente pubblico per la domanda di servizio, come nei PPP ai sensi dell’art. 180 c.2 e c.4. del D.Lgs 50/16[11].

Una domanda si pone: attesa la novella di cui all art.117 c.3 del D.Lgs 42/04, recata dal Decreto semplificazioni e dalla legge di conversione 120 del 2020, che fine faranno i PPP?

La legge 120 infatti prevede espressamente concessione servizi[12] ed appalti per la gestione dei servizi al pubblico[13].

Abbiamo, però, visto che l’art. 4 c.2 della Dir.2014/23/UE e l’ art. 164 c.3 del D.gs 50/16 dicono che la normativa sulla concessioni servizi non si applica ai servizi di interesse generale non di tipo economico.

Sarebbe logico si applicasse la normativa sui PPP ai servizi culturali, svolti da enti no-profit non economici (per attività di nulla o scarsa redditività, dunque “fredda”) anche a titolo dei contratti di forme speciali di partenariato di cui all’art. 89 comma 17 del D.Lgs 117/17. Nei PPP i ricavi sono, infatti, il canone riconosciuto dall’ente per la domanda di servizio ex-art. 180 c.2 e c.4. D.Lgs 50/16 (ricordiamo che i PPP sono relativi ad opere /attività fredde[14]). Vista la previsione del nuovo comma 3 dell’art. 117 C.b.C. si può, dunque, in tali casi applicare l’istituto del PPP?

A giudicare da senso e lettera della norma novellata, è fuor di dubbio che il legislatore preferisca, invece, applicare il solo regime delle concessioni di servizio (e degli appalti, comunque non idonei agli enti no-profit) che, come dicevamo prima, si riferisce solo ad opere/attività calde ovvero redditive. Il legislatore ha inteso, dunque, tutti i servizi al pubblico come un’attività redditizia.

Per come noto, invece, salvo alcuni casi come il Colosseo e pochi altri, il settore culturale è, rebus sic stantibus[15], poco redditizio o non lo è affatto.

Le forme speciali di partenariato di cui all’art.89 comma 17 del D.Lgs 117/17, che rimandano all’art. 151 comma 3 del Codice Contratti, potrebbero prestarsi invero, secondo noi, ad un applicazione anche sperimentale di canone riconosciuto dall’amministrazione pubblica per la domanda di servizio ex-art. 180 c.2 e c.4. D.Lgs 50/16.

La Circolare n. 45/19 della DG Musei MiBACT potrebbe essere un segnale in tale senso[16]. Nel modello di avviso, pubblicato in allegato sul sito istituzionale, veniva previsto quanto segue: “Ove l’Operatore abbia natura non lucrativa e tenuto conto della destinazione del bene a fini socio-culturali, ai sensi degli artt. 11 e 12 del D.P.R. n. 296 del 2005, l’importo dovuto è pari a euro …… corrispondente al 10% del canone annuo determinato dal competente ufficio dell’Agenzia del Demanio”. E’ inteso in tale modello che il carattere non economico del soggetto no-profit e la tipologia di servizio reso (eventualmente su domanda[17]) all’Amministrazione Pubblica portano ad un’agevolazione rilevante sul canone da pagare all’Amministrazione (10%!).

Tecnicamente, dunque, la stessa genericità della norma e comunque la semantica dell’articolato (“forma speciale di partenariato”), potrebbero condurre a sostenere un riferimento al PPP per il riconoscimento di un canone ex-art. 180 c.2 e c.4. D.Lgs 50/16.

Certamente, però, la recente novella legislativa, oltre a costituire, una contraddizione rispetto al recente zeitgeist normativo di attenzione al terzo settore (rappresentato perfettamente in ultimo dalle citate sentenze della Corte Costituzionale), rappresenta un occasione persa anche per la necessità di fare finalmente chiarezza sul rapporto tra Codice del Terzo Settore e Codice dei Beni Culturali[18].

La crisi pandemica, le annunciate crisi pandemiche a venire[19] e la conseguente necessità di riconversione ad una fruizione non in presenza ma a distanza, con tutti i problemi giuridici e di tutela dei diritti connessi all’uso di immagini e contenuti dei beni che verranno digitalizzati[20], renderanno, per molto tempo a venire, l’intero settore culturale “freddo” (anzi freddissimo).

Visto il fallimento di numerose compagnie aeree in conseguenza della crisi covid[21], la vendita dei titoli azionari di compagnie aeree da parte di grandi protagonisti della finanza internazionale[22] e le visioni strategiche espresse dal World Economic Forum e da altre Agenzie Internazionali, quali UNESCO, OCSE, FMI, UNWTO[23], etc., ci sembra di potere affermare che scomparirà con ogni probabilità il turismo di massa “mordi e fuggi”, per tornare ad un turismo affluente e di elite, di tipo semiresidenziale, come nei Grand Tour del 1700 e 1800. Sparirà ovvero la principale voce di entrata del sistema turistico culturale Italiano relativo non solo alla fruizione dei luoghi della cultura ma a tutto il sistema che vi gravita intorno, quale l’alberghiero, la ristorazione, i servizi, l’artigianato, etc[24]..

Non si può fondatamente ritenere, dunque, oggi, ma sopratutto, domani, l’offerta di gran parte del patrimonio culturale pubblico Italiano quale fonte redditiva di entrate relative a servizi classificabili quali servizi di tipo economico cui applicare la normativa sulle concessioni servizi per i servizi di valorizzazione e per il pubblico, per come previsto dal comma 3 dell’art. 164 del D.gs 50/16 e dall’articolo 4 comma 2 della Direttiva 2014/23/UE in combinato disposto con la nuova norma.

La qui commentata novella del comma 3 dell’art. 117 C.b.C, per come recata dal DL Semplificazioni convertito nella L.120/20, sembra, dunque, tecnicamente, illogica e contraria alla Direttiva Europea 2014/23 e, nel merito, fuori tempo rispetto alle conseguenze di lungo periodo della crisi.

Si auspica, pertanto, che il legislatore voglia correggere le improprietà tecniche della norma, qui illustrate, e avviare finalmente una riflessione legislativa sulla necessità di coordinamento tra il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio e quello del Terzo Settore.

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Note

[1] Testo del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (in S.O. n. 24/L alla Gazzetta Ufficiale – Serie generale – n. 178 del 16 luglio 2020), coordinato con la legge di conversione 11 settembre 2020, n. 120, recante: «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale.» (GU n.228 del 14-9-2020 – Suppl. Ordinario n. 33)

[2] È evidente che la possibilità di scorporare dalla concessione alcuni dei servizi al pubblico di cui all’articolo 117 comma 2 per darli in appalto, contraddice la tendenza alla contrattualistica “global service” che tanto sembrava preferibile alcuni anni fa (cfr., atto di indirizzo Ministro Buttiglione). Sul punto si veda Sub art. 117, in G. LEONE – A. L. TARASCO (a cura di), Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, Cedam, Padova, 2006, Presentazione di Salvatore Settis, pagg. 737-761., pag.739 e l’ivi citato P.A. VALENTINO, Dai servizi aggiuntivi al global service, 131 ss. 132. “Altra cosa è la concorrenza tra diversi operatori del medesimo servizio nello stesso luogo della cultura, ciò che non viene espressamente rifiutato negli artt.115 e 117 Codice, è testualmente escluso nella circolare interpretativa dell’ottobre 2005 relativa ai nuovi capitolati speciali, che parla di affidamento in concessione, in regime di esclusiva per la durata di nove anni” (G.LEONE-A.L.TARASCO, ibidem, pag.740). Sulla scorporabilità dei servizi aggiuntivi: “(…) l’eventuale opzione amministrativa di gestire le attività di valorizzazione in forma diretta non esclude che i servizi aggiuntivi (che delle prime rappresentano solo una parte) possano essere esternalizzati in tutto o in parte, attraverso l’affidamento diretto o la concessione a terzi (rispettivamente, lett.a) e b) comma 3 art.115 o viceversa. La ragione di tale scorporabilità può essere indivuata sia nella diversità strutturale dei servizi aggiuntivi rispetto alle generali attività di valorizzazione che nella giuridica impossibilità per lo Stato di comprimere la libertà di scelta dell’ente pubblico territoriale che, diversamente, sarebbe costretto a gestire direttamente o esternalizzare in blocco la valorizzazione ed i servizi aggiuntivi (…)”. Rimandiamo ad altre interessanti ed attuali considerazioni sui criteri della valutazione comparativa, e sopratutto sul paradosso finale del ragionamento circa la prevalenza del principio di sussidiarietà orizzontale che renderebbe tutte le opzioni per la gestione diretta come incostituzionali, agli stessi autori G.LEONE-A.L.TARASCO, op.cit., pag.747-752

[3] DM 26 gennaio 2008 recante “Modalità di affidamento a privati e di gestione integrata dei servizi aggiuntivi presso istituti e luoghi della cultura” (GU n. 88 del 14-4- 2008 ). Ancora residua nell’ordinamento tale norma di rango secondario. Il comma 6 prevede che: “previa autorizzazione della direzione generale per il bilancio e la programmazione economica, la promozione, la qualita’ e la standardizzazione delle procedure e delle direzioni generali competenti per materia, in presenza di particolari esigenze che comportino, a titolo esemplificativo, l’apertura al pubblico di nuovi luoghi di cultura ovvero interventi complessi, quali ristrutturazioni, restauri, adeguamenti funzionali, riallestimenti, inseriti nella programmazione triennale o negli altri strumenti di programmazione del Ministero, l’amministrazione procedente puo’ anche ricorrere alle procedure di cui agli articoli 152 e seguenti del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni”. Certamente tale norma di rango secondario rispetto al complesso dei mancati rimandi dovuti alle abrogazioni degli strumenti normativi e regolamentari non sarebbe più applicabile nel 6 comma relativo all’utilizzo della finanza di progetto all’epoca normata dagli articoli 152 e 153 e smi del vecchio codice dei contratti. Mentre sarebbe possibile usare nei tale DM nei casi previsti dall’articolo 1 commi 303-305 della legge 30 dicembre 2004, n.311 che prevede che i beni culturali di cui all’articolo 10 comma 1 del Codice per l’uso dei quali attualmente non è corrisposto alcun canone e che richiedono interventi di restauro sono concessi in uso a privati con pagamento di un canone fissato da competenti organi. Il concessionario realizza a proprie spese gli interventi di restauro e conservazione. Dal canone di concessione vengono detratte le spese sostenute dal concessionario per il restauro entro il limite massimo del canone stesso. Il concessionario è obbligato a rendere fruibile il bene da parte del pubblico con le modalità e i tempi stabiliti nell’atto di concessione o in apposita convenzione unita all’atto stesso. Il primo bando avente ad oggetto la concessione a terzi soggetti non profit di tredici immobili di interesse culturale è stato pubblicato con decreto del Direttore generale Musei del MiBACT del 28 ottobre 2016. Due criticità sia consentito citarle: 1. il citato decreto prevede l’obbligo di un PEF asseverato da parte dei detti soggetti no-profit (un perfetto ossimoro chiedere un business plan a chi non può fare business); 2. appunto avere ristretto l’applicazione ai soggetti no-profit, cosa non prevista dalla legge.

[4] Citiamo un passaggio della Sentenza della CORTE COSTITUZIONALE n.131/20 “(…) Del resto, lo stesso diritto dell’Unione – anche secondo le recenti direttive 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e 2014/23/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, nonché in base alla relativa giurisprudenza della Corte di giustizia (in particolare CGUE, quinta sezione, sentenza 28 gennaio 2016, in causa C-50/14, CASTA e a. e CGUE, quinta sezione, sentenza 11 dicembre 2014, in  causa C-113/13, Azienda sanitaria locale n. 5 «Spezzino» e a., che tendono a smorzare la dicotomia conflittuale fra i valori della concorrenza e quelli della solidarietà) – mantiene, a ben vedere, in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà (sempre che le organizzazioni non lucrative contribuiscano,  in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente al perseguimento delle finalità sociali)”. Nello stesso senso la sentenza della SUPREMA CORTE n.255/20 parla di (..) “facoltà ai sensi della direttiva2014/24/UE, del Parlamento europeo edel Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE…… (degli) Stati membri…….(di) prevedere l’affidamento tramite modalità estranee al regime dei contratti pubblici o comunque attraverso un regime di evidenza pubblica alleggerito”.

[5] I Ssig (o anche servizi di interesse generale SIG) riguardano l’erogazione di servizi non di mercato che le autorità pubbliche considerano di interesse generale e che assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico. Comprendono i Servizi non economici di interesse generale, che si riferiscono ad attività connesse all’esercizio delle prerogative dei pubblici poteri, quali (la navigazione aerea e marittima, la giustizia, la sanità, i servizi di sicurezza sociale, etc), che non sono soggetti alla disciplina della concorrenza. Per la definizione europea si veda, https://ec.europa.eu/info/topics/single-market/services-general-interest_it. Circa la posizione italiana sui SIEG si veda Relazione 2016 sui Servizi di interesse economico generale (SIEG) del Dipartimento Politiche Europee Presidenza del Consiglio dei Ministri. Le relazioni sui Servizi di interesse economico generale (SIEG) sono presentate dal Dipartimento Politiche Europee alla Commissione UE e consentono ai cittadini di conoscere quali settori hanno ricevuto il sostegno dello Stato per compensare il costo dei servizi pubblici e le condizioni alle quali esso è stato ricevuto. Esse sono realizzate ai sensi dell’articolo 9 della decisione 2012/21/UE del 20 dicembre 2011 e del punto 62 della Comunicazione 2012/C 8/03 del 24 dicembre 2011. Nella relazione 2016 lo Stato Italiano indica come SSIG il solo Servizio Sanitario Nazionale, mentre sia il Servizio Idrico Integrato che il Servizio Gestione Rifiuti viene indicato come SIEG ma escluso dalla normativa sugli aiuti di Stato. L’edilizia sociale e i collegamenti aerei e aeroporti sono indicati come SIEG. In atto, ancorchè la cultura sia indicata come LEP dal 2015, il Governo Italiano non ha sinora indicato la cultura come SSIG.

[6] Di cui agli articoli 5, 71 comma 3 e 89 comma 17 del D.Lgs 117/17, sul tema si veda più avanti

[7] Si consenta rimandare a quanto precedemente scritto dall’autore A.BRUNO “Aiuti di Stato: nella cultura” pubblicato il 14 dicembre 2018 su “www.diritto.it”, ISSN 1127-8579, pag.10) e in A.BRUNO “Note a margine e de iure condendo – seconda parte :cooperazione in forme sussidiarie e partecipate per la valorizzazione del patrimonio culturale” pubblicato il 23 maggio 2019 su www.ildirittoamministrativo.it. In tali scritti è stato suggerito al legislatore di puntare su una riclassificazione del settore degli aiuti di Stato alla cultura sotto l’egida dei servizi sociali di interesse generale (SSIG). La classificazione è la seguente: servizi di interesse generale (SIG), servizi di interesse economico generale (SIEG) e dei servizi sociali di interesse generale (SSIG). Essi traggono origine, a livello comunitario, dal Libro verde sui servizi di interesse generale, Bruxelles, 21 maggio 2003, COM (2003) 270, cui hanno fatto seguito il Libro bianco sui servizi di interesse generale, Bruxelles, 12 maggio 2004, COM (2004) 374, e la Comunicazione della Commissione relativa a I servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali di interesse generale: un nuovo impegno europeo, Bruxelles, 20 novembre 2007 COM (2007) 724

[8] Per i servizi aggiuntivi si veda il cpv 207 della Comunicazione 262/16) che esclude l’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato ad attivita’ non economiche o incisive degli scambi tra stati (cons. 72 reg.651/14). Cfr. A. BRUNO “Nuove considerazioni in tema di aiuti di stato per imprese culturali e creative: tassonomie generiche,contrasti normativi e programmazione 2021-2027” pubblicato il 4 novembre 2020, su “www.ildirittoamministrativo.it” e A.BRUNO”Principio dell’operatore economico di mercato (meop) ed aiuti di stato negli appalti per il settore culturale” su “www.ildirittoamministrativo.it”, del 23.03.2020;

[9] Sull’art.55 si veda il controverso parere del CONS.STATO, Parere 20 agosto 2018, n. 2052 reso su richiesta ANAC espressa a mezzo nota prot.n. 59638 del 6 luglio 2018. Si segnalano alcuni commenti in “Gli appalti di servizi sociali e Codice del Terzo Settore” – Giurdanella.it e “Se fossero gli appalti a favorire la corruzione” di S.DE CARLI, 23.09.2018, in www.vita.it

[10] Citiamo un passaggio della Sentenza della CORTE COSTITUZIONALE n.131/20 “(…) Del resto, lo stesso diritto dell’Unione – anche secondo le recenti direttive 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e 2014/23/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, nonché in base alla relativa giurisprudenza della Corte di giustizia (in particolare CGUE, quinta sezione, sentenza 28 gennaio 2016, in causa C-50/14, CASTA e a. e CGUE, quinta sezione, sentenza 11 dicembre 2014, in  causa C-113/13, Azienda sanitaria locale n. 5 «Spezzino» e a., che tendono a smorzare la dicotomia conflittuale fra i valori della concorrenza e quelli della solidarietà) – mantiene, a ben vedere, in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà (sempre che le organizzazioni non lucrative contribuiscano,  in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente al perseguimento delle finalità sociali)”. Nello stesso senso la sentenza della SUPREMA CORTE n.255/20 parla di (..) “facoltà ai sensi della direttiva2014/24/UE, del Parlamento europeo edel Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE…… (degli) Stati membri…….(di) prevedere l’affidamento tramite modalità estranee al regime dei contratti pubblici o comunque attraverso un regime di evidenza pubblica alleggerito”.

[11] Il comma 17 dell’art.89 del D..Lgs 117/17 sui servizi di valorizzazione non prevede alcuna agevolazione al contrario del comma 3 dell’art. 71, nei casi di restauro e gestione del bene, che prevede un canone agevolato.

[12] Art. 3 comma 2 punto vv) prevede che la «concessione di servizi», è un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera ll) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi. Sulla definizione di concessione di servizi si segnala la pronuncia del CONS.STATO, Sez.V, 21 marzo 2018, n. 1811, in ordine alla traslazione del rischio operativo di cui aveva peraltro già trattato l’Adunanza Plenaria del CONS.STATO, 27 luglio 2016, n. 22. Riportiamo un passaggio della pronuncia del CONS.STATO, Sez.V, 21 marzo 2018, n. 1811: “La giurisprudenza europea, prima dell’entrata in vigore della Direttiva del Parlamento europeo del Consiglio 2014/23/UE, ha chiarito che elemento decisivo ai fini della qualificazione dell’affidamento di un certo servizio come concessione risiede nel trasferimento del rischio (cfr. Corte giustizia Comunità europee, 13 novembre 2008, C-437/07, Commissione c. Italia), specificando ulteriormente che il rischio va inteso come esposizione all’alea di mercato che ricorre, in primo luogo, nel caso in cui, essendo la remunerazione del servizio garantita da soggetti terzi rispetto all’amministrazione, l’operatore economico può trovarsi nella situazione in cui il ricavato dell’attività svolta a favore dei terzi non consente la copertura integrale dei costi sostenuti (cfr. CGUE, 10 marzo 2011, C-274/09, Strong Segurança SA), mentre non assumono rilevanza i rischi legati a una cattiva gestione o ad errori di valutazione da parte dell’operatore economico poiché insiti in qualsiasi contratto, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo sia riconducibile alla tipologia dell’appalto pubblico di servizi ovvero a quella della concessione di servizi (cfr. CGUE, 10 novembre 2011, C-348/10, Norma-A Sia). A sua volta la giurisprudenza nazionale ha, dapprima, attribuito rilevanza alla struttura del rapporto, che intercorre tra due soggetti (stazione appaltante e appaltatore) nel caso dell’appalto di servizi ed invece tra tre soggetti (amministrazione concedente, concessionario ed utente) nel caso della concessione di servizi (cfr. CONS.STATO, Adunanza plenaria, 7 maggio 2013, n. 13), per poi indicare nel rischio economico l’elemento qualificante la concessione (cfr. CONS.STATO, sez. VI, 21 maggio 2014, n. 2624 e Cass. civ., Sezioni Unite, 20 aprile 2017, n. 9965)”.

[13] La testè citata sentenza del CONS.STATO, Sez.V, 21 marzo 2018, n. 1811 si sofferma sulla differenza tra appalto di servizi e concessione servizi.

[14] Sulla questione della differenza tra opere calde e opere tiepide ed opere fredde anche con riferimento alle parti del contratto oggettivamente sperabili, le parti del contratto non oggettivamente separabili e contratto misto con appalto si veda C.GUCCIONE in “Oggetto e durata della concessione” in “Il contenzioso e la giurisprudenza in materia di appalti pubblici” di C.CONTESSA, La Tribuna, 2020, pag. 682 e ss. Si veda poi la definizione data dal CONS.STATO, Adunanza della Commissione Speciale del 21 marzo 2016, n. 855 secondo il quale il PPP contrattuale ha “ad oggetto solo opere fredde”.

[15] E senza l’applicazione delle coraggiose riforme legislative (e anche in via amministrativa) da anni proposte da Antonio Leo Tarasco per determinare fonti di reddito dalla fruizione e valorizzazione del pattrimonio culturale. Sul tema e sugli utili confronti con le esperienze di altri paesi si rinvia ancora a A.L.TARASCO, Il patrimonio culturale, modelli di gestione e finanza pubblica, Napoli, 2017 e A.L.TARASCO “Diritto e gestione del patrimonio culturale”, Laterza 2019, pag. 220

[16] Nella presentazione sul sito istituzionale della circolare 45/19 della DG Musei MiBACT, a firma dei dirigenti A.L.TARASCO e A.LAMPIS, veniva significativamente scritto: “Un istituto di particolare rilievo che, vista la sua formulazione ampia e generica, può essere applicato a molti tipi e cause contrattuali, non prevedibili a priori, che ruotano dalla fornitura di servizi di progettazione all’assistenza museale, dall’allestimento e presentazione di istituti e luoghi della cultura per la pubblica fruizione fino alla consulenza organizzativa”. Il rapporto pubblico privato della forma speciale di partenariato, dice il Carpentieri, può raffigurarsi in una dinamica a “formazione progressiva” resa favorevole dalla genericità della previsione di legge. Con step successivi, da un primo rapporto di mecenatismo, si potrebbe secondo l’autore sviluppare, un legame di maggiore spessore all’interno del quale possono confluire apporti e rapporti di varia natura, la donazione di servizi, la formazione sul campo, la collaborazione per gli scavi archeologici, azioni di informazione e coesione sociale sul territorio, progetti di fruizione e valorizzazione, etc.. Si veda P.CARPENTIERI“Il Partenariato pubblico-privato nel campo dei beni culturali”, in Impresa e Cultura 13° rapporto annuale Federculture, Gangemi 2017

[17] Per i concetti relativi al rischio di domanda, disponibilità e costruzione del PPP si rimanda al saggio A.BRUNO “Public private partnership e indicazioni soft-law di Eurostat” pubblicato su diritto.it il 12 novembre 2017

[18] Nella relazione tecnica al disegno di legge di iniziativa governativa per la delega al Governo per la riforma del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio del Governo Conte 1 si faceva riferimento a tale necessità di coordinamento (Consiglio dei Ministri. Comunicato stampa del 28 febbraio 2019. Fonte Governo.it). Si veda “Disegno di legge di iniziativa governativa “Delega al Governo per la semplificazione, la razionalizzazione, il riordino, il coordinamento e l’integrazione della normativa in materia di contratti pubblici” in discussione al Senato della Repubblica n.1162 XVIII Legislatura ed ancora si veda A.BRUNO “Note a margine e de iure condendo – seconda parte : cooperazione in forme sussidiarie e partecipate per la valorizzazione del patrimonio culturale” pubblicato il 23 maggio 2019 su www.ildirittoamministrativo.it

[19] E.MESSINA “Oms, la pandemia di Covid «non è necessariamente la peggiore», è stata «un campanello di allarme», Corriere della Sera, 29 dicembre 2020: “Ora abbiamo le armi del vaccino, ma con il coronavirus «dobbiamo imparare a convivere», afferma il responsabile delle emergenze dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, e prepararci a emergenze peggiori”.

[20] A.BRUNO “Beni culturali digitalizzati” come misura antipandemica: possibili scenari programmatici e regolatori per il “recovery and resilience facility”europeo”su www.diritto.it del 3 novembre 2020;

[21] https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_airlines_impacted_by_the_COVID-19_pandemic

[22] “Warren Buffett ha venduto tutte le azioni delle compagnie aeree: “Ho fatto un errore” su Forbes.it Investimenti 4 Maggio, 2020

[23] Si veda A.BRUNO “Strategie per il post covid-19 nel settore culturale : Strumenti per l’applicazione del principio di sussidiarieta’ e territorializzazione delle politiche di sviluppo di cui ai nuovi regolamenti europei” su diritto.it del 9 giugno 2020, ove in premessa si fa una panoramica delle posizioni espresse dal Gruppo di Davos e da altre agenzie internazionali

[24] Sul tema si veda, infine, anche il recente saggio A.BRUNO “Strategie per il post Covid-19 nel settore culturale: declinazioni territoriali e sussidiarie per la gestione“ su “I bacini culturali e la progettazione sociale orientata all’heritage-making, tra politiche giovanili, innovazione sociale, diversità culturale” Regione Siciliana e Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Politiche Giovanili, Progetto ABACUS, 2020, Editrice All’Insegna del Giglio” ISBN 978-88-9285-006-4 -ISBN 978-88-9285-007-12020, pagg.245-267

 

 

Prof. Avv. Bruno Aurelio

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