Legge Cirinnà: in tutte le sue sfaccettature

Redazione 07/12/18
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La novella (76/2016) ha riformato il diritto di famiglia introducendo la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze di fatto.

Note vicissitudini, politiche e non, hanno portato il legislatore a prendere atto del diffondersi, sul piano sociologico, del fenomeno della famiglia di fatto e delle coppie omosessuali.

A seguito dell’intervento normativo, può dirsi effettivamente superata la concezione tradizionale di famiglia, fondata esclusivamente sulla disposizione di cui all’art. 29 Cost.: accanto al negozio solenne mediante il quale un uomo e una donna assumono l’impegno di stabile convivenza e di reciproco aiuto come marito e moglie, è possibile distinguere altre due forme familiari, seppur diverse dal matrimonio.

Unioni civili

Da un lato vi è l’unione civile, composta necessariamente da due persone maggiorenni dello stesso sesso che hanno reso apposita dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile, in presenza di due testimoni; dall’altro lato, vi è la convivenza more uxorio tra due persone maggiorenni, indifferentemente eterosessuali o omosessuali, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimoni o da un’unione civile.

In entrambi i casi, fonte normativa di riferimento è principalmente l’art. 2 Cost., che impegna la Repubblica a garantire i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.
Elementi comuni alle unioni civili e alle convivenze di fatto sono l’elemento materiale della stabile convivenza (che, peraltro, prescinde dalla coabitazione, intesa come coincidenza delle residenze anagrafiche) e il dato psicologico rappresentato dall’esistenza di un progetto di vita in comune, analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia legittima; non è invece essenziale la presenza di figli.

Numerose sono però le differenze, al punto che la dottrina più attenta non ha esitato a definire la disciplina introdotta dalla Legge n. 76/2016 come “a tutela decrescente”.

Per le unioni civili tra persone dello stesso sesso si assiste ad una sostanziale equiparazione al matrimonio: con una tecnica legislativa originale, il legislatore ha in parte rinviato alle disposizioni del codice civile previste per il vincolo coniugale tradizionale, estendendone la portata applicativa; in altra parte, ne ha riprodotto testualmente il contenuto in appositi commi dell’unico articolo della legge Cirinnà.

Peraltro, le due discipline, matrimonio e unioni civili, non sono perfettamente sovrapponibili, non essendo, ad esempio, mancando un dovere di fedeltà tra i soggetti interessati e, quanto allo scioglimento dell’unione, essendo stato prevista un’ipotesi di divorzio diretto, attivabile senza passare dalla fase della separazione personale.

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Coppie di fatto

La convivenza di fatto, invece, non è uno status familiae ed è caratterizzata dall’assenza di qualsivoglia vincolo giuridico, ovvero da una maggior libertà dei suoi componenti.
Elemento costitutivo della convivenza di fatto tra persone di stato libero è la stabilità dei legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, nonché la stabile convivenza.

Il legislatore ha distinto tra la disciplina base, applicabile a tutti i conviventi more uxorio (commi da 38 a 49 e 65 dell’art. 1, con cui si introduce una normativa frammentaria, che recepisce una serie di soluzioni già elaborate in sede giurisprudenziale) e quella operante solo per le convivenze regolate da un contratto di convivenza (commi da 50 a 64), nel quale la coppia può indicare, oltre alla residenza, le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo, e può optare per il regime patrimoniale della comunione dei beni.

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