Il dibattito sul voucher
Il dibattito sul voucher pone agli operatori del settore turistico un dubbio che se per i giuristi non è di semplice soluzione, diventa addirittura “amletico” per un professionista come il T.O. o l’Agente di Viaggio che tuttavia, pur avendo ormai congnizioni giuridiche, fra i numerosi adempimenti da assolvere non è tenuto a spingersi nelle “stanze” più nascoste e tecniche del Diritto.
L’incertezza che durante questo periodo sta caratterizzando l’uso del voucher dipende dalla portata di una norma necessaria che tuttavia doveva essere scritta meglio per evitare dubbi, dall’approccio interventista e talvolta superficiale di alcune associazioni di consumatori e dalla natura stessa di una norma contenuta in un decreto-legge, atto fisioligicamente destinato ad essere sostituito da una legge di conversione che potrebbe cambiare definitivamente una norma con efficacia limitata nel tempo.
La legge vigente
Il decreto-legge n. 9 del 2 marzo 2020, come è noto, contiene, all’art. 28, la disciplina per i rimborsi dei titoli di viaggio e dei pacchetti turistici. Tale norma, al comma 5, prevede la possibilità di esercizio del diritto di recesso dai contratti di pacchetto turistico per impossibilità sopravvenuta determinata dall’emergenza sanitaria conseguente alla diffusione del Covid-19 solo, però, in capo al Viaggiatore, a favore del quale, in tali casi, l’Organizzatore può emettere un voucher, da utilizzare entro un anno dalla sua emissione, di importo pari al rimborso spettante per l’impossibilità di fruire della prestazione del contratto di pacchetto turistico (soluzione, questa del voucher, da praticarsi in alternativa alle altre due previste dalla stessa norma, e cioè quella del pacchetto sostitutivo di qualità equivalente o superiore, e quella del rimborso integrale dell’importo versato).
Il Viaggiatore, dall’interpretazione sistematica di tale norma, non ha la possibilità di rifiutare il voucher, in quanto la scelta di ricorrere a questo strumento piuttosto che ad un altro spetta all’Organizzatore.
Sulla scorta del predetto art. 28, il Decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020 all’art. 88 comma I ha esteso il meccanismo del voucher anche alle ipotesi di risoluzione per causa di forza maggiore dei contratti di soggiorno e, pertanto, unitamente all’art. 28 del Decreto-legge n. 9 del 2 marzo 2020 – che ai primi quattro commi prevede lo strumento del voucher anche per i costratti di trasporto di persone marittimi, aerei e navali, si è creato un “sistema voucher” che, in questo particolare momento storico, è l’oggetto di un costante ed acceso confronto fra Consumatori ed Organizzatori e Venditori di servizi turistici.
Il ddl per la legge di conversione
Il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020 (il DDL 1766, licenziato dal Senato ed attualmente in corso di esame presso la Camera dei Deputati e che dovrà essere approvato entro e non oltre il 16 maggio 2020) ha aggiunto, tra gli altri, l’emendamento attraverso il quale prevede la possibilità che anche l’Organizzatore eserciti il diritto di recesso per le stesse ragioni di impossibilità sopravvenuta e, dunque, che emetta un voucher a favore del Viaggiatore al quale non è più in grado di fornire la prestazione contrattuale concordata nel contratto di pacchetto.
Per comprendere se possa essere considerata legittima, durante la vigenza della norma contenuta nel Decreto-legge, l’emissione di un voucher anche a seguito di recesso dell’Organizzatore (ipotesi non contemplata dal Decreto-legge) e, se, dunque, il Viaggiatore possa legittimamente rifiutarsi di accettare tale forma di rimborso, bisogna analizzare specificamente innanzitutto la natura della modifica che si vuole apportare al suddetto art. 28 e, successivamente, indagare come, in particolare la giurisprudenza, ha considerato e considera tuttora tale tipo di modifiche.
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L’efficacia del decreto legge e le conseguenze della legge di conversione
Come è noto il Governo, ai sensi dell’art. 77 della Costituzione, quando ricorrano determinati presupposti – che sono quelli della presenza di contingenti casi di necessità ed urgenza che richiedano interventi rapidi e che non possono essere risolti attraverso il procedimento legislativo parlamentare – può adottare decreti-legge, ovvero provvedimenti provvisori con forza equiparata alla legge ordinaria, deliberati dal Consiglio dei Ministri ed emanati dal Presidente della Repubblica.
L’efficacia di tali decreti è provvisoria, in quanto è limitata a 60 giorni; pertanto, essi devono essere presentati alle Camere per la conversione in legge lo stesso giorno in cui vengono adottati e queste, anche se sciolte, si riuniscono entro i successivi cinque giorni. In mancanza della conversione in legge, i decreti-legge perdono efficacia sin dall’inizio e, dunque, decadono ex tunc (e cioè dal momento della loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale). Al fine di evitare questa decadenza, appena adottato dal Governo, il decreto-legge diventa oggetto di un apposito disegno di legge di conversione e viene presentato alla Camera o al Senato sotto forma di progetto di un solo articolo il cui contenuto è, appunto, la conversione in legge del testo normativo. Solitamente l’oggetto del decreto-legge coincide con quello della legge di conversione (che è l’atto mediante il quale il Parlamento si riappropria della funzione legislativa eccezionalmente esercitata dal Governo). Tuttavia, le Camere, nell’esercizio della propria potestà legislativa, possono apportare delle modifiche (emendamenti) a seguito di valutazioni difformi nel merito, rispetto agli stessi oggetti o in vista delle medesime finalità, o anche solo per esigenze meramente tecniche o formali che, una volta approvate da esse stesse, hanno efficacia solo pro-futuro, ossia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione, salvo che quest’ultima non disponga diversamente, ai sensi di quanto previsto dall’art. 15 della L. 23 agosto 1988 n. 400[1].
In dottrina è rimasta dibattuta e di difficile soluzione la questione relativa alla natura ed agli effetti degli emendamenti contenuti nella legge di conversione, spettando, perciò, all’interprete l’arduo compito di stabilire se il legislatore abbia inteso rifiutare parzialmente la conversione o invece semplicemente modificare pro-futuro la norma convertita. Tali emendamenti sono stati distinti in soppressivi e sostitutivi, che travolgerebbero con effetto ex tunc la norma emendata per la parte non convertita (e cioè dal giorno in cui è entrato in vigore il decreto-legge stesso); e modificativi, che incidono su una disposizione del decreto convertito senza alterarne in modo totale l’oggetto o il senso, e possono implicare la conversione della norma del decreto-legge censurata e la sua contestuale modifica con effetto ex nunc (a partire, cioè, dal giorno successivo alla pubblicazione della legge di conversione). Pertanto, le norme contenute in un decreto-legge, e successivamente modificate dalla legge di conversione, continuano ad applicarsi ai fatti avvenuti sotto la loro vigenza temporale.
A differenza della dottrina, che non è unanime nel riconoscere questa distinzione tra gli emendamenti e la sua stessa efficacia, ritenendo che non sia utile[2], la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha coerentemente condiviso un solo orientamento[3], e cioè quello per cui tale distinzione abbia, invece, ragione di esistere e, pertanto, ha recentemente giudicato pienamente valido ed efficace «il recesso dell’assicurato da un contratto di assicurazione pluriennale, avvenuto ai sensi del Decreto Legge 31 gennaio 2007, n. 7[4], articolo 5, comma 4, e perfezionatosi prima dell’entrata in vigore delle modifiche apportate dalla legge di conversione»: in pratica, la Suprema Corte ha riconosciuto legittimo un atto verificatosi durante la vigenza di una norma di un decreto legge che è stata modificata dalla legge di conversione con un emendamento modificativo, in quanto la modifica è valida ex nunc, e cioè dal momento in cui è entrata in vigore la legge di conversione (cfr. Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 10 maggio 2016, n. 9386).
Tale decisione è stata così argomentata: «Costituisce infatti un sofisma predicare l’indistinguibilità tra norme modificate e norme sostituite, distinzione che invece a livello astratto è limpida: nel primo caso (modifica) ci troveremmo al cospetto d’un decreto-legge contenente una fattispecie astratta alla quale la legge di conversione aggiunge o sottrae soltanto alcuni elementi costitutivi; nel secondo caso (sostituzione) ci troveremmo al cospetto d’una legge di conversione che continua a disciplinare la stessa fattispecie concreta già disciplinata da una norma contenuta nel decreto-legge, ma lo fa in modo totalmente diverso rispetto a quest’ultimo». Pertanto, la norma introdotta dalla legge di conversione, in mancanza di qualsiasi diversa previsione, si applica dal momento della sua entrata in vigore, mentre la disciplina contenuta nel decreto-legge «costituisce un regolamento implicito» di quanto verificatosi sotto la vigenza del Decreto Legge stesso e prima dell’entrata in vigore della legge di conversione.
Tornando al caso in questione, in base a quanto statuito dalla Suprema Corte, l’emendamento che la legge di conversione del Decreto-legge n. 9/2020 vuole apportare all’art. 28 è anch’esso di tipo modificativo, in quanto, aggiungendo al contenuto della norma la possibilità anche per l’Organizzatore di esercitare il diritto di recesso per motivi di impossibilità sopravvenuta (e, quindi, di emettere un voucher per rimborsare il Viaggiatore) contiene «una fattispecie astratta alla quale la legge di conversione aggiunge o sottrae soltanto alcuni elementi costitutivi» e la sua efficacia sarà, dunque, ex nunc, e cioè dal momento in cui la legge di conversione entrerà in vigore.
Pertanto, il Viaggiatore che riceverà come rimborso un voucher a seguito di recesso da parte dell’Organizzatore dopo l’entrata in vigore della legge di conversione non potrà rifiutarsi di accettare il voucher; mentre non sarà tenuto ad accettarlo e potrà legittimamente rifiutarlo nel periodo di vigenza della norma del comma 5 dell’art. 28 del Decreto-legge n. 9 del 2020, non essendo stato previsto in esso che anche l’Organizzatore possa esercitare il diritto di recesso dal contratto ed in conseguenza di tale recesso emettere un voucher.
Sistema attuale del voucher e prospettive de jure condendo
Alla luce dei predetti chiarimenti, è opportuno condividere le seguenti riflessioni:
- se il recesso del Viaggiatore, titolare di un pacchetto, interviene per un pacchetto con data di partenza fino al 3 maggio 2020, con lo scioglimento del contratto, scatta il diritto/dovere dell’Organizzatore di scegliere fra tre possibilità anche quella di emettere un voucher ai sensi dell’art. 28 comma 5 del DL 9/2020;
- se il recesso del Viaggiatore fa riferimento ad un pacchetto con partenza post 3 maggio 2020, per il momento, il recesso ha la funzione di determinare la risoluzione del pacchetto ma non lo svincolo dall’obbligo di pagare le penali contrattualmente concordate;
- se il recesso, senza ingiustificato ritardo, di un pacchetto – indifferentemente dalla data di partenza – viene comunicato dall’Organizzatore si applicherà il comma 5 lettera b dell’art. 41 del Codice del Turismo che lo obbligherà al rimborso integrale dei pagamenti ricevuti senza il dovere di riconoscere anche un indennizzo supplementare in quanto il suo recesso sarebbe conseguenziale alle cd. “circostanze inevitabili e straordinarie“;
- il recesso dell’Organizzatore potrebbe portata alla possibilità di emissione del voucher qualora la Legge di conversione del Decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020 gli riconoscesse questa possibilità, prevista nell’emendamento oggetto di discussione attualmente presso la Camera dei Deputati.
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Note
[1] Tale norma dispone: «le modifiche eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione, salvo che quest’ultima non disponga diversamente».
[2]Tale orientamento ritiene che la non utilità derivi dal fatto che è difficile distinguere tra “modifica” e “sostituzione” d’una norma perchè, sul piano dogmatico, sostituire una norma significa già di per sé modificarla e qualsiasi modifica normativa in altro consiste nel sopprimere il precedente precetto e sostituirlo con uno nuovo. La conclusione alla quale giunge, dunque, è che la norma del decreto-legge “modificata”, “sostituita” o “soppressa” è, in ogni caso, una norma “non convertita”, e pertanto perde efficacia ex tunc. Un altro orientamento, invece, ritiene che l’emendamento al decreto-legge contenuto nella legge di conversione costituisca “normale esercizio della funzione legislativa”, e quindi non possa che avere efficacia ex nunc, anche quando abbia effetto soppressivo di norme contenute nel decreto.
[3] Si vedano Corte di Cassazione, Sez. 5, Sentenza n. 8056 del 28/03/2008; Sez. 3, Sentenza n. 11186 del 26/05/2005; Sez. 1, Sentenza n. 3106 del 17/03/2000;
[4] Decreto Bersani.
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