L’indennità prevista dall’art. 32 L.183/10, così come novellato dalla L.92/12 (Legge Fornero), trova applicazione ogni volta che un contratto a tempo determinato è convertito in uno a tempo indeterminato. Spetta, perciò, anche se il datore di lavoro è condannato a risarcire il lavoratore per la declaratoria giudiziale della nullità del contratto di somministrazione, convertito ai sensi dell’art. 27 Dlgs 276/03, in un contratto a tempo indeterminato tra il dipendente e l’utilizzatore della prestazione lavorativa.
È questo il principio di diritto enunciato dalla Cassazione sez. lavoro n. 18046 depositata il 20 agosto 2014.
Il caso. La ditta che aveva utilizzato una giovane con un contratto di somministrazione dal 26/4/04 al 23/4/12, convertito, poi, in un contratto a tempo indeterminato impugnava le precedenti statuizioni in cui la si condannava a versarle le retribuzioni dal 16/6/08 sino alla fine del rapporto. Contestava che avrebbe dovuto darle solo l’indennità prevista ex art. 32 L.183/10 anziché tutti gli stipendi, le critiche circa la legalità della causa del contratto e sulla produzione documentale attestante le ragioni di tale somministrazione del lavoro perché in contrasto col principio di non contestazione. Interveniva ad adiuvandum anche la società somministratrice. La S.C. ha accolto il ricorso con rinvio per la quantificazione dell’indennità spettante alla lavoratrice in base al principio enunciato in epigrafe.
Indicazione della causalità del contratto e validità del termine apposto. Le prime due censure sono strettamente connesse ed altrettanto infondate. La S.C. chiarisce che la materia è regolata dagli artt. 20 ss Dlgs 276/03 e non dal Dlgs 368/01 come detto erroneamente dalla ricorrente: <<la mera astratta causalità indicata nel contratto di somministrazione non basta a rendere legittima l’apposizione di un termine al rapporto, dovendo anche sussistere, in concreto, una reale rispondenza tra causale enunciata e la concreta assegnazione del lavoratore alle mansioni ad essa confacenti>> (Cass. 20598/13). Nella fattispecie non è stato provato che la donna era stata assunta <<per la sussistenza di un picco di produzione etiologicamente derivante dall’intensificazione dell’attività aziendale in ragione dell’incremento delle domande di finanziamento per l’autoimpiego e l’imprenditorialità giovanile>>.
Nuova esegesi del principio di non contestazione e casistica della denuncia dei vizi di motivazione. Questo principio enunciato dal nuovo art. 115 cpc (art. 45 L.69/09) regola sia il rito speciale che quello ordinario. Nel nostro caso, non sussistendo valide ragioni per la somministrazione di manodopera, la lavoratrice non avrebbe dovuto contestare la causalità, né la società somministratrice convenuta doveva rispondere a queste contestazioni: le critiche del convenuto a fatti già affermati o negati dall’attore non implicano che questi debba contestare quanto già esposto. In breve non c’è nessun onere <<di contestare l’altrui contestazione>>, perché si verrebbe <<a creare un gioco di specchi>> contrario alla ratio del processo: si devono contestare solo i fatti allegati ex adverso, mentre la loro valenza probatoria può essere criticata in ogni momento del giudizio, spettando al G.I. la loro valutazione (art. 214 e 221 cpc). Il secondo motivo del ricorso non può essere ricondotto nemmeno all’omessa valutazione di fatti decisivi per la lite ex art. 360 (riformato dalla L.134/12). In breve è invocabile solo se si traduce in una violazione della legge: le motivazioni sono materialmente assenti, contraddittorie, apparenti ed/od oggettivamente incomprensibili (Cass. 8053/14 ) in rapporto alle risultanze probatorie, ma non è il caso in esame. Più precisamente è necessaria la sussistenza di un fatto <<storico-fenomenologico>> desumibile dagli atti processuali o dalla sentenza gravata, senza che sia sufficiente che il G.I., pur esaminandolo, ne dia atto all’esito dell’istruttoria come fatto astrattamente rilevante.
Indennità di conversione del contratto a tempo determinato in indeterminato. Le sentenze della S.C. nn. 1148 e 13404/13 chiariscono che questo benefit, previsto dall’art. 32 L.183/10 così come interpretato dall’art.1 comma 13 L.92/12 (Legge Fornero), <<spetta a qualsiasi ricostruzione del rapporto di rapporto di lavoro avente in origine un termine illegittimo>> ed anche nelle ipotesi in cui il datore debba risarcire i danni subiti dal lavoratore per un contratto a tempo determinato dichiarato nullo nel caso in cui, ai sensi dell’art. 1 comma 3 L. 196/97, esso sia stato convertito in uno a tempo indeterminato tra il dipendente e l’utilizzatore della prestazione lavorativa. Infatti ciò comporta anche la nullità del rapporto di quest’ultimo e l’impiegato. Finchè non è stata provata la conversione ha diritto a questa indennità od ad una a forfait o secondo un tetto massimo indicizzato al mancato guadagno od al suo ripristino su ordine del G.I. (tutela reintegratoria ex art.8 L.604/66 o 18 SL così come modificato dalla Fornero). La Direttiva 1999/70/CE (vige la più specifica 2008/14), poi, è inapplicabile e non vincolante per il giudice interno come meglio esplicato in sentenza. La giurisprudenza costante della S.C. (nn. 65 e 80/11) chiarisce infine che essa si applica anche ai processi pendenti purchè non si sia formato un giudicato sul punto. Spetterà al G.I di rinvio, attenendosi a detto principio di diritto, quantificare sia il danno subito comprensivo del pregiudizio relativo alle conseguenze retributive e contributive, compreso tra il termine del contratto e la sentenza gravata sia detta indennità (tra un minimo di 2,5 ed un massino di 12 mensilità) ai sensi dell’art. 8 L.604/96.Si fa presente che ora la materia è stata riformata dal Job act.
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