Massima:
In tema di rapporto di lavoro subordinato, il datore di lavoro, qualora abbia già intimato al lavoratore il licenziamento per una determinata causa o motivo, può legittimamente intimargli un secondo licenziamento, fondato su una diversa causa o motivo, restando quest’ultimo del tutto autonomo e distinto rispetto al primo. Ne consegue che entrambi gli atti di recesso sono in sé astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente.
1. Questione
Il Tribunale dichiarava l’illegittimità del primo licenziamento intimato al lavoratore e rigettava la domanda del ricorso, concernente l’impugnazione del successivo recesso, relativo a falsità di firme apposte per garanzia nell’interesse di un cliente della Banca, a favore del quale era stata concessa un’apertura di credito), condannando quindi la Banca al pagamento di tutte le retribuzioni maturate (nella somma mensile indicata) dal primo licenziamento sino all’epoca del secondo recesso, oltre interessi e rivalutazione dalla maturazione al saldo. Il lavoratore proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con l’annullamento del secondo licenziamento, con le pronunce consequenziali, lamentando l’insussistenza di tale secondo recesso in pendenza del giudizio avente ad oggetto l’impugnativa del primo licenziamento, la infondatezza del relativo addebito nonchè la violazione di principi di immodificabilità e di immediatezza della contestazione. La Corte d’Appello rigettava l’appello ed il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione, il quale è stato rigettato, ribadendo il principio consolidato, secondo cui “in tema di licenziamento in regime di tutela reale, ove il datore di lavoro abbia intimato al lavoratore un licenziamento individuale, è ammissibile una successiva comunicazione di recesso dal rapporto da parte del datore medesimo, purché il nuovo licenziamento si fondi su una ragione o motivo diverso e sopravvenuto (nel senso di non noto in precedenza al datore di lavoro) e la sua efficacia resti condizionata all’eventuale declaratoria di illegittimità del primo”.
2. Orientamenti giurisprudenziali
Con la presente pronuncia, il Collegio si è uniformato all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., n. 6055 del 16 gennaio 2008), che ha ben posto in evidenza l’infondatezza della tesi, sostenuta sull’onda di alcune precedenti sentenze di Cass. civ., sez. lav., 5 aprile 2001, n. 5092 e Cass. civ., 11 marzo 2005, n. 10394), secondo cui il licenziamento intimato nell’area di stabilita’ reale per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, costituisce negozio risolutivo del rapporto, che produrrebbe i suoi effetti tipici sino all’eventuale annullamento disposto dal giudice; con la conseguenza che il secondo licenziamento, ove irrogato prima dell’annullamento, sarebbe privo di effetto, in quanto intervenuto su un rapporto non piu’ esistente. La rilevato la presente pronuncia che Cass. civ., n. 6055/2008, che “tale impostazione si limita a considerare solamente l’aspetto degli effetti caducatori” della pronunzia di illegittimità del licenziamento per carenza di giusta causa o giustificato motivo, enfatizzando il dato testuale dell’art. 18, comma 1, della L n. 300 del 1970, (nel testo introdotto dalla L. 108/1990), a proposito della qualificazione di azione di annullamento dell’impugnazione del recesso per giusta causa o giustificato motivo (“il giudice, con la sentenza con cui… annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo…”), senza tenere conto del significato complessivo della norma. La norma, infatti, prevede che nel caso di annullamento del recesso disposto dal giudice per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, scattino a favore del lavoratore una serie di conseguenze favorevoli per il lavoratore (reintegrazione nel posto di lavoro, pagamento di un’indennita’ pari alla retribuzione di fatto che sarebbe maturata tra il licenziamento e la reintegrazione, versamento dei contributi previdenziali per il periodo tra licenziamento e reintegrazione) che postulano che il rapporto medio tempore sia continuato, seppure solamente de iure. In altre parole, non puo’ negarsi che l’annullamento abbia natura costitutiva e che gli effetti della pronunzia abbiano effetto ex tunc; tuttavia, esso interviene in una situazione in cui il rapporto non e’ stato interrotto dal licenziamento (si veda in tal senso Corte cost., 14 gennaio 1986 n. 7 e Cass. civ., sez. lav., 6 marzo 2008 n. 6055). E sul punto è stato, altresì, correttamente evidenziato che il recesso illegittimo non è idoneo ad estinguere il rapporto al momento in cui è stato intimato, atteso che siffatto licenziamento determina solo una sospensione della prestazione dedotta nel sinallagma a causa del rifiuto del datore di ricevere la prestazione lavorativa sino a quando, a seguito del provvedimento di reintegrazione del giudice, non venga ripristinata la situazione materiale antecedente al licenziamento (Cass. civ., sez. lav., 4 novembre 2000 n. 14426). Deve ritenersi, pertanto, che il licenziamento illegittimo intimato a lavoratori ai quali sia applicabile la c.d. tutela reale, determina solo una interruzione di fatto del rapporto di lavoro, ma non incide sulla sua continuita’, per come confermato altresì dal fatto che il recesso illegittimo non determina la cessazione della copertura retribuiva e previdenziale nei confronti del lavoratore reintegrato (Cass. civ., sez. lav., 1 marzo 2005, n. 4621). Pertanto, la continuità e la permanenza del rapporto giustifica l’irrogazione di un secondo licenziamento per giusta causa e giustificato motivo, fondato su fatti diversi da quelli posti a base del precedente provvedimento di recesso, che produrrà i suoi effetti solo qualora il precedente recesso venga dichiarato illegittimo.
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