Legittimo l’uso dell’etilometro quale strumento di prova dello stato di ebbrezza

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Al di là della prosa usata, che indulge anche troppo in espressioni di quel linguaggio “legalese” che troppo allontana il cittadino dal diritto e – spesso erroneamente – induce a pensare che la voluptas del giudice sia quella di non farsi comprendere dai destinatari della pronunzia, la sentenza che si commenta, sul piano contenutistico, pone dei punti fermi sia in diritto sostanziale, che in diritto processuale.
Da un lato, infatti, emerge l’intenzione del Supremo collegio di derimere definitivamente e con una risposta certa le insorte controversie interpretative, nonchè le incertezze, concernenti il quesito se l’uso dell’etilometro debba rientrare nella previsione di cui al co. 3 oppure del co. 4 dell’art. 186.
Dall’altro, invece, la sentenza individua, indica e circoscrive la corretta fase processuale nella quale può essere ritenuta legittima l’applicabilità della sentenza resa ai sensi dell’art. 129 c.p.p. .
 
A) IL CONTROLLO ETILOMETRICO
 
Il primo dei due aspetti richiamati appare particolarmente importante, perché dalla soluzione del richiamato problema, si desume, infatti, in via diretta la regola in base alla quale trova, poi, applicazione il co. 6 dell’art. 186 CdS .
Recita, infatti quest’ultima norma : “Qualora dall’accertamento di cui ai commi 4 o 5 risulti un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 grammi per litro (g/l), l’interessato è considerato in stato di ebbrezza ai fini dell’applicazione delle sanzioni di cui al comma 2.”.
In modo, quindi, estremamente selettivo, il legislatore ha inteso circoscrivere e riconnettere agli esiti dei soli accertamenti codificati ai commi 4 e 5 del citato articolo 186 CdS, il valore di prova in ordine alla contestazione dello stato di ebbrezza alcoolica, rilevante ai fini della conduzione di un veicolo.
E’ stato, così, esclusa da questa categoria quella tipologia di verifiche previste dal co. 3[1] del pluricitato articolo è cioè quelli che vengono definiti “accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili”.
Questi controlli, pur se in qualche modo ridimensionati nel loro valore probatorio rimangono, peraltro, produttivi di taluni effetti penali – giusta il dettato del successivo co. 7° -.
Non a caso l’eventuale illegittimo rifiuto opposto dal conducente a sottoporsi ad uno dei controlli di cui ai co. 3, 4 e 5, continua a comportare, infatti, conseguenze sia amministrative, che penali[2].
Nella fattispecie, va ricordato che il thema decidendum del processo è consistito nello stabilire se il controllo della condizione psicofisica del conducente, per mezzo dell’etilometro, sia indagine che rientra nel novero degli accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili, che devono venire effettuati nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l’integrità fisica, oppure se esso appartenga al contesto degli strumenti e procedure determinati dal regolamento.
Senza perifrasi di sorta è bene dire, che se una simile incertezza interpretativa è insorta, ciò è stato determinato, more solito, dalla poca chiarezza del legislatore, che, purtroppo, – soprattutto in relazione alla rappresentazione di fasi procedurali che dovrebbero formare oggetto di una descrizione (per quanto concerne profili sistematici, sequenziali e metodologici) precisa ed in equivoca – ricorre a locuzioni indeterminate e generiche.
Anche questo caso, quindi, non fa eccezione, posto che si è preferito non precisare quali debbano essere gli accertamenti da operare ai fini della verificazione della condizione psicofisica del singolo, quali debbano essere gli strumenti da utilizzare a tale preciso fine, quali debbano essere i luoghi ove intervenire con queste forme di controllo.
La norma in questione, infatti,  si è preoccupata, con larvata ipocrisia, solo di una salvaguardia di facciata della “riservatezza personale”.
Se la reale preoccupazione del legislatore fosse stata quella di creare un sistema di garanzie e reali tutele del cittadino, invece, si sarebbe dovuto prevedere, quantomeno, la presenza, all’atto dell’espletamento del controllo, di un difensore, attesa la natura di irripetibilità della verifica in questione.
Si deve, infatti, osservare che allo stato attuale anche se gli accertamenti finalizzati a controllare l’idoneità psico-fisica temporanea del singolo a condurre un veicolo, sono stati ricondotti – con un soluzione assai generalista ed improprio, tramite una fictio iuris giurisprudenziale – alla categoria di cui al co. 3° dell’art. 354 c.p.p., che a propria volta richiama (sul piano strettamente procedurale) il co. 2 bis dell’art. 349 c.p.p., è – altresì – vero che il problema non è stato in concreto minimamente affrontato.
Il complesso dei controlli previsti dai co. 3, 4 e 5 dell’art. 186 CdS deroga, infatti, indebitamente ai principi codicistici in materia di tutela del singolo in presenza di atti irripetibili.
Un legislatore più avveduto e lungimirante avrebbe dovuto – a parere di chi scrive – non temere affatto di sancire il principio che gli accertamenti in parola rientrano nel contesto descritto (giacchè è inammissibile che il diritto alla tutela difensiva valga solo dinanzi ad atti compiuti su iniziativa del P.M. e non già di fronte a spinte propulsive autonome della polizia giudiziaria).
Avrebbe, quindi, avuto ragione la previsione di un regolamento di esecuzione governante questa attività investigativa, con la previsione della facoltà, per il cittadino, di avvalersi presenza del difensore di fiducia, e in assenza di quest’ultimo o nell’impossibilità che egli venga reperito in tempi brevissimi o compatibili con l’accertamento, l’assistenza di un difensore di ufficio presente sul posto.
Tornando alla sentenza in esame, va osservato che la Corte di legittimità, quindi, aderisce all’impostazione fatta propria e trasfusa nel ricorso della pubblica accusa, sul rilievo che l’uso dell’etilometro deve essere inserito nella categoria degli accertamenti successivi previsti dal comma 4° dell’art. 186 CdS-
Tale verifica deve essere intesa come forma di approfondimento successivo ed alternativo, rispetto alle prodromiche indagini qualitative sancite dal co. 3°. 
Il Supremo Collegio – dunque – ravvisa un rapporto di sussidiarietà e possibile (anche se non necessaria) strumentalità fra i descritti accertamenti.
Per vero, i giudici affermano e sottolineano la non identificabilità e la non coincidenza fra le due tipologie di controllo – nonostante la conclamata genericità del testo di legge e la possibilità di identificare gli apparecchi portatili nell’etilometro -.
A parere della Corte di Cassazione, quindi, l’autonomia delle due procedure contenute descritte permette di ritenere che i controlli previsti dal co. 4° dell’art. 186 CdS possano, al contempo, configurare e costituire:
          1) sia una procedura di integrazione e riscontro certificativo rispetto a quel risultato di positività all’alcool manifestato dal soggetto controllato, quale esito contingente derivato dalla verifica di cui al co. 3° (che può fondarsi anche, quindi, su mera percezione sensoriale diretta dei verbalizzanti),
           2) sia una forma di analisi diretta dello stato psico-fisico della persona, test, quindi, che non deve essere necessariamente preceduto da altro e diverso esperimento (l’esame con le metodiche di cui al co . 3°) che debba fungere da condizione legittimante.
L’argomentazione decisiva, al fine di individuare l’etilometro come tassativamente ed esclusivamente inserito nel contesto interpretativo del co. 4° dell’art. 186 CdS, è, pertanto, – ad opinione della Corte – il riferimento espresso che l’art. 379 del regolamento di attuazione del Cds[3].
Questa norma, infatti, prevede espressamente ai commi 6, 8 e 9 i requisiti della preventiva omologazione e della verifica periodica degli stessi.
Da tale disposizione emerge che, solo per l’etilometro, il legislatore ha sancito un regime così dettagliato.
La circostanza che, in relazione a nessun altro cd. strumento accertativo (anche portatile), venga richiesto un iter procedimentale analogo a quello previsto dalla suddetta norma e che, parimenti, nessun altro e diverso dispositivo venga ricompreso nel novero regolamentare di cui all’art. 379 citato, si pone come conferma ulteriore dell’esistenza di due distinte categorie di apparati, i quali assumono differente valore sostanziale, in ordine all’accertamento cui sono deputati.
In conclusione, inoltre, v’è da osservare che la Corte nega decisività e pregnanza all’osservazione che lo svolgimento sul posto del controllo – in luogo dell’accompagnamento presso un ufficio od un comando – costituirebbe argomento idoneo ad insinuare, comunque, dubbi sulla cennata ripartizione, posto che l’uso, nella fattispecie della parola “anche”, persuade del carattere di residualità che si deve attribuire alla possibilità che la persona venga accompagnata “presso il più vicino ufficio o comando, hanno la facoltà di effettuare l’accertamento con strumenti e procedure determinati dal regolamento”.
A tacere, poi, a definitiva chiusura della tematica in oggetto, che la previsione del possibile utilizzo di strumenti tecnici (onde verificare lo stato di intossicazione alcoolica del soggetto), non ha affatto escluso, disapplicato od abrogato, la possibilità che gli agenti possano pervenire al giudizio in ordine alla possibile alterazione psico-fisica della persona controllate, tramite la percezione diretta e sensoriale di atteggiamenti o comportamenti che appaiono del tutto compatibili o significativi di una assunzione oltre limite di sostanze alcooliche (ad esempio, difficoltà di articolazione di movimenti o sconnessione concettuale della stessa parola, odore vinoso etc.).
 
B) L’ART. 129 C.P.P.
 
Non meno importante, anche se meno controversa, appare la esclusiva collocazione sistematica nella fase processuale, dell’obbligo del giudice della cd. immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, ipotesi regolata dall’art. 129 c.p.p. .
Le ragioni addotte, in proposito, dal Supremo Collegio appaiono lineari e del tutto condivisibili, posto che fanno leva su di un argomento filologico, rispetto al quale non è possibile opporre dubbi di sorta.
In buona sostanza è lo stesso articolo 129 codice di rito, proprio laddove ammette la possibilità della declaratoria in “ogni stato e grado del processo”, a circoscrivere la fase di corretta applicazione dell’istituto al vero e proprio processo, escludendo qualsiasi momento anteriore, appartenente, quindi, alla fase procedimentale – cioè alle indagini preliminari -.
D’altro canto, appare certamente indiscutibile e tranciante l’osservazione che, per la fase delle indagini preliminari il codice abbia previsto l’istituto dell’archiviazione, il quale si pone come modalità di esercizio dell’azione penale e – al contempo – di conclusione dell’indagine, in presenza di cause di non punibilità del soggetto o di ragioni che non giustifichino la prosecuzione del processo.
La esistenza, quindi, di uno strumento quale quello regolato dall’art. 408 e segg. c.p.p. induce a ritenere che esso, dispiegando effetti definitori relativamente ed esclusivamente alla conclusione dell’indagine, si ponga in posizione del tutto differente e affatto confondibile con lo strumento previsto dall’art. 129 c.p.p., il quale prevede un proscioglimento che può intervenire in qualsiasi momento, ma solo se operata la citazione in giudizio dell’imputato, per ragioni sia di merito, che di rito.
Si tratta, quindi, della riaffermazione di un principio – peraltro – già esplicitato dal S.C. Sez. VI (Ord.), 26-10-2005, n. 45001 (rv. 233509)[4].
 
 
Carlo Alberto Zaina
 
 
 


[1] Co. 3 Al fine di acquisire elementi utili per motivare l’obbligo di sottoposizione agli accertamenti di cui al comma 4, gli organi di Polizia stradale di cui all’articolo 12, commi 1 e 2, secondo le direttive fornite dal Ministero dell’interno, nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l’integrità fisica, possono sottoporre i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili.
[2] Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell’accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente e’ punito con le pene di cui al comma 2, lettera c).
La condanna per il reato di cui al periodo che precede comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione.
Con l’ordinanza con la quale è disposta la sospensione della patente, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica secondo le disposizioni del comma 8. Se il fatto e’ commesso da soggetto gia’ condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato è sempre disposta la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI.
[3]Art. 379 (Art. 186 Cod. str.) (Guida sotto l’influenza dell’alcool)
L’accertamento dello stato di ebbrezza ai sensi dell’articolo 186, comma 4, del Codice, si effettua mediante l’analisi dell’aria alveolare espirata: qualora, in base al valore della concentrazione di alcool nell’aria alveolare espirata, la concentrazione alcoolemica corrisponda o superi 0,5 grammi per litro (g/l), il soggetto viene ritenuto in stato di ebbrezza.
La concentrazione di cui al comma 1 dovra’ risultare da almeno due determinazioni concordanti effettuate ad un intervallo di tempo di 5 minuti.
Nel procedere ai predetti accertamenti, ovvero qualora si provveda a documentare il rifiuto opposto dall’interessato, resta fermo in ogni caso il compito dei verbalizzanti di indicare nella notizia di reato, ai sensi dell’articolo 347 del Codice di procedura penale, le circostanze sintomatiche dell’esistenza dello stato di ebbrezza, desumibili in particolare dallo stato del soggetto e dalla condotta di guida.
L’apparecchio mediante il quale viene effettuata la misura della concentrazione alcoolica nell’aria espirata e’ denominato etilometro. Esso, oltre a visualizzare i risultati delle misurazioni e dei controlli propri dell’apparecchio stesso, deve anche, mediante apposita stampante, fornire la corrispondente prova documentale.
Gli etilometri devono rispondere ai requisiti stabiliti con disciplinare tecnico approvato con decreto del ministro dei Trasporti e della Navigazione di concerto con il ministro della Sanita’. I requisiti possono essere aggiornati con provvedimento degli stessi ministri, quando particolari circostanze o modificazioni di carattere tecnico lo esigano.
La Direzione generale della M.C.T.C. provvede all’omologazione del tipo degli etilometri che, sulla base delle verifiche e prove effettuate dal Centro superiore ricerche e prove autoveicoli e dispositivi (Csrpad), rispondono ai requisiti prescritti.
Prima della loro immissione nell’uso gli etilometri devono essere sottoposti a verifiche e prove presso il Csrpad (visita preventiva).
Gli etilometri in uso devono essere sottoposti a verifiche di prova dal Csrpad secondo i tempi e le modalita’ stabilite dal ministero dei Trasporti e della Navigazione, di concerto con il ministero della Sanita’. In caso di esito negativo delle verifiche e prove, l’etilometro e’ ritirato dall’uso.
Il ministero dei Trasporti e della Navigazione determina, aggiornandolo, l’ammontare dei diritti dovuti dai richiedenti per le operazioni previste nei commi 6, 7 e 8.
[4] Qualora il P.M. abbia richiesto l’archiviazione per estinzione del reato a seguito di intervenuta prescrizione, il giudice non ha il dovere di motivare sulla insussistenza di prove favorevoli all’indagato ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., in quanto tale norma non è applicabile alla fase delle indagini preliminari. CED Cassazione, 2005, Arch. Nuova Proc. Pen., 2007, 2, 248, Riv. Pen., 2007, 1, 103

Zaina Carlo Alberto

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