(Riferimento normativo: C.d.S., art. 189, c. 7)
Il fatto
La Corte di Appello di Bologna pronunciava nei confronti di un imputato una sentenza confermativa di quella emessa dal Tribunale di Tribunale di Ferrara, in composizione monocratica, che, all’esito di giudizio ordinario, lo aveva condannato alla pena di dieci mesi di reclusione con la sospensione condizionale e la non menzione della stessa nonchè con sospensione della patente di guida per un anno per il delitto p. e p. dal D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 189, commi 1 e 7 (C.d.S.).
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso tale provvedimento proponeva per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, l’imputato deducendo i seguenti motivi: 1) errata applicazione dell’art. 189 C.d.S., comma 7 e vizio motivazionale assumendosi che la Corte distrettuale non si sarebbe confrontata con il proposto motivo di appello circa la mancanza di un’effettiva necessità di assistenza della persona offesa; 2) erronea applicazione dell’art. 131 bis c.p. nonché mancanza ed illogicità della motivazione essendo stata completamente assente la motivazione circa il mancato accoglimento del secondo motivo proposto dalla scrivente difesa nell’atto d’appello con il quale veniva richiesta l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto; 3) erronea applicazione dell’art. 133 c.p. nonché mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione laddove il giudice del gravame del merito aveva erroneamente confermato la sentenza del Tribunale di Ferrara in merito alla quantificazione della pena.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il primo motivo di ricorso veniva stimato infondato in quanto veniva riproposta la tesi difensiva in punto di carenza dell’elemento soggettivo del reato che era stata disattesa da entrambi i giudici di merito e che, per la Suprema Corte, non poteva essere riproposta tout court in sede di legittimità ordinaria adducendosi la violazione di norma processuale o del vizio di motivazione avendo in particolare il giudice di appello opportunamente chiarito che le condotte contestate nel capo d’imputazione avevano trovato ampio riscontro nelle dichiarazioni della persona offesa e di un testimone.
In particolare, veniva osservato che la pronuncia, sul punto, si collocava nell’alveo del consolidato orientamento della Corte di legittimità secondo cui l’elemento soggettivo del reato previsto dall’art. 189 C.d.S., comma 7, è integrato anche in presenza del dolo eventuale ravvisabile in capo all’utente della strada il quale, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare in termini di immediatezza la concreta eventualità che dall’incidente sia derivato danno alle persone, non ottemperi all’obbligo di prestare la necessaria assistenza ai feriti; in altre parole, per la punibilità è necessario che ogni componente del fatto tipico (segnatamente il danno alle persone e l’esservi persone ferite, necessitanti di assistenza) sia conosciuta e voluta dall’agente ma a tal fine è sufficiente anche il dolo eventuale che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo ma che può attenere anche all’elemento intellettivo quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato accettandone per ciò stesso il rischio: ciò significa per il Supremo Consesso che, rispetto alla verificazione del danno alle persone eziologicamente collegato all’incidente, è sufficiente che, per le modalità di verificazione di questo e per le complessive circostanze della vicenda, l’agente si rappresenti la probabilità – o anche la semplice possibilità – che dall’incidente sia derivato un danno alle persone e che queste necessitino di assistenza e, pur tuttavia, accettandone il rischio, ometta di fermarsi (Sez. 4, n. 6904 del 20/11/2013; Sez. 4, n. 36270 del 24/05/2012; Sez. 4, n. 33294 del 14/05/2008; Sez. 4 n. 54809 del 18/10/2017; Sez. 4, n. 33772 del 15/06/2017).
Sempre con riguardo al primo motivo di ricorso, veniva altresì rilevato che il reato di omissione di assistenza, di cui all’art. 189 C.d.S., comma 7, presuppone quale antefatto non punibile un incidente stradale da cui sorge l’obbligo di assistenza anche nel caso di assenza di ferite in senso tecnico essendo sufficiente lo stato di difficoltà indicativo del pericolo che dal ritardato soccorso può derivare per la vita o l’integrità fisica della persona (Sez. 4, n. 21049 del 6/4/2018) rilevandosi al contempo che la sussistenza o meno di un effettivo bisogno di aiuto da parte della persona infortunata non è elemento costitutivo del reato che è invece integrato dal semplice fatto che, in caso d’incidente stradale con danni alle persone, non si ottemperi all’obbligo di prestare assistenza mentre costituisce ius receptum che tale condotta va tenuta a prescindere dall’intervento di terzi poiché si tratta di un dovere che grava su chi si trova coinvolto nell’incidente medesimo (cfr. ex multis Sez. 4, n. 8626 del 7/2/2008).
Il secondo motivo di ricorso, invece, veniva reputato fondato.
Difatti, una volta fatto presente che, secondo quanto chiarito dalle Sezioni Unite (Sez. Un. 13681 del 25/02/2016), “la nuova normativa non si interessa della condotta tipica, bensì ha riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena. Insomma, si è qui entro la distinzione tra fatto legale, tipico, e fatto storico, situazione reale ed irripetibile costituita da tutti gli elementi di fatto concretamente realizzati dall’agente” e a tali elementi il giudice di merito deve porre attenzione nel valutare la sussumibilità del fatto nell’ipotesi normativa, gli Ermellini osservavano come la sentenza impugnata non avesse tenuto conto dei concreti elementi riferibili alla realtà processuale ed alle emergenze istruttorie desumibili dalle sentenze di merito dai quali evincersi la particolare tenuità del fatto dei quali il giudice di legittimità può tenere conto alla luce del novellato art. 620 c.p.p., lett. l); in particolare, veniva notato come non fosse stato attribuito il dovuto rilievo alla natura delle minime lesioni riportate dalla persona offesa e alla non evidente visibilità delle stesse, alla presenza comunque di persone che si fossero radunate intorno al loro connazionale, alla mancata costituzione di parte civile, all’avvenuto risarcimento da parte dell’assicurazione del R. e al fatto che l’imputato si fosse comunque fermato prima di allontanarsi e che, comunque, una volta rintracciato, non avesse mai negato il suo coinvolgimento nell’incidente ossia degli elementi che, a parere della Suprema Corte, inducevano a ritenere che, nel caso di specie, il fatto fosse sussumibile, senza necessità di ulteriori accertamenti, nella previsione dell’art. 131 bis c.p..
A fronte di tale censura di legittimità, il terzo motivo di ricorso restava assorbito.
Conclusioni
La decisione in questione è assai interessante in quanto in essa si postula, che, per la configurabilità del reato di omissione di assistenza, di cui all’art. 189 C.d.S., comma 7,, è sufficiente il dolo eventuale il quale a sua volta è ravvisabile in capo all’utente della strada che, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare in termini di immediatezza la concreta eventualità che dall’incidente sia derivato danno alle persone, non ottemperi all’obbligo di prestare la necessaria assistenza ai feriti.
Non è dunque richiesto il dolo intenzionale.
Detto questo, oltre a ciò, viene anche affermato che tale illecito penale presuppone quale antefatto non punibile un incidente stradale da cui sorge l’obbligo di assistenza anche nel caso di assenza di ferite in senso tecnico essendo sufficiente lo stato di difficoltà indicativo del pericolo che dal ritardato soccorso può derivare per la vita o l’integrità fisica della persona ed è integrato dal semplice fatto che, in caso d’incidente stradale con danni alle persone, non si ottemperi all’obbligo di prestare assistenza fermo restando che tale condotta va tenuta a prescindere dall’intervento di terzi poiché si tratta di un dovere che grava su chi si trova coinvolto nell’incidente medesimo,
Tale pronuncia, dunque, può essere presa nella dovuta considerazione al fine di verificare la sussistenza o meno di questo illecito penale, sia sotto il profilo soggettivo, che quello oggettivo.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, quindi, proprio perché chiarisce la portata applicativa della norma incriminatrice preveduta dall’art. 189, c. 7, C.d.S, non può che essere positivo.
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