L’elusione fiscale o abuso del diritto

Introduzione

Come sovente avviene, i termini elusione fiscale o abuso del diritto ed evasione fiscale vengono erroneamente considerati della stessa natura. Si sente spesso parlare di fenomeni abusivi/elusivi nonché di fenomeni evasivi esperiti dai contribuenti, il cui unico fine consta essere l’ottenimento di vantaggi fiscali indebiti, i quali si traducono in un risparmio di imposta per i medesimi.

In questa sede andremo dunque ad analizzare le differenze intercorrenti tra i due fenomeni summenzionati, enucleandoci successivamente sul fenomeno dell’elusione fiscale.

L’evasione Fiscale e le differenti tipologie

L’evasione fiscale si concreta in un comportamento illegittimo con cui il contribuente mira a contrastare il prelievo fiscale. Si profila una mera infrazione frontale della prescrizione tributaria, ove il contribuente va di fatto a trasgredire le norme fiscali.

E’ possibile frazionare in discrepanti tipologie di evasione fiscale:

  • Evasione da nero: Consistente nell’omessa dichiarazione dei redditi da parte del contribuente, non comunicando all’Agenzia delle entrate i redditi che vengono prodotti; altro caso può concernere l’omessa fatturazione o anche “sotto-fatturazione”, andando quindi ad occultare operazioni attive, operazioni di vendita la cui registrazione risulta obbligatoria. Anche in questo caso viene omessa una parte di reddito all’Agenzia delle entrate.
  • Evasione interpretativa: tale fenomeno si dispiega nella erronea interpretazione di un precetto tributario;
  • Evasione da riscossione: in tal caso il contribuente realizza il presupposto impositivo, lo si dichiara all’Agenzia delle entrate, ciò nondimeno il contribuente non effettua il versamento dei tributi. Tale fenomeno si appalesa nella maggior parte dei casi nelle imprese di piccole dimensioni, le quali si foraggiano con l’omesso versamento.

L’elusione fiscale e il legittimo risparmio di imposta

Andiamo adesso ad analizzare le differenze sussistenti tra l’elusione fiscale e il legittimo risparmio di imposta.

Quanto all’elusione fiscale, il contribuente cerca di aggirare la norma tributaria ravvisando lacune nelle norme, limitando il presupposto che viene realizzato, il che porta ad una minorazione dell’obbligazione tributaria in maniera indebita.

Per quel che inerisce il legittimo risparmio di imposta, si intende il riferimento alla legittimazione tributata al contribuente di pianificare la propria attività nel modo più conveniente possibile, ottenendo vantaggi da un punto di vista fiscale che derivano dalla scelta di un regime agevolativo consacrato all’interno di una norma tributaria.

Le operazioni prive di sostanza economica

L’articolo 10-bis dello Statuto del Contribuente (Legge 212/2000)

Occorre ora analizzare il fenomeno dell’elusione fiscale concentrandoci sui dettami contenuti nell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente, dove viene partitamente descritta.

I primi due commi dell’art. 10 bis di tale legge recitano: “Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.

“Ai fini del comma 1 si considerano:

  1. a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato”;
  2. b) “vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”.

 

Andando dunque ad esplicare i commi succitati, come si evince dal tenore letterale l’abuso del diritto si presenta allorquando il contribuente ricorre ad una condotta “tortuosa” ricorrendo a percorsi negoziali tortuosi, ad atti anche non lineari, anche tra loro correlati, che legittimano lo stesso all’ottenimento di vantaggi fiscali indebiti, i quali vengono ottenuti in contrasto con la finalità della norma e con i principi dell’ordinamento tributario, cercando dunque di aggirare le stesse. Vengono definite operazioni prive di sostanza economica tutte quelle operazioni che collidono con le normali logiche di mercato o anche quando il nomen iuris, ovverosia la qualificazione giuridica delle operazioni, non collima con il fondamento giuridico delle stesse.

L’operazione viene esperita solamente per il singolare ottenimento di tali vantaggi, i quali, non necessariamente devono essere immediati, ma possono essere anche procrastinati ad un momento postergato.

L’Amministrazione finanziaria, dunque, ne disconosce i vantaggi fiscali indebitamente ottenuti dal contribuente calcolando il tributo tenendo conto di quanto effettivamente è stato pagato dal medesimo.

 

L’esimente, il libero arbitrio del contribuente e l’interpello antiabuso

Nel comma 3 dell’art. 10-bis dello statuto del contribuente viene normato l’esimente, difatti recita: “Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente”.

Dunque, è bene precisare che l’operazione effettuata dal contribuente, non viene qualificata come abusiva/elusiva dall’Amministrazione finanziaria allorquando le motivazioni che hanno sospinto lo stesso al compimento dell’azione, esulano dall’aspetto fiscale, ma riguardano ragioni di ordine organizzativo o gestionale strumentali all’efficentamento dell’attività di impresa o anche dell’attività professionale.

Nel comma 4, invece: “Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”.

Viene suggellata la potestà riconosciuta al contribuente di poter optare per qualsivoglia regime fiscale contemplato all’interno delle norme fiscali.

Il comma 5, poi:” Il contribuente può proporre interpello ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera c), per conoscere se le operazioni costituiscano fattispecie di abuso del diritto”.

 

L’interpello costituisce la possibilità accordata ai contribuenti di prospettare all’Amministrazione finanziaria un’istanza per poter richiedere delucidazioni, chiarimenti concernenti determinate norme fiscali od anche operazioni che si stanno per effettuare.

Sussistono discrepanti tipologie di interpello, in questa sede rileva l’interpello antiabuso, di cui all’articolo 11, comma 1, lettera c).

Se il contribuente paventa che l’operazione che sta per effettuare possa essere considerata abusiva, può chiedere il parere dell’Amministrazione Finanziaria. Rappresenta un interpello preventivo.

Per questa forma di interpello è previsto un periodo di tempo di 120 giorni a favore dell’Amministrazione Finanziaria per rispondere al contribuente. La risposta non è vincolante per il contribuente ma solo per l’Amministrazione Finanziaria.

 


 

L’azione accertatrice e il principio del contradditorio preventivo

Proseguendo con l’analisi dell’articolo 10-bis, i commi 6 e 7, rispettivamente recitano:

“Senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, l’abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto.”

“La richiesta di chiarimenti è notificata dall’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell’atto impositivo. Tra la data di ricevimento dei chiarimenti ovvero di inutile decorso del termine assegnato al contribuente per rispondere alla richiesta e quella di decadenza dell’amministrazione dal potere di notificazione dell’atto impositivo intercorrono non meno di sessanta giorni. In difetto, il termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, fino a concorrenza dei sessanta giorni.”

Muovendo dall’analisi del sesto comma, l’Amministrazione finanziaria può notificare un avviso di accertamento a titolo elusivo per richiedere la maggior imposta , laddove ricorrono i presupposti, ovverosia nella fattispecie in cui emerge una condotta abusiva del contribuente.

Occorre precisare che tale notificazione dello strumento accertativo deve essere ineluttabilmente preceduta, a pena di perenzione, da una richiesta di chiarimenti che deve essere fornita entro 60 giorni. Tale richiesta è importantissima, difatti, laddove non venisse notificata, l’atto accertativo sarà nullo.

Tale fase viene dunque governata dal “principio del contradditorio preventivo”, dove il contribuente può addurre elementi a suo discarico, motivando che lo scopo dell’operazione non era quello di ottenere vantaggi fiscali indebiti.

Per quel che attiene le tempistiche, la richiesta di chiarimenti dovrà essere fatta pervenire tenendo conto di quelli che sono i limiti contemplati per lo strumento accertativo:

  • Entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello della dichiarazione dei redditi
  • Entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello della dichiarazione dei redditi, nel caso in cui viene omessa la presentazione della dichiarazione dei redditi.

Dobbiamo poi soggiungere che l’atto accertativo di matrice abusiva/elusiva costituisce uno strumento la cui utilizzazione consta essere solamente “residuale”: nello specifico sarà legittimo notificare un avviso di accertamento solamente nel caso in cui sussista effettivamente una condotta abusiva esperita dal contribuente, non già nel caso in cui la condotta esperita sia evasiva.

Un esempio addotto risulta essere la deduzione di un costo non inerente all’attività di impresa, in tal senso siamo al cospetto di una condotta evasiva, poiché il contribuente ha infranto una norma tributaria, ragion per cui la notificazione di un atto accertativo a titolo abusivo risulterà essere illegittimo.

 

L’onere dimostrativo e motivazionale a carico dell’Amministrazione finanziaria e la non rilevabilità d’ufficio della condotta abusiva.

Secondo quanto disposto dai commi 8 e 9: “Fermo quanto disposto per i singoli tributi, l’atto impositivo è specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonché ai chiarimenti forniti dal contribuente nel termine di cui al comma 6.”

“L’amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2. Il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3.”

 

Andando dunque ad esaminare i dettami contenuti all’interno dei precedenti commi, all’Amministrazione finanziaria incombe l’onere dimostrativo e motivazionale dell’atto impositivo. La motivazione dell’atto è obbligatoria a pena di nullità dello stesso, motivazione che deve concernere la condotta abusiva esperita del contribuente, le norme, i principi elusi ed i vantaggi indebiti ottenuti dal contribuente.

Deve dunque dimostrare che l’operazione sottende una condotta abusiva e circostanziare la stessa.

Differentemente, incombe al contribuente addurre elementi a suo discarico, indicando, ove sussistenti, le ragioni extrafiscali, non marginale che hanno indotto il contribuente al compimento dell’operazione oggetto di accertamento.

Passando ora alla non rilevabilità di ufficio della condotta abusiva, l’Amministrazione finanziaria ha l’obbligo di contestare un avviso di accertamento a titolo elusivo sin dal momento iniziale, non può dunque contestare un avviso di accertamento a titolo evasivo, e, successivamente, cambiare l’origine dell’atto, definendo lo stesso a titolo evasivo.

Tale proibizione viene estesa anche nei riguardi del giudice tributario.

 

 

L’esazione della maggior imposta richiesta, il rimborso dei contribuenti non accertati e le sanzioni relative all’abuso

 

L’ Amministrazione finanziaria non può esigere la maggior imposta richiesta al contribuente mediante l’atto accertativo prima della declaratoria del giudice di primo grado[1].

La ratio di tale disposizione risiede nel fatto che il legislatore è a conoscenza che il fenomeno dell’elusione fiscale consta essere di confine con quello che è il legittimo risparmio di imposta, ragion per cui viene rilasciata la possibilità al contribuente di patrocinare la propria posizione in giudizio.

Per quanto riguarda gli importi versati dai contribuenti non sono stati assoggettati all’attività di accertamento, al comma 11 viene statuito che gli stessi possono richiedere il rimborso delle imposte pagate a seguito delle operazioni abusive i cui vantaggi fiscali sono stati disconosciuti dall’Amministrazione finanziaria.

Per concludere, nel comma 12[2], viene specificato che in sede di accertamento l’abuso del diritto può essere configurato solamente quando non si riesce a disconoscere i vantaggi fiscali indebiti conseguiti contestando la violazione delle norme tributarie.

L’ultimo comma[3] dell’articolo 10-bis, chiarifica che le operazioni elusive effettuate dai contribuenti non hanno alcun riflesso sulla responsabilità penale, difatti, trova applicazione l’irrogazione di sanzioni amministrative tributarie.

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Note

[1] Difatti, come recita il comma 10 dell’art. 10-bis: “In caso di ricorso, i tributi o i maggiori tributi accertati, unitamente ai relativi interessi, sono posti in riscossione, ai sensi dell’articolo 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e, successive modificazioni, e dell’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.”

[2] “In sede di accertamento l’abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie.”

[3] Recita il comma 13: “Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie.”

 

Aldo Innamorato

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