(Riferimento normativo: D.lgs. n. 74/2000, artt. 8 e 12-bis)
Il fatto e i motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Potenza aveva proposto, per saltum, ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Matera aveva dichiarato, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, la penale responsabilità di P. F. in relazione alla violazione dell’art. 8, comma 1, del dlgs n. 74 del 2000, per avere egli, nella qualità di legale rappresentante della S. S. S. Srl, nel corso degli anni di imposta 2011 e 2012, emesso fatture relative ad operazioni inesistenti al fine di consentire a soggetto terzi la evasione delle imposte.
Il ricorrente, in particolare, aveva lamentato il fatto che, in contrasto con la espressa disposizione legislativa contenuta nell’art. 12-bis del citato dlgs n. 74 del 2000, il Tribunale lucano avesse omesso di disporre la confisca obbligatoria secondo i termini stabiliti in detta norma.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva ritenuto fondato alla luce delle seguenti considerazioni.
Si osservava prima di tutto come l’art. 12-bis del dlgs n. 74 del 2000, da un lato, preveda che, in caso di condanna ovvero di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. per uno dei delitti previsti dal medesimo decreto legislativo, è sempre ordinata la confisca, eventualmente anche per equivalente, dei beni che abbiano formato il profitto ovvero ne abbiano costituito il prezzo, salvo che essi non siano di proprietà di persona estranea al reato, dall’altro, sia stata introdotta per effetto della entrata in vigore del dlgs n. 158 del 2015 fermo restando che la stessa è comunque applicabile anche alle condotte poste in essere anteriormente alla sua introduzione stante il pacifico regime di continuità normativa, tale da non porre in discussione alcun profilo inerente alla possibile successione di leggi nel tempo ed alla eventuale inapplicabilità della sopravvenuta lex durior, fra tale disposizione e quella precedentemente oggetto dell’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 la quale già prevedeva il generale regime di confisca per equivalente dei beni costituenti profitto o prezzo della commissione di reati tributari (cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 22 agosto 2016, n. 35226) sicché la misura di sicurezza patrimoniale deve ritenersi applicabile a tutti i reati previsti dal dlgs n. 74 del 2000 ove commessi in epoca successiva alla entrata in vigore della citata legge n. 244 del 2007, cioè successivamente al 1 gennaio 2008 (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 8 marzo 2018, n. 10598).
Ebbene, tale specificazione rilevava nel caso di specie stante il fatto che la fattispecie in esame riguardava delle fatture emesse nel corso degli anni di imposta 2011 e 2012.
Ciò posto, gli ermellini facevano altresì presente come, con la sentenza impugnata, il Tribunale di Matera, che pure aveva dichiarato la penale responsabilità del P. per uno dei reati previsti dal dlgs n. 74 del 2000, commesso nella ricordata qualità, avesse, tuttavia, del tutto omesso di provvedere in ordine alla necessaria confisca e, pertanto, sotto tale profilo, ferma restando anche per gli effetti di cui all’art. 624 cod. proc. pen. l’affermazione della penale responsabilità di quello, questa sentenza doveva, di conseguenza, essere annullata con rinvio al Tribunale di Matera affinché provvedesse in merito alla omessa confisca ed al suo ammontare.
Nel disporre in tal senso, i giudici di piazza Cavour mettevano in risalto il fatto che, in relazione al tipo di reato contestato all’imputato ed accertato a suo carico, trattandosi della violazione dell’art. 8, comma 1, del dlgs n. 74 del 2000, dovesse essere data continuità all’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, in una tale fattispecie, l’entità dei beni confiscabili, eventualmente anche per equivalente, deve essere rapportata non al profitto eventualmente conseguito dai terzi per effetto della emissione da parte del prevenuto di fatture aventi ad oggetto operazioni inesistenti, ma solo al prezzo del reato, cioè all’eventuale compenso che il P. abbia percepito per la emissione delle fatture di cui alla imputazione posto che tale limitazione appare imposta in ragione della espressa deroga al regime del concorso di persone nel reato fra chi emette fatture per operazioni inesistenti e chi le utilizza, sancito dall’art. 9 del dlgs n. 74 del 2000 che rende inapplicabile il generale principio solidaristico in tema di confiscabilità del profitto del reato (in relazione al quale si veda, fra le tante: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 11 giugno 2018, n. 26621) sussistente solo fra i soggetti concorrenti nel medesimo reato (cfr. nel senso indicato: Corte di cassazione, Sezione III penale, 18 ottobre 2016, n. 43952; idem Sezione III penale 14 aprile 2016, n. 15458).
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Conclusioni
La sentenza in oggetto è sicuramente condivisibile specialmente nella parte in cui si afferma che, per il reato di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, l’entità dei beni confiscabili, eventualmente anche per equivalente, deve essere rapportata non al profitto eventualmente conseguito dai terzi per effetto della emissione da parte del prevenuto di fatture aventi ad oggetto operazioni inesistenti, ma solo al prezzo del reato, cioè all’eventuale compenso che l’autore di questo reato abbia percepito per la emissione delle fatture di cui alla imputazione.
Difatti, tale approdo ermeneutico, come rilevato nella stessa pronuncia in commento, si allinea lungo il solco di un pregresso orientamento nomofilattico con cui il Supremo Consesso era pervenuto alla stessa considerazione giuridica (tra le tante e le più recenti, vedasi: Cass. pen., sez. II, 7/06/2018, n. 30401 (“In materia di reati tributari, ai fini del sequestro e successiva confisca, il prezzo del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti è identificabile nel compenso pattuito o riscosso per eseguire il delitto”); Cass. pen., sez. III, 5/05/2016, n. 43952 (“In materia di emissione di fatture per operazioni inesistenti, il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente non può essere disposto sui beni dell’emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture medesime ma solo per il valore corrispondente al profitto (prezzo del reato) che l’emittente abbia conseguito per effetto della propria condotta, riconoscibile in qualsiasi utilità economica che direttamente o indirettamente sia da essa derivata”).
Il giudizio in ordine a quanto statuito in questa pronuncia, dunque, si ribadisce, non può che essere positivo.
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