- Inquadramento della disciplina
- Rimedi per la riparazione di un errore giudiziario
- Cause di esclusione
- Modalità di riparazione
- Riparazione per ingiusta detenzione
- Riparazione in ambito europeo
- Conclusioni
1. Inquadramento della disciplina
Generalmente quando si parla di errore giudiziario si fa riferimento ad una conseguenza possibile e ineludibile di ciascun percorso processuale. Di fatti nell’ambito del processo penale, l’eventuale errore giudiziario scaturisce da una c.d. decisione ingiusta basata sul mancato rispetto delle regole procedurali ovvero dalla ricostruzione del merito non corrispondente alla realtà dei fatti (o alla diversa realtà emersa da un secondo giudizio). Ciò, naturalmente, assume una particolare rilevanza, in quanto si è ben consapevoli di come la sentenza di condanna sia in grado di incidere così significativamente e, altresì, negativamente sull’esistenza stessa dell’imputato: si pensi alla sua libertà personale, alla sua capacità lavorativa, alla sua vita privata e familiare.
Tuttavia, in un sistema processuale risulta alquanto difficile eliminare radicalmente l’errore giuridico; pertanto, ciascun ordinamento è tenuto a dotarsi, in primo luogo, di strumenti procedurali che ne prevengano la produzione e, in secondo luogo, predisporre rimedi riparatori idonei a garantire ex post un ristoro a chi abbia subito l’errore giudiziario.
2. Rimedi per la riparazione di un errore giudiziario
Il lungo percorso legislativo e giurisprudenziale ha condotto oggi il nostro ordinamento a riconoscere le condizioni e i modi per la riparazione di un errore giudiziario. In particolare, un esplicito riferimento è fatto attraverso la nostra Carta costituzionale, ai sensi dell’art.24/ultimo comma, il quale afferma che «La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari».
A ben vedere, il legislatore illumina questo tema e usa parole attente e precise: parla di ‘riparazione’ e non di ‟risarcimentoˮ o ‟indennizzoˮ[1], dando il senso di una vera e propria compensazione. Le tipologie di riparazione previste dal nostro ordinamento sono:
- La riparazione dell’errore giudiziario emerso in seguito alla revisione di una sentenza di condanna ai sensi dell’artt. 643-647 c.p.p.;
- la riparazione per l’ingiusta detenzione, disciplinata dagli artt. 314-315 c.p.p., quale derivazione del diritto riconosciuto dall’art. 24, comma 4, Cost.[2]
Per quanto concerne la riparazione dell’errore giudiziario emerso in seguito alla celebrazione del procedimento di revisione, una condizione indispensabile per avviare un procedimento di riparazione del danno è rappresentata dalle forme di proscioglimento di cui agli artt. 529, 530 e 531 c.p.p. Si tratta di sentenze che abbiano riconosciuto l’errore giudiziario contenuto in una sentenza di condanna emessa all’esito di giudizio ordinario o rito alternativo o in un decreto penale di condanna: provvedimenti tutti divenuti irrevocabili.
La riparazione dell’errore giudiziario è concessa anche nel caso di proscioglimento per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova[3], ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p., e nel caso di proscioglimento fondato su una causa di giustificazione o di non punibilità, anche se ritenuta sussistente in forma dubitativa. È, invece, esclusa la riparazione: per la parte di pena computata nella determinazione della pena da espiare per un reato diverso, ex art. 657, comma 2, c.p.p. (art. 643, comma 3, c.p.p.); per il proscioglimento per non imputabilità o non punibilità per “altra ragione”, ex art. 530 c.p.p.; per le ipotesi di mancanza di condizione di procedibilità o proseguibilità dell’azione, ex art. 529 c.p.p.; per l’ipotesi di estinzione del reato, ex art. 531 c.p.p.
Secondo parte della dottrina, nell’alveo degli errori giudiziari suscettibili di riparazione dovrebbe rientrare l’errore di fatto che sia stato riconosciuto all’esito di un giudizio instaurato con ricorso straordinario per errore di materiale o di fatto ex art. 625-bis c.p.p., trattandosi, analogamente ai casi che legittimano la richiesta di revisione, di erronee affermazioni di responsabilità.
Nel caso del procedimento ex art. 625-bis c.p.p., inoltre, l’esito del giudizio potrebbe anche consistere nella diminuzione della pena inflitta al condannato per effetto dell’errore di fatto successivamente riparato, con la conseguenza che, a differenza del procedimento di revisione, anche una modifica della sentenza di condanna potrebbe legittimare una richiesta di riparazione in riferimento al periodo di pena scontato illegittimamente.
3. Le cause di esclusione
La riparazione per l’errore giudiziario è, tuttavia, condizionata alla mancanza di un presupposto “negativo”: pur in presenza del riconoscimento dell’errore, infatti, occorre che il condannato non abbia dato causa per dolo o colpa grave all’errore giudiziario.
Il concetto di dolo, in tale sede, è stato ricostruito in riferimento alla diversa funzione che l’elemento psicologico assume per la valutazione della meritevolezza della riparazione rispetto all’accezione di dolo tipizzata ai fini dell’accertamento della responsabilità penale. Si tratta, quindi, di un dolo apprezzabile secondo i criteri della teoria generale del negozio giuridico e consiste quindi in qualunque comportamento, anche omissivo, volto, con artifici e raggiri, ad ingannare ed alterare il quadro degli elementi valutabili dal giudice ai fini della decisione; si tratta, quindi, di una condotta che ha avuto un’incidenza causale rilevante per la determinazione dell’errore giudiziario.[4] La colpa grave[5], invece, è individuabile nella condotta caratterizzata da non curanza, negligenza, incuria e indifferenza per le conseguenze dei propri atti ai fini penali; disinteresse per le vicende del proprio processo; astensione dal fornire spiegazioni all’autorità giudiziaria; condotte tutte che, nella generalità delle persone di ordinaria esperienza, sono tali da rendere prevedibile per l’autore delle stesse, una sentenza di condanna.
Inoltre, a differenza della disciplina inerente la riparazione per l’ingiusta detenzione, nella quale viene valorizzato anche il concorso di colpa dell’indagato/imputato nella realizzazione dell’errore giudiziario, per la riparazione dell’errore emerso in seguito a revisione, il legislatore ha ristretto il campo delle cause di esclusione, probabilmente in ragione della diversità dei due istituti, l’uno riferito a situazioni fluide, in quanto legate alle esigenze cautelari, l’altro derivante da un accertamento di merito completo.
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4. Le modalità di riparazione
Nel caso in cui sia riconosciuto l’errore giudiziario in seguito all’accoglimento della domanda di revisione, al prosciolto spettano, in primo luogo, le restituzioni delle somme specificate nell’art. 639 c.p.p. che, evidentemente, derivavano a vario titolo dalla sentenza di condanna travolta dalla revisione. Nella specie si tratta delle somme pagate: per le pene pecuniarie in esecuzione della condanna; per le misure di sicurezza patrimoniali; per le spese processuali e di mantenimento in carcere; per il risarcimento dei danni alla parte civile (citata per il giudizio di revisione).
Vengono, altresì, restituite le cose che sono state confiscate, ad eccezione di quelle previste nell’art. 240, comma 2, n. 2, c.p.
Accanto alle restituzioni in senso tecnico, inoltre, il c.p.p. prevede due forme di riparazione finalizzate a fornire un ristoro a chi abbia subito una condanna ingiusta, con le conseguenze patrimoniali e di reputazione che ne conseguono. Quanto al primo aspetto, in favore del prosciolto sono previste, alternativamente, le seguenti misure: pagamento di una somma di denaro commisurata, ex art. 643, commi 1 e 2, alla durata della eventuale espiazione della pena e alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna; costituzione di una rendita vitalizia, in considerazione delle condizioni dell’avente diritto e della natura del danno; accoglimento dell’avente diritto, a sua richiesta, in un istituto a spese dello Stato.
Per quanto concerne, invece, il recupero della dignità e reputazione del prosciolto, è previsto il meccanismo riparatorio della pubblicazione, a spese dello Stato, di un estratto della sentenza di accoglimento della richiesta di revisione del processo che, a richiesta dell’interessato, deve essere pubblicata nel Comune in cui la sentenza di condanna era stata pronunciata ed in quello di ultima residenza del condannato, nonché su un giornale indicato dal richiedente.
5. Riparazione per ingiusta detenzione
La riparazione per ingiusta detenzione è, invece, riconosciuta tutte le volte che il procedimento si conclude con una pronuncia favorevole per l’imputato in precedenza sottoposto ad una misura cautelare. In quest’ultimo caso, infatti, l’ordinamento riconosce il diritto ad una equa riparazione per la custodia cautelare subita a chi sia stato prosciolto con sentenza irrevocabile: perché il fatto non sussiste; per non aver commesso il fatto; perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato.
Il diritto all’equa riparazione spetta anche al prosciolto o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando, con decisione irrevocabile, risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dal codice di rito.
Altresì, le disposizioni sull’equa riparazione si applicano anche in favore dei soggetti nei cui confronti sia pronunciato provvedimento di archiviazione (ordinanza o decreto), ovvero sentenza di non luogo a procedere. Con riferimento alla riparazione per ingiusta detenzione è previsto – a differenza della riparazione dell’errore giudiziario – un limite massimo alla indennità; dunque, occorre prendere in considerazione diversi parametri, quali: la durata della custodia cautelare sofferta; la modalità di privazione della libertà personale; l’assenza di elementi di colpa; le conseguenze personali provocate dalla custodia cautelare; le eventuali conseguenze sulla salute.
Anche per la riparazione per ingiusta detenzione vi sono casi di esclusione, in particolare in tutti i casi in cui lo stesso condannato abbia dato, o concorso a dare, causa allo stato di detenzione, per dolo o colpa grave[6].
6. Riparazione in ambito europeo
Il diritto alla riparazione presuppone la violazione dei parametri convenzionali posti a tutela della libertà personale dall’art. 5 commi 1-4 CEDU. Tale violazione può essere accertata sia dalle autorità nazionali sia, in ultima istanza, dalla CEDU. L’art. 5/ 5°comma CEDU, infatti, «garantisce un diritto individuale, il cui rispetto si impone anzitutto alle autorità nazionali»; gli Stati contraenti devono predisporre un meccanismo riparatorio effettivo, vale a dire dotato di un sufficiente grado di certezza in ordine alla sua instaurazione, nonché, di ragionevoli prospettive di successo. In mancanza di un siffatto rimedio nell’ambito dell’ordinamento interno, la CEDU – dopo aver riscontrato una violazione del diritto alla libertà e alla sicurezza del ricorrente – non potrebbe esimersi dal riconoscere anche la violazione del diritto alla riparazione per la detenzione illegittima, con l’eventuale attribuzione alla vittima di una somma a titolo di equa soddisfazione ex art. 41 CEDU.
Il diritto alla difesa e ad un’attività di indagine precisa e non vanificante, sono necessari per non incorrere in un errore giudiziario. Il legislatore costituzionale è stato certamente spinto ad inserire tale riparazione nell’ambito della nostra Costituzione, preso atto del dovere di garantire a tutti una tutela giurisdizionale.
7. Conclusioni
Il diritto alla difesa e ad un’attività di indagine precisa e non vanificante, sono necessari per non incorrere in un errore giudiziario. Il legislatore costituzionale è stato certamente spinto ad inserire tale riparazione nell’ambito della nostra Costituzione, preso atto del dovere di garantire a tutti una tutela giurisdizionale.
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Note
[1] Vi è una differenza precisa e netta: il risarcimento viene imposto dalla legge per riparare ad un danno ingiusto. L’indennizzo, invece, è previsto in tutti quei casi in cui non si può parlare di danno ingiusto – e quindi non ci sarebbe alcun obbligo al risarcimento – ma viene ritenuto comunque opportuno che il soggetto leso riceva una somma, in modo da riequilibrare una situazione che rischierebbe di diventare ingiusta.
[2] Vedi Paragrafo V.
[3] Cass. pen., Sez. IV, 30 marzo 2004, n. 22924.
[4] Cass. pen., Sez. IV, 24 settembre 1998, n. 2569.
[5] Secondo consolidata giurisprudenza, a partire da Cass. pen., Sez. IV, 27 novembre 1992, n. 1366.
[6] Cass. pen. Sez. III, n. 36228/2021.
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