L’esecuzione contro la P.A.

Redazione 03/02/20
La disciplina dell’esecuzione contro la P.A.

Il presente contributo in tema di esecuzione contro la P.A. è tratto da “Come farsi pagare dalla PA” scritto da Bruno Cirillo

La specialità della disciplina dell’esecuzione contro la P.A.

Ferma restando la disciplina generale che regola il processo esecutivo, dettata dal legislatore attraverso il codice di procedura civile, ci sono varie discipline speciali, tra le quali riveste una certa importanza quella riferita all’esecuzione che bisogna portare a termine nei confronti del debitore quando quest’ultimo è una Pubblica Amministrazione.

Innanzitutto bisogna sottolineare che i beni dello Stato si dividono in: a) (facenti parte del) demanio pubblico; b) (facenti parte del) patrimonio indisponibile; c) (facenti parte del) patrimonio disponibile. Tali beni sono sottoposti a una disciplina speciale di legge e in particolare “i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile, non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano”. Pertanto, i beni dello Stato (dove per Stato si intende l’apparato amministrativo nella sua totalità, sia che si tratti di enti pubblici non territoriali che di regioni, province e comuni) che siano destinati a un pubblico servizio non possono essere sottratti alla loro destinazione.

Dal punto di vista procedurale, quindi, ai beni facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato (come gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio), ma soprattutto, ai fini che qui ci interessano, ai beni facenti parte del patrimonio disponibile ma, in quanto destinati a una funzione pubblica, sottratti alla “disponibilità” (intesa come possibilità di essere oggetto di escussione), si applica l’art. 514, n. 5, c.p.c. in tema di “assoluta impignorabilità” per cui “non si possono pignorare … gli oggetti che il debitore ha l’obbligo di conservare per l’adempimento di un pubblico servizio”.

Sul punto, per maggior chiarezza, è importante sottolineare che la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale hanno chiarito che la Pubblica Amministrazione può essere condannata al pagamento di somme di danaro e, quindi, può essere destinataria dell’azione esecutiva con il limite del patrimonio indisponibile dettato anche dalla concreta destinazione del bene pignorato alla funzione pubblica.

Dibattito giurisprudenziale e dottrinale in tema di esecuzione contro la P.A.

Il dibattito è stato, negli anni intenso e, data l’importanza, va riportato nei termini con cui si è espressa la Corte Costituzionale nell’ormai non più vicinissimo 1981 (n. 138 del 21 luglio).

Per anni la giurisprudenza ha dedotto i limiti dell’azione esecutiva contro la Pubblica Amministrazione dal tradizionale principio della divisione dei poteri, posto a fondamento dell’art. 4 della legge del 1865 sull’abolizione del contenzioso amministrativo. La tutela della indipendenza della amministrazione – si argomentava – esige che il giudice ordinario non abbia ad ingerirsi nella condotta degli affari amministrativi, così influenzando i tempi e i modi di soddisfazione degli interessi pubblici da parte della amministrazione stessa e quindi raggiungendo risultati praticamente uguali a quelli propri degli atti amministrativi. Piena doveva rimanere la discrezionalità della Pubblica Amministrazione nell’uso delle proprie risorse patrimoniali, con la conseguenza che, pur ammessa la possibilità di una condanna pecuniaria, la soddisfazione del credito con l’azione esecutiva incontrava il duplice limite dello stanziamento in bilancio della relativa spesa e dell’emissione del titolo di spesa, ad ottenere il quale non vi sarebbe stato diritto soggettivo, stante la discrezionalità della amministrazione nella scelta dei crediti da soddisfare. Corollario di questa impostazione era che bastava l’iscrizione di somme o di crediti pecuniari nei bilanci preventivi dello Stato o degli enti pubblici per farli qualificare “beni… destinati ad un pubblico servizio” ex art. 828 ultimo comma del codice civile, quindi inalienabili e correlativamente inespropriabili: sostenendosi, in particolare, che la legge di approvazione del bilancio non vincola soltanto la Pubblica Amministrazione, ma opera anche nei confronti dei terzi.

Il ragionamento era davvero non condivisibile perché, di fatto, portava, veramente, a rendere impossibile il recupero dei crediti nei confronti dello Stato, lasciando agli organi dello stesso un arbitrio assoluto.

Per fortuna, già negli anni ’70 la Corte Costituzionale aveva negato che l’intangibilità dell’atto amministrativo traesse origine da un (costituzionalizzato) principio della divisione dei poteri e avesse fondamento costituzionale, poiché l’art. 113, ultimo comma, Cost., lascia al legislatore ordinario di determinare quali organi di giurisdizione possano annullare gli atti amministrativi. Muovendo da questo presupposto, la dottrina ha sostenuto che la Pubblica Amministrazione ha una posizione di preminenza in base alla Costituzione non in quanto soggetto, ma in quanto esercita potestà specificamente ed esclusivamente attribuitele nelle forme tipiche loro proprie. In altre parole, è protetto non il soggetto, ma la funzione, ed è alle singole manifestazioni della Pubblica Amministrazione che è assicurata efficacia per il raggiungimento dei vari fini pubblici a essa assegnati. Per converso, al di fuori dell’esercizio delle predette funzioni l’azione della Pubblica Amministrazione rientra nella disciplina di diritto comune e ove venga a ledere un diritto soggettivo la potenzialità di tutela di questo affidata al giudice ordinario è completa, incontrando il solo limite del non potere costui sostituirsi all’amministrazione nell’emanare un atto né condannarla ad emanarlo.

In base a questa piattaforma ricostruttiva, la giurisprudenza è pervenuta all’affermazione che l’ammissibilità della condanna della Pubblica Amministrazione al pagamento di somme di denaro comporta come conseguenza imprescindibile, l’ammissibilità dell’esecuzione per espropriazione.

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La verifica dell’esistenza del vincolo di destinazione a un “pubblico servizio”.

L’individuazione dei beni non escutibili (diversi dagli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, testualmente indicati nell’art. 826, ultimo comma, del codice civile come facenti parte del patrimonio indisponibile) presuppone, poi, l’accertamento dell’esistenza di un vincolo di destinazione a un “pubblico servizio”.

Si deve sottolineare, infatti, che la Pubblica Amministrazione non è sottratta ai principi per cui “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”, ed è soggetto all’espropriazione forzata se non esegue spontaneamente il comando contenuto nella sentenza di condanna.

I limiti di pignorabilità dei loro beni patrimoniali vanno, quindi, individuati concretamente, in relazione alla natura o alla destinazione degli specifici beni dei quali di volta in volta si chiede l’espropriazione.

Ad esempio, la non assoggettabilità all’esecuzione forzata delle somme di denaro o dei crediti pecuniari dello Stato e degli enti pubblici può discendere soltanto dal fatto che essi concorrano a formare il patrimonio indisponibile, e cioè, come si è visto, dal fatto che essi siano vincolati a un pubblico servizio ovvero (come per i crediti tributari) che nascano dall’esercizio di una potestà pubblica.

Il denaro e i crediti pecuniari, traenti origine da rapporti di diritto privato, per la natura fungibile e strumentale del denaro stesso, difficilmente possono ritenersi assoggettabili a vincoli di destinazione, a meno che non siano destinati immediatamente, nella loro individualità, a un fine pubblico. Il mero fatto della loro iscrizione nel bilancio preventivo non li può trasformare in beni patrimoniali indisponibili, così da annullare la responsabilità patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici. Invero, il bilancio preventivo costituisce strumento di attuazione dei programmi e crea un vincolo nei soli confronti della Pubblica Amministrazione ma non può incidere sulla sostanza dei diritti soggettivi e sottrarre il denaro alla responsabilità patrimoniale che opera per legge in una sfera diversa.

Interventi legislativi in tema di esecuzione contro la P.A.

Una volta riconosciuto che di fronte alla sentenza di condanna al pagamento di somme la posizione della Pubblica Amministrazione, quindi, non è diversa da quella di qualsiasi altro debitore, il pagamento è un atto dovuto, a cui non ci si può sottrarre, vanificando il comando del giudice con l’adottare discrezionalmente una propria graduatoria di priorità degli obblighi cui adempiere con le risorse disponibili.

Memore di tale insegnamento il legislatore, con varie normative speciali, ha disciplinato la materia dell’esecuzione forzata contro la Pubblica Amministrazione premurandosi, in particolare, di specificare e regolamentare i “vincoli di destinazione a finalità pubbliche”.

Così, ad esempio, con l’art. 159 del testo unico degli enti locali, rubricato “Norme sulle esecuzioni nei confronti degli enti locali”, con cui ha espressamente disposto che:

1) non sono ammesse procedure di esecuzione e di espropriazione forzate nei confronti degli enti locali presso soggetti diversi dai rispettivi tesorieri. Gli atti esecutivi eventualmente intrapresi non determinano vincoli sui beni oggetto della procedura espropriativa;

2) non sono soggette a esecuzione forzata, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, le somme di competenza degli enti locali destinate a:

a) pagamento delle retribuzioni al personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi successivi; b) pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso; c) espletamento dei servizi locali indispensabili.

Il legislatore ha, poi, previsto anche una procedura per rendere operativi i citati “vincoli di destinazione” disponendo la necessità che “l’organo esecutivo, con deliberazione da adottarsi per ogni semestre e notificata al tesoriere, quantifichi preventivamente gli importi delle somme destinate alle suddette finalità”.

Le procedure esecutive eventualmente intraprese in violazione dei vincoli di indisponibilità regolarmente costituiti non determinano vincoli sulle somme né limitazioni all’attività del tesoriere.

Chi legge capirà bene che, se da una parte, il legislatore ha recepito le indicazioni pervenutegli dalla giurisprudenza di legittimità e anche dal giudice delle leggi, dall’altra, con formulazioni normative come quella che abbiamo appena riportato, di fatto, si è data la possibilità alla Pubblica Amministrazione di evadere legittimamente a quelle che sono le proprie obbligazioni pecuniarie.

Per fortuna la Corte Costituzionale, con sentenza n. 211 del 18 giugno 2003, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della “creazione di vincoli di indisponibilità” nella parte in cui non si prevede che la impignorabilità delle somme destinate ai fini (pubblici) indicati dallo stesso articolo, non

operi qualora, dopo la adozione da parte dell’organo esecutivo della deliberazione semestrale di preventiva quantificazione degli importi delle somme destinate alle suddette finalità e la notificazione di essa al soggetto tesoriere dell’ente locale, siano emessi mandati a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l’ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell’ente stesso.

È di tutta evidenza, infatti, che la Pubblica Amministrazione, sebbene per definizione svolga una funzione pubblica, non può “creare vincoli di indisponibilità” e, poi, pagare a titolo diverso ovvero chi le pare, non seguendo alcun ordine!

Il legislatore, ancora prima del 1995, aveva disciplinato il vincolo di destinazione pubblica del denaro riferendosi, nella fattispecie, alle Aziende sanitarie locali. Con il decreto legge n. 9 del 18 gennaio 1993, convertito, con modificazioni, nella legge n. 67 del 18 marzo 1993, infatti, aveva disposto che “le somme dovute a qualsiasi titolo alle unità sanitarie locali e agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico non sono sottoposte a esecuzione forzata nei limiti degli importi corrispondenti agli stipendi e alle competenze comunque spettanti al personale dipendente o convenzionato, nonché nella misura dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini dell’erogazione dei servizi sanitari definiti con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro del tesoro, da emanare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione”.

Anche in questo caso la Corte Costituzionale era intervenuta dichiarando, con sentenza 29 giugno 1995, n. 285, l’illegittimità della disposizione, nella parte in cui, per l’effetto della non sottoponibilità a esecuzione forzata delle somme destinate ai fini ivi indicati, non prevedeva la condizione che l’organo di amministrazione dell’unità sanitaria locale, con deliberazione da adottare per ogni trimestre, quantificasse preventivamente gli importi delle somme innanzi destinate e che dall’adozione della predetta delibera non fossero emessi mandati a titoli diversi da quelli vincolati, se non seguendo l’ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non fosse prescritta fattura, dalla data della deliberazione di impegno da parte dell’ente.

Per continuare ad approfondire in tema di esecuzione contro la P.A. prosegui nella lettura a pp. 177 ss. di “Come farsi pagare dalla PA” scritto da Bruno Cirillo 

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