di Elisa Giardini
Sommario
1. L’esecuzione in forma specifica per consegna e rilascio. Aspetti e distinzioni rispetto all’esecuzione per espropriazione
2. Un recente intervento sul tema della Corte di Cassazione: l’ordinanza n. 33723 del 18.12.2019
1. L’esecuzione in forma specifica per consegna e rilascio. Aspetti e distinzioni rispetto all’esecuzione per espropriazione
Nell’ambito della responsabilità patrimoniale del debitore exart. 2740 s.s. c.c., della generale realizzazione coattiva di un credito ed, in species, rispetto al diritto del creditore alla consegna di una cosa mobile determinata (o al rilascio di un determinato bene immobile), strette e molteplici sono le correlazioni e l’integrazione esistenti tra le norme del Codice di Rito e quelle del Codice di diritto sostanziale.
L’art. 2930 c.c., infatti, nell’introdurre la sezione seconda (capo secondo, titolo quarto) del libro sesto del Codice Civile, dedicata alla c.d. esecuzione in forma specifica, dispone che “se non è adempiuto l’obbligo di consegnare una cosa determinata, mobile o immobile, l’avente diritto può ottenere la consegna o il rilascio forzati, a norma delle disposizioni del Codice di Procedura civile”, cioè secondo gli artt. 605-611 c.p.c.[1]
L’espressione “esecuzione in forma specifica” individua una forma di tutela esecutiva che si contrappone – pur se parte del medesimo genus – all’esecuzione forzata per espropriazione[2].
Si delineano, così, nel Codice due modi di procedere alla realizzazione dell’interesse[3] sotteso ad un diritto soggettivo leso, tra loro diversi soltanto perché diversi sono gli obblighi rimasti inadempiuti, ma che fanno in ogni caso a meno della prestazione dell’obbligato e presuppongono, quindi, la fungibilità dell’obbligo, modi che tendono a realizzare sempre quell’interesse e non un altro per equivalente.
Detto in altri termini, l’esecuzione per espropriazione non si differenzia da quella in forma specifica perché essa fornisce all’avente diritto qualcosa di diverso da ciò a cui egli ha appunto diritto di ottenere sul piano sostanziale. La differenza, piuttosto, si sostanzia nel fatto che mentre nell’esecuzione per espropriazione il bene dovuto dal debitore non coincide con il bene aggredito, nell’esecuzione in forma specifica, invece, il bene dovuto coincide proprio con quello aggredito.
La prima forma – quella per espropriazione – proprio perché deve realizzare un credito pecuniario, procede attraverso trasformazioni giuridiche, ossia con la liquidazione dei beni del debitore, beni che, lungi dall’essere pre-individuati nel titolo esecutivo, sono di contro individuati nel corso della procedura esecutiva. Con la conseguenza che così si espropriano diritti appartenenti al debitore (l’oggetto dell’esecuzione), al fine di realizzare il diritto di credito del creditore (il motivo per cui si procede).
Con l’esecuzione in forma specifica, almeno in quella per consegna o rilascio[4], invece, si sostituisce un obbligo relativo ad un bene, al fine di ricondurre la situazione di fatto alla situazione di diritto, che è rappresentata nel titolo esecutivo: il processo esecutivo, in questo caso, non produce modificazioni giuridiche, non individua né liquida beni-strumento, utili alla realizzazione del credito-fine, ma si limita a rendere oggetto dell’aggressione proprio quel bene dovuto, che è già specificamente pre-individuato nell’atto costituente il titolo esecutivo e nel precetto[5], ed il diritto del creditore si realizza nella sua identità specifica. Il percorso esecutivo, pertanto, ha il solo scopo di trasferire il potere di fatto su un bene determinato, mobile o immobile, dall’obbligato all’avente diritto, senza che questa operazione possa o debba produrre modificazioni giuridiche in ordine ad esso[6].
Ciò è possibile ogni volta che sul piano sostanziale si configuri un obbligo di consegna o di rilascio rimasto non adempiuto, a prescindere dal tipo di diritto cui quell’obbligo è correlato o dal tipo di situazione giuridica originariamente lesa (sia essa relativa a diritti reali o a rapporti di obbligazione).
Inoltre, il tipo di esecuzione in parola ha come limite naturale l’impossibilità di provocare modificazioni giuridiche sostanziali in ordine all’attribuzione del bene che ne è oggetto. O, in altri termini, è inutilizzabile se attraverso quell’esecuzione si dovessero cercare di realizzare quei mutamenti[7].
Resta inteso che, anche nella forma c.d. specifica, l’esecuzione non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo “per un diritto certo, liquido ed esigibile”, che ne costituisce sempre presupposto ed antecedente logico e cronologico imprescindibile.
Sotto questo aspetto, però, vi sono alcune distinzioni da richiamare. Non tutti gli atti a cui la legge attribuisce la qualità di titolo esecutivo possono, infatti, fondare un’esecuzione forzata per consegna o per rilascio.
L’art. 474 c.p.c., dopo avere elencato, al comma 2, i titoli esecutivi, specifica che detta forma di esecuzione può avere luogo solo in virtù di quelli di cui ai n. 1 e 3 del citato comma 2.
Tra i titoli stragiudiziali, dunque, una simile esecuzione può fondarsi solo su un “atto ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli”, con esclusone della scrittura privata autenticata[8].
Tra i titoli giudiziali, invece, si annoverano non solo le sentenze e gli altri provvedimenti giudiziari – decreti ed ordinanze – cui la legge attribuisce espressamente l’efficacia esecutiva, ma anche i c.d. “altri atti”, categoria che si riferisce ad una fattispecie ampia di provvedimenti, in cui emerge una “cooperazione” e compartecipazione tra i soggetti privati ed il giudice[9].
Tra le altre differenze, occorre menzionare quella attinente il soggetto passivo dell’esecuzione: se l’esecuzione per consegna o rilascio ha, infatti, e come riferito, lo scopo di trasferire il potere di fatto su un bene specificamente già individuato nel titolo esecutivo e nel precetto, soggetto passivo dell’esecuzione è e sarà colui che ha quel potere sulla res, a prescindere dalla sua posizione di obbligato o meno ed a prescindere dall’essere indicato come il soggetto passivo nell’atto costituente il titolo esecutivo.
L’ordine contenuto in una sentenza di condanna al rilascio [ma analoghe considerazioni valgono per l’ipotesi di consegna] spiega, infatti, efficacia nei confronti non solo del destinatario della relativa statuizione ma anche di chiunque si trovi a detenere il bene nel momento in cui la sentenza stessa venga coattivamente eseguita, non potendo l’ordine de quo venire contrastato da un eventuale titolo giustificativo della disponibilità del bene in contestazione, diverso da quello preso in esame dalla pronuncia giurisdizionale e potendo comunque il detentore, qualora ritenga lesi i suoi diritti dal provvedimento di rilascio, provvedere alla loro tutela mediante opposizione di terzo exart. 404 c.p.c.,[10], oppure con un’autonoma azione di accertamento[11].
Con ciò si vuole dire che il detentore è inevitabilmente colui che subirà gli effetti dell’aggressione esecutiva.
Altro però è affermare che quel soggetto debba assumere la qualità formale di esecutato, ossia che a lui debbano essere notificati titolo esecutivo e precetto[12].
Sul modo di consegna[13], valgono, invece altre peculiarità: se si tratta di beni mobili e l’esecutato non restituisce il bene nel termine fissato dal precetto (e sempre che il capo dell’ufficio giudiziario non abbia autorizzato l’esecuzione immediata exart. 482 c.p.c.), l’ufficiale giudiziario dà inizio alla procedura esecutiva, procedendo all’accesso nel luogo nel quale si trovano i beni mobili. La ricerca avviene a norma dell’art. 513 c.p.c. (“ricerca delle cose da pignorare”) e l’ufficiale giudiziario che “quando è necessario aprire porte, ripostigli o recipienti, vincere la resistenza opposta del debitore o da terzi, oppure allontanare persone che disturbano l’esecuzione del pignoramento” provvede secondo le circostanze, richiedendo – quando occorre – l’assistenza della forza pubblica. Deve trattarsi ovviamente di beni di cui l’obbligato abbia il possesso, ovvero la disponibilità diretta, anche se ubicati in luogo che non gli appartenga. E laddove dette cose siano nel possesso di un terzo e questi consenta di esibire all’ufficiale giudiziario, allora questi procede senza intralci, come se il terzo riconoscesse che il possesso dei beni spetta all’obbligato[14].
La consegna alla parte istante, o a persona da lei designata, può consistere anche in una dichiarazione dell’ufficiale giudiziario che il possesso dei beni in questione spetta al creditore non trattandosi necessariamente di consegna materiale e di concreto spossessamento, bensì di un riconoscimento del possesso: l’ufficiale giudiziario ingiunge quindi al debitore di lasciare prendere la cosa mobile al creditore[15] cui spetta.
[1] Si legga Trib. Bari, n. 2622 del 18.05.2016, in SmartLex – IlSole24Ore. La fattispecie di merito riguardava una locazione commerciale: “[…] quando nel giudizio per l’inadempimento del locatore risulti incontestato che non vi è stata la consegna dell’immobile oggetto del contratto di locazione, detto inadempimento costituisce oltre che causa del risarcimento del danno eventualmente subito dal conduttore, motivo sufficiente per ottenere la risoluzione del contratto. […] E’ tuttavia pacifico che in luogo della risoluzione il conduttore abbia la facoltà, anche in base allo specifico interesse sotteso, di chiedere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo del locatore di consegnargli l’immobile attraverso la procedura esecutiva da cui al combinato disposto degli artt. 2930 c.c. e 605 s.s. c.p.c.”.
[2] Cosa ben diversa dalla distinzione, tutta sostanziale, tra la tutela in forma specifica e la tutela per equivalente, che attiene alle diverse scelte che il Legislatore può effettuare, a fronte della lesione di un diritto altrui, potendo derivare dall’evento o il risarcimento del danno o la nascita di obblighi strumentali, al fine di ripristinare l’interesse leso, ossia essenzialmente la situazione antecedente l’illecito. Si leggano, a riferimento, gli artt. 1223 e 2058 c.c.
[3] Il bene o l’adempimento della prestazione, ovvero l’oggetto originario del contenuto dell’obbligazione sorta tra le parti.
[4] L’esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare, pure conosciuta dall’ordinamento (artt. 2931 e 2933 c.c. e artt. 612 s.s. c.p.c.), è diretta invece a far conseguire al creditore la medesima prestazione specifica di fare, oggetto del suo diritto, ovvero l’eliminazione di quanto posto in essere dal debitore in violazione del suo obbligo di non fare.
[5] Si consideri che l’art. 605 c.p.c., a questo riguardo, specifica che il precetto, oltre alle indicazioni di cui all’art. 480 c.p.c., deve contenere un quid pluris, cioè anche la descrizione sommaria dei beni – rispettivamente mobili o immobili – per i quali si effettua la richiesta esecuitiva di consegna o di rilascio
[6] Si legga, ex multis, Cass. Civ., sez. 3, n. 10865 del 28.06.2012, in CED, Cassazione, 2012: “Nella procedura di esecuzione per consegna o per rilascio, posto che scopo della medesima è il trasferimento del potere di fatto sul bene indicato nel titolo dall’esecutato all’esecutante, di talché il suo effetto consiste in una modificazione della situazione materiale, il giudice dell’esecuzione è privo della potestà di risolvere questioni giuridiche in ordine al diritto di procedere in executivis ed il suo ambito di intervento è limitato alla soluzione di problemi pratici relativi al modus procedendi in concreto necessario per adeguare la realtà fattuale al comando da eseguire. Ne consegue che le <difficoltà>, le quali a norma dell’art. 610 c.p.c., abilitano le parti e l’ufficiale giudiziario a sollecitare al giudice provvedimenti temporanei, possono implicare, per la loro soluzione, anche l’interpretazione del titolo esecutivo, ai fini dell’individuazione della sua portata soggettiva o dell’identificazione dei beni, ma esclusivamente in vista dell’attuazione della tutela esecutiva”.
[7] Il problema si è posto nel caso di vendita di cose determinate solo nel genere, ipotesi in cui si deve distinguere a seconda che il contratto abbia o meno efficacia reale ex art. 1376 c.c. Infatti, se il trasferimento della proprietà della cosa si ha con il solo perfezionamento del consenso delle parti (art. 1377 c.c.), allora l’obbligo inadempiuto di consegna può essere attuato esecutivamente per mezzo dell’esecuzione per consegna. Se, di contro, la proprietà dei beni venduti “passa” con l’individuazione fatta d’accordo tra le parti e nei modi da esse stabiliti ex art. 1378 c.c., allora all’eventuale inadempimento non può seguire l’esecuzione per consegna (né, in ipotesi, quella per obblighi di fare, in sostituzione dell’attività di specificazione), perché in tale caso il processo esecutivo si sostituirebbe all’aspetto sostanziale e produrrebbe il trasferimento di proprietà che non si è già prodotto nel merito, andando a ledere il principio di cui all’art. 2741 c.c. di par condicio creditorum. Così V. Montesano, Esecuzione Specifica, in Enc. Dir., XV, Milano, 1966, p. 542 s.s., ma anche C. Mandrioli, Esecuzione per consegna o rilascio, in Digesto Civ., VII, Torino, p. 991 s.s. G. F. Ricci, Diritto processuale civile, Vol. III, VI ed., Giappichelli, Torino, p. 138 s.s. aggiunge, quale motivo ulteriore, la considerazione che ammettendo ciò si finirebbe per consentire all’ufficiale giudiziario di procedere lui alla specificazione di cui all’art. 1378 c.c., cosa invece non consentita, se non alle parti e nei modi stabiliti dalla legge.
[8] Avendo la L. n. 263 del 28.12.2005 limitato l’efficacia esecutiva di quest’ultima alle sole obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro. Si veda Cass. Civ., sez. 2, n. 1553 del 23.01.2013, in CED, Cassazione, 2013. Ritiene la scelta non coerente ed irrazionale M. Bove, Esecuzione forzata per consegna o rilascio, in DirittoOnline-www.treccani.it “perché con essa si arriva all’incongruenza per cui un contratto di compravendita documentato in una scrittura privata autenticata possa essere titolo esecutivo a favore del venditore per il pagamento del prezzo e non anche a favore del compratore per la consegna del bene”.
[9] E’ il caso, ad esempio, del verbale di conciliazione giudiziale di cui all’art. 185, comma 3, c.p.c. ma anche del processo verbale di conciliazione ex art. 199 c.p.c., dell’ordinanza per il pagamento somme ex art. 423 c.p.c., e del verbale di conciliazione di cui all’art. 12 del D.lgs. n. 28 del 4.03.2010 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali.
[10] Si vedano Cass. Civ., sez. 3, n. 29850 del 20.11.2018, in CED, Cassazione, 2018 e Cass. Civ., sez. 3, n. 7041 del 20.03.2017, in CED, Cassazione, 2017: “Nell’esecuzione per consegna o rilascio, avviata in forza di sentenza resa inter alios, ove il terzo lamenti una lesione della sua situazione soggettiva che gli deriva non già da un errore sorto nel procedimento esecutivo, bensì direttamente dalla sentenza che ha accertato un diritto incompatibile con quello da lui vantato, egli non può proporre l’opposizione di terzo all’esecuzione, ai sensi dell’art. 619 c.p.c., ma deve impugnare il provvedimento stesso con l’opposizione di terzo ordinaria, ai sensi dell’art. 404, comma 1, c.p.c.”.
[11] Così, ex multis, Cass. Civ., sez. 3, n. 24637 del 2.12.2016, in CED, Cassazione, 2016, Cass. Civ., sez. 2, n. 3183 del 4.03.2003, in La Tribuna, Archivio Civile, 2004, 1, p. 98, Cass. Civ.,, sez. 3, n. 3990 del 18.03.2003, in CED, Cassazione, 2003 e Cass. Civ., sez. 2, n. 12558 del 27.08.2002, in CED, Cassazione, 2002 ed in La Tribuna, Archivio Civile, 2003, 6, p. 686. Si veda anche Cass. Civ., sez. 3, n. 20167 del 18.08.2017, in SmartLex – IlSole24Ore, pronuncia in cui la Suprema Corte ribadisce che “gli effetti del titolo esecutivo si estendono a chiunque si trovi nelle condizioni di darvi esecuzione, quand’anche costui non sia stato identificato compiutamente nel titolo”. Non varrebbe, pertanto, al destinatario del comando per sottrarre il bene all’esecuzione, disfarsene o rimettere la detenzione ai terzi, escludendo comunque i giudici che il contenuto specifico del comando contenuto nel titolo esecutivo possa ampliarsi con attività ulteriori anche se indispensabili per conseguire consegna o rilascio o l’esecuzione di un obbligo di fare, se non coinvolgendo tempestivamente colui contro il quale la relativa pronuncia andrebbe resa.
[12] Infatti chi appare terzo rispetto all’atto costituente titolo esecutivo deve avere la possibilità di contestare l’efficacia nei suoi confronti di quell’atto. Diversa è la posizione del terzo che voglia affermare di essere titolare di un diritto autonomo ed incompatibile rispetto a quello rappresentato dal titolo esecutivo e che non abbia potere di fatto sul bene oggetto di esecuzione, che non potrà assumere la veste di esecutato, né in senso formale, né sostanziale.
[13] Si veda Cass. Civ., sez. 6, ord. n. 22441 del 27.10.2011, in IlSole24Ore, Mass. Rep. Lex24, ma anche Cass. Civ., sez. 3, ord. n. 17674 del 2.07.2019, in CED, Cassazione 2019: “In tema di procedura esecutiva per consegna o rilascio, il preavviso prescritto dall’art. 608 c.p.c. esaurisce, con la notifica, il suo scopo di preavvertire l’esecutato del prossimo inizio dell’azione esecutiva, al fine di consentirgli l’adempimento spontaneo e di essere, comunque, presente all’immissione in possesso del creditore procedente, sicché non sussiste un obbligo di nuovo avviso in caso di sospensione dell’esecuzione già iniziata con un primo accesso e successivamente ripresa”.
[14] Con la specificazione che nel caso in cui il bene da consegnare sia in luogo non appartenente al debitore ma comunque nella sua disponibilità, può essere necessaria una autorizzazione preventiva del G.E. per vincere l’eventuale diniego del terzo all’accesso e/o all’esibizione del bene; il bene di cui è pretesa la consegna sia in possesso del terzo e l’obbligato non possa diversamente disporne occorre che il creditore utilizzi la procedura del pignoramento preso terzi; in caso di problemi rispetto all’identificazione dei beni da consegnare, la parte interessata può chiedere al giudice il provvedimento necessario ex art. 610 c.p.c.
[15] Ove il bene da consegnare sia già pignorato, non potrà essere consegnato ed il creditore dovrà promuovere opposizione ex art. 619 s.s. c.p.c. perché sia accertata l’inopponibilità del pignoramento al suo diritto sul bene de quo. Si legga Cass. Civ., sez. 3, n. 20648 del 22.09.2006, in IlSole24Ore – Mass. Rep. Lex24: “In tema di esecuzione per consegna o rilascio, i provvedimenti di cui all’art. 610 c.p.c. sono esplicazione dei poteri del giudice di direzione del processo esecutivo e sono finalizzati a risolvere non solo difficoltà materiali, ma anche dubbi o divergenze di opinioni in relazione allo svolgimento del processo e ciò anche per il tramite dell’interpretazione dello stesso titolo esecutivo. Tuttavia, qualora il relativo provvedimento, pur adottato nella forma prevista dal citato art. 610 c.p.c., risolva questioni inerenti al diritto di procedere all’esecuzione forzata, deve ad esso riconoscersi natura di sentenza appellabile, come nel caso in cui, in ipotesi di esecuzione per rilascio, il giudice non si limiti a chiarire la localizzazione del bene di cui al titolo esecutivo, ma ne individui la stessa consistenza, in presenza di una discrepanza fra la situazione fattuale rilevata dall’ufficiale giudiziario e quella apparentemente risultante dal titolo stesso”. Si veda anche nota 6.
[16] Trattasi di ordinanza della sesta sezione civile, pubblicata in CED, Cassazione, 2019.
2. Un recente intervento sul tema della Corte di Cassazione: l’ordinanza n. 33723 del 18.12.2019
Con riguardo al tema dell’esecuzione in forma specifica di un obbligo di consegna di beni mobili/titoli è intervenuta, di recente la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33723 del 18.12.2019[16], stigmatizzando la condotta processuale del creditore insoddisfatto che riteneva di poter passare per saltum dall’una all’altra forma di esecuzione, senza rispettare le garanzie proprie del processo, la tutela dell’esecutato e le differenze sottese alle due fattispecie di esecuzione, dandone quasi per scontata l’intercambiabilità per esigenze di pronto realizzo.
Gli Ermellini hanno formulato, infatti, questo principio: “in caso di condanna alla consegna di beni mobili di cui il debitore abbia perduto la disponibilità, il diritto del creditore ad ottenere il pagamento dell’equivalente monetario di tali beni – non più consegnabili dall’obbligato – va fatto valere in un nuovo processo di cognizione che ne accerti la sussistenza e ne liquidi l’importo, non potendo essere azionato direttamente in via esecutiva sulla base del titolo di condanna alla consegna, di per sé non idoneo a fondare l’esecuzione per espropriazione, ma solo quella in forma specifica ai sensi degli artt. 605 s.s. c.p.c., tanto meno in base ad una <autoliquidazione> dal valore dei beni perduti effettuata dal creditore, anche laddove si assuma esistere un prezzo ufficiale di mercato di essi”.
Il caso parte dall’opposizione ad un atto di precetto per il pagamento di un’ingente somma di denaro, intimato alla opponente da un istituto di credito sulla base di una sentenza che, nell’accogliere una domanda risarcitoria dell’opponente verso la banca, aveva comunque condannato la signora a restituire alla banca alcuni titoli acquistati, con gli interessi.
L’opposizione era stata dichiarata inammissibile dal Tribunale di Firenze ed, in sede di appello, in riforma della decisione del giudice di prime cure, la Corte fiorentina l’aveva invece accolta, condannando l’istituto di credito al pagamento delle spese di lite e di una somma exart. 96, comma 3, c.p.c., in favore degli appellanti, divenuti poi gli eredi dell’originaria opponente.
La banca promuove allora ricorso in Cassazione, essenzialmente sostenendo che in presenza di un titolo esecutivo contenente la condanna alla consegna di beni mobili, l’impossibilità di pervenire a detta consegna, per averne l’obbligato perso la disponibilità, determinerebbe ex se l’obbligo del debitore di pagarne l’equivalente economico, giustificando, sempre in forza del medesimo titolo esecutivo recante la condanna alla consegna dei beni, anche l’esecuzione forata per il pagamento del corrispondente valore monetario, in quanto desumibile dai “prezzi ufficiali dei titoli […] risultanti dai relativi bollettini […] moltiplicati per il quantitativo dei titoli posseduti dalla signora” (dunque una somma già accertata ed accertabile con un semplice calcolo matematico e riferimento a listini).
La banca richiama, quindi, a sostegno della propria tesi, il c.d. principio di eterointegrazione del titolo, più volte impiegato dalla giurisprudenza, in forza del quale il titolo esecutivo giudiziale non si esaurisce nel documento giudiziario in cui è consacrato l’obbligo da eseguire, essendo consentita l’interpretazione extra testuale del provvedimento sulla base degli elementi acquisiti ritualmente nel processo in cui esso si è formato, trattandosi di documento la cui funzione è soltanto quella di esprimere un giudizio, purché le relative questioni siano state trattate e possano intendersi come ivi univocamente definite, fermo restando che la valutazione della rilevanza ed idoneità di tali fonti d’integrazione extra-testuale dell’accertamento contenuto nel titolo spetta comunque al giudice[17].
L’argomentazione non convince né persuade e la Corte di Cassazione difatti non l’accoglie.
Sostiene, di contro, la Suprema Corte, nel ritenere il profilo di impugnazione manifestamente infondato ed in parte anche inammissibile, come non vi fosse nel ricorso alcuno specifico richiamo, in palese violazione del requisito di ammissibilità del ricorso per Cassazione previsto dall’art. 366, comma 1 n. 6 c.p.c., agli atti e ai documenti, regolarmente acquisti nel corso del giudizio di merito, dal cui contenuto emergerebbe la fondatezza del relativo assunto, non allegando la banca – in modo specifico e puntuale – se ed in base a quali atti e documenti acquisti nel corso del giudizio di cognizione all’esito del quale si era formato il titolo esecutivo di condanna alla consegna, sarebbe stato possibile evincere il predetto valore.
Se è infatti vero che la scelta della tipologia di esecuzione spetta esclusivamente al creditore, parimenti non deve tralasciarsi che la stessa dovrà tenere conto del titolo esecutivo su cui l’esecuzione si fonda, senza potere effettuare un passaggio dall’uno all’atro, non supportato da un idoneo accertamento e/o dai diversi requisiti che vi stanno alla base.
L’eterointegrazione del titolo, secondo i giudici, non può significare il costituire un nuovo o un diverso titolo o di andare oltre al titolo, con una vera e propria extra-integrazione non legittima.
Neppure si potrebbe fare richiamo, per assurdo, alle disposizioni dell’art. 483 c.p.c., rubricato “cumulo dei mezzi di espropriazione” che – in ogni caso – è norma di tutela del debitore, che opera in virtù della clausola generale di buona fede e dei principi in tema di abuso del processo, anche nella fase anteriore all’inizio dell’esecuzione[18], e che presuppone l’azionabilità del medesimo titolo esecutivo e non di altro[19], e postula lo stesso credito e nella misura in cui già accertato dal titolo[20], perché l’esecuzione per consegna o rilascio, per quanto anche riferito sopra, è sostanzialmente ed ontologicamente diversa da quella per espropriazione e non rientra tra i tipi di esecuzione forzata in forma specifica, per i quali non è prevista una fase liquidatoria in cui i beni pignorati debbano essere convertiti in denaro. Il fine del processo esecutivo per consegna o per rilascio è dato dalla volontà del debitore di ottenere la disponibilità materiale di un determinato bene. Tale forma mira, infatti, al trasferimento, dall’esecutato all’esecutante, del potere di fatto sul bene indicato nel titolo, potere inteso come vera e propria detenzione corpore dello stesso.
Il suo effetto consiste in una modificazione della realtà materiale: prima dell’esecuzione il bene è nel dominio dell’obbligato, dopo l’esecuzione sarà in quello dell’avente diritto[21].
Evidente è, pertanto, l’inidoneità del titolo esecutivo posto a base del precetto di pagamento opposto a fondare la minacciata esecuzione forzata per espropriazione, trattandosi di titolo di condanna alla consegna di beni mobili di cui era ben noto all’intimante – al momento della domanda – che l’intimata ne aveva persona la disponibilità.
La scelta della procedura esecutiva, quindi, dipende intimamente dall’oggetto del titolo esecutivo[22].
Alla totale discrezionalità che l’ordinamento attribuisce al creditore nella scelta del mezzo esecutivo si contrappone il limite insito in tale scelta, dato dal contenuto del comando giurisdizionale espresso nel titolo esecutivo stessa, senza consentire al creditore di passare o “saltare” ad libitum da una tipologia all’altra, con la conseguente lesione del diritto di difesa del debitore, che potrebbe altrimenti restare esposto a plurime forme di aggressione da parte del creditore mediante forme e tipologie diverse di esecuzione forzata, per espropriazione forzata e/o anche in forma specifica, come previsto dal titolo esecutivo, senza avere partecipato o senza potersi opporre, nel contraddittorio.
La banca, nella fattispecie, aveva richiesto, in fatto, una modifica del giudicato ottenuto, ritenendo possibile una conversone automatica della condanna alla consegna dei beni mobili – i titoli – azionabili con l’esecuzione forzata per consegna, in condanna al pagamento dell’equivalente monetario azionabile mediate espropriazione forzata, minando la stabilità del giudicato e la certezza dei rapporti giuridici.
Sul piano processuale, se così fosse possibile, si consentirebbe, in maniera non accettabile, di modificare il contenuto della sentenza ottenuta, in violazione del petitum della domanda giudiziale[23] e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, espressa all’art. 112 c.p.c.
In secondo luogo, la pretesa della banca circa la conversione dell’oggetto dall’originaria obbligazione di consegna ad obbligazione di pagamento di una somma incontra un limite di carattere sostanziale: tale operazione infatti difficilmente poteva o può ricondursi ad una ipotesi di datio in solutum[24] ovvero ad una novazione oggettiva[25].
La Corte di Cassazione non ha accolto nemmeno l’assunto della banca che si potesse fare agevole riferimento al dato che la consegna dei titoli sia un debito di valore, dato che “il momento in cui il debito di valore si converte in debito di valuta non può che essere quello in cui diventa incontestabile la sua liquidazione e cioè quello in cui diventa definitiva la sentenza che tale liquidazione effettua”[26], intendendosi che l’equivalete monetario potrà essere determinato solo dalla sentenza e non con una autoliquidazione del valore dei beni perduti, effettuata dal creditore, anche laddove si assuma agganciata ad un prezzo ufficiale di mercato di essi.
In definitiva la Corte rigetta il ricorso ritenendo che la pretesa creditoria dell’istituto bancario debba essere fatta valere in un nuovo processo di cognizione che ne accerti l’effettiva sussistenza e che in concreto ne liquidi l’importo, non potendo essere azionato direttamente in via di espropriazione forzata e sulla base del semplice titolo di condanna alla consegna, di per sé non idoneo a fondare l’esecuzione per espropriazione, ma solo quella in forma specifica per consegna di beni mobili di cui agli artt. 605 s.s. c.p.c.
[17] Così, tra le tante, Cass. Civ., sez. L, n. 19641 del 1.10.2015, in CED, Cassazione, 2015, Cass. Civ., sez. 3, n. 23159 del 31.10.2014, in CED, Cassazione 2014.
[18] Cass. Civ., sez. Tri, n. 10668 del 17.04.2019, in CED, Cassazione, 2019. Cass. Civ., sez. 3, n. 11360 del 16.05.2006, in CED, Cassazione, 2006.
[19] Cass. Civ., sez. 3, n. 13204 del 26.07.2012, in CED, Cassazione, 2012, Cass. Civ., sez. 3, n. 23847 del 18.09.2008, in CED, Cassazione, 2008 ed anche – nel merito – Corte d’Appello di Milano, sez. 2, n. 2922 del 26.06.2017, in SmartLex – IlSole24Ore.
[20] Anche se risalente nel tempo Cass. Civ., sez. 3, n. 3786 del 17.04.1987, in CED, Cassazione, 1987.
[21] Si legga Cass. Civ., sez. 3, n. 20053 del 2.09.2013 in CED, Cassazione, 2013 e Cass. Civ., sez. 3, n. 10865 del 28.06.2012, cit in nota 6: “il titolo esecutivo che dà ingresso all’esecuzione per consegna o rilascio consente all’avente diritto di essere immesso forzatamente nel possesso del bene, anche se, al momento dell’esecuzione, questo non sia posseduto o detenuto da chi è indicato come obbligato alla consegna o al rilascio e senza che occorra notificare titolo e precetto al reale possessore o detentore, il quale si trova – pertanto – a subire l’esecuzione, pur non avendo partecipato al processo formativo del titolo”.
[22] Sono rari i casi in cui il Codice di Rito rimette al debitore una deviazione dalla scelta del creditore. E’ ad esempio l’ipotesi della conversione del pignoramento nelle forme dell’art. 495 c.p.c., in cui il debitore può chiedere di sostituire alle res o ai crediti pignorati una somma di denaro pari all’importo dovuto al creditore pignorante, allo scopo di consentire all’esecutato di liberare immediatamente le cose ed i beni gravati dalla procedura esecutiva mendiate una equivalente corresponsione in denaro.
[23] Se il sistema prevede il divieto di mutatio libelli in corso di causa, a maggiore ragione ciò deve valere in caso di statuizione in sentenza, perché non è ontologicamente la stessa cosa chiedere la consegna di beni mobili o la condanna al pagamento di una somma di denaro.
[24] Art. 1197, comma 1 c.c.: “Il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consenta. In questo caso l’obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita”. Requisiti fondamentali della datio in solutum sono il consenso del creditore e la realità della diversa prestazione.
[25] L’art. 1230 c.c.: “L’obbligazione si estingue quando le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso. La volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in modo non equivoco” richiede, dunque, l’accordo tra le parti e l’espressa volontà di novare il rapporto obbligatorio.
[26] Cass. Civ., sez. 3, n. 7697 del 2.04.2014, in IlSole24Ore – Mass.Rep.Lex24.
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