Con la sentenza numero 18442 del 28/06/2023 la III sezione della suprema Corte (Pres. Travaglino – relatrice Condello) chiarisce la modalità di liquidazione del danno in ipotesi di pregressa lesione.
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1. I fatti di causa e i giudizi di merito
I coniugi Tizio e Tizia convenivano in giudizio la struttura ospedaliera Omega di Palermo, al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni da questi patiti a causa dell’asportazione della tuba sinistra di Tizia, l’unica che le era rimasta a seguito dell’asportazione dell’altra in conseguenza di altro intervento chirurgico, con conseguente perdita della funzione riproduttiva.
Tizia, in particolare, rivendicava la lesione dell’integrità psicofisica e la perdita della possibilità di procreare, mentre Tizio, chiedeva il ristoro del danni morale conseguenza della impossibilità di diventare padre, quantomeno nel nucleo familiare.
I coniugi allegavano che la responsabilità dei sanitari consisteva nell’aver sottoposto la paziente ad un’isterosalpingografia, senza il preventivo consenso informato di Tizia, e senza attendere l’esito del tampone vaginale che aveva poi consentito di rilevare la presenza di ceppi di Escherichia Coli, che avrebbe dovuto sconsigliare l’effettuazione dell’accertamento a causa del rischio di contrarre una infezione. Il CTU, condividendo la tesi attorea, accertò la condotta colposa dei sanitari e il Tribunale adito in primo grado, accolse la domanda, condannando la casa di cura a risarcire Euro 109.000,00 in favore dell’attrice e la somma di Euro 50.000,00 in favore del coniuge.
Nella motivazione, il Tribunale considerò che Tizia, già priva della tuba e dell’ovaio destri per altre cause, aveva subito, in conseguenza dell’asportazione della tuba sinistra, una cd. ‹‹lesione prolicrona concorrente›› ed applicò un coefficiente di maggiorazione al grado di invalidità permanente accertato dal c.t.u, addivenendo a valutare, utilizzando la cd. ‹‹formula di Gabrielli››, il danno sofferto in via equitativa nella misura del 22 per cento, comprensiva anche del danno estetico; tenuto conto, inoltre, del danno sofferto dall’attrice a titolo di ITA e ITP e, al fine di ristorare anche l’ulteriore pregiudizio sofferto nella vita di relazione, incrementò nella misura del 10 per cento la somma liquidata a titolo di danno biologico secondo le tabelle di Milano, già comprensive del danno morale. Infine determinò in via equitativa, il danno morale ed esistenziale patito da Tizio, tenendo conto ‹‹per la sua determinazione dell’importo ben maggiore liquidato a Tizia, in relazione alla lesione all’integrità psico-fisica, medicalmente accertata››.
La sentenza veniva impugnata dalla struttura sanitaria, e con gravame incidentale dai coniugi; la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza, riduceva la somma dovuta Tizia e Tizio, riconoscendo in loro favore rispettivamente l’importo di Euro 48.214,37 e di Euro 20.000,00, oltre interessi, e confermando nel resto la sentenza impugnata.
Il ragionamento della Corte d’Appello è stato il seguente. Considerando che Tizia possedeva, a causa dell’assenza della tuba e dell’ovaio destri, metà della funzionalità riproduttiva, ha ritenuto congrua la percentuale di danno riconosciuta dal C.T.U. (10%); inoltre, in ragione della sofferenza fisica dalla stessa patita a causa dell’intervento chirurgico, del periodo di degenza e, soprattutto, della perdita della capacità procreativa e della perdita di chance di una positiva riuscita di una tecnica di procreazione medicalmente assistita, la Corte territoriale, facendo applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano, con la massima personalizzazione, ha ritenuto che il danno arrecato ammontasse ad Euro 32.902,18, somma alla quale doveva aggiungersi l’importo già liquidato dal giudice di primo grado a titolo di ITT e ITP, pari ad Euro 4.400,00, oltre rivalutazione ed interessi come per legge. La Corte di merito, altresì, confermava la statuizione del primo grado in ordine al mancato consenso informato sui rischi sulla natura dell’accertamento sanitario, liquidando in via equitativa il relativo danno nella misura di Euro 10.000,00.
Quanto a Tizio, la Corte d’appello, accertato che questi aveva subito un danno riflesso, da quantificarsi in rapporto a quello stimato per Tizia, concludeva che il danno sofferto dal coniuge potesse essere stimato in ragione di circa il 50 per cento di quello biologico, morale ed esistenziale subito dalla moglie, e lo liquidava, in via equitativa, nella somma di Euro 20.000,00.
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2. Il giudizio in Cassazione
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo proponevano ricorso Tizio e Tizia, censurando la modalità di liquidazione del danno operata dalla corte di merito.
Con il primo motivo si censura la violazione dell’art. 1223 e 1226 cc, laddove in sentenza veniva stimato il danno nella misura del 10% dell’integrità psicofisica, nonostante il ctu avesse quantificato lo stesso nella misura del 20%. In particolare i coniugi si dolevano del fatto che la Corte d’appello avesse ridotto del 50% il danno accertato dal CTU, sulla scorta del dato della pregressa menomazione, e quindi della asportazione della tuba destra precedente all’evento.
Con il secondo motivo, di portata subordinata, i ricorrenti lamentano che, ove si dovesse accertare la sussistenza del danno preesistente, lo scomputo della relativa lesione non doveva avvenire sottraendo alla percentuale complessiva del danno, quella relativa all’evento dannoso, ma si doveva effettuare dapprima la conversione in valori monetari dei due valori e poi provvedere alla sottrazione.
La corte esamina congiuntamente i due motivi, accogliendoli facendo espresso richiamo al proprio precedente Cass. n. 28986/2019, secondo cui: “in tema di risarcimento del danno alla salute, la preesistenza della malattia in capo al danneggiato costituisce una concausa naturale dell’evento di danno ed il concorso del fatto umano la rende irrilevante in virtù del precetto dell’equivalenza causale dettato dall’art. 41 c.p. sicchè di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno. Può costituire concausa dell’evento di danno anche la preesistente menomazione, vuoi “coesistente” vuoi “concorrente” rispetto al maggior danno causato dall’illecito, assumendo rilievo sul piano della causalità giuridica ai sensi dell’art. 1223 c.c.. In particolare, quella “coesistente” è, di norma, irrilevante rispetto ai postumi dell’illecito apprezzati secondo un criterio controfattuale (vale a dire stabilendo cosa sarebbe accaduto se l’illecito non si fosse verificato), sicché anche di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno; viceversa, secondo lo stesso criterio, quella “concorrente” assume rilievo in quanto gli effetti invalidanti sono meno gravi, se isolata, e più gravi, se associata ad altra menomazione (anche se afferente ad organo diverso) sicché di essa dovrà tenersi conto ai fini della sola liquidazione del risarcimento del danno e non anche della determinazione del grado percentuale di invalidità che va determinato comunque in base alla complessiva invalidità riscontrata in concreto, senza innalzamenti o riduzioni. In tema di liquidazione del danno alla salute, l’apprezzamento delle menomazioni “concorrenti” in capo al danneggiato rispetto al maggior danno causato dall’illecito va compiuto stimando, prima, in punti percentuali l’invalidità complessiva, risultante cioè dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall’illecito e poi quella preesistente all’illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro, con la precisazione che in tutti quei casi in cui le patologie pregresse non impedivano al danneggiato di condurre una vita normale lo stato di invalidità anteriore al sinistro dovrà essere considerato pari al cento per cento; procedendo infine a sottrarre dal valore monetario dell’invalidità complessivamente accertata quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, fermo restando l’esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa secondo la cd. equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto”.
Nel caso di specie, secondo il ragionamento della Corte di legittimità, se è vero che Tizia possedeva, prima dei fatti per cui è causa, ‹‹metà della funzionalità riproduttiva di una donna fertile in età inferiore ai trenta anni in una situazione di pieno benessere e perfetta salute e con ciclo mestruale regolare›› e che, in esito all’accertamento del c.t.u. era emersa ‹‹la perdita della capacità procreativa per vie naturali e la perdita di chance di una positiva riuscita di qualsivoglia tecnica di procreazione medicalmente assistita (PMA)››, la Corte di merito ha rilevato che i postumi invalidanti subiti dalla ricorrente erano pari alla metà di quelli complessivamente accertati dal Ctu.
Così argomentando, quindi, la Corte di merito ha violato i principi sopra esposti, mancando di stimare dapprima il “valore monetario dell’invalidità complessivamente accertata” e, quindi, di sottrare da tale valore quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, salvo intervento equitativo del Giudice di merito, da puntualmente motivare.
La Corte di legittimità chiosa, richiamando il precedente Cass. 28327/2022, ribadendo che ‹‹sono le funzioni vitali perdute dalla vittima e le conseguenti privazioni a costituire il danno risarcibile, non il grado di invalidità, che ne è solo la misura convenzionale; tali privazioni (e le connesse sofferenze) progrediscono con intensità geometricamente crescente rispetto al crescere dell’invalidità; la misura convenzionale cresce invece secondo progressione aritmetica. Ciò si riflette nel metodo di liquidazione che, dovendo obbedire al principio di integralità del risarcimento (art. 1223 c.c.), opera necessariamente, sia quando è disciplinato dalla legge, sia quando avvenga coi criteri introdotti dalla giurisprudenza, con modalità tali che il quantum debeatur cresce in modo più che proporzionale rispetto alla gravità dei postumi: ad invalidità doppie corrispondono perciò risarcimenti più che doppi. Tale principio resterebbe vulnerato se, nella stima del danno alla salute patito da persona già invalida, si avesse riguardo solo all’incremento del grado percentuale di invalidità permanente ascrivibile alla condotta del responsabile››
La sentenza viene quindi cassata e rinviata alla Corte d’Appello di Palermo che, in diversa composizione, si atterrà ai principi espressi.
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