Cassazione penale, sez. IV, 24/02/2016, (ud. 24/02/2016, dep.29/03/2016), n. 12701
Presidente: Dott. Claudio D’ISA – Estensore Dott. Leonardo TANGA.
Thema Decidendum: Persona offesa per lesioni colpose- responsabilità medica- querela e termine
MASSIMA
Il reato di lesioni personali colpose, di cui all’art. 590 c.p., è un reato istantaneo che si consuma al momento dell’insorgenza della malattia prodotta dalle lesioni, sicché la durata e l’inguaribilità della malattia sono irrilevanti ai fini della individuazione del momento consumativo. Qualora, però, la condotta colposa causatrice della malattia stessa non cessi con l’insorgenza di questa, ma, persistendo dopo tale momento, ne cagioni un successivo aggravamento, il reato di lesioni colpose si consuma nel momento in cui si verifica l’ulteriore debilitazione.
Sommario:1) Gli elementi di gravame e la decisione; 2) La ratio della norma e il dies a quo della querela; 3) I presupposti della rinnovazione del dibattimento in appello; 4) Delega di funzioni e nesso di causalità: principio dell’affidamento, culpa in vigilando.
1. Gli elementi di gravame e la decisione
Con la sentenza n. 449/2015 del 30 gennaio 2015 la Corte di Appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Palermo emessa in data 10 luglio 2012 con cui il dott. M.M erra stato dichiarato colpevole del reato ascrittogli di lesioni personali colpose aggravate e lo condannava alla pena di mesi cinque di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Avverso tale decisione l’imputato ricorreva per Cassazione deducendo che il giudice di seconde cure: 1) aveva da un lato valutato solo parzialmente il contenuto dell’impugnazione e per contro aveva addebitato al ricorrente frazioni di condotta che non gli erano state contestate. Questo, inoltre, aveva travisato la contestazione del giudice di prime cure attribuendogli la responsabilità per omessa vigilanza a fronte di un capo d’imputazione per negligenza, imperizia ed imprudenza; 2) aveva rigettato la richiesta difensiva di rinnovazione del dibattimento con disposizione di una perizia tecnica, in tal senso non valorizzando le osservazioni difensive relative all’appropriatezza delle iniziative terapeutiche intraprese dal dott. M.M. per fronteggiare gli effetti dello stravaso verificatosi, diversamente aveva considerato rilevante l’aspetto della incompiuta informazione della paziente in ordine a quanto accaduto; 3) aveva erroneamente valutato il dies a quo della querela relativamente al reato contestato, in tal modo omettendo di pronunziarsi sulla declaratoria di non doversi procedere per intempestività della stessa ; 4) aveva non motivato il mancato accoglimento della richiesta di nullità della sentenza per violazione del principio della necessaria correlazione fra il fatto contestato e quello ravvisato in sentenza; infatti a fronte di una rubrica ove l’imputato veniva indicato quale autore della somministrazione dei farmaci antitumorali (e quindi di una condotta commissiva), il giudice di prime cure lo aveva invece ritenuto responsabile di non aver agito in prima persona, delegando l’espletamento dell’atto a persone inadeguate ed omettendo di effettuare i controlli che il suo ruolo apicale all’interno del reparto gli imponeva; 5) aveva mancato di riconoscere l’intervenuta prescrizione del reato ascritto all’imputato posto che l’evento lesivo era stato causato in data anteriore alla querela e fuori dei termini per proporre la stessa; 6) aveva negato le circostanze attenuanti generiche senza motivare tale diniego limitandosi ad affermare che la gravità della condotta colposa, concretizzatasi in ripetute e consapevoli omissioni dei doveri professionali dell’imputato cagionanti il danno grave alla paziente, determinava la mancata attribuzione del beneficio; 7) aveva omesso di pronunciarsi sulla richiesta relativa alla non menzione della condanna sul casellario giudiziario. La Suprema Corte di Cassazione disponeva per l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza per intervenuta prescrizione del reato, ma rigettava tutti i motivi di gravame, cogliendo l’occasione per affermare alcuni importanti principi di diritto sostanziale e processuale.
2. La ratio della norma e il dies a quo della querela
Il reato di lesioni personali colpose, come disciplinato dall’art. 590 c.p., tutela l’incolumità individuale attraverso la previsione di tre eventi lesivi: lesioni lievi, gravi, gravissime. Si differenzia rispetto al reato lesioni personali dolose di cui all’art.582 relativamente all’elemento psicologico, poiché l’art.590 c.p. contempla tutte le ipotesi in cui il fatto lesivo non sia stato deliberatamente cagionato, ma sia il frutto di una condotta colposa (artt. 42 e 43 c.p.) caratterizzata da negligenza, imperizia, imprudenza, inosservanza di leggi e regolamenti, ordini e discipline. Le caratteristiche di questa fattispecie criminosa sono: a) è un reato comune, perché può essere commesso da chiunque; b) è reato di danno, perché richiede la materiale offesa del bene protetto; c) è reato di evento, perché si perfeziona al verificarsi dell’evento dannoso; e) è una fattispecie illecita a forma libera, perché la condotta tipica non è prestabilita dal legislatore. Essendo un reato colposo non si prevede la fattispecie del tentativo (art.56 c.p.).
Tale ipotesi criminale è caratterizzata dalla istantaneità della consumazione; infatti il reato si consuma al momento in cui si provoca la lesione o, come nel caso che ci occupa, nel momento dell’insorgenza della malattia provocata dalle lesioni, pertanto si considerano irrilevanti ai fini del momento consumativo, quindi del dies a quo della querela, la durata e l’inguaribilità della malattia.
Qualora, però, la condotta colposa causatrice della malattia stessa non cessi con l’insorgenza di questa, ma continui a persistere anche in un momento successivo cagionandone un aggravamento, la consumazione viene posticipata al momento in cui si verifica l’ulteriore debilitazione. Nel caso di lesioni personali colpose provocate da responsabilità medica la prescrizione inizia a decorrere non dal momento della commissione del fatto, ma dal momento di insorgenza della malattia in corso, anche se non ancora stabilizzata in termini di irreversibilità o di impedimento permanente. Tale orientamento interpretativo non si pone in contrasto con la giurisprudenza penale relativa al termine per poter proporre querela, posto che la Suprema Corte ha affermato che il termine per proporre querela per il reato di lesioni colpose determinate da colpa medica inizia a decorrere non già dal momento in cui la persona offesa ha avuto consapevolezza della patologia contratta, bensì da quello, eventualmente successivo, in cui la stessa è venuta a conoscenza della possibilità che sulla menzionata patologia abbiano influito errori diagnostici o terapeutici dei sanitari che l’hanno curata.
3.I presupposti della rinnovazione del dibattimento in appello
La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale è disciplinata dall’art. 603 c.p.p. . La norma consente all’impugnante, nello stesso atto di appello o nei motivi nuovi presentatati ai sensi dellart.585 c.p.p. comma 4 e fino a quindici giorni prima della data fissata per l’udienza, di presentare specifica richiesta di riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado o di acquisizione di risultanze istruttorie del tutto nuove. A fronte di tale istanza l’autorità decidente, qualora ritenga indispensabile l’acquisizione delle stesse ai fini della decisione, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale secondo le norme tipiche del giudizio di primo grado. Si tratta, pertanto, di una dinamica processuale palesemente “eccezionale”, stante la presunzione di completezza del quadro probatorio su cui si fonda la pronuncia del giudice di prime cure. L’operatività di tale precetto è, dunque, condizionata alla valutazione discrezionale del giudice di seconde cure, il quale, in relazione alla possibilità di riforma della statuizione censurata, ritenga impraticabile la prospettiva di una nuova decisione che si radichi esclusivamente sul patrimonio conoscitivo acquisito in appello dal giudizio originario. Stante la discrezionalità dell’autorità decidente di secondo grado, la Suprema Corte ha ritenuto non potersi censurare il ragionamento del giudice di seconde cure, che non ha ritenuto la rinnovazione indispensabile.
4. Delega di funzioni e nesso di causalità: principio dell’affidamento, culpa in vigilando.
La Corte di legittimità ha ritenuto corretto la decisione del giudice di merito relativamente alla sussistenza del nesso di causalità tra condotta del ricorrente e lesioni patite dalla persona offesa. Il soggetto chiamato alla gestione di uno specifico rischio incarnato da una determinata categoria di eventi è il garante della posizione di garanzia posta dal legislatore a cura dei soggetti esposti al rischio. Quindi questo sarà responsabile, sotto il profilo eziologico, nel caso in cui tenga condotte omissive che rechino violazione degli obblighi connessi al suo ruolo determinando l’evento antigiuridico oggetto di protezione. È stato, inoltre, affermato dai Supremi Giudici che il principio di affidamento non può essere invocato da chi, in virtù della sua particolare posizione, ha l’obbligo di controllare e valutare l’operato altrui, se del caso intervenendo per porre rimedio ad errore altrui. In ambito di colpa medica, poi, è principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui il nesso causale può essere ravvisato quando si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento, questo non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. In tali casi al Giudice di legittimità è assegnato solo il compito di controllare la razionalità delle argomentazioni giustificative, la c.d. giustificazione esterna della decisione, inerenti ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, alle inferenze formulate in base ad essi ed ai criteri che sostengono le conclusioni: non la decisione, dunque, bensì il contesto giustificativo di essa, come esplicitato dal giudice di merito nel ragionamento probatorio che fonda il giudizio di conferma dell’ipotesi sullo specifico fatto da provare.
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