In caso di danni fisici cagionati al minore dalla circolazione dei veicoli, la transazione in merito al risarcimento dei danni in suo favore intervenuta tra la compagnia di assicurazioni e i genitori esercenti la patria potestà sul minore, senza l’intervento del giudice tutelare, per la giurisprudenza assolutamente prevalente, non comporta la nullità della transazione, bensì la sua annullabilità – atteso che ci troviamo al cospetto di un istituto posto a tutela del minore – e la relativa eccezione è di esclusiva pertinenza dei genitori ovvero dello stesso minore, al raggiungimento della maggiore età.
Peraltro l’atto transattivo, in ipotesi di sua contestazione, ben può essere prodotto anche in grado di appello, considerata la sua indispensabilità ai fini della decisione.
Tali principi sono stati di recente espressi dalla III Sezione Civile della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 4908, pubblicata in data 14 marzo 2016, oggi in commento.
La compagnia di assicurazioni conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Roma, colui il quale riteneva esclusivo responsabile del sinistro stradale nel quale una minore aveva riportato seri danni fisici, chiedendo che lo stesso venisse condannato a rimborsare quanto versato alla danneggiata in virtù dell’atto di transazione intercorso con la medesima compagnia.
Sull’opposizione del convenuto, il tribunale rigettava la domanda, ritenendo d’ufficio nulla la transazione stipulata dalle parti, in nome e per conto della minore, in difetto di preventiva autorizzazione del giudice tutelare.
Anche la Corte d’Appello, successivamente adita, confermava la sentenza di primo grado e rigettando il gravame proposto dalla compagnia di assicurazioni, avvalorava la tesi della rilevabilità d’ufficio della nullità dell’atto transattivo, ma anche l’inammissibilità della produzione dell’atto di transazione, per tardività delle stessa, siccome avvenuta soltanto con l’atto di citazione in appello.
Propone ricorso per cassazione la compagnia di assicurazione, affidando lo stesso a due motivi.
Eccepisce la ricorrente violazione, nonché l’errata interpretazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 115, I comma c.p.c. e degli artt. 345, III comma c.p.c. per insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
La Corte di Cassazione, richiamando i propri precedenti, evidenzia: “l’evidente travisamento della forma di invalidità della transazione per difetto di autorizzazione del giudice tutelare (che, per la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte regolatrice, non darebbe luogo mai alla nullità di quella, ma solo alla sua annullabilità a tutela del minore e pertanto rimessa all’eccezione dei suoi genitori o di lui di persona una volta divenuto maggiorenne e giammai della controparte: Cass. 12 agosto 1996, n. 7495; Cass. 23 dicembre 1988, n. 7044; Cass. 16 novembre 1981, n. 6057; Cass. 28 maggio 1979, n. 3088), era evidente la necessità di sollecitare, prima di decidere di ufficio su di una questione obiettivamente mai prima sottoposta al contraddittorio delle parti, queste a prendervi posizione (come questa Corte afferma, se non altro per le questioni non processuali o in puro diritto, fin da Cass. 5 agosto 2005, n. 16577)”.
Per quanto concerne poi la dedotta tardività della produzione documentale in appello, afferma che: “la nozione di indispensabilità delle nuove prove in appello, di cui all’art. 345 cod. proc. civ. (nel testo ancora applicabile ratione temporis, per essere la controversia insorta prima dell’epoca di applicabilità della sua ultima novella): sul merito della quale, sollecitatone l’intervento con ordinanza interlocutoria n. 24408 del 17 novembre 2014 di questa Corte, le Sezioni Unite non hanno ritenuto di pronunciarsi (visto che Cass. Sez. Un., 10 luglio 2015, n. 14475, si è limitata ad escludere in ogni caso la novità dei documenti prodotti in uno al ricorso per decreto ingiuntivo e poi prodotti nuovamente in appello, qualificando – v. punto 52 della motivazione – superfluo l’esame della nozione di indispensabilità della prova), tanto che il pubblico ministero insta una nuova e specifica rimessione alle medesime”.
La stessa, tuttavia, ritiene che a prescindere dai contrapposti orientamenti della stessa Corte di Cassazione, pur volendo accedere alla tesi più restrittiva in merito al divieto di produzione documentale in appello, fatta salva l’indispensabilità della produzione ai fini della decisione, nel caso concreto non importa aderire all’una o all’atra tesi e, pertanto “puntualizzare quale delle due sia la più corretta”, in considerazione del fatto che la produzione si è resa necessaria sulla scorta dell’erroneo rilievo d’ufficio operato dal giudice di prime cure in merito alla presunta nullità dell’atto di transazione, eccezione non sollevata dal convenuto in primo grado, inducendo parte attrice a ritenere che sul punto non sussisteva alcuna contestazione e, pertanto, alcuna necessità di produrre l’anzidetto documento, il cui deposito invece era divenuto necessario in appello al fine di confutare la tesi officiosa del giudice di primo grado.
Conclude la Corte di Cassazione, affermando pertanto che è: “quindi evidente che il documento, con cui l’appellante intendeva provare il fatto la mancanza della cui prova il primo giudice – per quanto scorrettamente in rito (e neppure fondatamente nel merito, a quanto indicato) – di ufficio aveva ritenuto ostare all’accoglimento della domanda, bene poteva essere almeno prodotto per la prima volta in appello: ed anche il relativo motivo è fondato”.
Il ricorso, pertanto, viene accolto e la sentenza cassata con rinvio a diversa sezione della medesima corte territoriale, anche per le spese del giudizio di legittimità, da regolarsi in base all’esito complessivo della controversia.
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