L’esperibilità, in via surrogatoria, dell’azione di riduzione da parte dei creditori del legittimario pretermesso

Sommario: 1) La vicenda; 2) L’orientamento giurisprudenziale previgente; 3) La decisione e il nuovo orientamento della Suprema Corte; 4) Conclusioni;  5) Volume dedicato

Con la sentenza del 20 giugno 2019 n. 16623/2019 la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione ha mutato il proprio risalente orientamento, adeguandosi ad alcune più recenti pronunce di merito, con riguardo all’esperibilità, in via surrogatoria, dell’azione di riduzione, ex art. 557 C.C., da parte dei creditori del legittimario pretermesso. I giudici di Piazza Cavour, infatti, hanno ritenuto applicabili, in via analogica, all’azione de qua i principi desumibili dall’azione di impugnazione della rinuncia da parte dei creditori, rubricata all’art. 524 del Codice Civile, da interpretarsi, in via sistematica, alla fattispecie di cui all’art. 557 C.C., unitamente al disposto dell’art. 2900 C.C.

La Suprema Corte, con tale pronuncia, si esprime anche con riguardo alla natura dell’azione di riduzione, ex art. 557 C.C., di cui vengono riconosciute come caratteristiche principali la patrimonialità e la disponibilità.

  1. La vicenda

Nel 2003 una banca ricorreva per decreto ingiuntivo asserendo di essere creditrice nei confronti di una società semplice e, solidalmente, dei suoi soci in quanto illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali. Il decreto veniva emesso dal Tribunale di Sondrio e diveniva definitivo senza che i debitori si opponessero allo stesso o adempissero alla loro obbligazione.

Al fine di procedere al recupero della somma ingiunta la banca analizzava le posizioni successorie dei soci, evidenziando che i debitori, persone fisiche, erano tra loro fratelli germani e che, essendo il padre e il nonno paterno premorti sia a loro sia alla nonna materna, alla morte di quest’ultima i due fratelli sono divenuti legittimari della stessa, in quanto rappresentanti del proprio defunto padre ex art. 467 C.C., insieme alla propria zia, sorella del premorto padre e figlia della defunta.

All’aperta successione della defunta è stata chiamata a succederle, quale unica erede in forza di testamento olografo, regolarmente pubblicato e non impugnato, la figlia, zia dei debitori i quali risultavano pertanto pretermessi.

Stante l’inerzia dei debitori, con riguardo all’azione di riduzione, ex art. 557 C.C., per ottenere i diritti loro spettanti sulla successione della defunta nonna paterna, la banca agiva, innanzi al Tribunale di Cremona, al fine di sentir dichiarare l’inefficacia relativa delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima dei debitori e, previa eventuale declaratoria ex art. 524 C.C., vedere assegnata ai due fratelli la quota complessiva, ex art. 537 C.C., di un terzo dell’asse ereditario. Quale conseguenza della suddetta assegnazione sarebbe derivata la condanna della zia alla restituzione della quota, previo soddisfacimento delle ragioni creditorie vantate dalla banca nei confronti dei due fratelli.

Si costituiva in giudizio soltanto la zia, chiedendo il rigetto delle domande attoree, mentre rimanevano contumaci i due fratelli.

Il Tribunale adito, infine, si pronunciava con sentenza n. 12/2007 dichiarando l’inammissibilità della richiesta attorea per difetto di legittimazione attiva, ritenendo che i creditori dei legittimari non potessero essere ricompresi nell’espressione “aventi causa” utilizzata al primo comma dell’art. 557 C.C.

Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello la banca, incontrando la resistenza della zia, mentre rimaneva immutata la posizione contumaciale dei debitori. La Corte d’Appello di Brescia si conformava alla decisione di primo grado, corroborando la propria decisione con la citazione di un precedente giurisprudenziale della Suprema Corte, che infra si avrà modo di esaminare.

La banca, soccombente nei due gradi di giudizio, proponeva quindi ricorso per Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione degli articoli 557 e 2900 C.C.

  1. L’orientamento giurisprudenziale previgente

Come si è avuto modo di vedere nel paragrafo precedente, la Corte d’Appello di Brescia ha motivato la propria decisione citando una datata sentenza della Suprema Corte[1], che si esprimeva, invero, sull’esercizio dell’azione di riduzione in via surrogatoria da parte del creditore del de cuius in presenza di accettazione beneficiata dell’eredità da parte dell’erede, ex art. 557 terzo comma C.C.

Dal suddetto precedente di legittimità per lungo tempo si è ritenuto di poter desumere implicitamente che la legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di riduzione, ex art. 557 C.C., spettasse unicamente ai legittimari e ai loro aventi causa, da intendersi, interpretando restrittivamente quest’ultima definizione, unicamente come soggetti resisi cessionari dei diritti ereditari facenti capo al legittimario e non creditori del de cuius o del delato[2].

La posizione adottata dalla Cassazione nella sentenza citata derivava dall’interpretazione, reiterata nel tempo dalla Suprema Corte[3], dell’azione di riduzione come azione strettamente personale e come tale non cedibile né alienabile ed esercitabile soltanto dal legittimario leso o pretermesso, dai suoi eredi, dall’acquirente dell’eredità e dal cessionario del diritto alla legittima.

Se è innegabile che la sentenza della Suprema Corte del 1982, pur trattando solo implicitamente la questione de qua, ha rappresentato fino ad oggi un forte appiglio giurisprudenziale per negare la legittimazione attiva del creditore del legittimario all’esercizio dell’azione di riduzione in via surrogatoria, è pur vero che un orientamento ancora più antico della Cassazione[4] già condivideva l’orientamento di legittimità del 2019 e, anzi, ha rappresentato fino ad oggi sia ispirazione per gli autori in dottrina[5], sia il precedente giuridico sul quale basare diverse sentenze di merito pronunciate nel corso degli ultimi cinquant’anni[6].

Proprio le argomentazioni del giudizio di legittimità del 1959, e quelle successive delle citate pronunce di merito, possono essere ritenute il fondamento giuridico, pur non espressamente richiamato dalla pronuncia in commento, della nuova posizione dirimente della Suprema Corte.

  1. La decisione e il nuovo orientamento della Suprema Corte

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha accolto la domanda attorea, rimettendo la causa alla Corte d’Appello di Brescia, affinché potesse uniformarsi ai principi di diritto espressi nella sentenza di legittimità. Gli Ermellini, così giudicando, hanno determinato una presa di posizione significativa con riguardo al precedente panorama giurisprudenziale, che merita qui di essere approfondita.

Preliminarmente la Suprema Corte si è espressa riconoscendo in maniera decisa i profili di patrimonialità e trasmissibilità dell’azione di riduzione, quest’ultimo limitatamente agli eredi del legittimario, interrogandosi poi, con riguardo all’interpretazione dell’art. 557 C.C. primo comma, sull’estensione del novero dei legittimati attivi all’esperimento di tale azione. Secondo i Giudici di Piazza Cavour il riconoscimento della legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di riduzione in capo ai creditori del legittimario, già pacifico per la maggioritaria dottrina[7] e per parte della giurisprudenza[8], deve scaturire da un bilanciamento di posizioni contrapposte e precisamente:

da un lato, quella della libertà di esercizio di diritti di natura personale quale è propriamente quello del delato di accettare o meno l’eredità congiuntamente a quella dell’autonomia negoziale del testatore;

dall’altro lato, l’esigenza di preservare la garanzia patrimoniale dei creditori (e, quindi, il diritto al conseguimento dell’effettivo soddisfacimento delle loro legittime ragioni creditorie) dei legittimari pretermessi, pur non potendo questi ultimi considerarsi propriamente chiamati all’eredità ai sensi dell’art. 457c.c., commi 1 e 2, (per se, tuttavia, la legge non preclude agli stessi di rinunciare all’azione di riduzione e, quindi, in caso di suo vittorioso esperimento, di acquisire i diritti conseguenti all’accertamento dalla lesione della quota di legittima).

Al fine di contestualizzare il riconoscimento in capo al creditore del legittimario della legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di riduzione, la Suprema Corte ritiene indispensabile fornire un’interpretazione sistematica degli articoli 557, 2900 e 524 C.C.

Così procedendo, non si può riconoscere alcun ostacolo all’applicabilità dell’art. 2900 C.C.: quella di riduzione è infatti un’azione concessa al debitore/legittimario verso terzi avente, secondo questa ricostruzione, contenuto patrimoniale diretto; inoltre, il fatto che l’azione sia trasmissibile la esclude dal novero di quelle indisponibili o personalissime.

In secondo luogo, può osservarsi come l’art. 557 comma terzo C.C. non costituisca negazione della legittimazione attiva in capo ai creditori del legittimario, anzi, la avalli in quanto arriva ad escluderla testualmente, e correttamente, nel solo caso di accettazione di eredità beneficiata da parte del legittimario e solo nei confronti dei creditori del de cuius. Ciò in quanto, in questo caso, non vi sarebbe confusione di patrimoni e i creditori del defunto non avrebbero titolo sul patrimonio dell’erede[9].

In ultima istanza è importante, per definire la modalità esecutiva dell’azione di riduzione in via surrogatoria, osservare il disposto dell’art. 524 C.C., questo disciplina, infatti, un:

…espediente giuridico che persegue una finalità propriamente economica volto, cioè, a consentire in via esclusiva la soddisfazione dei creditori sul compendio ereditario oggetto di rinuncia.

Tale espediente giuridico, nonostante il testo sviante[10], è riconosciuto non comporti l’accettazione dell’eredità né in capo all’erede rinunciante, né in capo ai suoi creditori, nemmeno delati. Secondo la Suprema Corte, tale azione condividerebbe in pieno la ratio con la possibilità di esercitare l’azione di riduzione in via surrogatoria: entrambe le azioni, infatti, lasciando immutata la condizione del rinunciante o del pretermesso, permetterebbero ai creditori di ottenere soddisfazione, rivalendosi sul patrimonio ereditario.

Pertanto, sulla base dell’interpretazione sistematica sopra svolta, deve essere concessa ai creditori del legittimario la possibilità di agire in riduzione, agendo utendo iuribus debitoris, in tutti i casi di inerzia del delato e senza che si renda necessaria la preventiva actio interrogatoria ex art. 481 C.C., propedeutica soltanto all’eventuale esperimento dell’impugnazione ex art. 524 C.C.

Così agendo si determinerà:

un’interferenza di natura eccezionale – ma legittima – nella sfera giuridica del debitore; infatti, l’azione surrogatoria non è altro che lo strumento che la legge appresta al creditore per evitare gli effetti che possano derivare alle sue ragioni dall’inerzia del debitore che ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad alimentare il suo patrimonio, riducendo così la garanzia che esso rappresenta in favore dei creditori

La Suprema Corte precisa altresì che, stante la natura surrogatoria della presente azione, la suddetta dovrà essere esperita contro i beneficiari delle disposizioni lesive dei diritti di legittima, ex art. 557 C.C., e altresì contro il debitore inerte/erede pretermesso, nella sua qualità di litisconsorte necessario ex art. 2900 comma secondo C.C.

La Cassazione chiosa infine i motivi della decisione ribadendo come l’interpretazione delle norme suddette non possa decretare una lesione dei diritti del legittimario pretermesso. Infatti, sebbene sia notorio che:

“…il legittimario pretermesso acquista la qualità di erede soltanto all’esito del positivo esperimento dell’azione di riduzione.

È altresì vero che:

“…ove detta azione (quella di riduzione esercitata in via surrogatoria) non comporti, in concreto, l’acquisizione di beni, l’acquisto della qualità di erede non ha luogo. Ne deriva che la facoltà di esercitare l’azione di riduzione, intesa quale diritto potestativo (c.d. “diritto al diritto”), costituisce un prius rispetto all’accettazione e al conseguimento dell’eredità, che possono anche -come sopra evidenziato -non verificarsi.

E pertanto può ritenersi che:

l’esercizio dell’azione di riduzione da parte dei creditori del legittimario pretermesso, anche in virtù dell’esigenza di contemperare la tutela dei creditori del legittimario (soprattutto nelle ipotesi di “pretermissione amica”) con il principio secondo cui nessuno può assumere la qualità di erede contro la propria volontà, se da una parte consente a detti creditori il recupero di quella pars bonorum sufficiente a soddisfare le proprie ragioni, dall’altro non determina, in virtù del richiamato meccanismo previsto dall’art. 524 c.c. […] l’acquisto della qualità di erede in capo al legittimario pretermesso

  1. Conclusioni

Il nuovo orientamento della Suprema Corte non può che essere accolto con favore in quanto, intervenendo su una fattispecie non espressamente disciplinata ma facilmente riscontrabile nella prassi, si è adeguato a una Cassazione del 1959 e a diverse pronunce di merito, sovvertendo un importante precedente di legittimità del 1982 che, sebbene riferibile soltanto implicitamente alla fattispecie concreta, non assicurava ai creditori del legittimario pretermesso una adeguata tutela giuridica, esponendoli di fatto al rischio di una frode derivante dal comportamento omissivo e dilatorio tenuto dal debitore nella sua qualità di legittimario pretermesso, nella maggior parte dei casi disinteressato ad una vicenda successoria che sarebbe orientata a soddisfare eminentemente le pretese creditorie. Oltre a quanto detto, alla sentenza in commento deve essere riconosciuto il merito di aver, a mezzo di una miglior qualificazione giuridica dell’azione di riduzione, chiarito il novero dei legittimati attivi al suo esercizio.

 

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Note

[1] Cass. Civ. Sez. II, 23 febbraio 1982, n. 1114, in “Il Foro Italiano”, commento di L.Di Lalla, volume 105 parte prima, 1982, 2545-2546; Cfr. anche Cass. Civ. Sez. II, 20 settembre 1963, n. 2592;

[2] Così G. Gennari, “Successioni e donazioni, percorsi giurisprudenziali”, Milano 2009, 125;

[3] Cass. Civ., 20 settembre 1963, n. 2592; Cass. Civ., 26 gennaio 1970, n. 160;

[4] Cass. Civ., 30 ottobre 1959, n. 3208;

[5] C. Cerrai et al., “La successione ereditaria, la divisione dei beni e le donazioni”, seconda edizione, Santarcangelo di Romagna 2008, 244; G. Petrelli, “Successioni e donazioni, le successioni per causa di morte, in Formulario notarie commentato” diretto da G. Bonilini, volume settimo tomo I, Milano 2011, 320;

[6] Trib. Parma 27 aprile 1974; Trib. Cagliari 14 febbraio 2002; Trib. Lucca 2 luglio 2007;

[7] Si veda al riguardo la nota 5;

[8] Si vedano le note 4 e 6;

[9] Si tratta proprio della fattispecie decisa dalla Cass. Civ. Sez. II, 23 febbraio 1982, n. 1114;

[10]Se taluno rinunzia, benché senza frode, a un’eredità con danno dei suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante…”;

Sentenza collegata

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Dott. Leonardo Zanon

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