SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Fattispecie – 3. La soluzione dei giudici di legittimità – 4. Conclusioni.
1. Premessa
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 30 ottobre 2018, n. 27550, ha affrontato un’ importante tematica, su cui vale la pena soffermarsi, in tema di evasione fiscale. Accade spesso che la linea di demarcazione tra evasione e abuso di diritto sia sormontata e che non si riesca a delinearne bene i confini. Infatti, i giudici, in qualsivoglia grado, si sono trovati, a volte, ad affrontare fattispecie che potevano far pensare che si trattasse di comportamenti elusivi piuttosto che di evasione e viceversa.
Quindi preme analizzare, partendo dalla sentenza in esame, quali sono i presupposti che differenziano le due diverse situazioni e quando nel caso concreto ci troviamo nell’una piuttosto che nell’altra. Intanto puntualizziamo che l’evasione fiscale non rientra nell’abuso di diritto.
2. Fattispecie
La Alfa s.r.l. stipula, in data 5 maggio 1999, un contratto con Beta s.r.l. in forza del quale la prima affida la propria testata giornalistica alla seconda. Beta si impegna a gestirla, curandone la collocazione sul mercato, non avendo Alfa il know-how necessario. L’Agenzia delle Entrate contesta ad Alfa s.r.l. la stipulazione del contratto di affidamento, il quale non aveva lo scopo prefissato dalle parti ma in realtà quello di creare costi che la società Alfa poteva ammortizzare subito e incondizionatamente, violando così il dettame dell’art.108, comma 4, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n.917 e la normativa relativa al recupero dell’ IVA[1]. L’Ufficio invia, così, una serie di avvisi di accertamento ai fini IRPEG, IRAP e IVA, con riferimento agli anni d’imposta 1999-2003, e atti di contestazione e irrogazione sanzioni ai fini dei predetti tributi, relativi agli anni 2000-2003. Alfa s.r.l. impugna tali dichiarazioni impositive davanti la CTP, la quale accoglie le doglianze della ricorrente affermando che tra le due società fosse stato stipulato un effettivo contratto di affidamento.
Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate fa appello in CTR avverso le sentenze della CTP. Il Giudice del gravame accoglie l’appello del Fisco limitatamente agli avvisi di accertamento e rigetta, invece, quello avverso gli atti di contestazione e irrogazione sanzioni[2], precisando di essere davanti ad un caso di elusione fiscale (c.d. abuso di diritto), dal momento che risulta stipulato un contratto formalmente lecito ma finalizzato ad un risultato vietato dall’ordinamento tributario.
Il contribuente, non contento, propone ricorso in Cassazione, mentre l’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza di rigetto della CTR relativa agli atti di contestazione e irrogazione sanzioni. In definitiva, la Corte di Cassazione ritiene che la società contribuente non ha posto in essere alcun comportamento elusivo, ma ha evaso il pagamento delle imposte in ragione della violazione di specifiche norme ( il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, comma 4, in tema di imposte dirette; il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. a), in tema di Iva). Inoltre, le somme versate dalla Alfa s.r.l. Alla Beta s.r.l. per lo sviluppo della testata costituivano in realtà dei finanziamenti indeducibili ai fini delle imposte dirette e indetraibili ai fini IVA.
Quindi i giudici di Cassazione accolgono l’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate, mentre rigettano il ricorso della società contribuente, ritenendo infondato il dettame della CTR nel considerare il caso “de quo” come elusione fiscale quando si tratta evidentemente di evasione fiscale.
3. La soluzione dei giudici di legittimità
È d’uopo soffermarci sulle conclusioni della Corte relative al caso “de quo” per precisare la linea di confine tra i due istituti, dal momento che la loro distinzione, spesso, non è di immediata percezione.
Anzitutto, la disciplina dell’elusione fiscale è contenuta nell’art. 10-bis della legge n. 212/2000[3]. Tale disposizione specifica che “ configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti […] “.
Si evince che chi compie atti elusivi raggira la norma di legge per trarne vantaggio economico, anche attraverso manovre che appaiono economicamente insensate. Da qui, la netta differenza con l’evasione fiscale che, ex contrario, presuppone la specifica violazione delle norme, con lo scopo di evitare il prelievo fiscale.
Fatta questa breve premessa ritorniamo alla fattispecie in esame.
La Corte di Cassazione ha affermato che, trovandoci davanti alla violazione di una norma, ovverosia l’art. 108, comma 4, del D.P.R. n. 917/1986, non si poteva parlare di elusione, come era stato fatto dai giudici dei gradi precedenti, ma certamente di evasione d’imposta. Quando si agisce contra legem si è, chiaramente, nell’ambito dell’evasione, invece quando si è di fronte ad un uso distorto o improprio del precetto normativo si è sicuramente nell’ambito di abuso del diritto. Cosi, la Cassazione stabilisce che la società contribuente ha posto in essere un comportamento evasivo delle imposte che avrebbe dovuto versare in relazione all’operazione economica attuata, non potendo portare immediatamente in deduzione i costi conseguiti dal finanziamento erogato in favore dell’altra società, secondo l’art. 108 del D.P.R. n. 917/1986, né detrarre l’Iva sulle fatture rilasciate da quest’ultima, trattandosi di operazioni fuori campo Iva, secondo l’art. 2, comma 3, lett. a) del D.P.R. n.633/1972. Di conseguenza, questa condotta implica la comminatoria di sanzioni in capo al contribuente contravventore.
La Corte di cassazione, con la sentenza che si annota, ha rilevato che le erogazioni in denaro previste dal contratto di affidamento costituivano un vero e proprio finanziamento a fondo perduto, erogato dall’affidante all’affidatario, avente finalità, non di sviluppo della testata giornalistica, ma, da un lato, di mantenimento in vita del giornale stesso, fornendo le risorse finanziarie ordinarie e straordinarie necessarie, e, dall’altro, di creare costi da ammortizzare subito ed incondizionatamente, in deroga alla previsione del predetto art. 108, comma 4, del D.P.R. n. 917/1986.
D’altronde, come osservato dalla Guardia di Finanza, nella circolare n. 1/2018, dal combinato disposto delle richiamate disposizioni, ne discende “che il lecito risparmio di imposta, l’abuso del diritto e l’evasione fiscale sono nozioni mai sovrapponibili che, muovendosi su piani normativi diversi, si pongono in rapporto di reciproca esclusione. L’abuso del diritto trova, quindi, collocazione nello spazio compreso tra le ipotesi di violazione delle previsioni in materia fiscale specificamente perseguite e il legittimo risparmio di imposta”.
La recente giurisprudenza è molto chiara a riguardo (Cass. civ. Sez. V Ord., 06-12-2018, n. 31613) per cui, in materia tributaria, costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante lo scopo elusivo del fisco, nonché con modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato ed utilizzati solo per pervenire a quel risultato fiscale.
Si evidenzia, così, la netta distinzione tra ciò che deve considerarsi abuso del diritto e ciò che, invece, ricade inevitabilmente nell’evasione.
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4. Conclusioni
Con questa sentenza gli Ermellini hanno posto la massima per cui la diretta violazione di una norma tributaria, con conseguente mancato versamento delle imposte, realizza un’operazione evasiva e mai elusiva, rimarcando così la netta distinzione operata dalla riforma del 2015 (D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128). In particolare, l’art. 1 del citato Decreto legislativo ha introdotto nell’ambito della Legge n. 212/2000, l’art. 10-bis, unificando i concetti di “elusione” e “abuso del diritto”, in modo da garantire un’applicazione uniforme della disciplina anti-abuso, contemperando le esigenze di certezza e stabilità degli operatori con quelle dell’Amministrazione finanziaria, ed ha abrogato l’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/73, contestualmente prevedendo che le disposizioni che richiamano tale articolo si intendono ora riferite all’art. 10-bis della Legge n. 212/2000. (cfr. Nota 3)
Concludendo, nell’abuso del diritto non c’è spazio per vicende imputabili all’evasione. Questo è il chiaro monito di tale sentenza.
Note
[1] L’art. 108 co. 4 del D.P.R. n. 917/1986 dispone che “ le spese di cui al presente articolo sostenute dalle imprese di nuova costituzione, comprese le spese di impianto, sono deducibili secondo le disposizioni dei commi 1 e 2 a partire dall’esercizio in cui sono conseguiti i ricavi “; mentre l’art. 2 co. 3 lett. a) del D.P.R. n. 633/1972 dispone che “ non sono considerate cessioni di beni quelle che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro “.
[2] Quanto alle sanzioni, si evidenzia che il sistema sanzionatorio amministrativo tributario “ab illo tempore” era dominato dal principio di legalità o della riserva di legge; conseguentemente, poiché l’abuso del diritto era previsto dal sistema comunitario costituzionale, ma non dal nostro ordinamento, si doveva concludere per l’annullamento delle sanzioni.
[3] Con il D.lgs. n. 128 del 5 agosto 2015 è stata introdotto la nuova disciplina dell’elusione fiscale. Il comma 2 dell’art. 1 del decreto ha abrogato l’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, attraverso il quale finora è stata disciplinata l’elusione fiscale, limitatamente peraltro a una serie di fattispecie, numerose e molto importanti, ma non esaustive, in esso espressamente indicate. Oggi, l’art. 10-bis del D.P.R. 212/2000 raccoglie in forma unitaria i principi e le regole in materia di abuso del diritto e di elusione in materia fiscale ovvero unifica le nozioni di abuso del diritto ed elusione fiscale, che vengono fuse in un’unica definizione. Inoltre, il comma 13 di detto articolo chiarisce come le contestazioni relative al “nuovo” abuso del diritto (condotte elusive/abusive) non costituiscono più reato penale.
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