L’evoluzione darwiniana dei mezzi di prova: il ruolo della prova atipica nella modernizzazione del sistema delle prove

Redazione 20/07/20
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di Caterina Silvestri

La scienza processuale ha sottolineato a più voci come nel corso dello sviluppo storico del diritto delle prove e il suo approdo in epoca moderna, esso abbia seguito due direttrici principali: la prima, costituita dalla perdita del significato classico di certe regole quali, per esempio, l’allentamento (e in certi casi la perdita) della correlazione per lungo tempo assunta, tra l’ideologia liberale e l’ispirazione individualistica e privatistica del processo con un giudice privo di poteri o, ancora, l’abbandono del carattere politico della contrapposizione tra i principi dispositivo e inquisitori; la seconda, concernente una generalizzata restrizione del ruolo della prova legale con la correlata estensione del potere di valutazione del giudice, oltre alla eliminazione dei limiti di ammissibilità dei mezzi di prova, per l’accresciuta propensione a una consapevole ricerca della verità[1].

Pur nei vivaci confronti dottrinali[2], la “riscoperta” del ruolo della verità nella filosofia sociale e, con essa, nel processo[3], ha trovato terreno fertile anche nel nostro Paese: «La configurazione del processo civile come strumento finalizzato a “fare giustizia”, e non soltanto a risolvere controversie, porta la maggior parte degli ordinamenti processuali moderni ad adottare quelle che si è definita come ideologia legale-razionale della decisione giudiziaria, e quindi a collocare l’accertamento della verità dei fatti tra gli obiettivi fondamentali del processo civile.»[4].

Questa tendenza, quasi sempre correlata a un’estensione dei poteri istruttori d’ufficio del giudice, ha anche idealmente condotto all’avvicinamento dell’istruttoria penale con quella civile[5], autorevolmente indicata già in tempi risalenti in ragione delle connessioni tra i due diritti sostanziali[6] e dal dato strutturale dell’unitarietà dell’organizzazione giurisdizionale[7].

Il diritto alla prova che è venuto a delineatosi, la riscoperta del ruolo della verità e della giustizia nel processo in grado di modificare lo scopo storico-sociale dallo stesso perseguito, ben avrebbero giustificato una revisione dell’intera materia delle prove, ancor oggi disciplinata pressoché integralmente dall’originaria normativa codicistica, da riconsiderare «alla luce del criterio per cui un diritto fondamentale, come il diritto alla prova, non può più essere violato o compromesso per qualsivoglia ragione, ma solo quando si tratti di tutelare diritti o valori fondamentali.»[8].

Falliti i tentativi di riforma organica, il nostro Paese ha ripiegato ormai da tempo su una stratificazione legislativa[9] non guidata da specifici obiettivi tecnici o di sistema -e nemmeno, mi pare si possa dire, da ispirazioni di carattere filosofico-ideologico- ma mossa da bisogni contingenti, spesso d’intento politico-propagandistico, più che dalla volontà di modernizzazione del sistema. Ruolo strategico hanno giocato le sollecitazioni sovranazionali provenienti ora dall’Unione Europea -com’è avvenuto, ad esempio, per la promozione dell’ADR- ora dalla CEDU[10].

Sovente le riforme introdotte sono state anche prive di una reale portata di utilità per i loro intrinseci difetti tecnici o formalistici. Gli interventi sono stati particolarmente rarefatti e non incisivi proprio con riferimento all’istruttoria latamente intesa; la riforma più significativa ha riguardato il potenziamento, in occasione dell’istituzione del giudice unico di primo grado, dei poteri d’ufficio del giudice monocratico, rivelatasi di scarso impatto pratico e innovativo come la dottrina aveva preconizzato[11]. L’introduzione della testimonianza scritta, di cui pure si era a lungo parlato guardando al modello francese de les attestations, è stata nulla di più di un istituto ombra, di un mero feticcio di modernizzazione, dimostrato senza timore di smentita dalla sua scarsissima applicazione nel decennio trascorso dalla sua entrata in vigore[12]. La modifica più significativa è probabilmente consistita nel potenziamento del contraddittorio nella consulenza tecnica introdotto dalla legge n. 69 del 2009.

In una situazione di inalterata vetustà normativa e sotto le spinte dell’evoluzione scientifica e tecnologica, il sistema delle prove, in una sorta di evoluzione darwiniana imposta da necessità di sopravvivenza, si è pur reso portatore di un certo grado di novità quale risultato combinato di azione e di inazione.

Con questa espressione intendo dire che l’inerzia legislativa ha dato in qualche settore frutti fecondi, consentendo al sistema di accogliere ed elaborare in autonomia elementi di novità proposti, oso dire, dallo spirito del tempo[13].

Nella diffusione, nell’articolazione del concetto e dell’osservazione delle prove atipiche, mi pare di cogliere un esempio e uno strumento di questa particolare modalità evolutiva del sistema delle prove obsoleto (già alla sua nascita, come sosteneva Denti) e di avvicinare la ritrovata tensione verso la verità.

L’inazione legislativa più feconda[14], da cui è derivata l’azione dottrinale e giurisprudenziale, è il mancato chiarimento normativo dei contorni della nozione e della ammissibilità delle prove atipiche, diversamente da quanto avvenuto per il processo penale con l’art. 189, previsione quest’ultima che ha contribuito, com’è stato notato, a che nessuno osasse più contestarne l’ammissibilità anche nel processo civile[15].

La ricorrenza della prova atipica, benché autorevolmente criticata, è ormai osservabile quale fenomeno panprocessuale[16], diffusione cui ha certamente contribuito il rinnovato ruolo della verità nel processo ricordato poco sopra che rende almeno in tendenza rilevanti tutti quegli elementi probatori che ne consentono l’avvicinamento o che possono contribuire al suo accertamento, l’affermazione del diritto alla prova quale elemento del giusto processo[17] e, non da ultimo, la moltiplicazione delle fonti di prova offerte dall’evoluzione tecnologica e scientifica specialmente dell’ultimo ventennio. La dottrina è pressoché unanime nel riconoscere la natura atipica della prova in quei mezzi idonei ad accertare il fatto, o a concorrere al suo accertamento, non normativamente previsti[18]. Accanto a tale accezione, in cui la prova atipica si identifica con la fonte di prova, Ricci in particolare ha rilevato come il concetto di atipicità possa essere riferito anche al procedimento di acquisizione della prova al processo, limitatamente ai casi in cui ciò sia previsto dal legislatore come avviene, ad esempio, nei procedimenti in camera di consiglio o nei procedimenti cautelari[19]. Vigendo il principio di tipicità dell’acquisizione della prova, al di là delle ipotesi di deformalizzazione normativamente previste, la prova acquisita in violazione del procedimento non sarebbe atipica, ma nulla[20] e, nemmeno, nell’ambito della atipicità possono essere ricondotte le prove che valgano ad aggirare preclusioni processuali o divieti dettati da disposizioni sostanziali[21], come pure altre tipologie di prove illecite, che pongono questioni qui non suscettibili di essere affrontate[22].

La giurisprudenza, dal canto suo, ha ampiamente accolto il concetto di prova atipica, basandosi sul principio del libero convincimento del giudice, che non trova limite se non nell’obbligo di motivazione, e sul rilievo dell’assenza di una norma di chiusura sulla tassatività delle fonti di prova: «mancando una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonea fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico -riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato- con le altre risultanze del processo (Cass. 25.3.2004 n. 5965)»[23].

In tempi relativamente recenti le Sezioni Unite hanno infine chiarito che le scritture private provenienti da terzi costituiscono prove atipiche, liberamente contestabili dalle parti poiché non inquadrabili né nell’art. 2702, c.c., né conseguentemente nell’art. 214, c.p.c.[24]. Tradizionalmente sono anche considerate prove atipiche le risposte eccedenti il mandato offerte dal consulente tecnico, i chiarimenti dallo stesso offerti e le perizie stragiudiziali[25].

Insospettatamente ampio è il novero degli elementi di convincimento che la Corte di cassazione considera utilizzabili nel processo civile quali prove atipiche, provenienti dal procedimento penale[26], inclusivo sia della fase di indagine svolta dalla polizia giudiziaria -come dalle indagini difensive le cui risultanze siano state regolarmente allegate al fascicolo del pubblico ministero- sia delle prove dibattimentali e di quelle alle stesse equiparabili (come ad esempio la prova ottenuta in seguito all’incidente probatorio). Nel tempo sono stati veicolati nel processo civile quali prove atipiche i verbali e i rapporti di polizia giudiziaria, tra cui i verbali di sommarie informazioni testimoniali rese agli stessi organi[27], (persino) le dichiarazioni auto indizianti rese nel procedimento penale ai sensi del primo comma dell’art. 63, c.p.p., non potendo -secondo la Corte- la sanzione di inutilizzabilità prevista al secondo comma della stessa norma spiegare effetti fuori del processo penale, oltre alle sentenze penali comprese quelle prive di efficacia di giudicato nel processo civile[28].

In questa giurisprudenza, la distinzione tra atipicità del mezzo di prova e atipicità del procedimento di acquisizione si scolora e la divergenza delle regole tra processo civile e processo penale circa l’ammissibilità e l’assunzione della prova, non costituisce elemento ostativo all’utilizzazione[29]. Il punto centrale è, evidentemente, costituito dal considerare questi elementi quali prove precostituite, alla stregua dei documenti[30], atte ad entrare nel processo civile attraverso la produzione. In questa ottica, ed entro questi limiti, nella giurisprudenza ricordata, perde rilievo anche la circostanza che il documento si sia formato in assenza del contraddittorio[31], come invero accade per molti documenti prodotti nel giudizio[32], rilevando invece il rispetto di questa garanzia nella fase processuale in cui lo stesso è utilizzato, pur essendosi svolta tra parti diverse. Nei rapporti tra processo civile e processo penale, la giurisprudenza giustifica l’esportabilità della prova dal secondo al primo con l’espressione di una sorta di principio di coerenzadell’ordinamento, secondo il quale anche quando la sentenza penale non implica un accertamento in grado di fare stato anche nel giudizio civile, contiene un’ipotesi di responsabilità e un elemento di prova che se pur privo di efficacia automatica in ordine ai fatti accertati nel processo penale ed oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice, naturalmente nel contraddittorio delle parti[33], non può essere esclusa dal giudice civile senza adeguatamente motivare[34]; non mancano esempi giurisprudenziali in cui l’utilizzazione della prova penale nel processo civile, effettuata sempre in base al canale della prova atipica, è giustificata da un’invocata “unità della giurisdizione”[35].

La prova atipica ha pure dilatato i propri contorni con riferimento agli elementi probatori figli dell’evoluzione tecnica. Così per le prove rinvenibili sui social networks, o costituite dai testi degli sms o, ancora, da registrazioni sonore o audiovisive rese oggi tecnicamente possibili da molti dei telefoni cellulari in commercio. Si tratta, anche in questi casi, di fonti di prova precostituite al processo o, comunque, a formazione extraprocessuale, trasferite su supporti cartacei in forma di trascrizioni o di fotografie, che sono poi acquisite quali produzioni documentali[36]. La circostanza che questi elementi di prova, fisicamente contenuti in un supporto cartaceo, siano acquisiti quali produzioni documentali, non significa punto che essi siano assimilabili alle prove documentali, alle riproduzioni meccaniche o alle altre prove tipiche di cui agli artt. 2699 ss., c.c., e che siano assoggettati al rispettivo regime processuale.

Ancora, l’alveo della atipicità è stato il primo punto di approdo di una serie di prove scientifiche, poi travasate nella consulenza tecnica d’ufficio che, peraltro, costituisce a sua volta un riferimento non completamente adeguato, poiché permanentemente tormentato dalla contrastata funzione esplorativa e di mezzo di prova[37]. La funzionalità della prova atipica nel settore scientifico si è palesata come inversamente proporzionale al significato di «scienza»[38], che nel tempo si è modificato in ragione dell’acquisizione di nuove conoscenze che hanno consentito di rendere conoscibili e accertabili e in certi casi ripetibili, determinati fenomeni.

Questo dato è chiaramente osservabile con riferimento alla prova ematologica e del DNA, considerate per lungo tempo prove atipiche in quanto non riconducibili né all’ispezione giudiziale, né alla consulenza tecnica[39]. Oggi, tuttavia, la giurisprudenza parla disinvoltamente, e direi correttamente, di consulenza tecnica ematologia e genetica[40].

Tarzia, del resto, già nel 1984 distingueva tra le prove innominate quelle imposte dal progresso scientifico che considerava come tendenzialmente sostitutive di quelle disciplinate dal codice di rito[41].

Al cambiamento di area, da prova atipica a consulenza tecnica, di questo strumento hanno certamente contribuito diversi fattori. La libertà di prova sancita dall’art. 269, secondo comma, c.c., per l’accertamento della maternità e della paternità, paradigmatica nella sua funzionalità al raggiungimento della verità[42], è stata l’apertura che ha consentito l’entrata di questa modalità d’accertamento nel processo concernente la filiazione. Non certo da ultimo, si aggiunge la considerazione del carattere privilegiato di queste prove sul piano della loro attendibilità[43] e l’elaborazione scientifica verificatasi al loro riguardo anche guardando specificamente al processo, di cui offrono esempio le linee guida elaborate dagli scienziati forensi al fine di assicurare risultati attendibili e verificabili cui la giurisprudenza si richiama[44].

Percorso per certi versi analogo è stato compiuto dalla consulenza tecnica psicologica[45], la quale ha preso campo anche nei procedimenti non istituzionalmente caratterizzati dalla libertà di prova, quali quelli di separazione e divorzio in cui si presenti la necessità di accertare la capacità genitoriale per questioni di affidamento, come pure nei processi in cui vi sia la necessità di accertare la capacità d’intendere e di volere di un minore. Anche in questi campi, l’affermazione di linee guide in grado di governare l’assunzione di queste particolari informazioni, che si risolvono in prove dirette del fatto, e la valutazione della loro attendibilità in supporto al libero apprezzamento giudiziale, hanno contribuito alla modernizzazione del sistema probatorio avvenuto attraverso la prova atipica, poi convogliata nella consulenza tecnica.

[1] Denti, Processo civile e giustizia sociale, Milano, 1971, 87, osserva come nel corso dello sviluppo storico del diritto delle prove il significato classico delle regole espresso dalla correlazione ideologica sopra espressa, è venuta meno nel periodo moderno; Taruffo, La prova nel processo civile, cit., 99, rileva che se storicamente è vero che sovente sono state poste in correlazione l’ideologia liberale e l’ispirazione individualistica e privatistica con un giudice privo di poteri, in considerazione che il processo avrebbe attuato i valori fondamentali della libertà e autonomia delle parti, in realtà, non risulta dimostrata la connessione biunivoca tra ideologia liberale ed assenza di poteri istruttori nel giudice, ricorrendo esempi di codificazioni liberali in cui il giudice ha significativi poteri istruttori (come il codice processuale spagnolo del 1881) e codificazioni che non prevedevano poteri del giudice e che l’Autore non considera liberali in quanto emanate in periodi di imperialismo, quali il code de procédure civile francese del 1806 (certamente espressione dell’ideologia borghese e liberale ma che sul piano processuale derivò dalla Ordonnance del 1667), il codice austriaco del 1815 (nonché quelli precedenti del 1781 e del 1796), varie codificazioni preunitarie italiane e la Zivilprozessordnung tedesca del 1887; sul superamento del significato politico della contrapposizione fra principio dispositivo e principio inquisitorio anche Fabiani, I poteri istruttori del giudice civile, cit., 525 ss.

[2] Mi riferisco in particolare al confronto tra le diverse idee sul ruolo della verità avvenuto tra B. Cavallone, In difesa della veriphobia (considerazioni amichevolmente polemiche su un libro recente di Michele Taruffo), in Riv. dir. proc., 2010, 1 ss. e, in replica, M. Taruffo, Contro la veriphobia. Osservazioni sparse in risposta a Bruno Cavallone, in Riv. tri. dir. proc. civ., 2010, 995.

[3] Diffusamente anche per i profili storico-filosofici concernenti le sorti dell’idea e del ruolo della verità, M. Taruffo, La semplice verità, Roma, 2009; J. Ferrer Beltrán, Prova e verità nel diritto, trad. it. di V. Carnevale, Bologna, 2004, 23 ss.

[4] M. Taruffo, La prova nel processo civile, Milano, 2012, 113.

[5] Rilievo rinvenibile in particolare nella dottrina francese J. Sicard, La preuve en justice. Librairie du Journal des Notaires. Comment Faire, París, 1960, 8, come ricorda Denti, Processo civile e giustizia sociale, 95.

[6] Così il celebre scritto di F. Carnelutti, Il danno e il reato, 1930, 90: «non si può rimproverare cultori del diritto penale di ritenersi in casa loro quando parlano del divieto di uccidere, cioè del diritto alla vita, come visse ritengono civilisti, quando trattano del diritto di proprietà. La verità è, peraltro, che queste quelli credono ad essere ben chiusi a casa propria, e invece sono virgola quasi sempre, nella grande casa comune. Quella specie di muraglia cinese, che, in particolare da noi, ha costruito intorno al territorio del diritto penale Arturo Rocco, è piuttosto una mirabile illusione proiettata dal suo acuto ingegno che una realtà. Non v’è, forse, tra le partizioni teoriche del diritto un’altra come questa, del diritto civile e del diritto penale, che apparendo compiuta e profonda, sia invece limitata e relativa. Non se ne dolgano i cultori nobilissimi dell’uno e dell’altro capo della nostra scienza; dalla consapevolezza che essi lavorano, non solo per uno scopo, ma, in gran parte, sul campo comune e perciò dalla necessità di meglio conoscere e coordinare gli sforzi, la scienza del diritto, che è indissolubilmente una, avrà inestimabile vantaggio».

[7] F. Tommaseo, nella sua relazione introduttiva al convegno, Nuovi profili nei rapporti tra processo civile e penale, Atti del convegno di studio 18 e 19 giugno 1993, Milano, 1995, 3 ss. sottolineava come «la stessa distinzione tra giurisdizione civile e giurisdizione penale evoca una diversità di giurisdizioni che, sul terreno della disciplina normativa, non trova riscontri diversi da quelli meramente lessicali»; Mario Pisani, ricordava ancora Tommaseo, nella sua voce “giurisdizione penale” (Enc. dir., XIX, Milano, 1970), rileva che la formula “giurisdizione penale” «non vale a spezzare l’intrinseca unità della funzione giurisdizionale esercitata dai giudici ordinari [che] non si fonda sull’ ormai screditato dogma dell’unità della giurisdizione, bensì sul dato strutturale dell’unità dell’ordinamento giudiziario a cui appartengono i giudici che, per ripetere la nota formula di cui all’art. 1 della legge sull’ordinamento giudiziario, amministrano la giustizia “nelle materie civile e penale”.».

[8] M. Taruffo, voce Prova giuridica, in Enc. Treccani delle scienze sociali (on line), cui appartiene il periodo virgolettato nel testo, può leggersi al seguente indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/prova-giuridica_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/; dello stesso Autore sulla medesima questione anche Il diritto alla prova nel processo civile, cit., 77 ss.

[9] F. Carpi, Le riforme del processo civile in Italia verso il XXI secolo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, 105 ss., per una panoramica “a volo d’uccello”, come la definisce lo stesso Autore; per osservazioni sulle principali riforme G. Balena, Riforma del processo civile, in Le Nuove leggi civili commentate, 2006, 993 ss. per i profili istruttori in particolare; Legge 26 novembre 1990, n. 353 (Provvedimenti urgenti per il processo civile). Commento all’art. 58 (ammissione e assunzione di prove), Le nuove leggi civili commentate, 1992, 229 ss.

[10] Recentemente, ad esempio, per il riconoscimento e la tutela delle unioni civili, da cui è scaturita le legge nazionale: Corte eur. dir. uomo, 21 luglio 2015, O. e altri c. Italia, può essere letta integralmente nella versione italiana sul sito del Ministero della Giustizia, al seguente link: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.wp;jsessionid=E3400AF199B7F4474293E3BFAEFCA9AA.ajpAL02?facetNode_1=0_8_1_4&facetNode_3=0_8_1_61&facetNode_2=1_2(2015)&previsiousPage=mg_1_20&contentId=SDU1177280.

[11] B. Cavallone, Un tardo prodotto dell’Art Déco (il “nuovo” art. 281 ter c.p.c.), Riv. dir. proc., 2000, 93 ss.; in tema anche E. Fabiani, Sul potere del giudice monocratico di disporre d’ufficio la prova testimoniale ai sensi dell’art. 281 ter c.p.c. , in Foro it., 2000, I, 2093. Con l’istituzione del giudice unico (e soppressione delle preture), attuata col D.Lgs n. 51 del 1998, l’art. 281 ter, c.p.c., ed i poteri istruttori dallo stesso previsti, è divenuto disposizione applicabile a quasi tutte le controversie, facendo, tra l’altro, dubitare che la differenza tra giudizio monocratico e collegiale potesse giustificare una tale differenza tra i poteri istruttori dei rispettivi uffici. La questione è sfociata in una rimessione della questione alla Corte Costituzionale che l’ha dichiarata manifestamente inammissibile sia pure in considerazione del fatto che la fattispecie da cui nasceva la questione dava atto essere maturate a carico delle parti le preclusioni istruttorie e che in nessun caso il giudice avrebbe potuto essere dotato di poteri esercitabili dopo la maturazione delle preclusioni a carico delle parti; C. Cost. 2003, n. 69, Consultaonline, http://www.giurcost.org/decisioni/2003/0069o-03.html.

[12] Sulle modifiche introdotte all’istituto dalla legge n. 69 del 2009, G. Balena, Sulla testimonianza scritta ripensamenti opportuni, in Guida al Diritto, 2009, fasc. 28, 17 ss.

[13] Dalla seconda metà del 1700 con il filosofo J. G. Herder, passando attraverso l’accezione giuridica di F. C. Savigny sino al significato esoterico di R. Stainer, con l’espressione “spirito del tempo” si indicano le caratteristiche di un certo periodo storico che influenzano l’evoluzione, o con l’accezione vicina ma non identica di “spirito del popolo”, il peculiare modo di esistere e di evolvere di ciascuna nazione che le rende originali e diverse le une dalle altre: E. Morin, L’esprit du temp, Parigi, 1962; V. Verra, Linguaggio, mito e storia. Studi sul pensiero di Herder, a cura di C. Cesa, Pisa, 2006; M. Giuliano, Savigny e il metodo della scienza giuridica, III, Milano, 1966.

[14] Una forma minore di inazione legislativa, che si è risolta in un potenziamento dei poteri istruttori del giudice civile, è il mantenimento dell’originario limite di valore all’ammissibilità della prova testimoniale di cui al primo comma dell’art. 2721, c.c., (£ 5.000, oggi a 2,5 euro), che come ha osservato Verde, ha tolto contenuto precettivo alla disposizione e al limite in essa contenuto, consentendo l’ammissione della prova testimoniale praticamente quasi sempre o, comunque, rimettendo al potere del giudice la possibilità di ricorrere a questo mezzo di prova; così, quasi testualmente, G. Verde, Diritto processuale civile, II, Bologna, 2014, 95.

[15] Ricci, Atipicità della prova, processo ordinario e rito camerale, cit., 409; voce autorevole, pur non contestandone l’ammissibilità, ne circoscrive molto il novero, escludendo dallo stesso, ad esempio, le scritture provenienti da terzi e la perizia privata stragiudiziale: A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2014, 438; cfr. B. Cavallone, Critica della teoria delle prove atipiche, Il giudice e la prova nel processo civile, Padova, 1997, 335, secondo il quale non possono essere oggetto di inquadramento unitario le prove non previste dalla legge; G. Verde, voce Prova (teoria generale e diritto processuale civile), Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, 606, il quale considera le prove atipiche alla stregua di indizi; cfr. anche A. Carratta, Prova e convincimento del giudice nel processo civile., in Riv. dir. proc., 2003, 52.

[16] D’Angelo, Le prove atipiche nel processo amministrativo, Napoli, 2008, il quale ne rileva la ricorrenza anche nel processo amministrativo.

[17] Tra i molti scritti sul tema ricordo: V. Andrioli, La convenzione europea dei diritti dell’uomo e il diritto giusto, Temi rom., 1964, 442; L. P. Comoglio, Valori etici e ideologia del “giusto processo” (modelli a confronto), Riv. trim. dir. proc. civ, 1998, 887; Il “giusto processo” civile nella dimensione comparatistica, in Riv. dir. proc., 2002, 702; P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, Bologna, 2005; N. Trocker, Il valore costituzionale del “giusto processo”,in AA.VV., Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, a cura di M. G. Civinini e C.M. Verardi, Milano, 2001, 49 ss.; Il nuovo articolo 111 della costituzione e il “giusto processo” in materia civile: profili generali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, 381 ss.

[18] G. F. Ricci, Le prove atipiche, Milano, 1999, 56 ss.; Atipicità della prova, processo ordinario e rito camerale, Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 409; L. P. Comoglio, Le prove civili, Milano, 2010, 41; M. Taruffo, La prova nel processo civile, cit., 74; Le prove atipiche e convincimento del giudice, Riv. dir. proc., 1973, 389; B. Cavallone, Il giudice e la prova nel processo civile, Milano, 1991, 335.

[19] Ricci, Atipicità della prova, processo ordinario e rito camerale, cit., 410 ss.; il concetto di atipicità rivolto al procedimento di acquisizione (senza distinzioni tra i vari e diversi procedimenti) è definito «aberrante» da L. Montesano, Le “prove atipiche” nelle “presunzioni” e negli ” argomenti” del giudice civile, Riv. dir. proc., 1980, 234 ss., secondo il quale ammetterlo significherebbe permettere al giudice di servirsi della propria scienza privata per ricostruire i fatti, in violazione del divieto posto ex art. 97 disp. att. al c.p.c. a tutela delle garanzie delle parti e del contraddittorio

[20] Taruffo, La prova nel processo civile, cit., 74.; lo stesso Autore, Prove atipiche e convincimento del giudice, Riv. dir. proc., 1973, 402, rileva, tuttavia, come l’atipicità faccia riferimento tanto al mezzo di prova non incluso nel “catalogo codicistico”, quanto all’eventuale modo di acquisizione del mezzo istruttorio diverso dal modello legale.

[21] Così, quasi testualmente Cass. civ., 5 marzo 2010, n. 5440, integralmente su De Iure, banca dati on line.

[22] Si veda in tema il recente lavoro di L. Passanante, La prova illecita nel processo civile, 2017, Torino, che propone una ridefinizione della nozione, 149 ss., ed un ampia bibliografia.

[23] Cass. civ., 4 giugno 2014, n. 12577, da cui è tratta l’espressione virgolettata; conf. la pronuncia in quella citata, Cass. civ., 25 marzo 2004, n. 5965, che si riferisce alla parte della consulenza d’ufficio eccedente i limiti del mandato, ma non sostanzialmente estranea all’oggetto dell’indagine in funzione della quale è stata disposta; e, nello stesso senso, tra le molte, Cass. civ., 12 novembre 2010, n. 22984; tutte possono leggersi integralmente in De Iure, banca dati on line.

[24] Cass. civ., S.U, 23 giugno 2010, n. 15169, De Iure, banca dati on line.

[25] Per un quadro ed esemplificazioni più ampie, Ricci, Le prove atipiche, cit., 229.

[26] Il fenomeno, tuttavia, non è nuovo, come rileva G.F. Ricci, Aspetti della circolazione della prova nel processo civile nel processo penale, in Nuovi profili nei rapporti tra processo civile e processo penale, cit., 114, dove sottolinea come antecedentemente alla riforma del codice di procedura civile del 1988 l’opinione della dottrina e della giurisprudenza fosse pressoché univoca nel senso di considerare trasferibili in sede civile tutte quante le acquisizioni avutesi nel processo penale, istruttorie o dibattimentali che fossero; l’ammissibilità di questo trasferimento rispondeva a precisi criteri di economia processuale, in base ai quali appariva più logico utilizzare la prova raccolta nell’altro processo, anziché doverla rinnovare nel giudizio civile. Il pensiero espresso dall’Autore era, casomai, di timore che ciò potesse continuare ad avvenire con la riforma del processo penale che considerava quale prova unicamente quella dibattimentale; la direzione intrapresa, invece, si è palesata di segno opposto come mi pare emerga dai pur sintetici dati qui riportati.

[27] Cass. civ., 25 marzo 2013, n. 7466, De Iure, banca data on line, considera utilizzabili nel processo civile sia la sentenza penale, sia i verbali di sommarie informazioni testimoniali rese alla Polizia Giudiziaria; Cass. civ., 4 giugno 2014, n. 12577, anche con riferimento alle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali; Cass. civ., 19 ottobre 2007, n. 22020, la quale aggiunge i verbali e rapporti degli organi di polizia giudiziaria, tutte pubblicate in versione integrale sempre in De Iure.

[28] Così, tra le molte, con riferimento all’applicazione della pena su richiesta ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p., Cass. civ., 4 giugno 2014, n. 12577, cit. nota precedente; analogamente afferma, con riferimento ad un procedimento penale chiusosi con sentenza di non doversi procedere per intervenuta amnistia o per altra causa estintiva del reato, Cass. 25 maggio, 1993. n. 5874; considera prova atipica la sentenza penale non definitiva Cass. 27 aprile 2010, n. 10005, tutte integralmente pubblicate in De Iure, banca dati on line.

[29] Così, Cass. civ., 20 gennaio 2015, n. 840, in De Iure, banca dati on line, la quale afferma che «Il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, delle quali la sentenza ivi pronunciata costituisce documentazione, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all’ammissione e all’assunzione della prova (costituita, nella specie, da una deposizione testimoniale resa in assenza del contraddittorio nel corso di un procedimento disciplinare a carico di un avvocato nella fase svoltasi dinanzi al consiglio dell’ordine locale, culminato poi nella decisione del consiglio nazionale forense, giudice speciale istituito con il d.leg.lgt. 23 novembre 1944 n. 382)».

[30] Cass. civ., 25 marzo 2013, n. 7466, De Iure, banca dati on line, la quale afferma: «Le prove precostituite, quali i documenti, entrano nel giudizio attraverso la produzione e nella decisione in virtù di un’operazione di semplice logica giuridica, essendo tali attività contestabili solo se svolte in contrasto con le regole, rispettivamente, processuali o di giudizio, che vi presiedono, senza che abbia rilievo una valutazione in termini di utilizzabilità, categoria propria del rito penale ed ignota al processo civile».

[31] Sul rispetto del contraddittorio nell’assunzione della prova si vedano i richiami di cui supra, nota 34. Si ricorda come Tarzia, Problemi del contraddittorio nell’istruzione probatoria civile, cit., 640 e ss., tra le prove innominate distinguesse quelle raccolte in invece, si devono distinguere le prove innominate tra nuove prove imposte dal progresso scientifico, prove tendenzialmente sostitutive di quelle vigenti nel codice di rito e prove raccolte in altro procedimento

[32] Non è nuovo il rilievo circa l’utilizzazione promiscua dell’espressione «documento» e del termine «atto», effettuata anche dal legislatore negli artt. 2699, c.c., mentre «l’atto giuridico è dato dalla dichiarazione, ed il documento è solo il mezzo materiale che la contiene e la rappresenta», come insegna E.T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile, 1981, II, Milano, 1981, 108 ss, e, ancora più chiaramente, il documento è «una cosa che rappresenta o raffigura un fatto in modo da dare a chi l’osserva una certa conoscenza di essa» (id., 322), con la precisazione che per essere prova, la cosa rappresentata o raffigurata nel documento deve avere rilevanza giuridica. Sul documento, Carnelutti, La prova civile, cit., 140 ss.; Documento e negozio giuridico, Riv. dir. proc., 1926, I, 181; voce Documento, Noviss. Dig. it., VI, Torino, 1960, 85 ss.; V. Denti, voce Prova documentale (dir. proc. civ.), Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988; S. Patti, voce Documento, Digesto delle discipline privatistiche. Sezione civile, VII, Torino, 1991, 2 ss.; G. Verde, voce Prova (teoria generale e diritto processuale civile), Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, 579 ss.

[33] Cass. civ., 19 ottobre 2007, cit.; 25 maggio 1993, n. 5874, cit.

[34] Cass. civ., 6 dicembre 2011, n. 26263; Cass. civ., sez. trib. 3 dicembre 2010, n. 24587; Cass. civ., 19 novembre 2007, n. 23906, tutte possono essere lette integralmente in De Iure, banca dati on line.

[35] Cass. civ., 2 marzo 2009, n. 5009, De Iure, banca dati on line; ivi i rilievi di cui alla precedente nota n. 61.

[36] In questo senso, anche per le prove provenienti dal procedimento penale, Cass. civ., 25 marzo 2013, n. 7466, cit.

[37] Peraltro ammessa da tempo risalente dalla giurisprudenza quando si risolva anche in uno strumento di accertamento di situazioni rilevabili solo con il concorso di determinate cognizioni tecniche, indicata correntemente come consulenza «percipiente»; in questo senso tra le molte, Cass. civ., 21 aprile 2005, n. 8297; recentemente Cass. civ., 20 gennaio 2017 n. 1606, entrambe possono leggersi integralmente in De Iure, banca dati on line. Ricorda Caprioli nel suo intervento L’incognita Carnelutti, al Convegno sulla La prova civile di Carnelutti (ivi, supra, nota 7), cit., 381, come l’Autore parlasse dell’esistenza di una confusione, nella perizia, tra il mezzo d’integrazione dell’attività del giudice e la fonte di prova; la dottrina moderna considera, tuttavia, da tempo, necessario superare questa dicotomia. Cfr. sul tema: V. Ansanelli, La consulenza tecnica nel processo civile. Problemi e funzionalità, Milano, 2011; M. Bove, Il sapere tecnico nel processo civile, Riv. dir. proc., 2011, 1431 ss.; F. Auletta, Il procedimento di istruzione probatoria mediante consulente tecnico, Padova, 2002; A. Scarpa, F. Auletta, La scelta del Ctu è veramente “cosa del giudice”?, Giust. insieme, 2009, 2/3, 93 ss.; C.M. Barone, voce Consulente tecnico: I) Diritto processuale civile, Enc. giur. Treccani, Roma, 1988; L.P. Comoglio, L’utilizzazione processuale del sapere extragiuridico nella prospettiva comparatistica, Riv. dir. proc., 2005, 1145 ss.; G. Franchi, La perizia civile, Padova, 1959.

[38] F. Auletta, La prova scientifica: diritto, epistemologia, strumenti d’acquisizione, Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, 461; M. Taruffo, La prova scientifica nel processo civile, Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 1079.

[39] Ricci, Le prove atipiche, cit., 404 ss.; V. Trisorio Liuzzi, voce Ispezione nel processo civile, Digesto delle discipline privatistiche. Sezione civile, vol. X, Torino 1993, 189 ss.; M. Vellani, voce Consulenza tecnica nel diritto processuale civile, Digesto delle discipline privatistiche. Sezione civile, vol. III, Torino 1988, 525 ss.

[40] Si veda, tra le molte, Cass. civ., 13 novembre 2015, n. 2329, Foro it., 2016, I, 2893, con nota di richiami di G. Casaburi, in materia di ctu ematologica; Cass. civ., 31 luglio 2015, n. 16229, id., 2015, I, 3107, sempre con nota di richiami di G. Casaburi, in materia di ctu genetica.

[41] Tarzia, Problemi del contraddittorio nell’istruzione probatoria civile, cit., 640, distingue in seno alle prove innominate quelle nuove imposte dal progresso scientifico, che considera tendenzialmente sostitutive di quelle vigenti nel codice di rito, e le prove raccolte in altro procedimento.

[42] Si vedano gli interessanti rilievi di G. Casaburi, L’impugnativa per difetto di veridicità: una sentenza «ancien régime» della Cassazione, Foro it., 2015, I, 3113, circa l’elevato standard probatorio richiesto dalla pronuncia, ma non rapportabile allo «al di là di ogni ragionevole dubbio» di cui all’art. 533, c.p.p.

[43] Cass. civ., 13 novembre 2015, n. 2329, cit., considera la consulenza tecnica ematologica non esplorativa (nella fattispecie di riferimento) e «accertamento decisivo circa la verità del rapporto di filiazione».

[44] Così, ad esempio, espressamente Cass. civ., 31 luglio 2015, n. 16229, cit.

[45] Corte EDU, G.C., 13 luglio 2000, Elsholz c. Allemagne, può leggersi in versione integrale all’indirizzo http://hudoc.echr.coe.int/fre#{“itemid”:[“001-63317”]}, parlava già di “expertise psychologique; nello stesso, a titolo di esempio tra le molte, Cass. civ., 04 dicembre 2014, n. 25662, sulla consulenza tecnica psicologica su minore.

Redazione

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