L’evoluzione della Golden Share

La “Golden Share“, com’ noto, non è altro che un determinato tipo di azione speciale che conferisce a colui che la possiede determinati poteri, come il diritto di veto su alcune decisioni strategiche dell’azienda. In linea di massimo, l’istituto è sempre stato utilizzato dai governi per poter mantenere un forte potere di controllo su aziende rilevanti ai fini strategici, dove, seppur detenendone una minima parte, il suo potere decisorio non è mai stato messo in discussione.

Indice

1. Profili di diritto comparato

Al fine di comprendere a pieno la sua portata, occorre muovere i primi passi dal confronto con l’ordinamento anglosassone.
La Gran Bretagna, oltre ad essere stato il primo paese ad intraprendere una massiccia privatizzazione, è stato anche il paese dove fu per prima teorizzata ed introdotta una disciplina di controllo politico che potesse tutelare lo Stato, con riguardo a determinati settori in cui operavano le imprese dismesse. Il mezzo attraverso cui si arrivò alla miglior tutela degli interessi governativi fu la già citata Golden Share. La creazione di uno strumento di così forte controllo costituì una fonte d’ispirazione per diversi paesi che inserirono negli anni successivi discipline simili nei propri ordinamenti. Attraverso l’istituzione di questo titolo azionario speciale, il governo si assicurava la possibilità di incidere nelle decisioni fondamentali di gestione societaria. Generalmente veniva istituita attraverso un’azione dal valore nominale di una singola sterlina, potendo così poi vendere integralmente le partecipazioni pubbliche per ottenere il massimo ricavo possibile, conservando però una sorta di diritto di veto qualora vi fossero stati rischi di cessione societaria o di presenza di investitori esteri che avrebbero potuto condizionare la gestione delle stesse.
La grande differenza sostanziale dei poteri riconosciuti dal possesso della Golden Share britannica rispetto al potere speciale previsto dalla Golden Share In Italia o dall’ “Action Specifique” francese, consisteva nella diversa fonte da cui tale diritto derivava. In Inghilterra, di fatti, non vi fu una disciplina specifica con cui il legislatore organizzò l’istituto della Golden Share, anzi le uniche previsioni si occuparono di delimitare i limiti e le soglie entro cui le autorità competenti insieme al Tesoro potessero acquistare azioni delle società privatizzate.
In altre parole, la fonte del potere della Golden Share era soltanto contrattuale, ovvero lo statuto di ciascuna società, caratterizzandola quindi a seconda del tipo di società e delle effettive necessità del singolo caso. Ciò nonostante, nella realtà dei fatti si pervenne ad un utilizzo abbastanza standardizzato dell’istituto della Golden Share (nonostante potesse essere diversamente riconosciuta in ciascuno statuto).
Ad ogni modo, al di là della natura contrattuale o di derivazione legislativa dello strumento, è inevitabile notare come l’istituto fosse in contrasto con l’idea della democrazia azionaria fondamento della politica di privatizzazione, e limitasse la possibilità di speditezza del ricambio dei soggetti proprietari delle azioni e delle imprese[1].
Questa prima idea di Golden Share di derivazione anglosassone, di fatti, ebbe non pochi problemi nella prassi.
Sul punto si espresse a più riprese la Corte di Giustizia, che evidenzio la presenza di una violazione dei principi di libera circolazione del mercato unico in tutti quei casi in cui il potere riconosciuto al governo fosse quello di limitare od escludere la possibilità per la società dismessa di prendere una decisione in autonomia[2][3].
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2. La situazione in Italia

2.1 Il decreto legge n. 332/1994
Il legislatore italiano, seguendo l’operato della Gran Bretagna, introdusse anch’esso un istituto conforme. Nello specifico, lo Stato vantava il potere di influire attraverso diversi diritti. L’art. 2 del decreto legge n. 332/1994 dispose “ «Tra le società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato operanti nel settore della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di energia, e degli altri pubblici servizi, sono individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di intesa con il Ministro delle attività produttive, nonché con i Ministri competenti per settore, previa comunicazione alle competenti Commissioni parlamentari, quelle nei cui statuti, prima di ogni atto che determini la perdita del controllo, deve essere introdotta con deliberazione dell’assemblea straordinaria una clausola che attribuisca al Ministro dell’economia e delle finanze la titolarità di uno o più dei seguenti poteri speciali da esercitare di intesa con il Ministro delle attività produttive…”, i suddetti poteri speciali venivano poi elencati nelle lettere a)-d) del comma 1, riconoscendo il potere di opporsi all’assunzione di una parte rilevante della partecipazione azionaria da parte di investitori non graditi, quantificato generalmente con il 5% salvo limite inferiore espressamente stabilito dal MEF.
Analogamente alla prima ipotesi, venne riconosciuta anche la possibilità di opporsi a patti ed accordi tra azionisti che avrebbero rappresentato il 5% del totale azionario, sempre qualora il MEF non avesse provveduto con specifico decreto per istituire un limite inferiore. Oltre le ipotesi di opposizione riguardo il rischio di elevata rilevanza nell’assetto societario da parte di azionisti non graditi, i poteri speciali disciplinati dall’art. 2 consentivano la facoltà di veto per tutte quelle operazioni che avrebbero inciso profondamente sull’evoluzione della società[4], ultimo potere riconosciuto dalla prima normativa della Golden Share italiana fu la possibilità di nomina di un amministratore senza diritto di voto.
L’ incompatibilità di questo istituto con i principi disciplinati agli articoli 43 e 56 del trattato CE è impossibile da ignorare. Tuttavia, la Comunità ha iniziato a risolvere le questioni inerenti alle disfunzioni causate da tali incongruenze a distanza di diversi anni, tramite un insieme di pronunce della Corte di Giustizia, mantenendo sempre come filo conduttore il fine principale della costituzione di un mercato unico, e sancendo quindi l’incompatibilità con le libertà di circolazione di capitali e libertà economiche su cui si fonda l’intero assetto economico europeo[5].
La prima pronuncia Della Corte di Giustizia nella quale si sanzionò la disciplina italiana della Golden Share fu quella del 23 maggio 2000, che la ritenne contrastante alle norme previste negli articoli 43, 49 e 56 del trattato CE[6].
Nello specifico, la Corte volle chiarire l’esigenza di individuare in modo non generico gli elementi su cui fondare il riconoscimento di poteri speciali, ritenendo insufficiente i generici “obiettivi di politica economica ed industriale” previsti dall’ articolo 2 della Legge n.  474 del 1994.
Il legislatore italiano tento di allinearsi alle richieste della Corte introducendo limitazioni a specifici settori e a situazioni prestabilite per l’utilizzo di poteri speciali, precisandole nel d.p.c.m. 11 febbraio 2000, il quale prevedeva all’art. 1 “l’obiettivo di salvaguardare vitali interessi dello  Stato e  rispondono  ad  imprescindibili  motivi di interesse generale,  in  particolare  con  riguardo  all’ordine  pubblico, alla sicurezza  pubblica,  alla  sanità ed alla difesa”  in modo da risultare non generico.
Attraverso l’introduzione della disciplina, oltre ad uniformarsi alle richieste, il legislatore considerò opportuno inserire una limitazione all’utilizzo tali poteri, circoscrivendone la facoltà solo per determinati interessi specificatamente individuati, chiarendo così il fondamento su cui si basava la sopravvivenza di poteri a carattere speciale, introducendo la precisa necessità di tutelare interessi vitali dello Stato, Anche in caso di società di cui non deteneva maggioranza.
Tuttavia, nonostante i buoni propositi, nel Febbraio del 2003 la Commissione intentò una nuova procedura nei confronti dell’Italia in materia di Golden Share, ritenendo la disciplina, anche a seguito delle modifiche, ancora in contrasto con i principi del Trattato.
 2.2 Le innovazioni introdotte con a legge finanziaria n. 350/2003.
A seguito di ciò il legislatore optò per un riordino sostanziale della materia attraverso una riforma contenuta nella legge finanziaria n. 350/2003[7]. Le innovazioni più importanti apportate furono la circoscrizione delle Golden Share soltanto nell’ambito di alcuni settori individuati come vitali per l’interesse dello Stato ed il vincolo posto all’esercizio dei poteri speciali, precludendo la loro utilizzabilità per quelle operazioni che appunto non rechino un pregiudizio tale interesse vitale. L’articolo 4 comma 230 della citata legge disponeva un limite di tempo di novanta giorni entro cui dovranno essere individuati specificatamente i criteri per l’esercizio di detti poteri speciali, attraverso un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’Economia e Finanza. Con il successivo d.p.c.m. 10 giugno 2004, adottato in attuazione delle disposizioni della legge finanziaria 2004, vennero individuati i criteri richiesti circoscrivendo a norma dell’art. 1:  “I poteri speciali di cui all’art. 2 del decreto legge n. [332/1994] sono esercitati esclusivamente ove ricorrano rilevanti e imprescindibili motivi di interesse generale, in particolare con riferimento all’ordine pubblico, alla sicurezza pubblica, alla sanità pubblica e alla difesa, in forma e misura idonee e proporzionali alla tutela di detti interessi, anche mediante l’eventuale previsione di opportuni limiti temporali, fermo restando il rispetto dei principi dell’ordinamento interno e comunitario, e tra questi in primo luogo del principio di non discriminazione”. Il secondo comma del decreto delimitò l’utilizzo dei poteri speciali solo laddove fossero ricorse determinate circostanze[8].
Nonostante le diverse modifiche apportate dalla L. n. 350/2003 alla normativa italiana prevista dalla L. n. 474/1994, la Commissione ritenne ancora in contrasto con il diritto dell’Unione le disposizioni normative italiane, qualificandole come limiti e restrizioni ingiustificate alle libertà previste dall’articolo 56 CE e dall’articolo 43 CE, rispettivamente libertà di circolazione dei capitali e di stabilimento. Il Trattato consentiva a determinate condizioni e criteri la possibilità per lo Stato di sfuggire alle discipline previste dalle norme che tutelano il mercato unico, nonostante ciò la giurisprudenza comunitaria giudicò eccessivo l’utilizzo da parte dell’Italia dei poteri di Golden Share e la protezione di alcuni attività economiche[9], ritenendo esagerato l’utilizzo di disposizioni così invadenti quando per la tutela dell’interesse pubblico sarebbero potute risultare allo stesso modo sufficienti misure meno restrittive.
Per tutti gli anni 2000’ la situazione non mutò, sino l’accoglimento dell’ennesimo ricorso della Cassazione, in cui la Corte di Giustizia Europea sentenziò, sulla scia di quanto già più volte espresso, la bocciatura nei confronti della Golden Share italiana, ritenendola ancora contraria alla libertà di stabilimento e di circolazione di capitali[10].

3. Il passaggio al Golden Power (rinvio)

L’evoluzione naturale è avvenuta con il decreto-legge n.21[11] del 15 marzo 2012, che ha conferito al governo i poteri speciali in determinati settori: difesa e sicurezza nazionale, in tema di energia e nel settore delle comunicazioni e dei trasporti. Le disposizioni hanno riformato totalmente il sistema dopo le sopra citate pronunce di condanna, andando ad individuare specificamente gli interessi tutelati.
In particolare, la nuova disciplina dei poteri speciali è stata limitata verso imprese operanti nei settori di difesa e sicurezza nazionale e per gli attivi strategici nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni.
Tale nuova previsione, a differenza della precedente, subordina l’utilizzo dei poteri speciali allo svolgimento di un’attività considerata di rilevanza strategica, indipendentemente dalla sua natura pubblica o privata. Il potere riconosciuto al Presidente del Consiglio, pertanto, riguarda soltanto l’individuazione dell’attività di rilevanza strategica, e quindi l’effettivo e concreto esercizio del potere speciale. La nuova disciplina ha introdotto inoltre la possibilità di determinare i criteri per l’esercizio dei Golden Powers soltanto da fonte di diritto primaria (decreto-legge), a differenza di quanto stabilito dalla normativa precedente che permetteva l’individuazione dei criteri da una norma secondaria (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri).
In relazione ai nuovi poteri il legislatore ha introdotto un insieme di disposizioni attraverso le quali l’esecutivo ha facoltà di: 1) adottare determinate condizioni ed impegni diretti per tutelare gli interessi essenziali dello Stato; 2) apporre veti riguardo l’adozione di alcune delibere societarie; 3) opporsi all’acquisto di partecipazione da parte di un soggetto diverso dallo stato, ente pubblico, o soggetto controllato da questi, che comportino la possibilità per l’ acquirente di esercitare in qualsiasi modo diritto di voto che potrebbe compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale. A seguito delle disposizioni, il legislatore quindi ha introdotto un insieme di obblighi di notifica alla Presidenza del Consiglio, al fine di consentirne l’effettiva attività ispettiva[12].

5. Conclusioni

Come si può evincere dalla ricostruzione sopra operata, l’istituto della Golden Share ha avuto una breve evoluzione nel nostro paese, culminando in uno strapotere di fatto dello Stato, contrario alle regole del buon andamento del mercato di derivazione comunitaria.
Tuttavia, non può rilevarsi che la disciplina attualmente in vigore afferente ai settori di particolare rilevanza ha risentito del percorso iniziato oltre 30 anni fa, che, seppur caratterizzato da diverse bocciature della Corte di Giustizia, ha posto le basi per la tutela di interessi statali, i quali necessitano per loro natura di deroghe alla disciplina generale.

  1. [1]

    Per una più approfondita analisi del tema: G. Scarchillo, Privatizzazioni e settori strategici, Torino, 2018.

  2. [2]

    Corte di Giustizia, sentenza del 13 maggio 2003, causa c-98/01, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord c. Commissione.

  3. [3]

    Causa C-98/01, Commissione/Regno Unito nel punti 47,48 e 53 della sentenza viene previsto: “La situazione giuridica alla base della causa C-98/01, Commissione/Regno Unito, non sembra per nulla adeguarsi ai principi della giurisprudenza recente, come trasposta in questo nuovo ambito… È irrilevante la circostanza che i poteri di intervento esercitabili dalle pubbliche autorità siano conferiti dallo statuto della società (e non da un atto normativo) e che la figura delle azioni prive di voto che attribuiscono poteri speciali sia prevista dal diritto interno. Se è vero che questa situazione rientra perfettamente nella categoria tradizionale dei «regimi di proprietà», è altrettanto vero che questi ultimi sono sottratti all’applicazione dei principi fondamentali posti dal Trattato, senza che la Corte abbia formulato – o che convenga formulare – alcuna distinzione in base alla natura esatta di un determinato regime. Ai fini della qualifica della restrizione, ciò che conta sono le conseguenze economiche del regime, non i particolari tecnici di ciascuna normativa. In caso contrario, in futuro agli Stati membri basterebbe convertire tutti i tipi di prerogative di diritto pubblico in poteri statutari per sottrarli all’applicazione del Trattato… Pertanto, il regime istituito dagli artt. 10 e 40 dello statuto della BAA dev’essere considerato, conformemente alle sentenze 4 giugno 2002, contrario alla libera circolazione dei capitali, senza che occorra esaminare i provvedimenti controversi separatamente, alla luce delle norme relative alla libertà di stabilimento.”

  4. [4]

    L’art. 2 comma 1 lettera c) decreto-legge 332/1994 prevede: veto, debitamente motivato in relazione al concreto pregiudizio arrecato agli interessi vitali dello Stato, all’adozione delle delibere di scioglimento della società, di trasferimento dell’azienda, di fusione, di scissione, di trasferimento della sede sociale all’estero, di cambiamento dell’oggetto sociale, di modifica dello statuto che sopprimono o modificano i poteri di cui al presente articolo.

  5. [5]

    L. Scipione, La «golden share» nella giurisprudenza comunitaria: criticità e contraddizioni di una roccaforte inespugnabile, in Società, 2010, pag. 855.

  6. [6]

    Corte di Giustizia, sentenza del 23 maggio 2000, causa c-58/99, Italia c. Commissione.

  7. [7]

    L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4, commi 227-231.

  8. [8]

    I poteri speciali di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 2, comma 1, del decreto-legge n. 332 del 1994 sono esercitati in relazione al verificarsi delle seguenti circostanze: a) grave ed effettivo pericolo di una carenza di approvvigionamento nazionale minimo di prodotti  petroliferi ed energetici, nonché di erogazione dei servizi connessi e conseguenti e, in generale, di materie prime e di beni essenziali alla collettività, nonché di un livello minimo di servizi di telecomunicazione e di trasporto; b) grave ed effettivo pericolo in merito alla continuità di svolgimento degli obblighi verso la collettività nell’ambito dell’esercizio di un servizio pubblico, nonché al perseguimento della missione affidata alla società nel campo delle finalità di interesse pubblico; c) grave ed effettivo pericolo per la sicurezza degli impianti e delle reti nei servizi pubblici essenziali; d) grave ed effettivo pericolo per la difesa nazionale, la sicurezza militare, l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica; e) emergenze sanitarie.

  9. [9]

    Il 28 giugno 2006 (ip/06/859) la Commissione Europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia Europea per la Golden Share in Eni, Enel, Finmeccanica e Telecom.

  10. [10]

    Causa c-326/07: “con il suo ricorso, la commissione delle Comunità Europee chiede alla corte di dichiarare che, avendo adottato le disposizioni di cui all’art. 1, comma 2, del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 giugno 2004, recante definizione dei criteri di esercizio dei poteri speciali, di cui all’art. 2 del decreto-legge, n. 332, convertito, con modifiche, dalla legge, n. 474. la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 43 ce e 56 ce”.

  11. [11]

    Norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni.

  12. [12]

    L’informativa deve avvenire entro 10 giorni dal compimento dell’operazione, mentre il Governo ha 45 giorni per esprimersi o per chiedere eventuali chiarimenti. In difetto, vale la regola del silenzio assenso e, pertanto, l’operazione si intende autorizzata.

Corrado Sodo Migliori

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