La polemica sulle liberalizzazioni sappiamo non essersi ancora conclusa. Di rado, però, emerge dalle discussioni l’obbligo comunitario previsto dal Trattato istitutivo della Comunità Europea: si pensi alla libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali – tra le politiche della Comunità – disciplinate dagli artt. 23 e ss. del TCE.
La parola “liberalizzazione”, possiamo osservare, è espressamente sfruttata dal legislatore comunitario con riferimento alla liberalizzazione dei servizi (art. 52), ma è oggetto di tutto il Titolo III (della “Libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali”). E proprio in ottemperanza degli obblighi presi con l’Unione europea, le liberalizzazioni cominciarono anni indietro. Furono ostentate da alcuni Ordini professionali (come quello forense, tra i più audaci in materia) allo scopo di salvaguardare privilegi acquisiti.
[1] Nel febbraio 2002 due nuove sentenze della Corte di giustizia hanno contribuito a chiarire la portata delle regole di concorrenza nel settore delle libere professioni. La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla fissazione degli onorari degli avvocati in Italia e su un divieto di autoregolamentazione relativa alle attività degli avvocati in rapporto di collaborazione integrata con i revisori dei conti nei Paesi Bassi. Nella causa Arduino [2], la Corte ha dichiarato che uno Stato membro può stabilire un sistema di tariffe che fissa livelli minimi e massimi per gli onorari se ciò è necessario nell’interesse pubblico (…).
Il ministro Bersani, con il suo recente decreto (D.L. 4 luglio 2006, n. 223, conv. in L. 4 agosto 2006, n. 248), non ha fatto altro che continuare il cammino di liberalizzazione rispondendo ai precisi obblighi comunitari, pena il rischio di sanzioni da parte della Corte di giustizia europea come effetto di una procedura d’infrazione ai sensi degli artt. 226-228 TCE.
Allora perché non sentiamo mai parlare di questo importantissimo aspetto? Perché non aver dato luogo alle liberalizzazioni prima, più in fretta?
Forse per comodità e interesse di alcuni signorotti o, piuttosto, per evitare lo scontro politico con i cittadini (paura e dissenso popolare si comprendono dalle manifestazioni dei mesi scorsi).
Gli Stati membri dell’UE devono osservare le disposizioni comunitarie, arrivando ad attuare un ravvicinamento delle legislazioni (artt. 94-97 TCE) per permettere regole simili in tutto il territorio europeo.
E liberalizzare vuol dire vietare la previsione di tariffari minimi dei professionisti; significa permettere a tutti i cittadini – nazionali o comunque europei – di svolgere una determinata attività economica senza restrizioni (sia nel proprio che in altro Stato sul territorio europeo); ed ancora, significa permettere di aprire le porte del mercato al mercato stesso.
[1] I consumatori e gli operatori commerciali incontrano ancora notevoli difficoltà nel trarre benefici dal mercato interno nei servizi delle libere professioni. Verosimilmente ciò deriva in certa misura dalla regolamentazione statale e dalle norme di autoregolamentazione delle professioni che incidono sulle condizioni di concorrenza. Sebbene presumibilmente l’obiettivo primario di tale regolamentazione sia quello di garantire la qualità del servizio, l’ipotesi è che una parte della regolamentazione vigente produca più costi che benefici. Perlomeno, alcune presunte regole deontologiche vengono mantenute senza alcuna giustificazione oggettiva riguardo ai benefici che possono apportare ai consumatori. Se venissero individuate ed eliminate restrizioni ingiustificate, il vantaggio per i consumatori si tradurrebbe in una maggiore possibilità di scelta e in un migliore rapporto costi-benefici, e i prestatori di servizi avrebbero più spazio per la creatività e l’innovazione e per adeguare le proprie attività alla domanda.
Purtroppo, se consideriamo alcuni avvenimenti come – tanto per fare un esempio in linea con i precedenti riferimenti – il ricorso al TAR da parte dell’Ordine degli avvocati [3] per il “no” del Governo (riuniti i ministeri del Lavoro, dell’Economia, della Giustizia) all’aumento dal 2 al 4% del versamento integrativo di norma addebitato al cliente (diniego volto ad evitare effetti inflazionistici), noteremo come le cose difficilmente, molto difficilmente, potranno davvero cambiare con le liberalizzazioni, a danno dell’economia e dei consumatori.
Vorrei concludere invitando a riflettere sulla necessità (legale e di mercato) delle liberalizzazioni, evitando di opporsi cercando ragioni infondate o insussistenti per ostacolare le liberalizzazioni o far credere che il governo si comporti con dirigismo o intenda arrivare ad una mera deflazione economica.
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[2] Sentenza del 19.2.2002, causa C-35/99, Racc. 2002, pag. I-01529.
[3] Cfr. Il Sole 24 Ore, 9 gennaio 2007, sez. Norme e tributi, pag. 31.
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