Nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo, se la comunicazione ex art. 4, comma 9, L. 223/1991[1] non contiene indicazioni circa le modalità applicative dei criteri di scelta dei lavoratori interessati dalla procedura, il licenziamento eventualmente irrogato dovrà considerarsi illegittimo con condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura non superiore alle 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Questo è quanto affermato dai Giudici della Corte di Cassazione con la sentenza in commento.
Indice
1. I fatti di causa
La vicenda trae origine dall’impugnazione proposta da alcuni lavoratori avverso il licenziamento irrogato loro dalla società datrice di lavoro al termine di una procedura collettiva ex L. 223/1991.
Nella fase di merito, la Corte d’Appello di Reggio Calabria, in riforma del precedente grado di giudizio, ha rilevato l’illegittimità del licenziamento intimato dal datore di lavoro e, dichiarato risolto il rapporto di lavoro intercorso tra le parti, ha condannato la società alla sola sanzione economica (un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto).
La Corte di merito ha ritenuto che tale licenziamento risultava affetto da una “violazione di carattere formale”: la comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, L. 223/1991 (diretta ai lavoratori), risultava infatti carente dei punteggi attribuiti a ciascun lavoratore nonché delle altre informazioni relative ai criteri di scelta (carichi di famiglia, anzianità, punteggi astratti previsti in relazione a ciascun criterio, attestazioni della corretta applicazione dei criteri di scelta).
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2. L’iter logico-argomentativo della Corte di Cassazione
Nella sentenza in commento. la Corte di Cassazione, pur condividendo il rilievo sull’illegittimità del licenziamento, non ha condannato la società ad una sanzione economica bensì ha ordinato la reintegrazione dei lavoratori e, in aggiunta, un’indennità risarcitoria (non superiore a 12 mensilità della globale di fatto).
A sostegno di ciò, la Cassazione ha osservato che la disciplina dettata dalla L. 223/1991 (in materia di licenziamenti collettivi) rappresenta una garanzia di natura procedimentale, destinata ad operare su un duplice piano di tutela: (i) delle prerogative sindacali e (ii) delle garanzie individuali (assolvendo alla funzione, da un lato, di porre le associazioni sindacali in condizioni di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e, dall’altro, di assicurare al lavoratore, potenzialmente interessato al licenziamento, la previa individuazione dei criteri di scelta e la verificabilità dell’esercizio del potere privato del datore di lavoro).
Con preciso riferimento alla comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, L. 223/1991, questa è finalizzata a consentire ai lavoratori interessati, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza dell’operazione e la rispondenza agli accordi raggiunti (cristallizzando anche le ragioni del recesso nonché le modalità applicative dei criteri di scelta, non più modificabili in futuro).
Per esigenze di trasparenza e controllo (contestuale e successivo), è necessario pertanto che (i) i criteri di scelta dei lavoratori ed (ii) i presupposti fattuali sulla base dei quali i criteri sono stati applicati risultino ricavabili da detta comunicazione.
Venendo alla vicenda che ci occupa e contrariamente ai principi suesposti, la più volte citata comunicazione era del tutto generica, non contenendo né precise informazioni sui lavoratori interessati dal licenziamento (mancando, in sostanza, la precisa indicazione dei criteri di scelta e presupposti fattuali per l’applicazione degli stessi) né i relativi parametri comparativi rispetto alla posizione di altri lavoratori.
Dunque detta comunicazione risultava carente di tutte le indicazioni necessarie a far comprendere come i criteri concordati fossero stati applicati nella fattispecie.
3. Conclusioni
Sulla scorta di ciò, la Cassazione ha nettamente affermato che “la lacunosità della comunicazione inviata al lavoratore si è, dunque, in concreto tradotta in un’illegittima applicazione dei criteri di scelta concretatasi nella lacunosità della comunicazione che non raggiungeva un livello di adeguatezza idoneo a mettere in grado il lavoratore di comprendere per quale ragione lui, e non altri colleghi, fosse stato licenziato e quindi di poter contestare il recesso datoriale, dovendosi dare continuità all’orientamento di questa Corte secondo cui quando la comunicazione L. n. 223 del 1991, ex articolo 4, comma 9, carente sotto il profilo formale delle indicazioni relative alle modalità di applicazione dei criteri di scelta si sia risolta nell’accertata illegittima applicazione di tali criteri vi è, in conformità ai principi affermati da questa Corte, annullamento del licenziamento, con condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura non superiore alle dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (ex articolo 18, comma 4, testo novellato”.
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Note
[1] “Raggiunto l’accordo sindacale ovvero esaurita la procedura di cui ai commi 6, 7 e 8, l’impresa ha facoltà di licenziare gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso. Entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi, l’elenco dei lavoratori licenziati con l’indicazione per ciascun soggetto del nominati del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento dell’età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’articolo 5, comma 1, deve essere comunicato per iscritto all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria di cui al comma 2”.
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