Uno dei temi più interessanti in cui è intervenuta la Riforma Madia è quello del procedimento disciplinare nel pubblico impiego.
Tra le altre modifiche apportate alle disposizioni in materia, dettate dal D.Lvo 30.03.2001 n.165, di particolare rilievo è quella di cui al comma 2 bis dell’art.63 del TUPI.
In particolare, il citato comma 2 bis, aggiunto dall’articolo 21, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75, prevede che “Nel caso di annullamento della sanzione disciplinare per difetto di proporzionalità, il giudice può rideterminare la sanzione, in applicazione delle disposizioni normative e contrattuali vigenti, tenendo conto della gravità del comportamento e dello specifico interesse pubblico violato”.
La predetta disposizione è stata recentemente applicata dal Tribunale del lavoro di Catania il quale, nel procedere all’annullamento del licenziamento comminato dal Ministero della Giustizia nei confronti di un dipendente accusato di assenteismo, ritenendo la sanzione sproporzionata rispetto al fatto contestato, ha annullato il licenziamento e rideterminato la sanzione.
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Le concessioni di lavori e di servizi nel Codice dei contratti pubbliciL’oramai cronico stato di crisi della finanza pubblica rende inevitabile la crescita dell’interesse verso forme contrattuali che prevedono l’intervento di capitali privati; tra queste, la concessione, tanto di lavori che di servizi, sembra l’unica ad aver raggiunto un sufficiente grado di sviluppo della relativa disciplina, che poco o nulla dipende da ulteriori interventi regolatori del Governo e/o dell’ANAC, ai quali resta invece subordinato il completamento della disciplina del contratto di appalto. Pertanto, da modello quasi residuale, utilizzato da pochi “grandi committenti” per operazioni di grande rilievo economico- sociale, la concessione si sta diffondendo presso le amministrazioni locali, anche di dimensioni modeste, come risposta al fabbisogno di servizi pubblici essenziali, quali i servizi scolastici, i servizi sportivi e quelli cimiteriali, solo per citarne alcuni.Tanto comporta la necessità di indagare approfondita- mente le peculiarità del modello negoziale della concessione di lavori e di servizi, soprattutto al fine di evitare che la sua indubbia attrattività non faccia perdere di vista le insidie che lo stesso nasconde e le difficoltà che incontra chi voglia assicurargli la capacità di resistere nel tempo alla inevitabile mutevolezza del ciclo economico. Alberto Costantini | 2018 Maggioli Editore 40.00 € 32.00 € |
I fatti contestati
Nel 2017 un gruppo di dipendenti del Ministero della Giustizia in servizio presso alcuni uffici giudiziari, erano stati coinvolti in un’indagine della Procura nata da un esposto che segnalava presunti episodi di assenteismo.
Concluse le indagini in sede penale, il Ministero ha quindi avviato i relativi procedimenti disciplinari nei confronti dei dipendenti coinvolti, giungendo per uno di essi al licenziamento senza preavviso, per grave violazione del rapporto fiduciario che lega il pubblico dipendente con l’amministrazione, essendogli state contestate assenze ingiustificate per complessive 10 ore circa, ridotte in seguito a circa 7 ore.
Impugnato il licenziamento innanzi al Tribunale del lavoro, il Giudice ne ha disposto l’annullamento ritenendolo illegittimo.
Violazione del vincolo fiduciario – quali conseguenze
In particolare, e la pronuncia è sicuramente interessante sotto questo profilo, il Giudice del lavoro ha evidenziato che la lesione del vincolo fiduciario può prescindere dall’entità del danno conseguito alla condotta del lavoratore, laddove tale condotta sia in sé di tale gravità da far venir definitivamente meno l’affidamento datoriale nel corretto adempimento delle prestazioni e degli obblighi lavorativi; tuttavia non sempre la lesione del vincolo fiduciario può portare al licenziamento.
Nel caso di specie, invero, gli elementi che l’amministrazione avrebbe dovuto tenere presenti al momento della determinazione della sanzione disciplinare, erano tali da consentire di ritenere in sede giudiziaria il licenziamento illegittimo per violazione del principio di proporzionalità, in quanto, secondo la decisione in esame, la reazione espulsiva si deve sempre improntare al carattere dell’estrema ratio a fronte del valore costituzionale del lavoro e dei suoi legami con la tutela fondamentale della persona.
Nel caso specifico, il Giudice del lavoro ha rilevato che il dipendente non avesse precedenti disciplinari e avesse condotto la propria carriera professionale con valutazioni sempre positive, che il danno patrimoniale concretamente derivato all’amministrazione dalla condotta contestata, pari a complessivi €125,00, fosse indubbiamente esiguo e che ad altri colleghi coinvolti nella medesima inchiesta era stata applicata solo una sospensione dal servizio e non pure il licenziamento.
Interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.55 quater del D.Lvo 165/2001
Peraltro, secondo il Tribunale di Catania, dell’art. 55 quater del D.Lvo 165/2001 richiamato dall’amministrazione nel provvedimento espulsivo, deve darsi un’interpretazione costituzionalmente conforme.
In particolare, la disposizione legislativa in parola, introdotta dal Decreto Brunetta (D.Lvo 150/2009) ed anch’essa modificata dal D.lvo 75/2017 attuativo della legge Madia, prevede la sanzione disciplinare del licenziamento, tra l’altro, nei casi di falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia.
Tuttavia, secondo il Tribunale di Catania, non può ritenersi derivare dalla citata disposizione alcun automatismo espulsivo, in presenza di fatti astrattamente rientranti nella previsione di legge.
Ed infatti, come reiteratamente ritenuto dalla Corte di Cassazione in relazione all’art. 55 quater citato, sebbene sia in tale norma tipizzata una fattispecie disciplinare astrattamente meritevole di licenziamento (quella delle false attestazioni di presenza in servizio), “deve escludersi la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo nell’irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione, permanendo il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto addebitato (Cass. 17259/2016, 17335/2016, 11639/2016, 10842/2016, 1315/2016, 24796/2010, 26329/2008; Cort. Costit. 971/1988, 239/1996, 286/1999). 37. La proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi è, infatti, regola valida per tutto il diritto punitivo (sanzioni penali, amministrative) e risulta trasfusa per l’illecito disciplinare nell’art. 2106 c.c., con conseguente possibilità per il giudice di annullamento della sanzione “eccessiva”, proprio per il divieto di automatismi sanzionatori, non essendo, in definitiva, possibile introdurre, con legge o con contratto, sanzioni disciplinari automaticamente conseguenziali ad illeciti disciplinari. 38. I principi sopra richiamati sono stati affermati anche con riguardo all’art. 55 quater (Cass. 17259/2016, 1351/2016), sul rilievo che l’art. 2106 c.c. risulta oggetto di espresso richiamo da parte dell’art. 55 c.2 e sul rilievo che alla giusta causa ed al giustificato motivo fa riferimento il c. 1 dell’ art. 55 quater. 39. Va, inoltre, considerato che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte , al quale va data continuità, l’operazione valutativa, compiuta dal giudice di merito nell’applicare clausole generali come quella dell’art. 2119 c.c., e da effettuarsi con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi… (così Cass. 24574/2016; cfr. nel medesimo senso 18858/2016, 10086/2018, 9315/2018”).
Rideterminazione della sanzione ai sensi dell’art.63 del D.Lvo 165/2001
Applicando la nuova disposizione introdotta dal D.Lvo 75/2017, il Giudice del lavoro ha comunque ritenuto che la condotta fosse meritevole di sanzione, seppure inferiore rispetto al licenziamento, irrogando quindi al dipendente una sospensione di mesi cinque dal lavoro e dalla retribuzione.
Il Tribunale quindi, ha disposto l’annullamento del licenziamento, sostituendolo con la sanzione della sospensione per cinque mesi dal lavoro e dalla retribuzione, ordinando la reintegra del dipendente nel posto di lavoro con il diritto a percepire un’indennità risarcitoria corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, e comunque in misura non superiore alle ventiquattro mensilità, con il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dedotta altresì la retribuzione relativa al periodo di sospensione dal lavoro.
Si tratta di una delle prime applicazioni pratiche della novità legislativa introdotta dal D.Lvo 75/2017 in materia di procedimenti disciplinari nel pubblico impiego, ossia la potere del Giudice di applicare una sanzione diversa rispetto a quella inflitta dal datore di lavoro pubblico, qualora questa venga ritenuta sproporzionata e quindi annullata.
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