In questi casi la corresponsione della Naspi da parte dell’Inps avviene con riserva di ripetizione di quanto pagato per l’ipotesi in cui il lavoratore licenziato, in seguito a un contenzioso, ovvero per effetto di trattativa, dovesse essere reintegrato nel posto di lavoro.
Licenziamento: è possibile nel periodo di emergenza?
Alcuni dei quesiti in materia di licenziamento a cui la presente opera offre risposta:
Nel caso in cui le procedure di licenziamento collettivo siano iniziate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, ma non concluse, sono sospese?
Sì, sono sospese; ciò è stato stabilito dall’art. 46 del d.l. 18/2020, il quale prevede che sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020.
Il divieto di licenziamento si applica all’apprendista per compimento del periodo formativo?
No, la sospensione dei licenziamenti non opera in relazione al licenziamento dell’apprendista per compimento del periodo formativo, facoltà prevista dall’art. 42, comma 4, del d.lgs. n. 81 del 2015, che non ha subito modifiche dall’art. 46 del dl. 18/2020.
Il licenziamento durante o al termine del periodo di prova è sospeso per 60 giorni?
No, l’art. 46 del d.l. 18 del 2020 fa riferimento solo ai casi di licenziamento collettivo e licenziamenti individuali, per giustificato motivo oggettivo economico.
E’ sospesa la procedura di licenziamento ai sensi dell’art. 7 della l. 604/1966?
Sì, dal 17 marzo al 16 maggio 2020, è sospesa la procedura obbligatoria di conciliazione per licenziamento per giustificato motivo economico presso la Direzione Territoriale del lavoro per le aziende in tutela reale, ai sensi dell’art. 7 della l. 604/1966, in cui si sia già concluso il tentativo di conciliazione presso la Direzione Territoriale del lavoro e manchi solo il passaggio della consegna della lettera di licenziamento.
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Licenziamento e causa: vale il giustificato motivo oggettivo?
Il riferimento al licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel d.l. 18/2020 riguarda anche l’ipotesi del superamento del periodo di comporto?
No, l’art. 46 del d.l. 18/2020 quando parla di licenziamento per giustificato motivo oggettivo fa espressamente riferimento all’art. 3 della l. 604/1966, ossia ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo determinati non da un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale, ma dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore, soppressione che non può essere meramente strumentale ad un incremento di profitto, ma deve essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti.
Il divieto del d.l. 18/2020 è rivolto solo ai licenziamenti oppure riguarda anche le dimissioni?
L’art. 46 del d.l. 18/2020 fa riferimenti ai licenziamenti collettivi ed ai licenziamenti individuali, indipendentemente dal numero dei lavoratori, ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604; di conseguenza, il divieto non riguarda le dimissioni.
Vorrei sapere cosa si intende per 60 giorni?
L’art. 46 del d.l. 18/2020 prevede che i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 3 della l. n. 604 del 1966, ed i licenziamenti collettivi sono sospesi per 60 giorni, ossia dal 17 marzo 2020 (data di entrata in vigore del d.l. 18/2020) al 16 maggio 2020.
Il presente contributo è tratto da
COVID-19: le novità sul lavoro
A causa della comparsa di casi di trasmissione di COVID-19, il Governo ha emanato una serie di provvedimenti per la gestione ed il contenimento dell’emergenza sanitaria in atto e per il sostegno economico alle famiglie, ai lavoratori ed alle imprese; in particolare, possiamo qui così riassumere i riferimenti normativi in materia di lavoro:- d.l. 17 marzo 2020, n. 18, con misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19;- d.l. 8 aprile 2020, n. 23, recante misure urgenti urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali.Nel presente ebook, verranno analizzate le singole misure, cercando di risolvere i principali interrogativi, attraverso domande e risposte.Rocchina StaianoDocente in Diritto della Previdenza e delle Assicurazioni Sociali, presso l’Università di Teramo; Avvocato giuslavorista; è membro del collegio dei probiviri della Cisl Regione Campania; Docente in vari Corsi di formazione; Docente-formatore sulla sicurezza nei luoghi di lavoro ai sensi del D.M. 3 marzo 2013; Formatore mediatore autorizzato dal Ministero della Giustizia. Valutatore del Fondoprofessioni. Autrice di numero pubblicazioni ed articoli in riviste anche telematiche, per le principali case editrici in materia di lavoro e di previdenza sociale.
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Proroga con il Decreto Maggio del divieto di licenziamenti collettivi individuali per motivi economici
Novità per i licenziamenti che erano stati sospesi dall’entrata in vigore del decreto Cura Italia per 60 giorni , se motivati da giustificato motivo oggettivo o in forma collettiva . Ricordiamo che all’articolo 41 del DL 18 2020 si prevedeva il divieto per 60 giorni (dalla data di pubblicazione del decreto, 17 marzo, e fino al 16 maggio 2020) di:
- procedure di individuazione dei lavoratori da mettere in mobilità,
- di licenziamenti collettivi,
- sono sospese nel medesimo periodo anche le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020 (data di proclamazione dello stato di emergenza nazionale).
Inoltre il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo. Restano possibili invece i licenziamenti per giusta causa ovvero per motivi disciplinari .
La legge di conversione del decreto, n. 27/2020, ha introdotto una specificazione per cui sono esclusi da tale divieto i recessi relativi a personale che subentra in contratti di appalto.
La bozza del nuovo decreto Maggio che il Governo sta preparando per prorogare e rafforzare le misure economiche di contrasto all’emergenza Coronavirus prevede ora una proroga del blocco dei licenziamenti per ulteriori 3 mesi. Si tratta quindi dell’impossibilità di procedure di licenziamento collettivo e individuale fino al 16 agosto 2020 . Nello stesso periodo restano ancora sospese eventuali procedure iniziate dopo il 23 febbraio 2020.
Il Consiglio dei ministri previsto per oggi che dovrebbe approvare il nuovo decreto è slittato purtroppo ancora una volta a nuova data .
Sempre stando alla bozza finora diffusa, verrebbe aggiunta anche la possibilità di revoca dei licenziamenti effettuati tra il 23 febbraio e il 17 marzo per giustificato motivo oggettivo , purche contestualmente richieda per il dipendente un trattamento di cassa integrazione in deroga, a partire dalla data di efficacia del provvedimento . In questo modo i rapporti di lavoro vengono ripristinati senza alcun onere o sanzione per i datori di lavoro.
Novità apportate con il Decreto Rilancio
Non è più operativo il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, valido per 60 giorni, introdotto dal decreto Cura Italia. Nelle intenzioni del decreto Rilancio c’è la volontà di dare continuità a tale divieto (che opererebbe fino al 17 agosto 2020), ma il ritardo nella pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento pregiudica l’effetto della misura salvo interventi dell’ultimo minuto. Il 17 maggio scorso infatti il divieto è venuto meno e il datore di lavoro potrebbe attivarsi con un licenziamento che, essendo atto ricettivo deve comunque raggiungere il lavoratore prima dell’entrata in vigore del decreto Rilancio. Ciò però solo per i licenziamenti individuali di dipendenti assunti con contratto di lavoro a tutele crescenti o non soggetti allo Statuto dei lavoratori.
È possibile licenziare un dipendente per giustificato motivo oggettivo al termine del periodo di Cassa integrazione straordinaria?
Qualora nella fase conclusiva di fruizione della CIGS, il datore di lavoro si renda conto dell’impossibilità di reimpiegare in azienda tutti o parte dei lavoratori sospesi, può procedere con la riduzione del personale tramite lo strumento del licenziamento collettivo, anche qualora intenda licenziare un solo dipendente. Il limite occupazione dei 15 dipendenti non deve pertanto sussistere nel momento in cui vengono attuati i licenziamenti, se il recesso avviene nell’ambito di una procedura di intervento straordinario di integrazione salariale.
Quanto appena affermato coincide con l’interpretazione fornita dal Ministero del Lavoro tramite un Interpello datato 19.10.2012, dove si legge
“si ritiene che, in caso di procedura di mobilità avviata ex art. 4 della L. n. 223/1991, qualora nel corso dell’attuazione del programma di CIGS , approvato per le causali di intervento di cui all’art. 1 della L. n. 223/1991, l’impresa ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi, il requisito dimensionale (superiore a 15 dipendenti per l’industria, 50 dipendenti per il commercio ecc.) sia richiesto solo al momento della presentazione della richiesta di ammissione al relativo intervento straordinario di integrazione salariale, con riferimento alla media occupazionale del precedente periodo semestrale, ex art. 1 L. n. 223/1991”. Il documento fa esplicito riferimento alla distinzione, già richiamata sopra, tra licenziamento collettivo ex art. 24 e collocazione in mobilità ex art. 4.
In quest’ultimo caso, infatti, non è previsto alcun requisito dimensionale. Di conseguenza, l’impresa dovrà avvalersi del licenziamento collettivo anche qualora durante o al termine della CIGS il livello occupazionale sia sceso al di sotto del limite dei 15 dipendenti.
La ratio dell’intervento del Ministero (finora mai smentito) attiene al principio di non discriminazione: in effetti, se l’impresa ha richiesto l’intervento straordinario non sarà in grado, presumibilmente, di garantire il completo reimpiego dei dipendenti, per cui riconoscere il trattamento di mobilità e le relative garanzie solo a quei lavoratori in forza in un momento in cui l’impresa occupava più di 15 dipendenti non garantirebbe la parità di trattamento tra lavoratori licenziati in periodi diversi.
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