Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: repêchage e obbligo di formazione

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Con Ordinanza n. 10627/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e obbligo di repêchage.
L’ulteriore spunto di riflessione è scaturito da una vicenda che ha visto coinvolto un lavoratore con mansioni di operaio addetto al reparto calzature di una società.
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Corte di Cassazione -sez. L civ.- ordinanza n. 10627 del 19-04-2024

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Indice

1. La vicenda: il licenziamento per giustificato motivo oggettivo


Nel caso di specie, a seguito di un calo dell’attività e del fatturato, la società datrice di lavoro sopprimeva il reparto magazzino e riduceva il numero di operai addetti al reparto calzature.
Pertanto, nell’ambito di tale riorganizzazione, anche la mansione del lavoratore protagonista del caso che ci occupa veniva soppressa.
La Corte territoriale riteneva pacifica la sussistenza delle ragioni organizzative poste alla base del licenziamento, escludeva qualsivoglia profilo discriminatorio e considerava adempiuto l’obbligo di repêchage da parte della società datrice di lavoro in quanto:

  • le mansioni del lavoratore licenziato (operaio addetto al reparto calzature) non potevano ritenersi fungibili con quelle di addetto alla vendita;
  • le mansioni del lavoratore licenziato non erano neppure fungibili con quelle degli stagisti, dal momento che le finalità dello stage devono ritenersi del tutto diverse da quelle di un rapporto di lavoro;
  • le posizioni relative ad assunzioni a tempo determinato nel semestre successivo al licenziamento non potevano essere proposte al lavoratore in quanto di natura precaria (tali assunzioni, effettuate per esigenze temporanee, si sarebbero infatti esaurite nell’arco di pochi mesi);
  • l’unica assunzione a tempo determinato effettuata per un lasso di tempo più lungo (un anno) era avvenuta per il ruolo di “addetta al web”, mansione che era del tutto estranea a quella del lavoratore e che richiedeva come tale un bagaglio formativo del tutto differente.

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2. L’obbligo di repêchage e l’obbligo di formazione


Ancora una volta la giurisprudenza è tornata ad interrogarsi su quali siano i limiti dell’obbligo di repêchage in capo al datore di lavoro.
È ormai consolidato in giurisprudenza l’orientamento secondo cui, nel contesto di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’obbligo di repêchage non possa far sorgere anche un obbligo formativo del lavoratore in esubero in quanto ciò imporrebbe al datore di lavoro “un ulteriore obbligo economico” (si veda, ex multis, T. Roma, sentenza n. 24/7/2017).
Secondo l’orientamento prevalente, cui si conforma la citata sentenza del Tribunale di Roma, l’obbligo di repêchage deve essere limitato alle ipotesi di disponibilità di posti di lavoro che non richiedono ulteriore ed apposita formazione professionale.
Infatti, l’ordinamento non prevede un generale obbligo da parte del datore di lavoro di procedere alla formazione del lavoratore in esubero e, in ogni caso, la nuova formulazione dell’art. 2103, comma 3, c.c., troverebbe applicazione solo nei confronti dello ius variandi nell’esclusivo interesse datoriale e non anche in quei casi, come in quello di licenziamento per g.m.o., in cui la modifica contrattuale del contenuto delle mansioni è subita dal datore di lavoro.
Diversamente, sul datore di lavoro graverebbero costi economici per la formazione incompatibili con le esigenze imprenditoriali, tanto più incidenti in fase di riorganizzazione e soppressione delle posizioni di lavoro.
Sul punto, proprio la sentenza del Tribunale di Roma ha ritenuto che “l’aggravamento dell’onere gravante sul datore di lavoro in ordine all’impossibilità di repêchage anche rispetto a mansioni inferiori, determinato dall’entrata in vigore dell’art. 2103 c.c. non può tuttavia ritenersi assoluto: il datore di lavoro sarà tenuto ad allegare e dimostrare la mancata disponibilità di posizioni corrispondenti allo stesso livello e categoria di inquadramento del lavoratore, purché si tratti però di mansioni libere, che non necessitino cioè di idonea formazione, in quanto l’obbligo formativo è stato configurato nel nuovo testo dell’art. 2103 c.c. come conseguenza della scelta unilaterale del datore di lavoro. In un contesto relativo alla sussistenza di ragioni organizzative e produttive idonee a giustificare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’obbligo di attribuire al lavoratore mansioni che necessitino di adeguata formazione significherebbe infatti imporre al datore di lavoro un ulteriore costo economico.
Tale interpretazione è avvalorata dalla previsione del sesto comma del nuovo art. 2103 c.c.: tale norma, che consente la stipula di patti di demansionamento con diminuzione della retribuzione, sarebbe infatti difficilmente giustificabile se in caso di soppressione del posto il datore di lavoro fosse tenuto ad attribuire al lavoratore mansioni inferiori con la conservazione del trattamento retributivo goduto in precedenza”.

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3. La decisione della Corte di Cassazione


Sulla scorta di tali principi, nel caso di specie la Corte di Cassazione ha ritenuto compiutamente adempiuto l’obbligo di repêchage, ritenendo che “l’obbligo di repêchage è previsto nell’esclusivo alveo della fungibilità delle mansioni in concreto attribuibili al lavoratore, senza alcun obbligo di organizzare corsi di formazione previsti per la diversa ipotesi di esercizio dello ius variandi, ex art. 2103 cod. civ. come novellato dal D.Lgs. n. 81 del 2015, e ciò anche nella vigenza del novellato art. 2103 cod. civ., che non consente di giungere al punto di considerare come posizione utile ai fini del repêchage quella che in nessun modo sia riferibile alla professionalità posseduta”.
Parimenti, le nuove assunzioni effettuate a tempo determinato mai avrebbero potuto essere proposte al lavoratore in quanto avevano un “lasso di tempo limitato, per ragioni di carattere del tutto estemporaneo” e gli stage, inoltre, “avevano finalità e contenuti del tutto diversi da quelli di qualsivoglia rapporto lavorativo”.

Alessandra Giorgi

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